martedì, ottobre 31, 2006

domenica, ottobre 29, 2006

In Nome del PAPA (MARCO)Rè [terzo]

Ovvero: Le rivelazioni di suor Lucia Dandini

La fiction Giovanni Paolo I "il sorriso di Dio" è sicuramente una fiction riuscitissima grazie al ciclone di patetismo pietistico che ruota permanentemente intorno all'incontro tra suor Lucia e il Cardinale Albino Luciani avvenuto realmente un anno prima del conclave che lo eleggerà papa:
"Nel 1977 in Portogallo, un anno prima di diventare Papa, Albino Luciani (interpretato da Neri Marcorè) riceve da Suor Lucia (Imma Colomer Marcet), l'unica ancora vivente dei tre pastorelli di Fatima, la profezia del suo straordinario destino.
Suor Lucia, ripercorrendo con lui la sua vita, gli svela la trama di un disegno della Provvidenza. Appena nato Albino sembra non dover sopravvivere, ma quasi inspiegabilmente si riprende, come altre volte gli accadrà sempre senza un'apparente spiegazione. Albino è figlio di una famiglia poverissima. La vocazione al sacerdozio gli nasce in un momento di pericolo estremo, mentre invoca l'aiuto del Signore...
Diventato sacerdote, per Albino l'unico desiderio è quello di diventare parroco del suo paese natale, Canale d'Agordo, ma Monsignor Muccin (Alberto Di Stasio) gli chiede invece di divenire il vice direttore del Seminario Diocesano...
A guerra finita, Albino si interroga sulla sua missione e una malattia polmonare gravissima sembra sottolineare il suo smarrimento e la sua solitudine. Ma in sanatorio Albino ritrova l'amico Tiezzi, divenuto nel frattempo medico, il quale scopre che l'apparente condanna di Albino è il frutto di un errore diagnostico. Anche questo è un segno del cielo, un altro passo nel cammino del giovane Luciani. Albino incontra quasi per caso il Patriarca di Venezia Angelo Roncalli (Claudio Angelini), il futuro papa Giovanni, che apprezzandone le doti lo vuole vescovo."
Etc...

L'espediente narrativo è assai suggestivo e perciò funziona al fine della drammatizzazione, ma la suor Lucia della fiction (Imma Colomer Marcet) non ha nulla che la faccia somigliare alla assai semplice monachella veramente esistita.
Non essendoci stati testimoni presenti al colloquio tra la veggente e il cardinale gli sceneggiatori hanno potuto dare libro sfogo alla fantasia immaginando l'incontro non in un "parlatorio" o comunque in una stanza di un convento (come parrebbe normale a chi conosca anche superficialmente il funzionamento di un monastero di clausura) ma all'interno di una vasta basilica -nel caso concreto Santa Maria della Quercia a Viterbo- dove i ceri accesi che attorniano la veggente, che ovviamente non parla come un comune mortale ma si esprime come se fosse in stato ipnotico, accrescono la suggestione che Albino Marcorè si sia incautamente inoltrati nell'antro della sibilla Cumana.

Avendo presente la profonda quanto popolare devozione di suor Lucia di Fatima, è facile immaginare che nella realtà la monachella si sia prosternata in baciamano, abbia implorato al Principe della Chiesa una pioggia di benedizioni per lei e per le sue consorelle e glia abbia offerto un the con i biscotti fatti con le sue "manine sante". Nella fiction invece la monaca-Pizia, squadrando dall'alto in basso l'incauto mortale, dice di vederlo vestito di bianco e lo sottopone ad una confessione generale da cui emergerà un inesorabile destino già scritto a cui dovrà piegarsi: il pontificato, e un breve pontificato! Dal film si evince inoltre che la veggente gli avrebbe rivelato anche il nome del proprio polacco successore!

La descrizione di un papa che per i 33 giorni del proprio pontificato non fa altro, ogni santo giorno, che ripetere, a chiunque gli capitasse a tiro, la lamentosa litania: "a queto ci penserà chi verrà dopo di me", "di questo se ne occuperà il mio successore" "la cosa verrà portata in porto dal mio successore", non può che lasciare perplessi!

E se proprio si vogliono cercare profezie sulla predestinazione di Luciani al papato, non c'è bisogno di scomodare la Madonna.
Infatti, nonostante il cardinal Luciani andasse dicendo che non c'era "pericolo" che lo facessero papa, i segni del "pericolo imminente" c'erano e non venivano direttamente da Dio stesso ma, più tradizionalmente, tramite il Suo Vicario in terra!
Come racconta la fiction televisiva, tanta era la stima di Paolo VI per il Patriarca di Venezia che nel 1972 volle andare in laguna a dimostrargliela.
Papa Montini era amante dei gesti simbolici. Alla fine di una cerimonia in piazza San Marco, si tolse la stola pontificia, la mostro alla folla, come a voler attrarre l'attenzione dei fedeli su quell'oggetto e poi voltandosi verso il Patriarca Luciani -che non era ancora cardinale- gliela impose sulle spalle.

Altro "fioretto" non raccontato dalla fiction è quello che si svolse mesi prima della morte di Paolo VI, quando ricevette in privata udienza l'episcopato veneto. Alla fine dell'udienza il papa cercò inutilmente il pulsante sotto il bracciolo della propria poltrona per richiamare nella stanza gli altri ecclesiastici non ammessi a quel colloquio riservato ai soli vescovi.
Per togliere dalle ambasce l'ottuagenario papa Montini, il Patriarca di Venezia, che gli era seduto accanto, prese la mano del papa e la guidòsul pulsante. "Adesso sa già dove si trova" gli disse (poco sibillinamente) Paolo VI.

Pertanto, le continue lamentazioni di papa Marcorè verso un Sacro Collegio che non sarebbe stato in grado di capire che il candidato "del cuore" di Paolo VI fosse invece Karol Woytjla, hanno dell'irreale e si muovono in quel filone della profezia post eventum che da Padre Dante in poi parrebbe un cliche obbligatorio quando si metta in scena una commedia che abbia come soggetto cose "divine".



Un aspetto che ha del comico se non avesse del grottesco è quella di immaginare gli ecclesiastici costantemente alla ricerca di divine rivelazioni e bramosi di profezie ultraterrene.
Ecco che poco dopo l'elezione, il nuovo papa Marcorè appena entrato nell'appartamento pontificio, sigillato alla morte di Paolo VI, si veda consegnare da un monsignore una busta tirata fuoti dal casetto di una scrivania.
Di fronte alla perplessità del 'candido' Albino, "Ma come cos'è!" dice il monsignore stupito che papa Marcorè non abbia intuito al volo: "è il terzo segreto di Fatima"!
Che cosa poteva mai essere?
Forse che nel 1978 la Chiesa Cattolica non avesse temi di più scottante attualità da affrontare?

E' assodato che durante i 33 gioni del suo pontificato, Giovanni Paolo I non abbia mai minimamente dimostrato interesse per la terza parte del Segreto di Fatima. Lo stesso Paolo VI, pur avendo letto "il segreto", quando nel 1967 a Fatima incontrò una suor Lucia bramosa di parlargli privatamente, non volle sentire una parola di quello che la veggente intendeva dirgli.


Nonostante tutta la commozione popolare che l'agiografia televisiva di Albino Luciani abbia potuto suscitare, però su questo versante la fiction si è dimostra ben poco educativa dando credito allo stereotipo che le persone "in odore di santità" non siano dei 'poveri cristi' che si sforzino di vivere "in Grazia di Dio" ma che debbono essere sempre e comunque uomini e donne dotati di poteri paranormali:in primis della capacità di prevedere il futuro alla stregua di una qualsiasi cartomante che 'pontifica' dagli schermi delle TV private.

sabato, ottobre 28, 2006

In Nome del PAPA (MARCO)Rè [secondo]



Nella Fiction religiosa Giovanni Paolo I "Il sorriso di Dio" quale ulteriore sintomo della chiaroveggenza di Papa Luciani sulla brevità del proprio pontificato, e sulla sua intima certezza che a breve gli sarebbe successo Karol Woytjla col nome di Giovanni Paolo II, viene sottolineata l'anomalia della volontà e dell'insistenza con cui al nome di "Giovanni Paolo" venne unito il numero ordinale "Primo".
Come nella fiction spiega al papa Marcorè il monsignore esperto di araldica pontificia - e come nella realtà venne obbiettato a papa Luciani- era un errore chiamare "primo" qualcuno o qualcosa di cui non si ha un "secondo".

Per esempio: quando parliamo della Regina Vittoria, non abbiamo il bisogno di specificare che stiamo parlando di "Vittoria Prima" poichè dopo di lei non ci sono state altre regine d'Inghilterra di nome Vittoria.
Così prima del 1952 quando si parlava della "Regina Elisabetta" si intendeva universalmente riferirsi alla regina inglese vissuta nel 1500.
Solo quando Elisabetta II Winsor salì al trono la figlia di Enrico VIII e di Anna Bolena cominciò ad essere chiamata "Elisabetta Prima".

Similmente solo dopo che Giovanni XXIII indisse la convocazione del Concilio Vaticano II si cominciò a chiamare "Vaticano Primo" quello che fino a quel momento era "il" Concilio Vaticano "tout court".

Se le cose stanno così allora veramente papa Luciani voleva sottolineare che il suo regno sarebbe durato il tempo di un sorriso?
Voleva profetizzare l'avvento a breve di un Giovanni Paolo II?

La risposta è: NO.
No, perchè l'errata applicazione del numero ordinale in età contemporanea è una abitudine invalsa nel mondo ecclesiastico.
E di questa errata applicazione abbiamo lampanti esempi nelle chiese ortodosse!
Sua santità Atenagora I è stato così sempre chiamato quando era in vita e alla sua morte non è stato eletto nessun Patriarca di Costantinopoli di nome Atenagora "Secondo". Ad Atenagora è successo Demetrio anche lui "primo"! A Demetrio I è successo l'attuale arcivescovo di Costantinopoli universalmente noto col nome di "Bartolomeo Primo" anche se noi tutti ignoriamo se da qui alla fine del mondo ci sarà mai un Bartolomeo II.
Allo stesso modo in Armenia Il patriarca Karekìn "Primo" era così ufficialmente chiamato anche prima che gli succedesse Karekin II.

Quando nel pomeriggio del 26 agosto '78 i tre porporati a capo dei tre Ordini cardinalizi si avvicinarono al seggio del Cardinal Luciani per chiedergli come volesse chiamarsi egli rispose : "Giovanni Paolo"
"Giovanni Paolo Primo" intervenne saccentemente il Cardinale Protoprete Giuseppe Siri.
"Giovanni Paolo I" ripetè Papa Luciani e il Cardinale Protodiacono Pericle Felici annunciò alla folla che il nuovo papa: "sibi nomen imposuit Joannis Pauli Primi" .
Non c'è nessun mistero, quindi.
O forse, dietro alla fretta di aggiungere al nome del papa il numero ordinale -non bisogna dimenticare che il Cardinale Siri fu lo sconfitto di quel conclave e la bandiera dello schieramento conservatore!- possiamo scorgere il timore di una diminutio della "maestà" del ruolo pontificio conseguente alla tendenza a ridimenzionare il ruolo del "Vescovo di Roma" rispetto ai suoi "confratelli" vescovi.
I cattolici si erano ormai fin troppo abituatia a chiamare i papi molto semplicemente "papa Giovanni " e "papa Paolo". Che i fedeli si rivolgessero al Vicario di Cristo chiamandolo familiarmente "Gianpaolo" era, da molti ecclesiastici, considerata una caduta di stile da evitare.

venerdì, ottobre 27, 2006

dei Sepolcri, XV

Sive:
HIC QUIESCUNT UGOLINIS PRINCIPIS O’NEILL OSSA



"C’è una chiesa a Roma che molti non conoscono, quella di S. Pietro in Montorio, in una splendida posizione sul Gianicolo. Il luogo è uno dei più belli della città. La chiesa e le strutture conventuali annesse (oggi “Accademia di Spagna”) devono la propria attuale sistemazione alla presenza dei francescani (dal 1472) e all’interessamento dei re di Spagna Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia. Non è un luogo frequentatissimo e non sono tanti quelli che, entrati in Chiesa per una visita, hanno l’idea di andare a spostare la guida rossa che copre parte del pavimento. Se lo facessero troverebbero, di fronte all’altar maggiore, le sepolture di quattro “ribelli” irlandesi: Hugh O'Neill, signore di Tyrone (1540-1616), il figlio Hugh, Ruair O’Donnell, signore di Tyrconnell e suo fratello Cathbarr. Figure storiche di notevole importanza per la storia d’Irlanda...

Il 20 Luglio del 1616, si spegneva a Roma l’ultimo di quegli esuli eccellenti, nella sua lingua natale il suo nome era stato: Aodh Mor O’Neill. Colto e poliglotta, convivevano in lui due distinte figure: il capo della propria gente secondo le consuetudini ancestrali dell’Irlanda gaelica e l’umanista rinascimentale, protettore della cultura e delle arti, secondo un modello che proprio in Italia, il paese che infine lo accolse, aveva visto la sua massima espressione. Sulla lapide che indica il luogo della sua sepoltura sono scolpite le seguenti parole: D.O.M. Hic Quiescunt Ugonis Principis O’Neill Ossa."

giovedì, ottobre 26, 2006

In Nome del PAPA (MARCO)Rè

Ovvero: Le profezie di suor Lucia Dandini



Il Sommo Pontefice "ccioiosamente" regnante la sera del 9 ottobre 2006 in Vaticano ha assistito mitemente ad una versione purgata ed emendata della fiction della Rai sulla vita del Suo predecessore Albino Luciani di santa memoria.
Giovanni Paolo I "Il sorriso di Dio" per la regia di Giorgio Capitani ha avuto per protagonista l'attore comico ed imitatore Neri Marcorè .

L'ennesima fiction religiosa sulla vita dei papi buoni del Novecento è poi andata in onda su Raiuno lunedì 23 e martedì 24 ottobre 2006. E visti i grandissimi ascolti ottenuti dalla fiction su Papa Luciani (10.240.000 e il 37,83% di share), il diretto di Raiuno Fabrizio Del Noce annunzia nobis di avere già chiesto a Raifiction di attivare la realizzazione di una nuova mini serie-evento dedicata a un grande recente pontificato: quello di Paolo VI.
Povero papa Montini!

All'eminentissimo Cardinal Tarcisio Bertone, segretario di Stato di Sua Santità Benedetto XVI, però, la visione nell'ennesimo papa buono -sempre quello morto!- è parsa indigesta soprattutto per l'eccessivo e stucchevole e manierato continuo riferimento al terzo segreto di Fatima, tema di cui l'Eminentissimo -quand'era Eccellentissimo- se ne occupò molto e approfonditamente .
Difatti, nell'intervista prontamente rilasciata a Gianni Cardinale apparsa sull'Avvenire del 26 ottobre, il cardinal Bertone ha praticamente demolito il principio e fondamento su cui ruota il melodramma ecclesiastico della trama del film tv: la predizione del pontificato,e di un un breve pontificato (!), che sarebbe stata fatta al cardinal Luciani da suor Lucia Dos Santos nel 1977.

"...Eminenza, qual è il suo giudizio sulla fiction?

Innanzitutto voglio ricordare che il Santo Padre vedendo in anteprima una versione, a dir il vero ridotta, della fiction l'ha giudicato un "bel film", "un interessante lungometraggio" e ha voluto dedicare una "menzione speciale" all'interprete principale. Indubbiamente poi è un fatto positivo che tanta gente si sia messa davanti allo schermo per vedersi raccontata la storia di Albino Luciani. Questo significa che nel popolo italiano c'è molto interesse per le vicende che riguardano la storia religiosa, compresa la vita della Chiesa e dei Papi.

Anche quando sono stati sul soglio di Pietro per solo trentatré giorni…

In effetti questo è veramente straordinario, un pontificato così breve eppure rimasto così impresso nel cuore dei fedeli, praticanti e no, in Italia ma anche fuori della Penisola. E questo perché, come ha ricordato sempre Benedetto XVI alla presentazione della fiction, Papa Luciani è stato una "figura dolce e mite… forte nella fede, fermo nei principi, ma sempre disponibile all'accoglienza e al sorriso", è stato "fedele alla tradizione e aperto al rinnovamento", è stato un "maestro di carità e catecheta appassionato". Particolarmente felice poi nella fiction è l'aspetto riguardante la grande devozione che Luciani nutriva verso la Beata Vergine Maria. E che lo stesso Papa Benedetto XVI ha ricordato citando questa bella frase di Luciani del periodo in cui era patriarca di Venezia: "È impossibile concepire la nostra vita, la vita della Chiesa, senza il Rosario, le feste mariane, i santuari mariani e le immagini della Madonna".

Tutto positivo quindi…

Non proprio.
Anzitutto mi sembra che nella fiction in questione non sia stato messo bene in evidenza il fatto che Papa Luciani pur essendo dolce e mite era anche "forte nella fede", "fermo nei principi" e "fedele alla tradizione". Per questo mi è sembrato sovrabbondante il tempo dedicato a sue presunte aperture su delicate questioni di morale sessuale che comunque sarebbero da datare prima dell'enciclica Humanae Vitae che lui, a quanto mi risulta, appoggiò senza riserve. A questo proposito poi già altri hanno ricordato che il patriarca Luciani sciolse la Fuci veneziana perché si era mostrata favorevole al sì al referendum sul divorzio del 1974, contravvenendo alle indicazioni autoritative della Curia. L'episodio invece non è presente nella fiction.

Tutta la trama della fiction è giocata sull'incontro - a Coimbra - tra Luciani e suor Lucia, in cui l'ultima delle veggenti di Fatima avrebbe profetizzato al patriarca che sarebbe diventato Papa e che il suo pontificato sarebbe stato brevissimo.

È una tesi vecchia ma priva di fondamento.
Ricordo benissimo che il 9 dicembre 2003 mi recai a Coimbra dove celebrai messa per la comunità di Carmelitane, ed ebbi modo di parlare alcune ore con suor Lucia. In quella occasione esaminai con lei i rapporti avuti con Giovanni Paolo I.
L'ho già detto e lo ripeto: suor Lucia, facendomi vedere la panca dove erano seduti e si era svolta la lunga conversazione, mi disse che da parte sua non c'era stata alcuna previsione o preveggenza riguardo ad Albino Luciani. Solo, dopo la partenza del Patriarca, in comunità aveva esclamato: "Se diventasse Papa, non mi dispiacerebbe". D'altra parte anche in una relazione scritta dallo stesso Luciani su quell'incontro non viene fatto alcun cenno a profezie di questo genere.

La seconda puntata della fiction ha raccontato il Conclave che elesse Luciani e i trentatré giorni del pontificato. Che impressioni ne ha avuto?

Paradossalmente la parte forse più fedele della fiction alla pubblicistica sulla figura di Luciani è proprio quella del Conclave. Solo che in questo caso è la stessa pubblicistica a traballare in sé, visto che su quel Conclave notizie certe e documentate non ci sono né ci potrebbero essere.

E la parte dedicata al pontificato?

Capisco che in ogni buon film alla figura del buono si debba sempre contrapporre quella del cattivo o dei cattivi. Ricordo che nella fiction dedicata a Giovanni XXIII questo ruolo ingrato - e non corrispondente alla verità! - era toccato al cardinale Alfredo Ottaviani. E purtroppo anche questa fiction non è sfuggita a tale legge non scritta. E così tra i cattivi abbiamo ritrovato l'immancabile arcivescovo Paul Marcinkus, vari cardinali e un po' tutta la Curia.
Personalmente mi ha colpito il ritratto negativo - e ingiusto!- che è stato fatto del Segretario di Stato dell'epoca, il cardinal Jean Villot, e del mio grande predecessore a Genova, il cardinale Giuseppe Siri. Raccontare la Curia romana all'epoca di Papa Luciani come una congrega di ecclesiastici che non avrebbero avuto null'altro da fare che mettere i bastoni tra le ruote al nuovo Papa mi è sembrato ingiusto nei confronti della Curia, della Chiesa cattolica tutta e anche dello stesso Papa Luciani.

Dulcis in fundo l'inquadratura della tazzina di caffè quasi ad adombrare il sospetto che lì si celasse il segreto della morte prematura del Papa.

Questa francamente mi è sembrata una caduta di stile, che, pur nella libertà di espressione artistica che è e deve essere garantita a tutti, ci poteva essere risparmiata. Lanciare una allusione così pesante, quasi fosse un obbligo di cronaca farlo, mi è sembrato sgradevole. Anche perché non c'è alcun elemento serio e certo che potrebbe portare a quel tipo di conclusione..."


mercoledì, ottobre 25, 2006

Historia Ecclesiastica Anglorum II


Il multiculturalismo che regna nel Regno Unito e la pluralità di religioni che debbono convivere in un contesto democratico sta pian piano facendo emergere nella mente degli inglesi l'idea che in quella che storicamente era e che è la loro religione "di Stato" vi sia un "peccato originale" che nel XXI secolo dovrebbe solo provocare orrore e raccapriccio ad ogni persona sana di mente: La Chiesa Anglicana è stata creata allo scopo di servire il potere politico e non ad Iddio ma al potere mondano è totalmente e devotamente asservita!
Non dovrà sembrare strano, quindi, che la prima cosa che fece Enrico VIII dopo essersi proclamato capo della Chiesa d'Inghilterra, fu il dar ordine di profanare, bruciare e disperdere quel che rimaneva delle ceneri di San Tomas Beket: quell'arcivescovo di Canterbury che, essendo a capo della Chiesa d'Inghilterra, si oppose al proprio re per salvaguardare l'indipendenza della Chiesa dal re e la libertà di obbedire al Papa di Roma.


Il Sunday Time ha rivolto agli inglesi una domanda "illuminista" (come dice William Ward in un articolo sul Foglio di martedì 24 Ottobre 2006):
"E' arrivato il momento che il Regno Unito separi Dio dallo stato? E che diventi, come gli Stati Uniti e la Francia, un paese veramente laico?

Il “pasticcio” – come lo definisce il Sunday Times – sta nelle istituzioni inglesi: c’è un capo di stato, la regina, che è anche capo della chiesa d’Inghilterra, c’è un Parlamento che apre le proprie sedute con una preghiera, c’è la Camera dei Lord, l’unica al mondo, dove 26 vescovi hanno pieno diritto di voto, e c’è un primo ministro che indica alla sovrana i chierici da promuovere.
Un’anomalia accentuata da una radicata tradizione nel sistema scolastico, composto per un terzo da scuole religiose integrate nel sistema pubblico. Un’anomalia che è all’origine di un paradosso: il Regno Unito è uno dei paesi meno religiosi al mondo, dove – nonostante il 72 per cento degli abitanti si dichiari “cristiano” – meno dell’8 per cento della popolazione si reca regolarmente in chiesa.
Come si spiega questa contraddizione?
Gli inglesi sanno che la qualità delle scuole confessionali è più alta di quella registrata nelle scuole pubbliche e sono pronti – scrive il Times – a dichiararsi devoti cristiani pur di offrire ai propri figli un’istruzione di alto livello.

Pragmatismo, tradizione e consuetudini hanno sorretto un sistema finora efficiente. Ora però, nella multiculturale Inghilterra, a proliferare sono anche le scuole islamiche: sette sono nate grazie all’aiuto del Labour e altre 150 sono a caccia di fondi pubblici e chiedono gli stessi privilegi e diritti oggi attribuiti alla stragrande maggioranza delle scuole della chiesa d’Inghilterra. Sono pronti i cittadini inglesi a finanziare con le proprie tasse scuole che i loro figli non potranno mai frequentare e in cui potrebbero crescere e studiare attentatori come quelli del 7 luglio? Non si rischia di trasformare la Gran Bretagna di oggi nell’Irlanda del nord di ieri, dove dalla segregazione nacque la violenza?


Al quesito su una più netta separazione fra fede e stato hanno risposto al Sunday Times alcuni autorevoli esponenti dell’intellighenzia britannica.

Richard Dawkins, darwinista, nel suo “The God Delusion”, divenuto un bestseller, ha lanciato “un attacco a Dio in ogni sua forma” e chiede che la religione non scompaia solo dallo stato ma dall’intera società.
Terry Sanderson, vicepresidente della National Secular Society, aggiunge: “Dobbiamo rendere laiche tutte le istituzioni. Ci vorranno probabilmente intere generazioni, ma dobbiamo fare in modo che diventi difficile che qualsiasi religione conquisti potere”.

Christopher Hitchens, inglese trapiantato negli Usa, che pubblicherà in primavera un libro su questo tema dice al Sunday Times: “Il rapporto fra religione e politica sarà la grande questione per il resto della nostra vita”. Il modello da seguire?
“Quello americano è l’ideale. Perché gli Stati Uniti non sono un paese così religioso come molti pensano. Il rifiuto dello stato di mischiarsi con la religione spinge le religioni stesse a essere più attive, ecco perché assistiamo a volte a un evangelismo aggressivo.
Non sono pigri come in Europa”. Dopo trecento anni, insomma, i rapporti con le comunità musulmane costringono gli inglesi a riaprire il dibattito fra fede e stato.


Come nella pubblicità di una utilitaria “che si crede invece una grande berlina firmata”, la chiesa anglicana, nata in seguito alla diatriba dinastico-strategica fra Enrico VIII e il Vaticano nel Cinquecento, si crede una chiesa alternativa e più evoluta rispetto a quella romana. Ne ha conservato per intero la struttura episcopale e i precetti – i 39 articoli della fondazione sono quasi tutti compatibili con santa romana chiesa – anche se da sempre ha avuto la presunzione di presentarsi come una versione migliore di quella “papista” romana.
L’unica grande differenza è il ruolo riconosciuto al sovrano come capo della chiesa e “difensor fides”, titolo dispensato dal Papa romano all’antenato Enrico VIII prima dello scisma, e tuttora presente nella iconografia reale, e riconoscibile nella sigla “DG” [Gratia Dei] sulla moneta britannica, in seguito al nome della regina Elisabetta. Ed è proprio questa connessione che il Sunday Times ha provato a mettere in discussione in un lungo reportage, ipotizzando che forse è arrivato il momento di laicizzare l’Inghilterra.

Abituata com’è alle tante correnti interne, la proposta non è tra le più sconvolgenti.
La pace interna della chiesa nazionale “eretica” è stata garantita con la creazione di scuole di pensiero diverse, spesso ostili fra di loro, per costituire una realtà variegata. Tanto che spesso si stenta a credere che due parrocchie limitrofe siano della stessa confessione, visto che di “disciplina” non si può parlare.

Ma che ne sarebbe della chiesa se fosse separata dalla regina?

La “High Church” degli anglocattolici (dove spesso addirittura il Pontefice viene nominato insieme con la rivale “usurpatrice” Elisabetta durante le preghiere) è sostanzialmente contraria all’ordinazione del clero femminile (e soprattutto a quella imminente delle “vescovesse”), mentre inarca le sopracciglia durante le diatribe da parte degli esponenti della “Low Church” (evangelici, più vicini alle altre sette protestanti come i metodisti e i battisti, oggi più vicini alla “religious right” americana) sull’ordinazione di un clero apertamente omosessuale.
Oggi, come negli Stati Uniti, è il boom degli evangelici a caratterizzare lo sviluppo della chiesa anglicana, di cui è tipico il successo straordinario dell’“Alpha Course”, un sistema di reclutamento dei non credenti attraverso seminari molto ben strutturati, sul modello delle business school: non a sorpresa, il leader dell’Alpha Course, il Rev. Nicky Gumbel, è un ex manager di famiglia patrizia. Non a caso, rimane la parte della chiesa in maggiore crescita, e ha visto (a sorpresa) la “secolarizzata” capitale “tornare a Dio” in modo assai più spettacolare rispetto alla provincia o alle periferie.

In passato (fino almeno agli anni Sessanta) esisteva un certo pregiudizio sociale che voleva i metodisti, i battisti e i presbiteriani sempre piccolo borghesi, e i cattolici o proletari irlandesi o vecchi aristocratici in via di estinzione, e la buona e l’alta borghesia anglicanissime (il concetto coniato negli anni Cinquanta di “establishment” era per eccellenza di fede anglicana). Ma oggi la vecchia alta borghesia dei grandi college (come lo stesso Gumbel, rampollo di Eton) e quella nuova di creazione thatcheriana tendono a essere “evangelical-charismatic”, molto attive in chiesa la domenica quanto nella City durante la settimana.

La “Broad church” nel mezzo, che evita sia gli “smells and bells” (incenso e campanella) sia le fastidiose emanazioni di melenso zelo evangelico degli “happy clappy” (sarcastica definizione di chi suona la chitarra, sorridendo, durante la funzione, mentre i fedeli battono il ritmo con le mani) rimane maggioritaria nel paese, e soprattutto nelle vaste parrocchie della campagna inglese.

Voce tranquilla e saggia della maggioranza silenziosa, trova nella (peraltro devotissima) sovrana e nelle sue semplici e poco ostentate devozioni un punto di riferimento consolatorio e quasi immutabile.
Se la “papessa” Elisabetta ha problemi teologici con le donne (o gli omosessuali) nel clero, non lo dice mai: lascia tutto alle delibere, spesso concitate, del Sinodo della “sua” chiesa, diviso com’è in tre parti fra la gerarchia vescovile, il clero semplice e i semplici fedeli. I quali discutono del “disestablishment” della chiesa anglicana dalla corona da oltre un secolo, senza mai venirne a capo. Ma cavarsela alla giornata è sempre stata la caratteristica principale degli anglicani, cattolici “light” che si credono il migliore di tutti i mondi spirituali."

mercoledì, ottobre 18, 2006

Rosso Permissivo

Ovvero: "Il tuo è un rosso relativo"



Quando quel genio italico di Tiziano Ferro ad uno dei suoi innumerevoli lieti cantici appose il titolo " Rosso Relativo", io -lo confesso!- reagii con superficialità e indifferenza, trovandolo -nella mia inadeguatezza all'evo moderno- un non sens che solo con un eccesso di benevolenza poteva -e con fatica- essere giustificato dalla figura retorica della Sinestesia.
Il "rosso relativo" in questione (relativo a cosa!?)era la passione amorosa mutevole e fuggevole da vivere all'insegna del "carpe diem" poichè "del diman non v'è certezza".
Mai avrei immaginato che anche nelle metropolitane di Roma si aggirassero persone con recondite velleità poetiche simboliste, per i quali un semaforo rosso non è simbolo e segno e segnale di stop!
No: non è un divieto di transito o se si vuole l'ordine di non muoversi aspettando pazientemente "il verde" cioè quel segnale luminoso che per una convenzione non arbitraria ma fissata addiritura da appositi codici legislativi permette di procedere!

Si, nelle buie gallerie della Metro A di Roma esiste, vive, vegeta e si riproduce (e disgraziatamente qualche volta muore!) il "Rosso Permissivo": ovvero quella particolare tonalità di rosso che -pur apparendo ai profani lo stesso e medesimo segnale di rosso che indica "stop"- per i macchinisti che sfrecciano nelle viscere dell'Urbe è un rosso molto "relativo" che talvolta può essere interpretato qual segno di stop, ma può anche, alla bisogna, significare "Adelante con juicio"; ma anche, come nel caso del treno che alle 9:37 del 17 ottobre 2006 ha investito un altro treno fermo nella stazione di Vittorio Emanuele, un procedere confidando fideisticamente nelle "magnifiche sorti e progressive" di un convoglio metropolitano di ultima generazione che in caso di pericolo, disubbidendo all'ordine del macchinista, avrebbe dovuto bloccarsi da solo (e magari salire la scala mobile, cercare la più vicina cabina telefonica e chiamare il 113).

lunedì, ottobre 16, 2006

In Festo Diva Theresia


La sera di domenica 15 ottobre a Pedara, un piccolo paese in provincia di Catania, un uomo andando a buttare la spazzatura ha sentito un vagito provenire dai pressi del cassonetto: trattavasi, difatti, di una neonata avvolta in una busta di plastica.

Il passante ha aperto la busta di plastica che si trovava per terra, al cui interno c’era ancora anche parte del cordone ombelicale brobabilmente reciso con una lama.
Chiamato prontamente il 112 la bambina è stata soccorsa dai carabinieri della compagnia di Acireale che l'hanno portata all’ospedale Cannizzaro di Catania dove è stata ricoverata nel reparto di Neonatologia.
La bambina è di carnagione chiara, ha occhi e capelli scuri e sembra essere nata poche ore prima del suo ritrovamento. I medici le hanno diagnosticato una vasta ipotermia, ma le sue condizioni generali erano buone.

I carabinieri che l'hanno soccorsa e il personale medico hanno scelto per la piccola il bel nome di Teresa, essendo nata nel giorno della festa liturgica di Santa Teresa d'Avila.
«L’abbiamo chiamata così - spiegano all’ospedale - perchè Santa Teresa l’ha protetta facendola sopravvivere in condizioni igieniche proibitive e climatiche ben difficili».

Magnifichiamo -pertanto- cotale miracolo della Santa madre riformatrice dell'Ordine Carmelitano che ha salvato la neonata dalla nefasta avversità, non consentendo che nel giorno sacro alla di Lei lieta memoria, una cratura nata in quel santo giorno avesse la disgrazia di avere una madre che le dasse nome ispirandosi alle Soap Opera.

domenica, ottobre 15, 2006

Fortezza d'Europa



Ovvero: "Lettere dalla Turchia"

"Si dice e si scrive spesso che nel Corano i cristiani sono ritenuti i migliori amici dei musulmani, di essi si elogia la mitezza, la misericordia, l’umiltà, anche per essi è possibile il paradiso. È vero. Ma è altrettanto vero il contrario: si invita a non prenderli assolutamente per amici, si dice che la loro fede è piena di ignoranza e di falsità, che occorre combatterli e imporre loro un tributo… Cristiani ed ebrei sono ritenuti credenti e cittadini di seconda categoria.
Perché dico questo?
Perché credo che mentre sia giusto e doveroso che ci si rallegri dei buoni pensieri, delle buone intenzioni, dei buoni comportamenti e dei passi in avanti, ci si deve altrettanto convincere che nel cuore dell’Islam e nel cuore degli stati e delle nazioni dove abitano prevalentemente musulmani debba essere realizzato un pieno rispetto, un a piena stima, una piena parità di cittadinanza e di coscienza. Dialogo e convivenza non è quando si è d’accordo con le idee e le scelte altrui (questo non è chiesto a nessun musulmano, a nessun cristiano, a nessun uomo) ma quando gli si lascia posto accanto alle proprie e quando ci si scambia come dono il proprio patrimonio spirituale, quando a ognuno è dato di poterlo esprimere, testimoniare e immettere nella vita pubblica oltre che privata.
Il cammino da fare è lungo e non facile.
Due errori credo siano da evitare: pensare che non sia possibile la convivenza tra uomini di religione diversa oppure credere che sia possibile solo sottovalutando o accantonando i reali problemi, lasciando da parte i punti su cui lo stridore è maggiore, riguardino essi la vita pubblica o privata, le libertà individuali o quelle comunitarie, la coscienza singola o l’assetto giuridico degli Stati."

Dall'ultima lettera di Don Andrea Santoro

martedì, ottobre 10, 2006

ONOMASTICO [virtuale]


Quando Ci proposero l’apertura di un weblog ,
dovendolo Noi battezzare (ciò s’addice al veritiero padre!), vollimo scegliere di porre questo blog sotto la propiziatrice nomèa di quel Santo Duca, Nostro omonimo, che sempre fu, nella Nostra mente, una delle più eloquenti personalità del “Siglo de oro”.

ParveCi quasi arguto motto che avesse la possanza di catturare i rari viatori tra le fila mediatiche del Nostro aracnide parto, oltrechè palesare la Nostra ironia carezzevole a guisa di cilicio, e auspicando che cotale venerata nomea fosse opportuno ammanto e protezione alle Nostre invettive poco acconce alla sensibilità del secolo.


Cogliamo l’occasione della gloriosa memoria del sullodato patrocinio per porgere fervidi voti a coloro che si degnano benevolmente si abbassare il loro terso sguardo al Nostro inutile blog.

E vieppiù facciamo voti augurali di ogni bene spirituale e temporale a coloro che hanno decretato la 'damnatio memoriae' del nostro link dalle fastose teorie dei dalle Loro Signorie blog preferiti.

In fede (speranza e scarsa carità)
l'umillimo Francisco de Borja

mercoledì, ottobre 04, 2006

about a boy /14

Dalla "antica" Roma per cinque gioni mi recherò presso la "Nuova Roma" affacciata sul Corno d'Oro.
Ammirerò le vestigia della "Grande Chiesa" e della "Sublime Porta".
E spero d'esser degno d'accostarmi piamente al Trono Ecumenico.