domenica, agosto 26, 2007

Dialogo ebraico-cristiano /3

Ovvero: 26 Agosto. Memoria liturgica di Santa Teresa di Gesù "nella Trasverberazione del suo cuore"



"Poichè i battesimi dei neofiti costituivano uno spettacolo di grande richiamo per il pubblico, oltre ad essere un'occasione religiosa e un atto di vasta portata politico-ideologica, dei casi più straordinari o eccezionali venivano diffuse descrizioni e relazioni, anche a stampa [...]

Della cerimonia celebrata il 12 marzo 1704 da papa Clemente XI in S.Pietro ci resta una minuta relazione redatta da Francesco Posterla [...]
Ma per capire le ragioni della pubblicazione e del rilievo che, attraverso di essa,era dato all'evento bisogna prima chiarire il contesto più ampio da cui essa uscì.
L'11 marzo 1704, infatti, cioè il giorno antecedente a quello in cui fu celebrato il solenne battesimo fu pubblicata dal pontefice la bolla Propagandae per universum[...]

"L'Istorico Ragguaglio della solenne Funzione fatta nel darsi il Battesimo dalla Santità di Nostro Signore Papa Clemente XI a tre persone ebree alla nostra Santa Fede" iniziava, sulla falsariga del documento papale, con l'esaltazione dello zelo apostolico e evangelizzatore di papa Clemente XI esplicato sia nei confronti di eretico ed infedeli, attraveso le missioni spedite «fino nelle Regioni più barbare, e più remote», sia nei confronti del più vicino popolo ebreo [...]

L'Istorico Ragguaglio ricorda anche la nuova bolla papale emanata l'11 marzo -il giorno prima della cerimonia che si accingeva a descrivere- che aveva ribadito e soprattutto ampliato il decreto cinquecentesco di Paolo III relativo ai privilegi dei neofiti «quanto ai beni temporali», privilegi concessi per facilitare le conversioni «degl'Infedeli, e particolarmente degl'Ebrei». Risulta perciò ulteriormente confermato come il decreto pontificio mirasse proprio a questi ultimi che costituivano il vero nodo della tematica conversionistica.


La sacra liturgia del 12 marzo 1704 riguardava un facoltoso mercante ebreo di Livorno, Angelo Vesino, che si era convertito al cristianesimo insieme con la moglie Bianca e la figlia Anna di quattordici anni.
La relazione era scandita in due parti.
Nella prima, con andamento sapientemente narrativo e con forte uso di colpi di scena e di moduli retorici, si raccontava la storia dei tre neofiti e della "miracolosa" conversione.
Nella seconda parte, invece, lo svolgimento della lunga e complicata cerimonia del battesimo. Entrambe le sezioni della relazione obbedivano tanto alla funzione politico-religiosa di propaganda e di apologia svolti da tali racconti, quanto anche nella loro cifra narrativa di lettura godibile e, nello stesso tempo, edificante rivolta ad un vasto pubblico.
Era evidente, infatti che gli obbiettivi sia delle cerimonie che delle loro descrizioni a stampa erano non soltanto la comunità ebraica da «confondere» con gli esempi e gli incentivie, soprattutto, da convertire, ma anche l'intera comunità cristiana dei fedeli. essa andava consolidata e rafforzata nella fede attraverso il grandioso "teatro" del trionfo della vera religione.



La vicenda della «mirabile conversione» iniziava da Angelo che, si diceva, da molti anni aveva dimostrato forte inclinazione verso la religione cristiana fino a decidersi di convertirsi dopo le pressioni esercitate dal granduca di Toscana in persona, Cosimo III de'Medici, e di un parente del papa stesso. Tuttavia, la moglie e soprattutto la figlia, che «aveva col latte succhiata ogni Ebraica superstizione», si mostravano «ostinate» e rifiutavano di seguirlo nella scelta del battesimo: era così ribadita anche nel modulo narrativo la realtà della maggiore resistenza femminile alla conversione.
Inoltre a conferma dell'ulteriore diffuso e ben noto stereotipo cristiano della «ostinazione» degli ebrei in genere nell'errore e della loro «dura cervice», lo stesso rifiuto venne anche dall'anziano padre David: co lui «fu lo stesso che persuadere uno scoglio, e pregare un'Aspido sempre sordo alle voci, sempre duro all'incanto». Mentre Angelo si trasferiva a Roma ove, accolto con grandi feste e onore dallo stesso pontefice, ricevette la sua istruzione cristiana preso il noviziato dei gesuiti, le donne, pur restando «ostinate», accettarono però di raggiungerlo nell'Urbe per assistere al battesimo e poi tornarsene a Livorno: ma già questo cedimento fu interpretato dal mondo cristiano come un «un occulto lavoro della Divina provvidenza. che le chiamava nel Gran Capo del Mondo e nella Reggia della Cattolica Religione per farle rinascere a Dio».
Provviste per ordine del Granduca di abiti e di ogni cosa necessaria per il viaggio, «per maggiormente disporle ad abbacciare la Fede Cattolica», e dotate di due comode lettighe con accompagnatori, servitori ed altro seguito, le due donne partirono cariche di regali e gioielli. Nel corso del viaggio, mentre la madre accettava di convertirsi, la figli continuò a mostrarsi «pertinace, e costante nella Giudaica superstizione», non accettando neppure di nutrirsi con i cibi che le venivano offerti.

L'ingresso a Roma delle due donne, da Ponte Milvio, si configurò come una vera entrata trionfale, del tutto simile agli ingressi solenni nell'urbe di sovrani e ambasciatori.
La relazione racconta che, per ordine del papa, fu loro mandato incontro un esponente della nobiltà romana, il conte Filippo Rinaldi, maestro di camera del cardinale Sacripante, con carrozze e cavalli e che dunque le due ebree fecero la loro entrata, al tramonto, con un corteo di quattro lettighe, due carrozze, tre calessi, sette soldati e tre servitori. Attraversata in lungo la città, percorrendo l'asse del Corso, furono condotte, per esservi accolte e ospitate, al palazzo del duca Mattei, peraltro assai vicino al ghetto romano.
Restava però il problema della fanciulla «pertinace».


La giovane fu accompagnata in giro per Roma a visitare le chiese della città, «per procurare d'affezionare anche per questo mezzo alla nostra Santa Fede», e finalmente accade il "miracolo".
Infatti, proprio nel «memorabile» giorno anniversario della conversione di S.Paolo, fu condotta alla visita della chiesa di Santa Maria della Vittoria dove le fu innanzi tutto mostrata la miracolosa immagine mariana, detta "della Vittoria", che vi era conservata. L'immagine era quella che, dopo il trionfo della lega cattolica contro i riformati di Boemia e Palatinato nella battaglia della Montagna Bianca (1620), nel corso della guerra dei Trent'anni, era stata portata dalla Boemia a Roma come trofeo.

Successivamente, la giovane fu accompagnata davanti alla famosa statua di Gian Lorenzo Bernini che raffiguta santa Teresa in estasi e trafitta nel cuore dalla lancia dell'angelo, collocata nella cappella Cornaro; davanti ad essa, la ragazza venne esortata alla preghiera.

La giovane ebrea venne così a trovarsi di fronte al tema iconografico più celebre e noto relativo alla santa e che, peraltro, era stato anche raffigurato nello stendardo della canonizzazione del 1622.


Il ruolo delle due immagini per la conversione della fanciulla fu determinante, perchè - racconta l'autore del Ragguaglio- la fanciulla «dalla Vergine Santissima della Vittoria apprese a riportar Vittoria di se stessa, e da Santa Teresa a farsi piagare il Cuore da un santo amore innocente, che allora solamente sa godere quando ferisce».


La dimenzione retorica del racconto, con le sue palesi metafore simboliche, non nasconde però un fenomeno reale e costante nel tempo, fino ad oggi poco indagato, quale quello dell'importanza centrale delle immmagini e della iconografia in genere nelle conversioni.

Se per Teresa - la grande santa della Controriforma fondatrice dell'ordine riformato delle carmelitane scalze e di numerosi conventi femminili, oltre che grande scrittrice- la visione del Cristo sofferente aveva determinato la sanzione definitiva delle grazie mistiche ricevute, così era ora la visione di Teresa estatica e annichilita, sospera tra cielo e terra, tra gioia e sofferenza, ad essere rappresentata come una vera apparizione in grado di accendere la conversione della giovane ebrea."

( Marina Caffiero; Battesimi forzati; Viella)

lunedì, agosto 20, 2007

Sonètos Fùnebres, XVI

BALLATA DELL’UOMO VECCHIO

"La tristezza che c’è in me, l’amore che non c’è
hanno mille secoli.
Il dolore che ti do, la fede che non ho
hanno mille secoli.
Sono vecchio ormai, sono vecchio,
sì questo Tu lo sai, ma resti qui.

Io vorrei vedere Dio, vorrei vedere Dio
ma non è possibile:
ha la faccia che tu hai, il volto che tu hai
e per me è terribile.

Sono vecchio ormai, sono vecchio,
sì questo Tu lo sai, ma resti qui.

Ascoltami, rimani ancora qui,
ripeti ancora a mela Tua parola!
Ripetimi quella parola che
un giorno hai detto a me e che mi liberò.

Io vorrei vedere Dio, vorrei vedere Dio
ma non è possibile:
ha la faccia che tu hai, il volto che tu hai
e per me è terribile..."


E' MORTO Claudio Chieffo.



Ovvero: "Il Popolo Canta la sua liberazione"

domenica, agosto 19, 2007

Tristitia Christi /3

Ovvero: Voi dunque pregate così: "Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome; venga il tuo regno; sia fatta la tua volontà anche in terra come è fatta in cielo." (Mt, VI, 9-10)



I due Rabbini Capo di Israele, Yona Metzger e Shlomo Amar, a capo delle comunità ashkenazita e sefardita hanno scritto (a fine luglio?) una lettera a quattro mani indirizzata a Benedetto XVI per chiedergli di togliere dalle preghiere del Venerdì Santo dell messale tridentino (rimesso in onoro dal Motu Proprio "Summorum Pontificum") ogni riferimento alla conversione degli ebrei.

Il problema non è quindi -come ingenuamente pareva essere- la mera questione della presenza o meno dell'irritante espressione "perfidis judeis" nel Rito del Venerdì Santo ma la stessa esistenza di una preghiera che chieda a Dio- per Cristo nostro Signore, Amen- la conversione dei "fratelli ebrei" pur se nella versione emendata dal "Papa Buono" edita nel Messale del 1962.

A questo punto la prima domanda da porsi è come mai i leader ebraici quando Papa Giovanni XXIII tolse dalla preghiera "PRO CONVERSIONE JUDAEORUM" l'appellativo "perfidis" giubilarono soddisfatti senza pretendere ulteriori modifiche ai rituali cattolici?
Forse che quei rabbini ritenevano di non avere alcuna autorità e alcun diritto di intromettersi troppo nelle dottrine di una religione altra dalla propria, proprio come il Pontefice Romano non ha alcuna competenza per dire la propria sulle liturgie sinagogali?

Mezzo secolo dopo, forse proprio quale frutto del maggior (e miglior) dialogo tra ebrei e cristiani ecco che invece pare proprio che i leader ebrei ritengano di aver il pieno diritto di dire, e di dare il proprio parere favorevole o dissenziente sui riti e le pratiche devote precipue della Religione cattolica romana.
Riaffermo che questo parmi un progresso dovuto, nonostante i continui allarmismi di parte ebraica sui possibili rigurgiti di antisemitismo cattolico, alla maggior familiarità ed anzi ad un vero e proprio dialogo-teologico sulla ebraicità di Gesù. Anche se bisogna ammettere che il dialogo piace ai più quando è sinonimo di "mettersi d'accordo per non pestarsi i piedi a vicenda", poichè poi accade che a qualche cattolico non piace sentirsi dire che i concetti rivoluzionari predicati da Gesù non erano affatto farina del suo sacco ma erano secoli che i rabbini andavano predicando quelle cose. Così come a qualche ebreo non piace sentirsi dire che tante manifestazioni considerate tipiche del cristianesimo (quali ad esempio il "battesimo" o il "monachesimo") hanno origini genuinamente giudaiche e che l'ebraismo d'oggi è solo una porzione del variegato giudaismo precedente alla distruzione romana del Tempio di Gerusalemme (70 d.C).

Il "Vaticano" incute meno timori reverenziali e il papa è ormai un "personaggio televisivo"; non è più immaginato come un satrapo persiano che vive continuamente assiso su un alto trono e che è meglio imparare a temere, ma è ormai il simpatico vecchietto vestito di bianco che va in giro per il mondo per predicare "peace and love" per tutti. E la volta che si arrischiasse a dire in pubblico ciò che dovrebbe essere lapalissiano, cioè che, dal suo particolare quanto legittimo punto di vista, il prodotto che lui e la sua "ditta" sponsorizza è migliore di quello degli altri, ecco che quelli dell'altra "parrocchia" si offendono! C'è chi minaccia di non parlarti più e ti tiene il broncio per molto tempo; c'è chi si straccia le vesti, e purtroppo ci sono pure "quelli" che per vendetta bruciano le chiese e ti uccide il primo missionario cattolico che gli capiti nei paraggi.

Soffermiamoci ora su quelli che si stracciano le vesti:
“Preghiamo anche per gli Ebrei, affinché il Signore Dio nostro tolga il velo dai loro cuori, in modo che essi pure con noi riconoscano Gesù Cristo Nostro Signore.

Preghiamo: O Dio onnipotente ed eterno, che non rigetti dalla tua misericordia neppure gli Ebrei, esaudisci le suppliche che ti rivolgiamo per questo popolo accecato, affinché riconosciuto che Cristo è la luce della tua verità, esca così dalle tenebre”.



Non si può non comprendere che si può rimanere addirittura "feriti" nello scoprire che in quanto membro di una particolare religione sei considerato un "cieco" che vive nelle "tenebre" da chi professa una credo differente. Però si tratta di una cecità "spirituale" non di una "ottusità" intellettuale!
"La fede è un dono" - si continua a sentir dire da chi la fede non ce l'ha- che ti permette di "vedere" cose che chi non crede non riesce a vedere: i cristiani riescono a "vedere" in Gesù di Nazaret il Figlio di Dio e gli ebrei no. I cristiani vedono nell'Antico Testamento tantissime profezie che si sono pienamente avverate nella persona e nella biografia di Gesù, gli ebrei no.
La professione di fede è una cosa il dialogo un'altra, a meno che non si intenda per "dialogo tra le religioni" una specie di "bon ton" per la conversazione tra estranei che autorizzi a dire tante piccole innocue bugie al fine di complimentare gli intervenuti e così di risultare persone "cortesi" e "civili".
Ma il dialogo teologico è altra cosa: nessun timore di dire ciò in cui si crede, pur sapendo che ciò non è condiviso dall'esponente dell'altra religione (perchè se fossimo d'accordo saremmo membri della stessa religione).
Se ebrei e cattolici stessimo prendendo il thè delle cinque gli ebrei avrebbero tutto il diritto di indignarsi ( "Mi passi lo zucchero per favore?" "Dov'è la zuccheriera? Non la vedo!" "Che sei cieco? Stà lì, non la vedi?" "No, veramente no" " Aò! Ma stai cecato forte! Li mortacci tua e de tu nonno'n cariola!"); ma quì non stiamo parlando di offese gratuite ma stiamo parlando di una richiesta fatta a Dio l'Altissimo -e non quindi ai non cristiani!- affinché i non cristiani riescano a vedere ciò che per il cristiano è evidente: Gesù è il "Cristo" (cioè il Messia).

Ma andando oltre la metafora luce-tenebra (letterariamente efficace e che ha indubbiamente quali ispiratori molti passi neotestamentari) non si può rimanere meravigliati nel constatare che parrebbe quasi che ci sono fior di dotti rabbini che leggendo la preghiera del messale tridentino "per la conversione degli ebrei" sono venuti per la prima volta a conoscenza di quella "piccola" diatriba esistente da duemila anni circa, tra i seguaci di un certo Joshùa detto il Nazareno, un Rabbi della Galilea crocefisso dai romani, i cui discepoli hanno riconosciuto in lui il Messia profetizzato mentre invece la stragrande maggioranza degli ebrei non vi hanno creduto.

Non fingo di ignorare che per gli ebrei che si sono pronunciati sulla questione il problema non è se Gesù sia o non sia "Il Figlio di Dio" ma che la Chiesa Cattolica inviti i suoi fedeli a pregare affinché gli ebrei credano nella divinità di Gesù.
Forse che gli ebrei in questione hanno paura che Domine Iddio possa esaudire le preghiere dei cattolici?
Perché tante degnissime voci dell'ebraismo non manifestano la propria pubblica costernazione (se non indignazione almeno costernazione si!) per le strambe dottrine diffuse dai telepredicatori protestanti americani per i quali il fine del sostegno allo Stato di Israele è quello di provocare la fine del mondo e la conseguente seconda venuta di Gesù Cristo?

Sono tornato perciò a leggermi le dichiarazioni apparse sulla stampa nazionale subito dopo la liberalizzazione della messa di San Pio V (e pertanto della "liberalizzazione" anche della preghiera "pro conversione judeorum".

Maestosa nella sua sfacciata ovvietà la dichiarazione "a caldo" del Segretario della Congregazione della Dottrina della fede mons. Angelo Amato di fronte ai malumori di parte ebraica:
«Lo stesso Gesù nel Vangelo di san Marco afferma: "Convertitevi e credete al Vangelo", e i suoi primi interlocutori erano i suoi confratelli ebrei»

Illuminante nella sua mancanza di lucidità le dichiarazioni (L'Unità; 10/7/07) di Tullia Zevi :
«Sperare nella conversione è legittimo ed è nella natura del cattolicesimo. Ciò che non è accettabile è operare per la conversione. O si converte o si dialoga. Per questo sono preoccupata per il ripristino deciso da Benedetto XVI della preghiera per gli ebrei “da convertire”».

Bontà loro, si riconosce al Cattolicesimo il diritto di "sperare" nella conversione ma non di "operare" per raggiunge tale scopo. Ora, il fatto è che -a me pare, poi se sbaglio "mi corrigerete"- che il "pregare" appartenga più alla categoria dello "sperare" che dell'"operare".
A meno che non si confondano le preghiere che la Chiesa cattolica impone di recitare ai propri fedeli con le "prediche coatte" cui gli ebrei erano obbligati a d ascoltare ai tempi del "Papa Re". Non ci troviamo, pertanto, di fronte ad un reale problema che influirà in qualche modo nella vita concreta degli ebrei quanto invece ci si trova a dover constatare l'emergere di atavici timori.
Forse che quei cattolico del XXI secolo una volta usciti da una chiesa dopo aver assistito ai riti del Venerdì Santo celebrati in latino, possano precipitarsi ai citofoni delle case degli ebrei, sulla falsariga dei Testimoni di Geova, per invitarli alla conversione o peggio, per minacciarli di morete accusandoli di deicidio?

Ci vorrebbe una sfrenata fantasia per immaginarsi una simile prospettiva ma proprio questo spettacolo desolante emerge dalla lettura delle dichiarazioni di sconforto (Il Corriere della Sera, 10/07/2007) del rabbino Giuseppe Laras:
«Ci ho creduto e ci credo ancora, al dialogo. Ci mancherebbe. Però questo è un colpo forte, si torna indietro. Molto indietro. Il motu proprio del Papa, la piena cittadinanza al Messale con la preghiera per la "conversione" dei giudei suona assai pericolosa. Anche se è facoltativa, può alimentare e incoraggiare l’antisemitismo: se li si vuole fare uscire dall’" accecamento", come dice il testo, significa che gli ebrei sono fuori dalla luce. E da lì alla storia dei deicidi il passo è breve».
[...] «è un passo indietro rispetto a Paolo VI, che aveva cancellato quei passi, e un passo indietro nel dialogo, c’è poco da fare», sospira il rabbino. Il pericolo è duplice: «Da una parte i cristiani potrebbero sentirsi incoraggiati a covare sentimenti antisemiti. Dall’altra si favoriscono coloro che hanno sempre remato contro il dialogo sia fra i cattolici sia fra gli ebrei. Un dialogo che era già abbastanza delicato e fragile ». Laras, per parte sua, ne sa qualcosa: «Come fra i cristiani, anche nell’ambito dell’ebraismo ci sono componenti che non hanno mai creduto al confronto. Quelli che dicono: Da qui alla storia dei deicidi il passo è breve. Così si torna molto indietro è solo un artificio dei cattolici per attirare gli ebrei e convertirli. E ora arriva questo documento! Tanti sforzi, tanti anni a convincere le due parti ad avvicinarsi e adesso non si può più fare niente...».


Quindi col metro di valutazione attuale Giovanni XXIII sarebbe stato definito "Il Papa Buono, sì ma non abbastanza".

Però dal "rabbino capo di Israele" in giù tutte le personalità ebraiche hanno disapprovato la reintroduzione dell'orazione pre-conciliare additandola come un passo indietro rispetto alle aperture di Giovanni XXIII e del "suo" Concilio, ricordato al Papa Benedetto i contenuti della dichiarazione "Nostra Aetate" del Concilio Vaticano II. E la cosa avrebbe del ridicolo e del comico se non avesse invece molto di naiffe il voler insegnare al "teologo" Ratzinger cosa sia conforme alla dottrina cattolica e cosa invece non lo sia.

C'è di fondo un qui pro quo generalizzato che appunto. come dice Tullia Zevi: se i cattolici vogliono dialogare con gli ebrei non possono al contempo cercare di convertirli altrimenti, come lamentato da rav. Laras, il dialogo sarebbe una proselitismo mascherato (ignoravo però la denunciata "paura" degli ebrei di venir convertiti surrettiziamente).
L'errore dell'analisi della Zevi, ed affini, sta nel fatto che la sincera volontà di dialogo e di una mutua comprensione, fosse anche "dialogo teologico" si pone su di un piano diverso rispetto al dovere cristiano di testimoniare ciò in cui si crede. E se si crede che Gesù sia il Messia preannunziato dalle Sacre Scritture e se si desideri che tutti -nessuno escluso- abbraccino la medesima professione di fede, ciò non vuol dire che si sarà meno fedeli agli insegnamenti del Concilio Vaticano II che chiede ai cattolici di avere verso gli ebrei "mutua conoscenza e stima, che si ottengono soprattutto con gli studi biblici e teologici e con un fraterno dialogo".

Mi chiedo sempre se coloro che citano la Nostra Aetate l'abbiano mai veramente letta. E se sì, se abbiano capito che mentre il Cattolicesimo condanna solennemente la tradizionale accusa di "deicidio" (dato che la colpa per la crocifissione di Cristo "non può essere imputato né indistintamente a tutti gli Ebrei allora viventi, né agli Ebrei del nostro tempo"); mentre la Chiesa "deplora gli odi, le persecuzioni e tutte le manifestazioni dell'antisemitismo dirette contro gli Ebrei in ogni tempo e da chiunque"; e mentre si proclama che l'Antica Alleanza Tra Dio ed Israele non è stata revocata poichè "secondo l'Apostolo, gli Ebrei, in grazia dei padri, rimangono ancora carissimi a Dio, i cui doni e la cui vocazione sono senza pentimento", pur tuttavia la Chiesa Cattolica non ha fatto nessun passo indietro rispetto alle sue bimillenarie posizioni teologiche poichè:
"Come attesta la sacra Scrittura, Gerusalemme non ha conosciuto il tempo in cui è stata visitata";
la Chiesa attende il giorno, che solo Dio conosce, in cui tutti i popoli acclameranno il Signore con una sola voce e « lo serviranno sotto uno stesso giogo » (Sof 3,9)";
"la Chiesa è il nuovo popolo di Dio";
"Essa confessa che tutti i fedeli di Cristo, figli di Abramo secondo la fede, sono inclusi nella vocazione di questo patriarca e che la salvezza ecclesiale è misteriosamente prefigurata nell'esodo del popolo eletto dalla terra di schiavitù. Per questo non può dimenticare che ha ricevuto la rivelazione dell'Antico Testamento per mezzo di quel popolo con cui Dio, nella sua ineffabile misericordia, si è degnato di stringere l'Antica Alleanza, e che essa stessa si nutre dalla radice dell'ulivo buono su cui sono stati innestati i rami dell'ulivo selvatico che sono i gentili. La Chiesa crede, infatti, che Cristo, nostra pace, ha riconciliato gli Ebrei e i gentili per mezzo della sua croce e dei due ha fatto una sola cosa in se stesso. Inoltre la Chiesa ha sempre davanti agli occhi le parole dell'apostolo Paolo riguardo agli uomini della sua razza: « ai quali appartiene l'adozione a figli e la gloria e i patti di alleanza e la legge e il culto e le promesse, ai quali appartengono i Padri e dai quali è nato Cristo secondo la carne» (Rm 9,4-5), figlio di Maria vergine."

Tutte proposizioni contenute nel paragrafo della "Nostra Aetate" dedicato all'Ebraismo, e tutte proposizioni inaccettabili per l'Ebraismo partendo dall'ultima elencata: la verginità di Maria.

Non si può certo dare agli ebrei "la croce addosso" per il fatto che legittimamente tentino di ostacolare qualunque cosa possa loro apparire foriero di antisemitismo. C'è invece da prendersela con i grandi alfieri ecclesiali ed ecclesiastici del "dialogo" e dell'"ecumenismo" i quali con le loro dichiarazioni allarmistiche sul "ritorno" della messa "pre-conciliare" hanno fatto credere a chi cattolico non è che realmente ci fosse al vertice del Cattolicesimo il pericolo di un golpe restauratore e reazionario.
Queste grandi eminentissime voci "progressiste" del cattolicesimo mondiale, invece di cercare di smorzare i toni e di spiegare da par loro -con la loro somma autorevolezza- che anche dopo il Concilio Vaticano II per i cattolici pregare per le conversioni dei non cattolici non è "reato", e che così facendo non si tradisce nè "lo spirito" nè men che meno "la lettera" degli insegnamenti conciliari!
Invece tutti lì a dire che il messale di San Pio V non è immutabile e che l'orazione potrà essere modificata o bellamente sostituita dalla nuova orazione che si trova nel "Novus Ordo Missae".
Preghiera tanto lodata dagli esponenti ebraici proprio perchè non chiederebbe a Dio di convertire gli ebrei al cattolicesimo:
"Preghiamo per gli Ebrei: il Signore Dio nostro, che un tempo parlo ai loro padri, li aiuti a progredire sempre nell'amore del suo nome e nella fedeltà alla sua alleanza".


Io non sono profeta nè figlio di profeta ma prevedo che verrà il giono in cui Giuseppe Laras con tutto il suo consiglio rabbinico, e Tullia Zevi con tutti i presidenti delle comunità ebraiche, oltre che il latino impareranno a leggere anchè l'italiano, ed allora prenderanno in mano il nuovo messale approvato da Paolo VI e scopriranno che ciò che essi hanno lodata non è la vera e propria preghiera "per gli ebrei" ma è solo l'invito alla preghiera fatto dal "lettore" cui dopo un acconcio momento di silenzio così risponde il sacerdote cattolico "post-concilare" :
"Dio onnipotente ed eterno, che hai fatto le tue promesse ad Abramo e alla sua discendenza, ascolta benigno la preghiera della tua Chiesa, perché quello che un tempo fu il tuo popolo eletto possa giungere alla pienezza della redenzione. Per Cristo nostro Signore."

E' stupefacento come in sole due righe ci sia materiale a sufficienza affinchè i Gran Rabbini d'Israele chiedano al Pontefice di "mettere all'Indice" anche la messa di Paolo VI.

sabato, agosto 18, 2007

POST Mortem 5



E' durata ben poco l'illusione sulle prime timide aperture al principio sacrosanto della libertà religiosa da parte delle massime autorità dell'islam sunnita dell'università Al Azhàr del Cairo (che viene dai media volgarmente rappresentato come "il Vaticano islamico").

"Il muslim che rinnega l'islam per passare ad altro credo compie un grave peccato la cui punizione spetta a Dio solo" aveva suppergiù dichiarato Ali Gomaa Gran Muftì d’Egitto, ma la dichiarazione del "maestro della legge" ora ci appare puramente accademica e avulsa dalla realtà socio-politica di un paese come l'Egitto, in cui pur regna l'islam cosiddetto "moderato", dove però poi in concreto il rinnegamento dell'islam è considerata una macchia da lavare col sangue.

Accade che intorno alla solennità della Madonna Assunta, forse perchè il teatrino della politica è in vacanza, dai giornali emergano notizie inquietanti provenienti da paesi islamici in cui avvengono episodi di "intolleranza di Stato" verso quei cittadini mussulmani convertiti a Cristo.
Mentre in Iran un uomo il 14 agosto è stato arrestato e rischia la condanna a morte per impiccagione "solo" per essere stato trovato in possesso di un libro dei Vangeli, e mentre nella parte di Cipro occupata militarmente dalla "laica" Turchia una sedicente milizia turco-cipriota ha impedito con la violenza la celebrazione della divina liturgia nel monastero di San Barnaba di Famagosta (mentre già quasi tutte le chiese sono state trasformate dagli occupanti in moschee, depositi militari, stalle, discoteche e -quando è andata bene- in musei): ecco che in Egitto il venticinquenne Mohammed Hegazy, nato mussulmano e convertitosi a quindici anni alla confessione cristiana copta, è costretto a vivere in clandestinità per non essere sgozzato dal primo buon mussulmano che lo riconosca.
Il suo "peccato" è quello di aver richiesto di cambiare la dicitura sulla sua carta d'identità alla voce "Religione" poiché per lo Stato egiziano egli risulta mussulmano ragion per cui non si è potuto sposare secondo il rito cristiano-copto ma è stato costretto a sposarsi secondo il rito islamico, pena la dichiarazione da parte dello Stato di nullità del matrimonio.

Molte fatwe cioè vere e proprie "sentenze" di morte sono state lanciategli contro, l'ultima in ordine di tempo da Soad Saleh, il preside della facoltà di Scienze islamiche di Azhar, ha commentato la foto diffusa via internet di Hegazy con in mano un vangelo e con la moglie in un luogo di culto cristiano accanto ad una immagine dell Santa Vergine Madre di Dio: «Chi rinuncia all’islam è un apostata e merita di essere ucciso, tanto più se ci si vanta facendosi fotografare con la moglie vicino al Vangelo».

Riassume la questione Carlo Panella nell'articolo "La voce di al Azhar" (Il Foglio; sabato 18 agosto 2007) paventando i possibili rischi che queste dottrine vengano poi placidamente insegnate, predicate ed eseguite (!) anche presso le moschee europee che alla grande mosche a di Al Azhar fanno riferimento.

Pungente e puntuto è poi il riferimento al Nunzio Apostolico in Egitto Sua Eccellenza Monsignor Fitzgerald che Panella erroneamente chiama "cardinale" poichè è risaputo che il sedici volte Benedetto poco dopo la propria elezione spedì in Egitto l'allora segretario del "Pontificio Consiglio del dialogo interreligioso" proprio per evitargli la promozione a presidente dello stesso (e perciò per evitargli la porpora cardinalizia).
Monsignor Fitzgerald era solito organizzare conferenze di dialogo fra le tre religioni monoteiste in cui a rappresentare la voce all'islam comparivano sommi ideologhi del terrorismo jadista (dall'articolo di Panella intendo che non gli è punto passata la smania di organizzare inutili "dialoghi" tra il papa e i leader maomettani!).


«Roma. “Chi rinuncia all’islam è un apostata e merita di essere ucciso”: questa terribile sentenza non è stata pronunciata da un membro di al Qaida, o da un estremista musulmano, ma da un esponente di spicco dell’islam “moderato”: Soad Saleh, rettore della facoltà di Ricerche islamiche dell’Università al Azhar del Cairo. E’ dunque il parere di uno dei massimi dirigenti della più autorevole fonte del diritto islamico, membro del consiglio che guida l’ateneo e che quindi ha voce in capitolo nella scelta dell’imam della preghiera della Grande moschea di Roma (che per statuto spetta ad al Azhar), e che poche settimane fa, con ogni probabilità, avrebbe accompagnato lo sheikh al Tantawi, rettore di al Azhar, nella sua visita a Benedetto XVI in Vaticano, se soltanto questa non fosse stata posticipata per motivi tecnici.

Questo parere giuridicoteologico è di fondamentale importanza, perché unisce nella barbarie totalitaria l’islam terrorista che ha ucciso in Iraq, Indonesia e in Turchia centinaia di cristiani accusati di proselitismo e centinaia di islamici accusati di apostasia, con l’islam moderato, incarnato, appunto, nella guida di al Azhar.
La sola distinzione tra questi due islam, certo non secondaria, ma ininfluente dal punto di vista dell’essenza totalitaria della teologia, sta nel fatto che Soad Saleh ritiene che “ciò non significa che i fedeli comuni sono tenuti a uccidere l’apostata, ma che questo è il dovere dello stato” e ha anche aggiunto che “gli apostati che non si vantano e non annunciano in pubblico la loro apostasia non sono passibili di morte”.
Pena che invece, a suo parere, la giustizia egiziana dovrebbe comminare al venticinquenne Mohamed Hegazy, nato musulmano, convertitosi al cristianesimo, che ha chiesto di essere riconosciuto come cristiano nella sua carta d’identità, e ha dovuto nascondersi in clandestinità dopo aver ricevuto minacce di morte, “tanto più che si vanta e si felicita d’aver lasciato l’islam facendosi fotografare con la moglie vicino al Vangelo”.
Questo giudizio di Soad Saleh va ben oltre dunque il dibattito politico interno all’Egitto, perché quando uno dei massimi esponenti della massima autorità religiosa sunnita teorizza l’obbligo dell’uccisione dell’apostata e quindi del cristiano che tenti di convertire il musulmano, questo ha terribili ricadute non soltanto nel mondo musulmano, ma anche in Europa. Proprio su pressione di questo islam “moderato”, agli stati musulmani che già applicano la pena capitale per gli apostati (Pakistan, Afghanistan, Iran, Arabia Saudita, Yemen, Sudan e Mauritania), si aggiungono oggi altri stati “laici” come l’Algeria e la Siria che la puniscono con forti pene detentive o pecuniarie o che la considerano reato grave. Ma questa tendenza liberticida ha immediate conseguenze anche in Europa, perché gli imam che fanno riferimento alle strutture religiose dei regimi più moderati (Marocco, Tunisia, Egitto) sono spinti, proprio dall’insegnamento di al Azhar, a predicare nelle moschee europee una teologia che prevede la pena di morte per chi abbandoni l’islam.
L’incontro (saltato) con il Papa
E’ evidente che questo terribile freno alla libertà religiosa e alla libertà di pensiero, costituisce sia un vulnus inaccettabile per le libertà personali, sia un freno formidabile alla integrazione delle stesse comunità musulmane nel contesto europeo. Il fallimento dei vari modelli europei di integrazione dei musulmani (ma solo dei musulmani, non degli indù, o dei filippini, o degli ortodossi extracomunitari), ha in questa minaccia di morte per chi abbandoni l’islam una sua evidente radice, gravida di infinite conseguenze. Tra queste, anche quella di chi, in terra non musulmana, applica questo precetto di persona, come fece il padre di Hina Salem a Brescia due anni fa, uccidendola proprio perché apostata, perché stava per sposare un cristiano (fatto esplicitamente proibito dalla sharia, proprio perché induce alla conversione della donna, sottoposta all’autorità tutoria dell’uomo).
Stupisce infine, in questo contesto, la mancanza di reazione pubbliche – a quanto consta – del nunzio apostolico al Cairo, il cardinale Michael L. Fitzgerald, già responsabile nella Curia per il dialogo interreligioso.
A suo tempo defenestrato da Benedetto XVI, col seguito di autorevoli voci ufficiose vaticane che lo accusavano di “dilettantismo”, Fitzgerald si è poi molto speso per fare incontrare con il Papa in Vaticano lo sheikh al Tantawi, (che concorda con Saleh sulla pena di morte per gli apostati) e ora tace a fronte di questo segnale di intolleranza e di violenza che proviene dalla loro autorevolissima al Azhar.»


giovedì, agosto 09, 2007

vite parallele /13

Ovvero: "L'Udienza del baciamano"



Il religioso redentorista polacco Tadeuz Rydzyk (che aveva passato nella libera Germania Occidentale la fine di quegli anni Ottanta in cui il Papa Polacco stava dando le ultime spallate al comunismo sovietico), venuto a conoscenza del successo italico della comasca Radio Maria, appena crollato il Muro di Berlino, si presentò negli studi radiofonici di Erba proponendo di far sbarcare la Radio della Madonna nella cattolicissima Polonia, proprio nel momento in cui Radio Maria Italia stava aprendo le varie succursali estere (poi riunite nell'associazione Word Family of Radio Maria di cui però l'omonima radio polacca non fa parte).

Radio Maria finanziò la nascente emittente polacca che però si chiamò Radio "Maryja" poichè i mille cavilli della polacca legislazione comunista e statalista -e sciovinista- impediva a degli stranieri di registrare un marchio estero ragion per cui si dovette mutare nome e logo ed anche statuto (mentre la Radio Maria italiana è un'associazione giuridicamente laica quella polacca è una radio di proprietà ecclesiastica) con la spergiurata promessa di padre Tadeuz Rydzyk di uniformarsi appena la legge polacca lo avesse consentito agli standard della emittente madre.

Inutile dire che la cattolica "Radio Maryja" ebbe subito un enorme successo mediatico nella cattolicissima polonia euforicamente devota al suo Papa e alla sua Chiesa che l'avevano liberata dal demone comunista per riconsegnala nelle mani di Dio per intercessione della sua Santissima Madre!
La radio di padre Rydzyk trasmette su onde medie e via satellite avendo dai 4 ai 6 milioni di ascoltatori al giorno.
Il successo mediatico si è accompagnato al successo economico tanto che padre Rydzyk controlla anche il quotidiano Nasz Dziennik, la cui tiratura supera le 250.000 copie ed il canale televisivo TV TRWAM, inoltre tre fondazioni e un istituto superiore di sociologia e di mediologia ed una scuola di giornalismo.

Inutile dire che a questo punto padre Rydzyk (e la Provincia polacca della Congregazione Redentorista che è proprietaria della radio ) non ebbe più alcuna intenzione di far rientrare il prorio impero mediatico "della Madonna" sotto il controllo della "famiglia mondiale" di Radio Maria Italia, non rinunciando a copiare anche il nome di quest'altra associazione fondando il movimento "Rodzina Radio Maryja" cioè la “Famiglia di Radio Maria” cui aderiscono tra i 5 e i 6 milioni di "fedelissimi" polacchi che si attengono in tutto alle direttive di padre Rydzyk non solo in materia religiosa ma anche politica.
Infatti, identificanto parossisticamente la fede cattolica con patriottismo polacco, dai microfoni della sua radio, padre Rydzyk si scaglia contro tutto ciò che non è polacco come se ciò che polacco non è fosse di per se stesso un pericolo per la fede cattolica: protestanti, ebrei, massoni, europeisti, tedeschi, russi, omosessuali e socialisti per lui pari sono.
Egli sogna una Polonia baluardo della "vera fede", ma che egli confonde con gli usi e costumi delle popolazioni contadine, vedendo in ogni modernizzazione della Polonia un attentato alla sua tradizione religiosa e, pertanto, facendo esplicita campagna elettorale per i partiti delle destre e in particolare per il "Pis" il partito "Legge e Giustizia" dei fratelli Kaczynski addirittura ospitando, tra una messa ed un rosario, i comizi di uomini politici delle Destre che sono ormai ospiti abituali della radio.
Padre Tadeuz Rydzyk si è appellato al "suo" popolo per il boicottaggio del referendum sull’adesione all’Unione Europea, per l'introduzione in Polonia della pena di morte oppure ha minacciato che le teste dei deputati favorevoli alla liberalizzazione dell’aborto saranno rasate a zero, proprio come i polacchi che collaboravano coi nazisti in tempo di guerra.
Il nazionalismo becero di padre Rydzyk è evidente soprattutto nell'acceso antisemintismo e nel suo continuo denunciare ovunque complotti ebraici contro la Chiesa cattolica -cioè contro la Polonia- e nell'accettazione di forme di negazionismo che attenuino l'importanza dell'"olocausto" ebraico e che invece enfatizzino il "martirio" del popolo polacco.

Il malcontento pontificio per la brutta china presa dall radio più ascoltata di Polonia è emerso dagli eloquenti silenzi di Giovanni Paolo II che in più occasioni omise di salutare i partecipanti alle udienze papali giunti in Vaticano con pellegrinaggi organizzati da Radio Maryja mentre Benedetto XVI tramite il Nunzio Apostolico a Varsavia ha papale-papale ordinato alla Conferenza episcopale polacca di mettere un freno a Radio Maryja, ricevendo il plauso innanzitutto delle organizzazioni ebraiche ma anche di tutti coloro che -nella gerarchia e tra i fedeli- in Polonia vivono nella continua polemica verso padre Rydzyk secondo il quale se si è un buon cattolico si deve votare per i fratelli Kaczynski e viceversa solo chi vota per i partiti che piacciono a padre Rydzyk è da considerarsi un vero cattolico.

La polemica è riesplosa furente martedì 7 agosto 2007 quando il quotidiano Nasz Dziennik, organo di stampa del colosso mediatico di padre Rydzyk, è uscito in edicola con un articolo -con tanto di eloquente foto al seguito- che annunziava che domenica 5 agosto a Castel Gandolfo il Papa sedici volte Benedetto ha concesso a padre Rydzyk un'udienza privata, a margine di un incontro con alcuni Redentoristi polacchi. Secondo il giornale polacco:"Benedetto XVI ha invitato Padre Rydzyk, impartendo la sua benedizione a Radio Maryja e a tutti i suoi collaboratori e ascoltatori".

Evidentemente, l'integerrimo padre Rydzyk può resistere a tutto tranne che alla tentazione di strumentalizzare la persona e l'autorità del pontefice, trasformando un veloce baciamano concesso ad una schiera indistinta di redentoristi polacchi, in una "udienza privata" al solo Tadeusz Rydzyk.
Non c'è stato nessun faccia a faccia, nessun incontro a quattrocchi e nessun segno di benevolenza da parte del Romano Pontefice ma mentre il papa -finito l'Angelus ritornava nei suoi appartamenti- velocemente porgeva la mano al bacio di una fila di indistinti figli di San'Alfonso schierati; padre Tadeusz avrà sicuramente chiesto una benedizione apostolica per gli ascoltatori della propria radio presentandosi poi in Polonia brandendo la benedizione papale come una "benedizione" al proprio modo di operare.

Nel polacco sconcerto generale, immediata c'è stata mercoledì 8 l'isterica reazione dell'Ejc cioè il "Congresso ebraico europeo" (organismo cui aderisce anche l'Unione delle comunità ebraiche italiane) che con una nota ha vivamente protestato la propria indignazione: "Il Congresso ebraico europeo è scioccato di apprendere che Papa Benedetto XVI ha ricevuto in udienza privata e nella sua residenza estiva Tadeusz Rydzyk, il direttore dell'antisemita Radio Maryja"; insinuando, non troppo velatamente, che un simile "gesto" del pontefice regnante fosse "dimostrativo" di una politica di maggior tolleranza della Chiesa ratzingeriana verso l'antisemitismo.


Non si è fatto attendere il Comunicato della Sala Stampa vaticana che seccamente (e un pò seccatamente) rimarcava che riguardo "al "baciamano" avuto dal P. Tadeusz Rydzyk al termine dell'Angelus di domenica 5 agosto u.s., si comunica che il fatto non implica alcun mutamento nella ben nota posizione della Santa Sede sui rapporti tra Cattolici ed Ebrei."

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Oscar Wilde a metà del 1897 aveva finito di scontare i due anni di lavori forzati cui era stato condannato per "gross indecency" cioè "grave immoralità" (come nell'età vittoriana si definiva eufemisticamente la pratica omosessuale), distrutta la reputazione, annientata la sua attività letteraria ed economicamente ridotto alla bancarotta, si trasferisce sotto falso nome all'estero vivendo con sussidi di vecchi amici e di un piccolo vitalizio della moglie (morta nel 1898).
Si trasferisce a Parigi e viaggia in Italia sotto lo pseudonimo di Sebastian Melmoth dove a Napoli reincontra Alfred Douglas il giovane lord che era stata la causa della propria rovina.
I due tentano di vivere insieme nella "esotica" Italia lontani dalla "puritana" Inghilterra ma i pettegolezzi sulle equivoche frequentazioni dei due gentiluomini inglesi con giovani maschi autoctoni si diffondono rapidamente, raggiungono in Patria le rispettive famiglie che ordinano perentoriamente di mettere fine allo scandalo pena la revoca dei vitalizi che erano la loro unica fonte di sostentamento.
Nel febbraio 1898 Wilde orfano del suo "Bosei" partì per Parigi.

Ritornò in Italia l'anno dopo, infatti nell'aprile 1899 Oscar Wilde è a Genova per pregare sulla tomba della moglie Constance Lloyd sepolta nel cimitero di Staglieno. Ma quello non fu l'unico motivo poichè nelle sue stesse lettere agli amici ammette che il fine del suo soggiorno ligure è la possibilità di poter -viste le proprie ristrettezze economiche - vivere con soli dieci franchi al giorno "ragazzo compreso": cioè la maggior possibilità di trovare a basso costo prostituti in un Paese sottosviluppato qual'era l'Italia umbertina.
In maggio era di nuovo a Parigi.

L'ultimo viaggio di Wilde in Italia avvenne nel 1900, poco prima della morte. Stavolta Wilde visitò Palermo e della sua permanenza siciliana descrive con molto gusto le molte visite che fece tra il 2 e il 9 aprile 1900 alla cattedrale di Monreale: "Ci andavamo spesso in carrozza, essendo i cocchieri ragazzi modellati nel modo più squisito."
"Ho anche fatto amicizia con un giovane seminarista ...Gli ho dato molte lire, e gli ho predetto un cappello cardinalizio, se fosse rimasto molto buono, e non mi avesse più dimenticato. Lui ha detto che non mi avrebbe dimenticato mai più; e veramente non credo che mi dimenticherà, perché ogni giorno lo baciavo dietro l'altar maggiore."


Partito da Palermo, si reca poi a Napoli per tre giorni e poi a Roma, dove soggiorna per circa un mese dalla metà di aprile fino alla metà di maggio.
Era esattamente il Sabato Santo di quell'Anno Santo 1900 quando Oscar Wilde recatosi per il the all'Hotel d'Europa fu avvicinato da un uomo sconosciuto che gli chiese se avesse avuto piacere di vedere papa Leone XIII il giorno successivo. Wilde, sempre ironico, esibendosi in un deferente inchino rispose "Non sum dignus!", parodiando una frase della messa cattolica.
L'uomo consegno il biglietto necessario per essere ammessi alla cerimonia pontificia. Così il giorno di Pasqua -15 aprile 1900- Oscar Wilde si presento in prima fila tra i pellegrini convenuti a ricevere la benedizione "urbi et orbi".
"Ieri ero in prima fila con i pellegrini in Vaticano ed ho ricevuto la benedizione del Santo Padre [...]. Era meraviglioso mentre sfilava di fronte a me portato sulla sua sedia gestatoria, non era né carne né sangue, ma un’anima candida vestita di bianco, un artista ed un santo [...]. Non ho mai visto nulla di simile alla straordinaria grazia dei suoi modi; di tanto in tanto si sollevava probabilmente per benedire i pellegrini, ma certamente le sue benedizioni erano rivolte a me".
Wilde più tardi scrisse: "Quando vidi il vecchio bianco Pontefice, successore degli Apostoli e padre della Cristianità, portato in alto sopra la folla, passarmi vicino e benedirmi dove ero inginocchiato, io sentì la mia fragilità di corpo e di anima scivolare via da me come un abito consunto, e io ne provai piena consapevolezza".
Oscar Wilde rimase entusiasta del vecchio Leone che "non è più di carne e sangue: non ha tracce di corruzione mortale".
La sua devozione per il nonagenario papa Pecci è totale fino al punto di imputare al pontefice di averlo miracolato: Wilde soffriva infatti da cinque mesi di una grave forma di dermatite con eruzioni cutannee che egli imputava ad un avvelenamento da frutti di mare avariati (anche se molti suoi biografi ipotizzano che potesse essere un effetto della sifilide o una reazione allergica alla tintura per capelli o una dermatite per insufficienza vitaminica per abuso di bevande alcoliche).

Dopo la benedizione papale i sintomi sparirono e Wilde nelle sue missive propaganderà la propria convinzione che la dermatite fosse scomparsa per merito del papa: "il Vicario di Cristo ha fatto tutto".
Convintosi, pertanto, che le benedizioni papali facessero bene alla salute durante il suo soggiorno romano cominciò a procurarsi i biglietti per partecipare alle "udienze pontificie".

Le "udienze generali" e le "udienze del baciamano" erano state inventate dai papi che, dopo la Breccia di Porta Pia, dichiaratisi "prigionieri in Vaticano" (e rifiutando di mettere piede fuori dal Vaticano) pur tuttavia volevano continuare ad avere il caloroso contatto con i fedeli.
Le udienze erano rare, sempre in occasione di pellegrinaggi ufficiali di città, diocesi o nazioni, ma essendo quell'anno 1900 un anno giubilare vi fù con l'aumento dei pellegrini anche un'aumento delle udienze pubbliche.
Molte volte, pertanto, Oscar Wilde tra la fine di aprile e l'inizio di maggio si mise pazientemente in fila per salire i gradini del trono papale e inginocchiarsi rapidamente davanti al bianco vegliardo e baciargli la mano.

A questo "invaghimento" di Wilde per il cattolicesimo non fece seguito alcun concreto atto di "conversione" poichè egli tra una benedizione papale e l'altra continuava nelle sue solite frequentazioni di "ragazzi di vita" dei quali parla con nonchalance nelle sue lettere: "Robbie mi ha lasciato in eredità una giovane guida, che non sa niente di Roma. Si chiama Omero, e gli sto mostrando la città"; oppure: "Ho abbandonato Armando, un giovane Sporo romano molto sveglio e elegante. Era bello, ma le sue richieste di indumenti e cravatte erano incessanti: abbaiava letteralmente per degli stivali, come un cane verso la luna.
Ora mi piace Arnaldo: era il più grande amico di Armando, ma l'amicizia è finita."


Della inconciliabilità dei suoi sentimenti Wilde si rendeva lucidamente conto: "La mia posizione è curiosa" -epigrammò- "Non sono un cattolico: sono semplicemente un violento Papista".

E del suo personalissimo "furore" papista Oscar Wilde racconta divertito di averne fatto partecipe anche un suo ennesimo giovane pupillo: "Avevo dato un biglietto a un nuovo amico, Dario.
Mi piace tanto il suo nome: era la prima volta che vedeva il papa: e ha trasferito su di me la sua adorazione per il successore di Pietro: mi avrebbe baciato, temo, all'uscita della Porta di Bronzo se non lo avessi respinto con severità. Sono diventato crudelissimo con i ragazzi, e non gli consento più di baciarmi in pubblico".


giovedì, agosto 02, 2007

mercoledì, agosto 01, 2007