giovedì, aprile 26, 2007

ADVERSUS HAERESES, XI


Alle ore 17:12 del 20/04/2007 sulla prima pagina di Televideo Rai appare la notizia: "Papa, abolito ufficialmente il limbo
Il "limbo" è stato abolito ufficialmente dalla Chiesa. Oggi è stato pubblicato un documento della commissione teologica internazionale, approvato dal Papa, afferma che il tradizionale limbo, il luogo dove i bambini non battezzati vivono per l'eternità senza comunione con Dio, riflette una visione eccessivamente restrittiva della salvezza."

Stupice il clamore che un documento di una commissione teologica può suscitare in noi uomini e donne mondani e carnali che solitamente poco ci curiamo dei nostri eterni destini!

Ad un estremo ci sono dei patetici cattolici "progressisti" che si son compiaciuti per un ulteriore nuovo "passo avanti" della Chiesa beandosi al pensiero che tra ottocento anni la Chiesa potrà anche mutare la dottrina ufficiale sulla pillola e sul preservativo; dall'altro i cattolici e i non cattolici (oltre ai cattolici distratti) che pensano che è stato abolito il Limbo tout court e quindi d'ora in poi dovrà essere considerata una fola la post mortem discesa di Cristo al Limbo.

Poi oltre a pochi analisti laici intelligenti ci son quelli per cui l'abolizione del dantesco "castello degli spiriti magni" è l'ulteriore prova provata che il papa non è infallibile e che la fede cattolica una fandonia.
Mi aspetto ti trovare quanto prima fresco di stampa un nuovo libercolo di Piergiorgio Odifreddi dal titolo "Perchè non possiamo essere lambiti dal Limbo" in cui il razionalista illuminato, usando il più puro metodo scientifico, smaschererà tutte le menzogne della Chiesa cattolica indicando punto per punto i passi in cui la dottrina cattolica si è distaccata da ciò che invece ha scritto Dante Alighieri della Divina Commedia.

(Avrei voluto nei giorni scorsi e vorrei adesso scriverne molto più diffusamente -e mi auguro di farlo prima o poi- ma per alcune settimane questo blog dovrà... "riposare nel seno di Abramo")

mercoledì, aprile 25, 2007

Sonetos Fùnebres, XIV

Ovvero: Salva o Dio il Tuo popolo e benedici la Tua eredità!










Boris Eltsin primo presidente della Russia, morto di infarto lunedì 23 aprile all'età di 76 anni, è stato il primo leader ad avere in Russia un funerale di Stato e una sepoltura rigorosamente e solennemente conformi al rito cristiano ortodosso, dopo la Rivoluzione d'ottobre.
All'interno della cattedrale del Santissimo Salvatore del Cremlino (ricostruita per volontà di Boris Eltsin proprio com'era e dov'era quella distrutta dagli stalinisti) la bara in legno di massello brunito, avvolta dalla bandiera nazionale, era stata sistemata martedì al centro della cattedrale, vigilata da quattro giovani della Guardia d'Onore del Cremlino per una veglia funebre che ha visto sfilare davanti al feretro oltre ventimila russi.

La solenne "divina" liturgia funebre di mercoledì 25, iniziate al mattimo e protrattasi per molte ore com'è consueto nel rito bizantino, è stata presieduta dal metropolita Juvenalij di Krutitsy e di Kolomna (una delle cariche più importanti del Patriarcato di Mosca) che nell'orazione funebre ha detto del defunto "corvo bianco" che: "Ha aiutato il popolo ad ottenere la libertà".


Di lato al feretro la panca dei parenti: la vedova Naina, le due figlie vestite di nero, i nipoti, i due generi, gli amici più stretti.

Alla cerimonia funebre erano presenti statisti stranieri provenienti da tutto il mondo: Bush senior e Clinton, il presidente tedesco Horst Kohler, l'ex presidente del Consiglio e senatore a vita Giulio Andreotti in rappresentanza dell'Italia, Lech Walesa per la Polonia. Fra i ciunquemila ospiti riuniti nella cattedrale, anche il grande rivale politico di Eltsin, Mikhail Gorbaciov.

L'allodola di Frisinga / 7


Nella sua consueta catechesi dell'udienza generale di mercoledì 25 aprile 2007 , l'ottuagenario sedici volte Benedetto, pur parlando dei suoi "amici" Padri della Chiesa, ha molto confidato della metodologia con cui egli -un semplice ed umile lavoratore nella vigna del Signore- si è sempre devotamente cibato del "Pane della Parola":

"Cari fratelli e sorelle,

nelle nostre meditazioni sulle grandi personalità della Chiesa antica, ne conosciamo oggi ad una delle più rilevanti. Origene alessandrino è realmente una delle personalità determinanti per tutto lo sviluppo del pensiero cristiano. Egli raccoglie l'eredità di Clemente alessandrino, su cui abbiamo meditato mercoledì scorso, e la rilancia verso il futuro in maniera talmente innovativa, da imprimere una svolta irreversibile allo sviluppo del pensiero cristiano.(...)

Abbiamo accennato a quella "svolta irreversibile" che Origene impresse alla storia della teologia e del pensiero cristiano. Ma in che cosa consiste questa "svolta", questa novità così gravida di conseguenze? Essa corrisponde in sostanza alla fondazione della teologia nella spiegazione delle Scritture. Far teologia era per lui essenzialmente spiegare, comprendere la Scrittura; o potremmo anche dire che la sua teologia è la perfetta simbiosi tra teologia ed esegesi. In verità, la sigla propria della dottrina origeniana sembra risiedere appunto nell’incessante invito a passare dalla lettera allo spirito delle Scritture, per progredire nella conoscenza di Dio. E questo cosiddetto "allegorismo", ha scritto von Balthasar, coincide precisamente "con lo sviluppo del dogma cristiano operato dall’insegnamento dei dottori della Chiesa", i quali - in un modo o nell’altro - hanno accolto la "lezione" di Origene. Così la tradizione e il magistero, fondamento e garanzia della ricerca teologica, giungono a configurarsi come "Scrittura in atto" (cfr Origene: il mondo, Cristo e la Chiesa, tr. it., Milano 1972, p. 43). Possiamo affermare perciò che il nucleo centrale dell’immensa opera letteraria di Origene consiste nella sua "triplice lettura" della Bibbia.(...)Con questa espressione intendiamo alludere alle tre modalità più importanti - tra loro non successive, anzi più spesso sovrapposte - con le quali Origene si è dedicato allo studio delle Scritture. Anzitutto egli lesse la Bibbia con l’intento di accertarne al meglio il testo e di offrirne l'edizione più affidabile. Questo, ad esempio, è il primo passo: conoscere realmente che cosa sta scritto e conoscere che cosa questa scrittura voleva intenzionalmente e inizialmente dire. Ha fatto un grande studio a questo scopo ... egli ha avuto anche contatti con i rabbini per capire bene il testo originale ebraico della Bibbia ...

Anche nelle Omelie Origene coglie tutte le occasioni per richiamare le diverse dimensioni del senso della Sacra Scrittura, che aiutano o esprimono un cammino nella crescita della fede: c'è il senso "letterale", ma esso nasconde profondità che non appaiono in un primo momento; la seconda dimensione è il senso "morale": che cosa dobbiamo fare vivendo la parola; e infine il senso "spirituale", cioè l'unità della Scrittura, che in tutto il suo sviluppo parla di Cristo. E’ lo Spirito Santo che ci fa capire il contenuto cristologico e così l'unità della Scrittura nella sua diversità. Sarebbe interessante mostrare questo. Un po' ho tentato, nel mio libro «Gesù di Nazaret», di mostrare nella situazione di oggi queste molteplici dimensioni della Parola, della Sacra Scrittura, che prima deve essere rispettata proprio nel senso storico. Ma questo senso ci trascende verso Cristo, nella luce dello Spirito Santo, e ci mostra la via, come vivere."

martedì, aprile 24, 2007

Pax tibi, o inFauste, evangelista meus! 3

Era un "pellegrinaggio" organizzato per Febbraio ma poi saltato a causa della caduta della maggiornanza in Senato sulla politica estera del Governo Prodi e della conseguente crisi politica. I monaci atoniti, comprensivi di fronte ai doveri istituzionali della terza carica dello Stato italiano, rinnovarono l'invito ma Fausto Bertinotti ha prudentemente aspettato la conclusione della assai ascetica Quaresima ortodossa per non ritovari a dover digiunare forzatamente durante tutto il proprio soggiorno sull'Aghios Oros.
Il Foglio di martedì 24 aprile 2007 offre con alcune dense pennellate l'icona del Fausto aghiorita contemplatore "di vino".



No, le barrique no! Molte cose il compagno presidente Fausto Bertinotti ha gradito dei due giorni sul Monte Athos: dalla natura al mare, dagli abati all’alloggiamento nella camera che ospita anche Carlo d’Inghilterra. Ma quando Sergio Valzania, responsabile dei programmi radiofonici Rai e ideatore del viaggio, lo ha condotto a Milopotamos, a visitare la cantina dove un suo amico monaco conserva il vino che produce, ha avuto il suo momento di dissenso, esprimendo la sua contrarietà al modello francese.
Quelle piccole botti da 225 litri non convincono affatto il presidente, piuttosto fautore, nel settore vinicolo, della “tradizione italiana”.

Il posto, come tutto il Monte Athos, soprattutto ora che è primavera, è meraviglioso: la luce, i colori, la grande antica torre.
“Uno dei più belli visti al mondo… Questo se la passa da Dio, in questo posto meraviglioso”, ha sospirato Bertinotti. Gli hanno fatto notare che lì si produce vino piuttosto “a maggior gloria di Dio”, e ridendo Bertinotti ha notato: “Ho un amico calvinista che produce vino, anche lui a maggior gloria diDio”.
Un grande esperto, lo ha giudicato comunque Valzania. “Ha stappato una bottiglia di vino rosso, buono, e una di bianco, così così”.

Poche ore ma intense. E’ saltata la visita al monastero della Grande Lavra, ma c’è stata quella al monastero di Simonos Petra, considerato il più “aperto” dell’intero Monte Athos. “Noi facciamo degli esperimenti”, gli ha detto infatti l’abate su una splendida terrazza, 350 metri a picco sul mare.
Invece ha alloggiato a Vatopedi, considerato al contrario il monastero più ortodosso della piccola repubblica teocratica. E perciò tutt’altro discorso si è sentito fare Bertinotti da quest’altro abate: “Noi veneriamo il vero Dio nel vero modo”.

Perfetto pellegrino, il presidente della Camera ha partecipato a tutti i vespri notturni nella chiesetta di Vatopedi: cento monaci che cantavano, Bertinotti che con attenzione seguiva. Poi, domenica mattina, dalle 7 alle 8 e 45, alla messa.
Cena tutta vegetariana il sabato sera, appunto prima dei vespri, pesce a pranzo la domenica, soltanto che il pranzo era alle ore 9, subito dopo la messa.

Ha avuto – autorevolezza della carica – l’alloggio più bello di Vatopedi, Bertinotti: con il bagno in camera e un terrazzo, l’ennesimo da quelle parti, con un panorama da lasciare senza fiato.
“Venite a vedere com’è bello!”, ha fatto notare al resto dei partecipanti. E soddisfatto la mattina dopo ha assicurato che nell’alloggiamento “non mancava nulla ma non c’era niente di superfluo, anche gli asciugamani erano quelli giusti”.
Ma soprattutto, dice Valzania, “si è incuriosito del sistema politico del Monte Athos, ha fatto un sacco di domande sul rapporto tra democrazia e tradizione”.
Il sistema di governo, la gerarchia che tiene in equilibrio le libere scelte, i poteri che s’intrecciano: questi i temi toccati.
I monaci hanno assicurato al presidente della Camera che “gli americani hanno elaborato la loro Costituzione anche studiando la Costituzione del Monte Athos”. Ipotesi affascinante, nel pieno della discussione sulle leggi elettorali italiane…

“In un posto così si notano quali sono le radici culturali dell’Europa”, ha detto Bertinotti ai suoi interlocutori. Ma aggiungendoaggiungendo anche che “è chiaro che esistono le radici cristiane, ma esistono anche altre radici culturali di cui tener conto”.
Ha visitato biblioteche, osservato meravigliosi dipinti, provato nostalgia verso quel mare nel quale è vietato fare il bagno, ha percorso la strada tra un convento e l’altro. Ha ricevuto in dono libri con le meraviglie artistiche del Monte Athos, ha acquistato braccialetti per i nipotini, ha rifiutato il miele locale: “Ne sono ghiotto e me ne regalano in continuazione: non riesco a finire quello che ho a casa”.

Vent’anni fa, Monte Athos ha festeggiato i suoi mille anni. “Un’astronave che si prepara a viaggiare nel tempo per altri mille anni”, hanno spiegato. E Bertinotti: “Un compleanno che vale la pena festeggiare”.

Felice e rilassato, alla fine, il presidente. Ci tornerà?
Dice Valzania: “Gli ho chiesto: ci sei mai stato a Santiago de Compostela? Dovresti andarci”.
E Bertinotti? “Mi ha sorriso”.
Magari chissà… In ogni modo, ogni volta che i monaci gli allungavano un bicchiere d’acqua ripetevano: “Chi ha bevuto l’acqua della Montagna Sacra torna di sicuro”.

lunedì, aprile 23, 2007

Carenza di Bosforo /3


Sul Giornale di lunedì 23 aprile 2007 un articolo di Marta Ottaviani sul persistente atteggiamento "ottomano" della "laica" Repubblica turca.

"...La riapertura, dopo un lungo restauro, della chiesa armena della Santa Croce sull'isola di Akdamar, nel lago di Van, è stata accolta da tutti come un gesto di distensione nei frapporti fra Ankara ed Erevan. Si tratta di uno dei monumenti armeni più importanti sul suolo turco, dopo la città di Ani, vicino a Kars.

La presenza di una delegazione del governo armeno e il fatto che era stato restaurato un luogo sacro a una religione che non era quella musulmana, aveva riacceso la speranza. L'evento era stato anche opportunamente reclamizzato dal governo turco, come gesto di apertura.

Un primo tentativo di dialogo su quello che in Turchia è chiamato «Ermeni Soykirim Iddialari», il «cosiddetto genocidio armeno», e che è considerato dalla comunità internazionale il primo grande massacro del XX secolo. Una tesi che la Turchia non ha mai accettato, negando il numero dei morti (la versione ufficiale dice circa un milione, Ankara al massimo 300mila), negando che si sia trattato di un'eliminazione sistematica della popolazione armena. Di contro, ha accusato alcune potenze europee (soprattutto la Russia) di aver perpretato l'eccidio al suo posto e soprattutto sostiene che all'epoca dei fatti persero la vita anche oltre mezzo milione di turchi.

Storie di odio e dolore, avrebbero dovuto trovare in quell'isola nel lago di Van un nuovo punto di partenza.
Il condizionale sembra quanto mai d'obbligo, perché nella stessa località, oltre alla chiesa della Santa Croce, sorge anche un museo, il Museo di Van per la precisione, che ha una sezione intitolata «ai massacri compiuti dagli Armeni». Il suo obiettivo è dimostrare e documentare i massacri compiuti dalle truppe russe e armene nella regione nel 1915. Praticamente un genocidio al contrario.
Secondo i dati ufficiali locali, solo nella zona di Van furono sterminati oltre 2500 turchi. Il massacro, sempre secondo la versione, si estese anche ad altre zone dell'Anatolia orientale. I pannelli illustrativi del museo spiegano che sono state trovate fosse comuni con medaglie e rosari di chiara fattura ottomana insieme con proiettili di fabbricazione russa e che questa sarebbe la prova tangibile dell'avvenuto massacro.Della versione ufficiale, che solo a Van furono 80mila gli armeni sterminati dai turchi e curdi (che a quei tempi combattevano paradossalmente dalla stessa parte), nessuna traccia. Chiesa della riconciliazione contro museo della negazione, insomma.

Ma non solo. Sulla riapertura del luogo di culto sull'isola di Akdamar, che di quell'eccidio è stata imponente testimone, si è addensata più di una nube. È stato riaperto al culto classificato come «museo». Ma, soprattutto, quella consacrata nel X secolo come «Chiesa della Santa Croce», sulla sua sommità la croce non la porta più da tempo. L'argomento in Turchia ha fatto discutere e diviso giornalisti, politici e esperti d'arte. Stando alla versione ufficiale dei restauratori, il simbolo sacro non è stato rimesso sulla cupola perché assente già dalla fine del 1800, ossia da quando l'edificio fu abbandonato.

La polemica non è mancata, anche perché lo stesso Patriarca armeno di Istanbul, Mesrob II, è intervenuto chiedendo con forza che la croce venisse rimessa sulla sommità dell'edificio e che la chiesa potesse ospitare almeno una funzione religiosa all'anno. Il ministro della Cultura, Atilla Koc, che fa parte di un governo di orientamento «islamico-moderato» ha riferito di aver preso in seria considerazione entrambe le richieste, ma che ci vorrà tempo.

La Diaspora Armena, che ha rifiutato l'invito del governo turco a partecipare all'inaugurazione ha fatto anche sapere che i turchi hanno trasformato il nome della Chiesa da Akhtamar in Akdamar. Il giorno della riapertura, fra l'esecuzione dell'inno turco e ritratti di Mustafa Kemal Atatürk, fondatore dello Stato laico e moderno, il passato armeno della chiesa non è mai stato menzionato e nonostante la presenza di una delegazione proveniente da Erevan, non c'era una sola bandiera armena a sancire definitivamente quel tentativo di riconciliazione.

Oggi, a Van, c'è una chiesa chiamata museo: senza croce, senza Messa, senza fedeli. E un museo che racconta una storia diversa. Nonostante tutto, però, forse adesso c'è anche un filo di speranza."


domenica, aprile 22, 2007

Fare le scarpe al Papa



Essendosi definitivamente conclusa grazie a Giovanni Paolo II l'era in cui i papi, anche se non più prigionieri in Vaticano, poco amavano allontanarsi dall'Urbe, ecco che persino il neoeletto Benedetto XVI, pur avendo piena coscienza d'aver poco la vocazione d'arringatore di folle, si mise subito a progettare possibili viaggi apostolici manifestando immantinente ai suoi collaboratori il desiderio ardente di potersi recare a Pavia per venerare le reliquie del suo "maestro" sant’Agostino sul quale si era formato e sul quale si era laureato in teologia nel lontano 1953 con la tesi poi pubblicata col titolo "Popolo e casa di Dio in Sant' Agostino".


Il vescovo di Vigevano monsignor Claudio Baggini quando venne a sapere che Benedetto XVI sarebbe andato a Pavia per pregare sulla tomba di sant’Agostino fece notare con discrezione che quella di Vigevano era rimasta l’unica diocesi a non essere stata visitata da Giovanni Paolo II.
Il sedici volte Benedetto, dovendo essere questa la prima visita pastorale ad una diocesi italiana, cogliendo la portata simbolica, ha ben gradito di far precedere la visita a Pavia con una tappa nella vicina Vigevano dove, affacciandosi dal balcone dell'episcopio, è stato sommerso dalle ovazioni quando ha mirabilmente sottolineato la dottrina della Succesione Apostolica : "Qui a Vigevano, l’unica Diocesi della Lombardia non visitata dal mio venerato Predecessore Giovanni Paolo II, ho voluto dare inizio a questo mio pellegrinaggio pastorale in Italia. Così, è come se riprendessi il cammino da lui percorso per continuare a proclamare agli uomini e alle donne dell’amata Italia l’annuncio, antico e sempre nuovo, che risuona con particolare vigore in questo tempo pasquale: Cristo è risorto! Cristo è vivo! Cristo è con noi oggi e sempre!"

Comprensibile la "crante ccioia" dei cattolici lomellini che non vedevano un papa da quasi 500 anni, da quel giorno del lontano 1418, quando Martino V Colonna, in viaggio verso Roma di ritorno dal Concilio di Costanza che lo aveva eletto papa, si accampò qualche ora fuori le mura di Vigevano per ristorarsi.

Nella sosta di poche ore di Joseph Ratzinger a Vigevano- che non è stata in ciò dissimile da quella di quell'Oddone che lo aveva preceduto cinquecento anni prima- forse non ha saputo che la municipalità per solennizzare il cinquecentennale evento non ha trovato nulla di meglio della esposizione: Le «Scarpe dei Papi» in mostra nel Museo internazionale della calzatura «Bertolini».

Vigevano è infatti da secoli città degli operatori del settore calzaturiero, riunito nel "Consorzio di San Crispino e Crispiniano", e tradizionalmente molte manifatture lomelline sono storiche fornitrici di calzature per ecclesiastici: nella mostra sono state esposte sette paia di scarpe appartenute a quattro diversi pontefici; due paia di calzature da cerimonia appartenute a Pio XI (1922-1939); un paio di scarpe da Arcivescovo, di colore rosso, e un paio di scarpe da Papa, di color avorio, di proprietà del museo della Calzatura; due paia di calzature di papa Giovanni XXIII (1958-1963): una da passeggio di color nero; una da cerimonia di colore chiaro (prestate dal Consorzio dei Santi Crispino e Crispiniano); due paia di scarpe di papa Giovanni Paolo II (1978-2005), un paio da passeggio di colore coloniale e un paio da cerimonia di colore bordeaux.
Dulcis in fundo le scarpe di papa Benedetto XVI, cioè la copia delle calzature da passeggio donate al pontefice durante la sua visita a Vigevano e realizzate dalla ditta Moreschi: un classico modello a pantofola, con un leggero fondo in cuoio, in morbida e pregiata pelle di canguro rossa.
Ma oltre alle scarpe per il Pastore della Chiesa i calzolai di Vigevano hanno pensato anche alle pecorelle di Cristo riuscendo a raccogliere migliaia di paia di scarpe per uomo, donna, bambino, estive e invernali che verranno inviate ai poveri del mondo che il Papa indicherà.

Perchè perdo tempo a scrivere delle sacre pantofole?
Perchè è quello di cui maggiormente si sono occupati i giornalisti al seguito papale.


Condensare un pensiero profondo e al contempo articolato non è per niente semplice per cui ciò che della domenica di Papa Ratzinger a Pavia si è sottolineato: la sua devozione "privata" per sant'Agostino e che si è recato sulla tomba del santo per "idealmente riconsegnare alla Chiesa e al mondo la mia prima Enciclica, che contiene proprio questo messaggio centrale del Vangelo: Deus caritas est, Dio è amore. Questa Enciclica, soprattutto la sua prima parte, è largamente debitrice al pensiero di sant’Agostino, che è stato un innamorato dell’Amore di Dio, e lo ha cantato, meditato, predicato in tutti i suoi scritti, e soprattutto testimoniato nel suo ministero pastorale."

Ora, raccontare che "l'evento" per cui Benedetto XVI vuole che venga ricordato il suo viaggio a Pavia è la "Deus Charitas Est" cioè un'enciclica pubblicata già da oltre un anno è cosa assai ardua da far apparire "una notizia" perciò i vaticanisti son andati alla ricerca di qualunque cosa potesse avere un maggior appiglio all'attualità (politica) come l'ovvio richiamo del Santo Padre (all'interno di una omelia sul vero senso dell'azione pastorale) "al valore della famiglia".
Evidentemente, l'espessione stereotipata oggidì tanto in uso Benedeto XVI non l'ha utilizzato poichè più che i valori familiari gli stanno a cuore i destini della famiglia nella sua realtà concreta: "l’elemento portante della vita sociale, per cui solo lavorando in favore delle famiglie si può rinnovare il tessuto della comunità ecclesiale e della stessa società civile".

Ovvio richiamo, dicevo, che è stato subito presentato dai mass-media come la benedizione (cioè la sponsorizzazione) se non il personale e anticipato contributo di Papa Ratzinger al "Family Day" organizzato dagli ex (post et in aeterum)democristiani che si svolgerà il 12 maggio a piazza San Giovanni in Laterano quando il Papa dovrà essere in Brasile.


Degli appassionati discorsi del pontefice :sulla fiducia nel mistico operare di Cristo nella Chiesa, sulla conversione cristiana, sulla virtù superna dell'umiltà, sull'opera della Grazia prima e dopo il battesimo invece si ha l'impressione che sia emerso assai poco. Eppure son convinto che sia apparso il "carisma" precipuo del sedici volte Benedetto che, al pari di un novello Sant'Agostino, si è fatto carico di: "Correggere gli indisciplinati, confortare i pusillanimi, sostenere i deboli, confutare gli oppositori… stimolare i negligenti, frenare i litigiosi, aiutare i bisognosi, liberare gli oppressi, mostrare approvazione ai buoni, tollerare i cattivi e amare tutti" .

Der Papst "Cciofane" /3



Nel viaggio pastorale a Vigevano, sabato 21 aprile 2007, il sedici volte Benedetto ha avuto un incontro con i pargoli lomellini che gli hanno posto una sfilza di domande che pur nel loro disarmante candore potrebbero mettere in difficoltà il più fine dei teologi.
In un articolo dell'inviato Antonio Giorgi dal titolo "Dai piccoli delle scuole le domande più vere" "L'Avvenire" di domenica 22 si diletta ad elencarle ma -ahinoi!- nemmeno il quotidiano dei Vescovi si è preso la pena di fissare in pagina le -certamente sapienti- eventuali risposte del sedici volte, e vieppiù teologo, Benedetto!


"Vigevano «Caro Papa, quante volte prega al giorno? Io due».
«Essere Papa è impegnativo? Non ha mai dei momenti di sconforto?»

Domande su domande, interrogativi ingenui (ma forse neanche troppo) come quelli che possono nascere in modo spontaneo dalla curiosità dei più piccoli, i bambini che si esprimono con la voce del cuore. Sì, hanno scritto al Santo Padre i bambini di Vigevano, e l'Aimc (Associazione maestri cattolici) in collaborazione con l'Ufficio scuola della diocesi ha raccolto i loro pensieri che offrono uno spaccato del sentire delle giovanissime generazioni.
C'è il Sommo Pontefice in città, quale occasione migliore per far parlare gli scolari?
Sinite parvulos. Spazio agli scolari, allora.
A Giulio che si preoccupa della preghiera e a Luca già consapevole delle difficoltà connesse all'esercizio del magistero papale fanno seguito ad esempio Simona («Caro Papa, lei può vedere il suo angelo custode?») e Cristian che finisce per ammettere di essere una piccola peste: «Caro Papa, come è stata la sua adolescenza? Lei era un bambino tranquillo? Io no». Pensieri profondi agitano i ragazzini di Vigevano, dagli scritti pur telegrafici dei quali emerge una capacità di riflessione e una maturità che dovrebbero far riflettere certi adulti. A proposito: «Quando saremo adulti - chiede Chiara - potremo avere un mondo migliore senza tutte queste guerre e questo male?». «Perché non siamo uguali? Così non ci sarebbero persone brutte e belle, bianche o nere. Io sono di colore». È la voce della Vigevano che si fa sempre più multietnica ad esprimersi con l'auspicio di Paola.

Poi ci sono domande che potremmo definire estremamente personali, perfino - all'apparenza - impertinenti, se non venissero appunto da un bimbo. «Caro Papa, da chi ti confessi quando commetti dei peccati?» (Alessia). «Caro Benedetto XVI, io volevo chiederle se ha fatto l'università» (Xhulian). «Sarei curioso di sapere se lei da ragazzo giocava a calcio come il nostro parroco» (Giuseppe). «Quando era un sacerdote non pensava mai: da grande mi piacerebbe diventare Papa? A me da grande piacerebbe diventare una parrucchiera» (Teresa). «A quale persona a lei più cara avrebbe voluto dire per prima della sua nomina?» (Sara).
Giovanni infine sembra animato da un po' di invidia: «Caro Papa, lei va di sicuro in Paradiso, vero?»."

sabato, aprile 21, 2007

simpatico umorista /9

In Vaticano circola una barzelletta.

Il teologo svizzero progressista Hans Küng si reca in Paradiso a discutere le proprie teorie con san Pietro. Dopo l’incontro, esce in lacrime: “Come ho potuto sbagliare tanto?”.
Tocca al prete eretico Leonardo Boff ed esce in lacrime: “Come ho potuto sbagliare tanto?”.
Poi è la volta di Joseph Ratzinger, il tedesco che è diventato Papa come Benedetto XVI.
Alla fine dell’incontro, è san Pietro che esce in lacrime: “Come ho potuto sbagliare tanto?”.

giovedì, aprile 19, 2007

panoramiche ratzingeriane /5

Ovvero: Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di...
senatore a vita (eterna)!


La rivista internazionale "30 Giorni " diretta da Giulio Andreotti nel suo numero di "Marzo 2007" in occasione dell'ottantesimo genetliaco del sedici volte Benedetto è uscita in edizione monografica con i voti augurali di ventisette Cardinali

Scrive il cardinale Angelo Sodano subentrato a Joseph Ratzinger nella carica di Decano del Sacro Collegio: "Nel conclave del 2005 è toccato poi a me, come sottodecano del Collegio cardinalizio, di chiedere il consenso all’eletto. Ricordo bene la commozione con cui gli rivolsi, in latino, la domanda di rito: «Accetti la tua elezione, fatta canonicamente, a sommo pontefice?».
Un senso di gaudio interiore pervase tutti noi non appena il neoeletto pronunciò il suo “fiat”. Gli chiesi poi: «Con quale nome vuoi essere chiamato?». E chiara fu la sua risposta: «Vocabor Benedictus XVI», «Mi chiamerò Benedetto XVI»."

Il nuovo Segretario di Stato nonchè nuovo Camerlengo di Santa Romana Chiesa, il cardinal Tarcisio Bertone scrive:
"Sta scritto nella Bibbia che gli anni della vita dell’uomo «sono settanta, ottanta per i più robusti» (Salmo 89, 10). Sì, il santo padre Benedetto XVI i suoi ottant’anni li porta assai bene, ma nella categoria dei “più robusti” egli va annoverato per ben altri motivi. Il Signore, infatti, lo ha dotato di una “robustezza” davvero eccezionale in senso intellettuale e spirituale: non solo per la vasta e profonda cultura teologica, che tutti gli riconoscono, ma anche per quella sua squisita gentilezza che non ha nulla di formale, ma esprime una straordinaria attenzione alle singole persone."

Tra l'altro scrive il cardinale Francis Arinze, prefetto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, il quale ha preso il posto di Joseph Ratzinger quale Cardinale Vescovo di Velletri-Segni che: "motivo di stima che mi è gradito esprimere al Santo Padre è per il modo bello con cui presiede le celebrazioni liturgiche, specialmente il sacrificio eucaristico, per la sua ars celebrandi, per lo spirito di preghiera e per il raccoglimento che caratterizza i suoi movimenti, per le sue profonde omelie: tutto ciò nutre la fede e aiuta a edificare la Chiesa."


Scrive il suo successore alla "Congregazione per la dottrina della fede", lo statunitense cardinal William Joseph Levada :"come tutti hanno potuto constatare, ad esempio nel discorso pronunciato nel 2006 nell’Accademia di Ratisbona sul rapporto della fede con la razionalità moderna, papa Benedetto cerca sempre il contatto con i problemi culturali e con le urgenze del momento storico presente, cosicché la sua parola risulta sempre “attuale”, anche se non si lascia mai catturare dall’attualità, perché gli occhi del cuore e dell’intelligenza sono sempre orientati e diretti al Logos eterno che, incarnandosi, ha divinizzato l’uomo, senza dissolvere il divino nelle ambiguità e nelle opacità della storia."

Benedetto XVI è rimasto molto piacevolmente colpito dall'omaggio di "30gioni" dato che ha citato la rivista durante l'"incontro conviviale" nella Sala Ducale con i cardinali presenti a Roma il 16 aprile ringraziando tutti gli eminentissimi che si sono presi il disturbo di scrivere i loro pensieri augurali.

Nell'editoriale il senatore Andreotti scrive:
"Noi di 30Giorni abbiamo goduto di molte attenzioni del cardinale Ratzinger che più volte ci riservò interviste, scrisse per noi il saggio Lo splendore della pace di Francesco (gennaio 2002) e venne anche a presentare per noi presso la Camera dei deputati il libro Il potere e la grazia. Attualità di sant’Agostino.
Siamo oggi attorno a lui con grande entusiasmo, impegno e una grande coerenza. E non è certo convenevole il forte augurio: ad multos annos."

mercoledì, aprile 18, 2007

Munificentissimus Deus [2]



Nella sua omelia della Domenica "In Albis" Papa Benedetto XVI non ha nascosto la sua compiacenza che la messa in ringraziamento del suo ottantesimo genetliaco, e al contempo per il secondo anniversario della propria esaltazione alla Cattedra di San Pietro, sia coincisa con la festa della Divina Misericordia istituita da suo "amato predecessore" che eloquentemente alla vigilia della quale spirò santamente!

Benedetto XVI ha così potuto guardare retrospettivamente ai suoi ottan'anni di vita mondana e cristiana alla luce dei misteri pasquali: nato e battezzato il Sabato Santo ecco che al compimento dell'ottava di Pasqua di ottant'anni dopo può lucidamente -forse uno dei pochi- guardarsi indietro e scorgere chiaramente il filo ininterrotto che lo ha legato invisibilmente alla propria personale vocazione battesimale che il suo Creatore, Redentore e Santificatore gli ha consegnata il giorno del sua nascita e della sua "rinascita"( come papa Ratzinger ha definito il proprio battesimo).
Soprattutto Benedetto XVI (commentando il passo degli Atti degli Apostoli dove si parla dell'effetto miracoloso dell'ombra di San Pietro), molto pudicamente, ha espresso la propria commozione per il grande affetto e vera devozione che i fedeli nutrono verso la sua persona.
Già le sue primissime uscite pubbliche con quelle vesti troppo corte o troppo ampie che lo facevano apparire assai impacciato, amplificando tutta la mancanza di presenza scenica che invece sovrabbondava nell'amato predecessore, furono salutate da sincere manifestazioni di simpatia. Durante le sue prime vacanze in Val d'Aosta dichiarò ai giornalisti -quasi stupito- che tutti erano sempre molto gentili con lui.

I commentatori mondani che molto si stupirono delle folle che riempivano Piazza San Pietro come e più dei tempi del polacco e fotogenico predecessore; scettici di fronte al potere del carisma petrino; poterono solo ipotizzare che si trattasse dell'ultima eco della forte "personalizzazione" e "spettacolarizzazione" che Papa Woytjla aveva dato dell'ufficio papale e che, nel breve volgere di tempo, l'entusiasmo popolare intorno alla persona del papa si sarebbe raffreddato come per osmosi con la teutonica indole del nuovo eletto.

Come sempre si son fatti i paragoni col predecessore dicendo che l'uno era più amato dai fedeli e l'altro più stimato, l'uno più osannato l'altro più ascoltato, etc... e si giunge al punto che il "divinus" Magister lamenti che poca eco abbiano avuto nei mass-media le omelie papali del triduo pasquale (come se ai tempi di Giovanni Paolo II ci fosse stato da parte dei mass-media il minimo interesse per ciò che il papa dicesse o meno alla Messa Crismale!)

Anche i giornalisti sono rimasti piacevolmente colpiti dall'operato di Benedetto XVI nei primi due anni di pontificato, soprattutto perché non si è verificata nessuna delle loro apocalittiche previsioni di un papa sempre arcigno pronto a scomunicare tutto e tutti e sempre chiuso nel suo studio a scrivere encicliche e lettere dogmatiche su ogni argomento possibile dello scibile umano; Joseph Ratzinger si è dimostrato, invece, essere l'uomo mite e ragionevole che è sempre stato! Molto diverso da come veniva dipinto dai mass-media.

Comunque sia, i cattolici vedono nel Papa un forte segno della propria "identità etnica sui generis" (come l'ebbe a definire Paolo VI), e segnatamente in papa Benedetto, soprattutto in questo Mondo Occidentale trasmutato in realtà virtuale dove tutto è aleatorio, dove ogni emozione e travolge e sballotta, trovano innanzitutto la sicurezza di aver a che fare con un uomo che per quasi ottant'anni prima dell'elezione non ha cercando mai di compiacere i mass-media. Benedetto XVI non ha mai cercato di imitare lo stile woytiliano né prima né dopo l'elezione a papa e di questo tutti gli rendono merito.

Dal punto di vista mediatico il successo di Benedetto XVI presso i fedeli (che al contempo sono telespettatori) può essere spiegato proprio dalla sua mancanza di fotogenìa e di telegenìa. Cioè: l'evidenza del fatto che Benedetto XVI non si mostri per piacere ai fruitori della sua immagine, oltre evidentemente a far si che si concentri l'attenzione sulle sue parole, produce un senso di profonda fiducia verso chi si è sempre dimostrato un "profano" dello sfruttamento dei Media ma si presenta rivestito dell'autorità intellettuale (oltre che spirituale) d'una millenaria sapienza cristiana (e di cui i suoi abiti così platealmente di foggia "passatista" sono la cartina di Tornasole).
In fondo questa "popolare" gioiosa fiducia nella saggezza, mitezza e senso della misura di



Gli ottant'anni di Papa Ratzinger sono stati in vario modo l'occasione per i fedeli di manifestargli affetto e vicinanza.E siccome viviamo nel secolo XXI le manifestazioni di "devozione" ad un romano pontefice "intellettuale" sono sempre smaccatamente segnati dal gusto popolare come ai tempi del "popolare" Giovanni Paolo II. Oltre alle cartoline di auguri stampate dalle edizioni paoline da spedire all'appartamento pontificio e alle e-mail da inviare al sito internet vaticano, sono giunti in Vaticano i presenti più impensabili come l'enorme orso di peluche che molto ha divertito il sedici volte Benedetto (e subito inviato al Bambin Gesù per la gioia dei piccoli degenti), o la mastodontica torta al cioccolato a forma di basilica di San Pietro donata dai pasticceri salernitani che è stata servita nell' "Incontro conviviale con i membri del collegio cardinalizio" nella Sala Ducale alle ore 13 di lunedì 16 aprile.

Nella mattinata il l Santo Padre aveva ricevuto le loro eccellenze: il Signor Edmund Stoiber, Ministro Presidente della Baviera con la Consorte e il Signor Peter Harry Carstensen, Ministro Presidente del Land Schleswig-Holstein.

Oltre alle personalità politiche bavaresi è stata graditissima la visita dell'inviato personale del Patriarca Ecumenico nella persona di Sua Eminenza Ioannis Zizioulas, Metropolita di Pergamo il quale, dopo aver presenziato il giorno prima alla messa in piazza san Pietro, ha portato gli auguri di Bartolomeo I assieme all'invito a recarsi insieme a Ravenna il prossimo ottobre all'inaugurazione dei lavori della commissione internazionale per il dialogo teologico tra cattolici e ortodossi.
«Abbiamo rivolto al Papa l’invito e ho l’impressione che abbia accettato» ha dichiarato il Metropolita di Pergano (mentre una tale ipotesi era stata pubblicamente ed ampiamente deprecata dal patriarcato di Mosca).

Poi nella Sala Clementina, il Papa ha inoltre ricevuto il proprio successore quale arcivescovo di Monaco e Frisinga, l'Eminentissimo Friedrich Wetter, assieme ad una delegazione del clero della "sua" arcidiocesi cosicché ha lasciato libero sfogo ai sentimenti prodotti da queste visite di cortesia in occasione del proprio genetliaco: "Questa mattina ho avuto due colloqui incoraggianti: uno con il Ministro Presidente bavarese e l’altro con il Ministro Presidente dello Schleswig-Holstein che, pur partendo da ambienti e da temperamenti notevolmente diversi, hanno però manifestato ambedue questa certezza interiore che la fede apra un futuro e che in questo momento dell’incontro delle culture, ma anche dell’incombente conflitto tra le culture, sia importantissimo che la forza interiore, pacificatrice e risanatrice della fede cristiana rimanga viva nel nostro popolo influenzando così come forza del bene il futuro.

E c’era ancora un altro incontro buono stamattina: quello con il metropolita Ioannis Zizioulas di Pergamo, inviato del Patriarca di Costantinopoli, uno dei grandi sostenitori del dialogo cattolico-ortodosso. Egli è sorretto da una profonda convinzione interiore, che cioè l’incontro tra Roma e l’Ortodossia sia di importanza fondamentale per il continente europeo e per il futuro della storia universale e che dobbiamo fare ogni sforzo possibile, affinché questo incontro conduca veramente alla comunione fraterna e da essa nasca poi la benedizione della comunione della fede: la benedizione perché l’umanità possa vedere che siamo "uno" e in base a ciò credere in Cristo. – Penso che sia questa la missione di tutti noi: impegnarci – ciascuno nel suo ruolo – affinché la forza della fede diventi operativa in questo mondo, efficace come gioia, come fiducia, come dono in questo momento.

Grazie ancora per l’incontro a Monaco e per l’incontro in questo momento. Preghiamo insieme che il Signore ci aiuti a fare, ciascuno di noi, la cosa giusta e che così la nostra storia sia benedetta. Un grazie di cuore a tutti, e salutatemi la Baviera!"


Poi il sedici volte Benedetto recatosi a pranzo con i circa sessanta cardinali presenti nella Sala Ducale ha nuovamente ricevuto gli auguri del Cardinale Decano.
Dai Cardinali per regalo il Papa ha chiesto e ricevuto denaro (per la precisione: 100.000 Euro) da utilizzare per opere di bene. Il Cardinal Decano, consegnandogli il denaro gli ha chiesto “se possibile, di tenere presenti le gravi necessità dei cristiani in Terra Santa”.

Altro dono assi apprezzato, ricevuto dalla sua Germania, è stato il concerto di musica classica dell'orchestra radiofonica di Stoccarda che nell'Aula Paolo VI, nel pomeriggio, ha allietato le orecchie del pontefice pianista con musiche di Mozart, Gabrieli e Dvorak.
Il fratello maggiore Georg Ratzinger sacerdote e musicista gli ha donato un piviale quale simbolo dell'affetto che, andando oltre i naturali legami di sangue, li unisce nel servizio e nell'amore per Dio

Anche i dipendenti dello Stato della Città del Vaticano -com'è tradizione- hanno potuto fare esperienza tangibile dell'abbondanza delle misericordie divine per mezzo del suo Vicario in Terra poichè in occasione della felice data ha decretato che ricevessero, oltre al loro normale stipendio, 500 euro "una tantum" (Tantum Ergo!).

martedì, aprile 17, 2007

L'aringa rosa /6



"PADOVA-La scoperta di Giuliano Pisani: le 4 figure affrescate a fianco del Cristo Giudice agli Scrovegni non sono i simboli tradizionali, ma animali ben più insoliti"

Ovvero: Articolo di Marco Bussagli sull'Avvenire di martedì 17 aprile 2007: "Giotto perde gli evangelisti?
Assieme a due esseri alati, sono raffigurati un centauro (che alluderebbe alla natura umana e divina di Gesù) e un orso che tiene tra le zampe un luccio: altro simbolo cristologico"




«E' assolutamente sorprendente come, talvolta, negli studi, si continuino a ripetere le medesime affermazioni senza nessuno spirito critico, un po’ per pigrizia, un po’ per autoconvinzione.
Mi spiego meglio. Quando, per inveterata tradizione, studiosi autorevoli si abbandonano ad affermazioni banali e scontate che, però, sono comode in quanto non sollevano problemi e, in fondo, sembrano la soluzione più ovvia, anche nel caso di una riconsiderazione della questione ab imis, come per la Cappella degli Scrovegni di Padova, si finisce per vedere con gli occhi della tradizione, orale o scritta che sia.

Non si può certo dire, infatti, che negli ultimi anni la Cappella dell’Arena, come pure viene chiamata l’edificio di Enrico Scrovegni, non sia stata studiata. Basterebbe la campagna di restauro condotta magistralmente da Giuseppe Basile nel 2002, nel corso della quale gli affreschi sono stati ripuliti, restaurati, studiati e fotografati, letteralmente, centimetro per centimetro.
Eppure, la lettura data fin qui di alcuni particolari è sempre stata la medesima. Tutti, infatti, hanno continuato ad affermare che il Cristo giudice sia seduto su un trono di luce sostenuto dalle figure simboliche degli evangelisti. Così, per esempio Claudio Bellinati, nel suo bellissimo Giotto. Padua felix. Atlante iconografico della Cappella di Giotto (1996), scrive: «Sotto il trono di diaspro verde stanno i quattro simboli degli Evangelisti: Aquila (Giovanni), Vitello (Luca), Angelo (Matteo), Leone (Marco)». Ugualmente, gli studiosi precedenti e quelli successivi, con qualche distinguo.

Il fatto è che le cose non stanno così. Allora, in questi casi, ci vuole qualcuno che guardi con occhi nuovi e dica che «il re è nudo». Così, a gettar via gli occhiali del preconcetto e a dire finalmente che quelli non sono gli evangelisti che la tradizione vorrebbe, ci ha pensato Giuliano Pisani, appassionato di Giotto, grecista e latinista, già assessore alla Cultura del Comune di Padova, non storico dell’ arte e forse proprio per questo capace di osservare i fatti da un nuovo punto di vista.

Per capire che quelli dipinti da Giotto a Padova non sono i simboli degli evangelisti secondo l’iconografia canonica, in realtà, era sufficiente guardarli; ma solo Pisani l’ha fatto con un articolo che sarà pubblicato nel prestigioso Bollettino dei Musei Civici di Padova.
In realtà, come ricorda lo stesso Pisani, già Aldo Foratti, nel 1921, metteva in guardia nei confronti di un’identificazione, per così dire, automatica di quelle figure come evangelisti, ma poi tutti avevano dimenticato l’avvertimento e nessuno aveva più affrontato il problema, rifugiandosi nella versione di comodo.
Il fatto è che – mentre a destra guardando compaiono due figure alate, una con la testa di leone ed una con la testa di uomo che assume l’aspetto di un cherubino con le ali ripiegate sul corpo, così come l’altro – a sinistra le cose si complicano.

La figura più vicina al Cristo è una sorta di centauro, con zampe da quadrupede e busto umano (notato anche da studiose come Irene Hueck e Chiara Frugoni che, però, lo riconduce forzatamente al simbolo di Luca), mentre quella più lontana è ancora più inspiegabile. Si tratta di un orso in posizione eretta che stringe fra le zampe ungolate un pesce, verosimilmente un luccio, come Pisani afferma nell’articolo e conferma alla luce delle perizie degli zoologi.

Una cosa, intanto, è certa: l’aquila che tutti hanno visto non c’è e neppure il vitello di Luca, anche se il presunto centauro ha gli zoccoli fessi degli ovini. Il mistero s’infittisce e per darne spiegazione Pisani ricorre giustamente all’impostazione generale del programma della Cappella, che si basa, come ha dimostrato in un altro articolo pubblicato sul Bollettino (2004), sul rapporto fra la Giustizia umana (dipinta da Gotto a monocromo fra le Virtù contrapposte ai Vizi) e quella divina rappresentata da Cristo come «sole di Giustizia». Ne deriva, secondo Pisani, che l’aggiunta di queste singolari f igure simboliche voglia esaltare alcuni aspetti del Cristo, a cominciare dal Centauro che allude alla doppia natura del Redentore, umana e divina.

A sua volta, il pesce e l’orso sono due altri aspetti cristologici che ritornano coerentemente in questo contesto. È ben noto, asserisce Pisani, che il pesce sia uno dei più antichi simboli di Cristo; ma la scelta del luccio, non farebbe altro che rafforzare questa simbologia perché «il lucius dei latini è il "pesce-luce" cui già i primi cristiani attribuivano accostamenti al Signore luce del mondo», come spiega sinteticamente. Non solo, ma il pesce alluderebbe all’umanità "pescata", ossia salvata dalla Chiesa, come specifica sant’Agostino in un passo del De Civitate Dei (XVIII, 49), nel quale non manca certo il paragone con la rete da pesca definita evangelica («sagenam evangelicam»), come sottolinea lo studioso.
Infine, l’orso sulla scorta dell’interpretazione d’Isidoro di Siviglia – uno degli enciclopedisti più frequentati dai teologi medievali come Altegrado de’ Cattanei, probabile ispiratore del programma e canonico della Cattedrale di Padova – alluderebbe alla Provvidenza divina.
Pisani invita gli studiosi ad approfondire, ma – grazie a lui – un bel pezzo di strada è stato percorso».

domenica, aprile 15, 2007

CASTRUM DOLORIS, VIII


Il Nunzio Apoistolico a Gerusalemme la sera di domenica 15 aprile sarà presente allo Yad Vashem per la solenne commemorazione delle vittime della Shoah.
Monsignor Antonio Franco, aveva precedentemente annunciato di non partecipare alla cerimonia in segno di protesta.

A motivare la protesta diplomatica era stata la presenza nel museo dello Yad Vashem di due foto di Eugenio Pacelli, l'una mentre in qualità di cardinale Segretario di stato firma il concordato con la Germania nazionalsocialista e l'altra che lo raffigurava ormai divenuto Papa. Le didascale delle foto Pio XII alludevano all'ambiguità del pontefice di fronte allo sterminio degli ebrei, foto poste, tra l'altro, nella sala del museo detta "di quelli che si devono vergognare per l'eternità".
Il Nunzio, oltre a definire l'episodio "un'offesa alla Chiesa cattolica", aveva annunciato di disertare la cerimonia se la scritta equivoca non fosse stata modificata (o le foto rimosse).

Monsignor Franco ha detto di essere ritornato sui propri passi in seguito alla lettera firmata dal presidente del memoriale, Avner Shalev, nella quale si afferma la volontà "di riconsiderare il modo in cui papa Pio XII è presentato".
"Poiché la mia azione non era intesa a dissociarmi dalle celebrazioni ma a richiamare l'attenzione sul modo in cui il papa è presentato - ha detto il Nunzio alla Radio Vaticana - il mio scopo è stato raggiunto. Non ho motivi - ha concluso - per tenere aperta questa tensione e dunque parteciperò alla cerimonia".

CASTRUM DOLORIS, VII



Nel pomeriggio di venerdì 13 aprile 2007, ciò che molti avevano allarmatamente paventato è accaduto: il lampione di Ponte Milvio è crollato!
Non uno dei lampioni che adormano il vetusto ponte romano di costantiniane memorie ma "il lampione" -famoso visto il gran rumore mass-mediatico che l'accaduto ha provocato!- celeberrimo per la recente costumanza adolescenziale di suggellare il proprio brufoloso e mingherlino primo batticuore con un lucchetto, da apporre al "fatale" lampione, dopo una breve paraliturgia in cui i due teenager si scambiano la sacra promessa che il loro diuturno pomiciare sui motorini parcheggiati fuori dai licei sarà un amore "per sempre".

In vero già lo scorso 7 marzo il totem dell'amore poetico "ai tempi di Scamarcio" era salito all'onore delle cronache poichè ignoti assai prosaici avevano divelto i lucchetti molto probabilmente per rubare il ferro di cui sono fatti e rivenderlo.
Immancabilmente, come accade in Italia, ne era seguita una diatriba politica nel Municipio XX tra i consiglieri del centrosinistra che ritenevano opportuna la sistematica rimozione dei catenacci e dei lucchetti in nome del decoro urbano mentre il centrodestra aveva vivacemente difeso le ragioni del cuore opponendo un fiero "non possumus".

Già la sera del giovedì 12 aprile era caduto il fanale posto alla sommità e prontamente i vigili urbani avevano transennato il "decadente" simbolo dell'amore. Poi il giorno appresso, oppresso dal peso non solo simbolico di tante promese d'amore eterno, il metallico fusto del lampione si è piegato, mozzandosi a metà.
La notizia è balzata sui giornali e telegiornali divenendo evento di portata nazionale poichè grazie a «Ho voglia di te» secondo libercolo di Federico Moccia, cui ha dato maggior notorietà l'omonimo lungometraggio, non solo i teneri cuori degli adolescenti quiriti ma tutta la "meglio" gioventù italica ha patito e lagrimato al pensiero di tanta insospettata fragilità di fronte al peso dei propri impalpabili desiderii infiniti!


Il sindaco Veltroni, appresa la "ferale" notizia ha inviato sul posto tecnici del Decoro Urbano con l'incarico di conservare i lucchetti e le catene. Il buon Walter Veltroni -che sempre più spesso si preoccupa di consacrare monumenti aleatori- dato che i lucchetti "Sono un simbolo della città e dell'amore", come ha dichiarato alla stampa, ha disposto che i ferrei monili vengano devotamente custoditi in Campidoglio (la custodia dei lucchetti verrà affidata alle oche?).

sabato, aprile 14, 2007

Gran Rabbi nato /4

Ovvero: Filippo incontrò Natanaèle e gli disse: "Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti, Gesù, figlio di Giuseppe di Nazaret".(Gv I, 45)



Il libro "Gesù di Nazaret" del sedici volte Benedetto ha meritato la dotta presentazione dell'Eminentissino -ac Reverendissimum Dominum!- Christoph Schönborn Arcivescovo di Vienna che devotamente ha indicato nel libro scritto dal Pontefice "ccioiosamente regnante" il tributo d'amore al Signore Gesù Cristo di un semplice ed umile lavoratore nella Sua mistica vigna che per la timida indole ha sempre preferito non esibire la propria fervorosa devozione: "Egli è poco incline ad ogni soggettivismo, gli è estranea ogni forma di esibizione della propria interiorità personale. In modo simile a S. Tommaso d'Aquino, il fuoco della sua vita di fede è nascosto, non viene esposto alla curiosità dei biografi. In primo piano sta l'instancabile confronto intellettuale, la fatica del concetto, la forza degli argomenti, la passione della ricerca oggettiva della verità, lo sforzo di dare una risposta, a tutti coloro che chiedono e cercano, del motivo della propria speranza (cf. 1Pt 3,15)."

Della presentazione del libro a cura dell'austriaco cardinale "Portatore di Cristo" mi ha molto piacevolmente colpito il seguenta passaggio:

«Gesù, il rabbino e il papa

È, Gesù stesso, coerente, credibile?
Secondo la testimonianza personale di Papa Benedetto, uno degli impulsi a scrivere questo libro è stato l'incontro con il libro del "grande erudito ebreo Jacob Neusner"(p. 99) "Disputa immaginaria tra un rabbino e Gesù" (Piemme, Casale Monferrato 1996, originale: A Rabby Talks with Jesus: An Intermillennial Interfaith Exchange, New York 1993). Quello che Papa Benedetto dice a proposito di tale libro, è così essenziale per la comprensione del suo stesso libro su Gesù, che vorrei citare, a questo punto, un po' più per esteso. Jacob Neusner, dice il nostro autore, "si è, per così dire, inserito tra gli ascoltatori del Discorso della montagna e ha poi cercato di avviare un colloquio con Gesù… Questa disputa, condotta con rispetto e franchezza fra un ebreo credente e Gesù, il figlio di Abramo, più della altre interpretazioni del Discorso della montagna a me note, mi ha aperto gli occhi sulla grandezza della Parola di Gesù e sulla scelta di fronte alla quale ci pone il Vangelo. Cosi… desidero entrare anch'io, da cristiano, nella conversazione del rabbino con Gesù, per comprendere meglio, partendo da essa, ciò che è autenticamente ebraico e ciò che costituisce il mistero di Gesù" (p. 99).

A questo "trialogo" il cardinale Ratzinger pensava già allorché definì il libro del rabbino Neusner come "il saggio di gran lunga più importante per il dialogo ebraico-cristiano che sia stato pubblicato nell' ultimo decennio". Il suo libro su Gesù, ora pubblicato, adempie a questa promessa.

Più che le discussioni sui metodi esegetici, a lui sta a cuore il colloquio con il rabbino. Le prime appartengono, in un certo modo, ai preamboli, ai preliminari. Joseph Ratzinger/Benedetto XVI li chiarisce, rapidamente e sinteticamente, nella prefazione, indicando i meriti e i limiti degli approcci storico-critici a Gesù. Ma già dall'introduzione, da "un primo sguardo sul mistero di Gesù", egli è là, al centro, dove è posta la Persona stessa di Gesù. Qui, nel cuore della sua meditazione su Gesù, il rabbino gli è di decisiva importanza.

"Cerchiamo ora di riprendere l'essenziale di questo colloquio per conoscere meglio Gesù e comprendere più a fondo i nostri fratelli ebrei" (p. 136). Il rabbino Neusner, "nel suo dialogo interiore, aveva seguito Gesù per tutto il giorno e ora si ritira per la preghiera e lo studio della Torah con gli ebrei di una cittadina, per poi discutere le cose sentite - sempre nell'idea della contemporaneità attraverso i millenni - con il rabbino del luogo" (p. 136). Essi ora paragonano gli insegnamenti di Gesù con quelli della tradizione ebraica. Il rabbino chiede a Neusner "se Gesù insegni le stesse cose di costoro". Neusner: "non precisamente, ma quasi". "Che cosa ha tralasciato?" "Nulla". "Che cosa ha aggiunto allora?" "Se stesso". Questo il dialogo immaginario. Proprio questo è il punto, di fronte al quale Neusner, nel suo incontro così pieno di rispetto con Gesù, indietreggia spaventato. Egli esprime il suo spavento nella frase che Gesù dice al giovane ricco: "Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che hai e dallo ai poveri; vieni e seguimi" (cf. Mt 19,20). Tutto dipende, dice Neusner "da chi si intenda con questo mi " (Disputa immaginaria tra un rabbino e Gesù, p. 114). E il nostro autore completa: "questo è il motivo centrale per cui (il rabbino Neusner) non vuole seguire Gesù e rimane fedele all''Israele eterno' " (p. 137). "La centralità dell'Io di Gesù nel suo annuncio" è dunque il motivo per cui, come scrive il rabbino Neusner nella prefazione al suo libro, egli non si sarebbe unito alla "cerchia degli apostoli di Gesù", se fosse vissuto "nel primo secolo in terra d'Israele" (op. cit., p.7). Ed egli avrebbe preso questa decisione, "per motivi buoni ed importanti", l'avrebbe ragionevolmente motivata "con argomenti e con fatti", così dice il rabbino Neusner, già nelle prime righe del suo libro (ibidem, p. 7). Questo suo No a seguire Gesù, formulato in maniera così rispettosa e comprensiva, ma tuttavia ben chiara, è motivato in Neusner, primariamente, da motivi di fede o da motivi di ragione? Tutte e due le cose sembrano essere vere. Il no all'equiparazione di Gesù con Dio è per lui un'evidenza di fede, la cui ragionevolezza è spiegabile anche "con argomenti e con fatti". Sono sia motivi religiosi che sociali a giustificare il cortese no di Neusner. Quello che Gesù richiede dai suoi seguaci "può richiederlo solo Dio da me" (Disputa immaginaria tra un rabbino e Gesù, p. 70). E quello che egli esige, porta infine a mettere in pericolo la forma sociale di Israele, così come la prescrive la Torah: "Sul Discorso della montagna non si può costruire nessuno Stato e nessun ordine sociale" (p. 146). Il rabbino Neusner è così importante per il libro di Joseph Ratzinger/Benedetto XVI, proprio perché egli oppone un netto rifiuto a tutti i tentativi di scindere il Gesù storico dal Gesù del dogma della Chiesa. Non è stata la Chiesa, e neanche l'apostolo Paolo ad innalzare un predicatore ambulante della Galilea, mite, liberale, profetico, apocalittico o come altro sia, al rango di Figlio di Dio, ma egli stesso accampa una pretesa, in tutto il suo fare e dire, che spetta solo a Dio. È questa la tematica centrale del libro. Si tratta della domanda di Gesù a Cesarea di Filippo: "Ma voi, chi dite che io sia?" (Mt 16, 15).»

domenica, aprile 08, 2007

Per Te solo è chiara la notte e le tenebre son come luce







PRIMA CHE SORGA L'ALBA,
vegliamo nell'attesa:
tace il creato e canta
nel silenzio il mistero.

Il nostro sguardo cerca
un Volto, nella notte:
dal cuore a Dio s'innalza
più puro il desiderio.

E mentre, lieve, l'ombra
cede al chiaror nascente,
fiorisce la speranza
del Giorno che non muore.

Presto l'aurora in cielo
ci inonderà di luce;
la Tua misericordia,
o Padre, ci dia vita.

E questo nuovo giorno,
che l'alba per noi schiude,
dilati in tutto il mondo
il regno del Tuo Figlio...


Laetetur et Mater Ecclesia tanti luminis adornata fulgoribus


COLLOQUIO EUCARISTICO

"Resurrexit...alleluia. Ecco il grido, o Gesù, che spontaneo e gaudioso ci sgorga dall'anima esultante di una gioia infinita al pensiero della vostra resurrezione.

Siete risorto! Lo crediamo, o Gesù, e la più bella confessione della nostra fede è il desiderio di venirvia ricevere nella santa Comunione, dove voi siete realmente in corpo, Sangue, Anima e Divinità, vincitore della morte e dell'inferno.

Se infatti al dire del vostro Apostolo, la comunione è il memoriale della vostra morte, è pure il memoriale della vostra resurrezione. Adorarvi nel SS. Sacramento, confessare la vostra reale presenza, ricevervi nel nostro cuore è annunziare non soltanto che Voi avete sofferto e siete morto per noi, ma che per noi siete resuscitato, perchè se così non fosse non avremmo l'Eucaristia nella sua pienezza, non avendo l'unione reale dell'anima vostra col vostro corpo.

La Comunione; ecco quindi la più bella prova della nostra fede nella vostra resurrezione; ed ecco ancora la più bella speranza della resurrezione nostra; poichè a Voi uniti, divenuti corpo del vostro corpo, sangue del sangue vostro, anima della vostra anima, non siamo più noi a vivere, ma Voi siete che vivete in noi, Voi che resuscitando un giorno per non più morire, siete il germe divino della nostra vita immortale.
Per questo, o Signore, scrisse un'anima pia: La nostra vera Pasqua , è la Pasqua Eucaristica."
(Hamon-Borla, Meditazioni, vol.II)

sabato, aprile 07, 2007

...entre todas las Mujeres! [14]


Il predicatore della Casa Pontificia, ovvero il sempre serafico padre Raniero Cantalamessa per il Venerdì Santo 2007 ha tenuto, davanti al sedici volte Benedetto ed alla Curia Romana devotamente congregata nel Tempio Petriano, più che una omelia un panegirico elogiante la cristiana devozione del femmineo sesso.
La vibrata omelia (della quale a mio avviso l'unica pecca è la velata citazione dei "Centochiodi" di Ermanno Olmi) è stata sapientemente modulata a guisa di colpi di scudiscio e di flagello al fine di colpire l'orecchio del prelatizio uditorio e piamente umiliare l'amor proprio dell'universo -maschile- clero!

L'elogio della cristiana pietà della donna è stata mirabilmente incanalata nell'aureo campo dell'antropologia cristiana, nell'implicita affermazione del "genio" proprio di ciascuno dei due sessi, e ad esaltazione della irriducibile differenza del maschile ed el femminile per cui il serafico Raniero non poteva esimersi da una sferzante scudisciata alla neognostica cultura contemporanea!


"Si discute animatamente da qualche tempo chi fu a volere la morte di Gesú: se i capi ebrei, o Pilato, o gli uni e l’altro. Una cosa è certa in ogni caso: furono degli uomini, non delle donne. Nessuna donna è coinvolta, neppure indirettamente, nella sua condanna. Anche l’unica donna pagana menzionata nei racconti, la moglie di Pilato, si dissociò dalla sua condanna (Mt 27, 19). Certo, Gesú morì anche per i peccati delle donne, ma storicamente esse solo possono dire: “Noi siamo innocenti del sangue di costui!” (Mt 27, 24).

Questo è uno dei segni più certi dell’onestà e dell’attendibilità storica dei vangeli: la figura meschina che fanno in essi gli autori e gli ispiratori dei vangeli e la figura meravigliosa che vi fanno fare a delle donne. Chi avrebbe permesso che fosse conservata, a imperitura memoria, la storia ignominiosa della propria paura, fuga, rinnegamento, aggravata in più dal confronto con la condotta così diversa di alcune povere donne, chi, ripeto, l’avrebbe permesso, se non vi fosse stato costretto dalla fedeltà a una storia che appariva ormai infinitamente più grande della propria miseria? "



"Da ogni parte emerge l’esigenza di dare più spazio alla donna.

Noi non crediamo che “l’eterno femminino ci salverà”. L’esperienza quotidiana dimostra che la donna può “sollevarci in alto”, ma può anche farci precipitare in basso. Anch’essa ha bisogno di essere salvata da Cristo. Ma è certo che, una volta redenta da lui e “liberata”, sul piano umano, da antiche discriminazioni, essa può contribuire a salvare la nostra società da alcuni mali inveterati che la minacciano: violenza, volontà di potenza, aridità spirituale, disprezzo della vita…

Bisogna solo evitare di ripetere l’antico errore gnostico secondo cui la donna, per salvarsi, deve cessare di essere donna e trasformarsi in uomo. Il pregiudizio è tanto radicato nella cultura che le stesse donne hanno finito a volte per soccombere ad esso. Per affermare la loro dignità, hanno creduto necessario assumere atteggiamenti maschili, oppure minimizzare la differenza dei sessi, riducendola a un prodotto della cultura. “Donna non si nasce, ma si diventa”, ha detto una loro illustre rappresentante."

"Non solo per il ruolo svolto nella passione, ma anche per quello svolto nella risurrezione le pie donne sono di esempio alle donne cristiane di oggi. Nella Bibbia si incontrano da un capo all’altro dei “va!” o degli “andate!”, cioè degli invii da parte di Dio. È la parola rivolta ad Abramo, a Mosè (“Va’, Mosè, nella terra d’Egitto”), ai profeti, agli apostoli: “Andate in tutto il mondo, predicate il vangelo ad ogni creatura”.

Sono tutti “andate!” indirizzati a degli uomini. C’è un solo “andate!” indirizzato a delle donne, quello rivolto alle mirofore il mattino di Pasqua: “Allora Gesù disse loro: “Andate ed annunziate ai miei fratelli che vadano in Galilea e là mi vedranno” (Mt 28, 10). Con queste parole le costituiva prime testimoni della risurrezione, “maestre dei maestri” come le chiama un autore antico.

È un peccato che, a causa dell’errata identificazione con la donna peccatrice che lava i piedi di Gesú (Lc 7, 37), Maria Maddalena abbia finito per alimentare infinite leggende antiche e moderne e sia entrata nel culto e nell’arte quasi solo nella veste di “penitente”, anziché in quella di prima testimone della risurrezione, “apostola degli apostoli”, come la definisce san Tommaso d’Aquino."

"Alla prima delle “pie donne” e loro incomparabile modello, la Madre di Gesú, ripetiamo con un’antica preghiera della Chiesa: Santa Maria, soccorri i miseri, sostieni i pusillanimi, conforta i deboli: prega per il popolo, intervieni per il clero, intercedi per il devoto sesso femminile. Ora pro populo, interveni pro clero, intercede pro devoto femineo sexu."

Sabato Santo [2]

COLLOQUIO EUCARISTICO

"La Sindone: ecco, o Gesù, il simbolo più bello e più eloquente della vostra Santa Eucaristia.

Nella Sindone monda di Giuseppe d'Arimatea, venne allora nascosto il vostro adorabile corpo, e solo il profumo degli unguenti prziosi poteva tradire la vostra presenza.
Sotto le specie di un pò di pane e di un pò di vino, come dentro ad una Sindone nuova, Voi tutto intiero, in Corpo sangue, anima e divinità riposate ora in Sacramento: ma da questi veli eucaristici quali onde d'un profumo divino non esalano e tutto inondano il sepolcro -non sempre nuovo purtroppo!- del cuore umano!
Profumi di virtù, di umiltà, di pasienza, di carità, di sacrifizio; profumi che soli possono preservare dalla corruzione del vizio e dall'infezione di morte un'anima la cui sola ambizione sia quella di gustarne la penetrante e benefica influenza.

Ebbene, o Gesù, per quella Sindone antica che al mondo voleste lasciare, impronta della vostra umanità adorabile, in memoria del vostro amore, fate che siamo veramente devoti della Sindone nuova, vero memoriale della vostra passione.

Fate, o Signore, che venendo a ricevere nella SS.Comunione, sia sempre il nostro cuore un sepolcro vergine da ogni colpa, scavato nel vivo sasso delle nostre passioni, chiuso con sigilli ad ogni altra creatura, e così, dopo di aver gustati i profumi deliziosi della Sindone eucarristica, possiamo meritare un giorno di inebriarci dei profumi della Sindone celeste."
(Hamon-Bertola, Meditazioni, vol.II)

venerdì, aprile 06, 2007

VIA CRUCIS [6]


Venerdì Santo [3]


COLLOQUIO EUCARISTICO

"O dolcissimo Gesù, sceso dal cielo in terra per salvare ciò che era perduto, con quanta ingratitudine, malizia e crudeltà non vi ha trattato il mondo!...
Vi contemplo crocifisso, e l'anima mia si spezza dal dolore!

Grossi chiodi vi trafiggono le mani e i piedi, i vostri nervi sono tesi con una violenza estremae, dalle vostre vene aperte, flutti di sangue si espandono per tutto il corpo. la vostra carne adorabile è straziata per ogni parte e dalla testa ai piedi non v'è punto che non sia dolorante!... Povero Gesù, in quale stato orribile non vi ha ridotto l'amore! Ma forse che il medesimo amore che vi umilia nel Tabernacolo non vi immola ogni giorno sui nostri altari, incatenato dagli eucaristici legami?

E perchè adunque furono le vostre mani e i vostri piedi inchiodati su questo legno santo, perchè furono incatenate la vosta umanità e la vostra divinità sotto questi legami eucaristici, se non perl l'amore che ci portate?
O amore crocifisso, perdonate e benedite. Perdonate alle ingratitudini trascorse, benedite alla promessa sacra che in questo istante vi faccio di non più abbandonarvi.

Si, o Gesù, crocifiggete ai vostri piedi questo cuore ingrato perchè più non abbia ad allontanarsi da Voi, ma in eterno attaccato alla vostra croce eucaristica, saturo del vostro sangue divino, inebriato dai profumi della vostra Passione, questo povero cuore, tante volte ribelle, dimori immobile, fermo, costante nel vostro santo amore e possa così meritarsi, dopo aver partecipato alla vostra santa morte, di partecipare un giorno alla vostra gloria in cielo."
(Hamon-Borla, Meditazioni, vol.II)

Il primo miracolo di Benedetto XVI

Ovvero: "Nelle Moschee possono pregare anche i cristiani!"

giovedì, aprile 05, 2007

Giovedì Santo [3]

COLLOQIO EUCARISTICO
"Hoc facite in meam commemorationem
E come sarebbe possibile, o Gesù ricordare la vostra Passione dolorosa, e non pensare al Sacramento Eucaristico, che non solo ne è il perpetuo memoriale, ma la mistica rinnovazione quotidiana e reale?

Tutto ce lo proclama ad un tempo: il velo sacramentale, le circostanze dell'istituzione, l'intima unione tra il Cenacolo e il Calvario, ma soprattutto lo stato d'immolazione in cui allora ed oggi vi trovate; immolazione completa, profonda, dolorosa.

Sul Golgota, foste Voi, l'Eterno, ad immolarvi per il suddito, Voi il creatore ad immolarvi per la creatura - e creatura vile, terribile, maledetta;- ma nell'Eucaristia non siete forse Voi medesimo, che ogni giorno vi sacrificate per l'uomo, non meno ribelle e tristo dell'uomo antico?...
Sul Golgota tutto sacrificaste; libertà, onore, corpo, anima; ma che cosa mai vi siete riservato in questo adorabile Sacramento, dove vi siete reso così schiavo, così umiliato, così annichilito?...

Infiniti certo furono i meriti e le grazie che allora per noi meritaste, ma non è forse l'Eucaristia il grande canale che di quelle grazie e di quei meriti ci rende partecipi?...E quindi, o vittima santa, dove, meglio che ai piedi del Tabernacolo, in questi giorni dolorosi meditare la vostra passione, se Voi stesso nell'istituire l'Eucaristia ci comandaste di rinnovarla in vosta memoria: Hoc facite in meam commemorationem?"
(Hamon-Borla, Meditazioni, vol. II)