giovedì, novembre 30, 2006

about a boy /16

I miei primi passi (dei miei primi piedi) in una moschea li ho mossi a Istanbul sui tappeti della maestosa "Sultanhamet".

Sive ergo Græci… III



Dall'allocuzione di Papa Benedetto XVI al Patriarca Ecumenico Bartolomeo I: «Questa Divina Liturgia celebrata nella festa di sant'Andrea Apostolo, santo Patrono della Chiesa di Costantinopoli, ci porta indietro alla Chiesa primitiva, all'epoca degli Apostoli.
I Vangeli di Marco e di Matteo riferiscono su come Gesù chiamò i due fratelli, Simone, a cui Gesù attribuì il nome di Cefa o Pietro, e Andrea: "Seguitemi, vi farò pescatori di uomini" (Mt 4,19; Mc 1,17). Il quarto Vangelo, inoltre, presenta Andrea come il primo chiamato, "ho protoklitos", come egli è conosciuto nella tradizione bizantina. È Andrea che porta da Gesù il proprio fratello Simone (cfr Gv 1, 40 ss).

Oggi, in questa Chiesa Patriarcale di san Giorgio, siamo in grado di sperimentare ancora una volta la comunione e la chiamata dei due fratelli, Simon Pietro e Andrea, nell'incontro fra il Successore di Pietro e il suo Fratello nel ministero episcopale, il capo di questa Chiesa, fondata secondo la tradizione dall'apostolo Andrea. Il nostro incontro fraterno sottolinea la relazione speciale che unisce le Chiese di Roma e di Costantinopoli quali Chiese Sorelle.»


«la mia presenza qui oggi è destinata a rinnovare il comune impegno per proseguire sulla strada verso il ristabilimento – con la grazia di Dio – della piena comunione fra la Chiesa di Roma e la Chiesa di Costantinopoli. Posso assicurarvi che la Chiesa Cattolica è pronta a fare tutto il possibile per superare gli ostacoli e per ricercare, insieme con i nostri fratelli e sorelle ortodossi, mezzi sempre più efficaci di collaborazione pastorale a tale scopo.

I due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea, erano dei pescatori che Gesù chiamò a diventare pescatori di uomini. Il Signore Risorto, prima della sua Ascensione, li inviò insieme agli altri Apostoli con la missione di fare discepole tutte le nazioni, battezzandole e proclamando i suoi insegnamenti (cfr Mt 28,19 ss; Lc 24,47; At 1,8).

Questo incarico lasciatoci dai santi fratelli Pietro e Paolo è lungi dall'essere compiuto. Al contrario, oggi esso è ancora più urgente e necessario. Esso infatti riguarda non soltanto le culture toccate marginalmente dal messaggio del Vangelo, ma anche le culture europee da lunga data profondamente radicate nella tradizione cristiana. Il processo di secolarizzazione ha indebolita la tenuta di quella tradizione; essa anzi è posta in questione e persino rigettata. Di fronte a questa realtà, siamo chiamati, insieme con tutte le altre comunità cristiane, a rinnovare la consapevolezza dell'Europa circa le proprie radici, tradizioni e valori cristiani, ridando loro nuova vitalità.

I nostri sforzi per edificare legami più stretti fra la Chiesa Cattolica e le Chiese Ortodosse sono parte di questo compito missionario. Le divisioni esistenti fra i cristiani sono uno scandalo per il mondo ed un ostacolo per la proclamazione del Vangelo.»


«Simon Pietro e Andrea furono chiamati insieme a diventare pescatori di uomini. Ma lo stesso impegno prese forme differenti per ciascuno dei due fratelli.

Simone, nonostante la sua personale fragilità, fu chiamato "Pietro", la "roccia" sulla quale sarebbe stata edificata la Chiesa; a lui in maniera particolare furono affidate le chiavi del Regno dei Cieli (cfr Mt 16,18).
Il suo itinerario lo avrebbe condotto da Gerusalemme ad Antiochia, e da Antiochia a Roma, così che in quella città egli potesse esercitare una responsabilità universale. Il tema del servizio universale di Pietro e dei suoi Successori ha sfortunatamente dato origine alle nostre differenze di opinione, che speriamo di superare, grazie anche al dialogo teologico, ripreso di recente.

Il mio venerato predecessore, il Servo di Dio Papa Giovanni Paolo II, parlò della misericordia che caratterizza il servizio all'unità di Pietro, una misericordia che Pietro stesso sperimentò per primo (Enciclica Ut unum sint, 91). Su questa base il Papa Giovanni Paolo fece l'invito ad entrare in dialogo fraterno, con lo scopo di identificare vie nelle quali il ministero petrino potrebbe essere oggi esercitato, pur rispettandone la natura e l'essenza, così da "realizzare un servizio di amore riconosciuto dagli uni e dagli altri" (ibid., 95). È mio desiderio oggi richiamare e rinnovare tale invito.

Andrea, il fratello di Simon Pietro, ricevette un altro incarico dal Signore, un incarico che il suo stesso nome suggeriva. Essendo in grado di parlare greco, divenne – insieme a Filippo – l'Apostolo dell'incontro con i Greci venuti da Gesù (cfr Gv 12,20 ss). La tradizione ci racconta che fu missionario non soltanto nell'Asia Minore e nei territori a sud del Mar Nero, cioè in questa stessa regione, ma anche in Grecia, dove patì il martirio.

Pertanto, l'apostolo Andrea rappresenta l'incontro fra la cristianità primitiva e la cultura greca. Questo incontro, particolarmente nell'Asia Minore, divenne possibile grazie specialmente ai grandi Padri della Cappadocia, che arricchirono la liturgia, la teologia e la spiritualità sia delle Chiese Orientali sia di quelle Occidentali. Il messaggio cristiano, come il chicco di grano (cfr Gv 12,24), è caduto su questa terra e ha portato molto frutto. Dobbiamo essere profondamente grati per l'eredità che è derivata dal fruttuoso incontro fra il messaggio cristiano e la cultura ellenica. Ciò ha avuto un impatto duraturo sulle Chiese dell'Oriente e dell'Occidente. I Padri Greci ci hanno lasciato un prezioso tesoro dal quale la Chiesa continua ad attingere ricchezze antiche e nuove (cfr Mt 13,52).

La lezione del chicco di grano che muore per portare frutto ha pure un riscontro nella vita di sant'Andrea. La tradizione ci racconta che egli seguì il destino del suo Signore e Maestro, finendo i propri giorni a Patrasso, in Grecia. Come Pietro, egli subì il martirio su una croce, quella diagonale che veneriamo oggi come la croce di sant'Andrea. Dal suo esempio apprendiamo che il cammino di ogni singolo cristiano, come quello della Chiesa tutta intera, porta a vita nuova, alla vita eterna, attraverso l'imitazione di Cristo e l'esperienza della croce.»


«La Divina Liturgia alla quale abbiamo partecipato è stata celebrata secondo il rito di san Giovanni Crisostomo. La croce e la risurrezione di Gesù Cristo sono state rese misticamente presenti. Per noi cristiani questo è sorgente e segno di una speranza costantemente rinnovata. Troviamo tale speranza magnificamente espressa nell'antico testo conosciuto come Passione di sant'Andrea: "Ti saluto, o Croce, consacrata dal Corpo di Cristo e adorna delle sue membra come di pietre preziose... Che i fedeli conoscano la tua gioia, e i doni che in te sono conservati...".

Questa fede nella morte redentrice di Gesù sulla croce e questa speranza che Cristo risorto offre all'intera famiglia umana, sono da noi tutti condivise, Ortodossi e Cattolici.
Che la nostra preghiera ed attività quotidiane siano ispirate dal fervente desiderio non soltanto di essere presenti alla Divina Liturgia, ma di essere in grado di celebrarla insieme, per prendere parte all'unica mensa del Signore, condividendo il medesimo pane e lo stesso calice. Che il nostro incontro odierno serva come spinta e gioiosa anticipazione del dono della piena comunione.
E che lo Spirito di Dio ci accompagni nel nostro cammino!»

mercoledì, novembre 29, 2006

About a boy /15

Ovvero: la via ecumenica



Dopo aver visitato il museo di San Salvatore in Chora, ho guardato la cartina che indicava la presenza nelle vicinanze della Chiesa Patriarcale di san Giorgio, mi son fatto, quindi, coraggio e ho cominciato a scendere verso il Fanar (o Fener come dicono i turchi).
Per me era inconcepibile andare ad Istanbul senza potermi accostare al "Trono Ecumenico". Un pò come andare a Roma e non visitare la basilica di San Pietro.
Avrei fatto, comunque, meglio a chiamare un taxi, che facesse un lunghissimo giro e che mi portasse sulla dritta e piana strada a doppia corsia che costeggia il Corno d'Oro. Invece tra una ripida discesa e un'altrettanta ripida salita, mi sono accorto che la mappa era assolutamente inutile per orientarsi tra le strette, tortuose viuzze e le vecchie case di legno spesso in rovina alla ricerca della sede del secondo vescovo per importanza di tutto il mondo cristiano.

L'ecumenismo è un cammino faticoso, ho spesso sentito ripetere, e la mia personale fatica era il prendere coscienza che il cosiddetto "piccolo Vaticano" era circondato da un quartiere molto popolare della Istanbul islamica; invisibile ai più, circondato da un quartiere privo di qualunque attrattiva turistica. Ma quello che mi è balzato subito alla mente è stata la considerazione di quanto doveva essere periferico quel quartiere quando nel XVI secolo i sultani vi confinarono il Patriarca di Costantinopoli presso un palazzetto di legno accanto ad una cattedrale lillipuziana.


Dictatus Papae

Ovvero: Solo al Romano Pontefice debbono essere rivolte le più violente critiche quando cita uno scrittore medievale.



«Come esempio del rispetto fraterno con cui cristiani e musulmani possono operare insieme, mi piace citare alcune parole indirizzate da Papa Gregorio VII, nell’anno 1076, ad un principe musulmano del Nord Africa, che aveva agito con grande benevolenza verso i cristiani posti sotto la sua giurisdizione.

Papa Gregorio VII parlò della speciale carità che cristiani e musulmani si devono reciprocamente, poiché “noi crediamo e confessiamo un solo Dio, anche se in modo diverso, ogni giorno lo lodiamo e veneriamo come Creatore dei secoli e governatore di questo mondo(Patrologia Latina 148, 451)
Benedetto XVI

martedì, novembre 28, 2006

eleison himàs!


PREGHIERA

San Paolo di Tarso (cosiddetta Tarzis),
san Nicola di Bari (vescovo di Mira cosiddetta Demre),
san Basilio Magno (vescovo di Cesarea cosiddetta Kayseri),
san Giovanni Crisostomo (Patriarca di Costantinopoli cosiddetta Istanbul),
san Gregorio di Nazianzo (cosiddetta Guzelyurt),
sant’Apollinare di Ravenna (da Antiochia cosiddetta Antakya),
santa Barbara (da Nicomedia cosiddetta Izmit),
santa Giuliana di Nicomedia (idem),
san Biagio martire a Sebaste (cosiddetta Sivas),
san Calogero da Calcedonia (cosiddetta Kadikoy),
santi Cosma e Damiano (martiri ad Antiochia),
sant’Eufemia (martire a Calcedonia),
san Gregorio di Nissa (cosiddetta Nysa),
sant’Ignazio di Antiochia,
san Policarpo vescovo e martire a Smirne (cosiddetta Izmir),
ci eravamo dimenticati ma adesso siamo tornati.

(Camillo Langone ; Il Foglio, martedì 28 novembre 2006)

domenica, novembre 26, 2006

Fortezza d'Europa /3

Ovvero: Come "la basilissa" Silvia Ronkey spiegava ai figli della stirpe latina quanto Bisanzio in realtà sia sempre stata romana.
(Il Foglio; sabato 25 novembre 2006)
“In ‘Fuga da Bisanzio’, Josif Brodskji scriveva che ci sono luoghi nei quali i grandi eventi storici sono inevitabili come gli incidenti automobilistici. Uno di quei luoghi oggi si chiama Istanbul, dopo che è stato Costantinopoli e poi Bisanzio”.

Punto concreto e simbolico di incontro e scontro tra oriente e occidente, lì dove è atteso, per una visita complicata da forti preoccupazioni oltre che circondata da grandi aspettative, Papa Benedetto XVI.
A ricordare la definizione del poeta russo è Silvia Ronchey, studiosa di civiltà bizantina e recente autrice di un libro (“L’enigma di Piero”, Rizzoli) che racconta, attraverso la storia della decifrazione della Flagellazione di Piero della Francesca, come Bisanzio abbia regalato all’Europa il Rinascimento.

Al Foglio, Silvia Ronchey dice che “quell’istmo sul Bosforo, tra Asia ed Europa, è sempre stato fondamentale, dalla guerra di Troia in poi. Lì è nata la civiltà greca, ed è lì che, da Costantino in poi, prende vita, tra mille turbolenze ma in modo netto, un modello di convivenza tra etnie diverse che sembra così impossibile da realizzare nella nostra epoca. Tutto nasce da quella che, molto impropriamente, è stata chiamata ‘caduta dell’impero romano’. Ma l’impero sopravvive in quanto e lì dove procura e garantisce proprio quel tipo di convivenza, nella quale la sovranazionalità e la multietnicità, la cooptazione dei conquistati e la composizione dei conflitti si esercitano con successo”.

No alla trappola nostalgico-nazionalista

Guardare verso Costantinopoli con occhi “romani” è quindi, secondo la Ronchey, “qualcosa che dovremmo reimparare a fare.
Ciò che abbiamo perso con la caduta di Costantinopoli e dopo, con la rimozione di Bisanzio (basti pensare all’accezione negativa, dura a morire, che ha assunto il termine ‘bizantino’) è questo elemento romano. Che dovrebbe invece essere la bussola per orientarci ogni volta che parliamo di Europa.

Penso alla formidabile alleanza, evocata anche da Papa Ratzinger nel suo discorso di Ratisbona, tra filosofia greca e tradizione giuridica e politico-amministrativa romana. Questa alleanza è ciò che chiamiamo la nostra civiltà”. E quello che non tutti hanno chiaro, è che “il diritto romano ha continuato a vivere anche nella Turchia islamica. C’è una storia comune che non possiamo negare, che deve essere un punto di forza.
Quel luogo torna oggi a essere cruciale perché è il punto o di cesura oppure di mediazione nel cosiddetto ‘scontro di civiltà’ tra oriente islamico e occidente cristiano. E’ lì che per millenni è continuato a esistere l’impero romano, che non cade nel 476 in occidente, e nemmeno, se vogliamo, nel 1453, con la conquista turca di Costantinopoli.

La tradizione si biforca e prosegue pressoché inalterata in altri due imperi che cadono davvero, invece, uno all’inizio del Novecento (l’impero ottomano), e l’altro alla fine (l’impero ex russo ex zarista e poi sovietico). Imperi multietnici, dove la sopravvivenza della cultura romano-bizantina è apertamente portata avanti”.
Un esempio: “Sappiamo come i sultani, soprattutto all’apice dell’impero ottomano,nel XVI e nel XVII secolo, abbiano non soltanto applicato il diritto, ma mutuato con grande rispetto e precisione le strutture amministrative e fiscali dell’impero bizantino, a loro volta eredi di quelle romane.
Lo stesso vale per il mondo russo. Ivan il terribile fa discendere il proprio potere da quello dei Cesari. Una volta cadute queste due ramificazioni, emerge con forza un problema di convivenza. Tutte le zone geopoliticamente più turbolente, dove oggi si manifesta il conflitto, sono quelle dove la composizione dei conflitti tra etnie era sorvegliata e contenuta, magari anche in forma dispotica, da questa ‘romanità’. Balcani, Caucaso, Mar Nero, la stessa Mesopotamia”.


Continua dunque a interrogarci “l’eredità bizantina, ora più che mai, una volta esaurite completamente le sue propaggini e ora che la mediazione non c’è più”. Fortunatamente, verrebbe da dire, se si pensa all’impero sovietico, nel quale fu Stalin a “promuovere una grande fioritura di studi bizantini”.

Ma, aggiunge Silvia Ronchey, “non è un caso che il Papa attuale, e prima di lui Papa Wojtyla, coautore della caduta del blocco sovietico, abbiano guardato a Costantinopoli, a Bisanzio. E’ lì che ora i nodi vengono al pettine. Nodi, a un tempo, politici, strategici, sociali ed etnici”. E nodi culturali. E’ in quest’ultima categoria, prosegue Silvia Ronchey, che “possiamo collocare il rapporto tra cattolicesimo e ortodossia.

L’attuale Patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo I, rappresenta l’ecumenismo ortodosso, quindi il fantasma ingombrante della ricomposizione e del controllo imperiale prima richiamati.
Allo stesso tempo, ripropone una realtà fatta di tante chiese autocefale, indipendenti le une dalle altre. Bisanzio e la sua cultura sono state lungamente demonizzate e rimosse, in occidente, perché tipiche di uno stato nel quale il clero è per definizione estromesso dal potere secolare. La naturale conseguenza di tutto questo è stata che la figura del Patriarca non ha mai avuto l’indipendenza del Papa. Frutti di questo tipo di laicità sono stati la passività e la mancanza d’indipendenza del clero”.
E’, in fondo, il modello di laicità della Turchia contemporanea, dove, da Ataturk in poi, gli stessi predicatori islamici sono scelti da un ministro. Ma che laicità è quella nella quale l’espressione religiosa e il culto sono controllati dallo stato?

“Infatti c’è un limite evidente. Ma non dobbiamo pensare che a Bisanzio sia andata sempre così.
Nel 1054, per esempio, quando si consuma lo scisma che ora tocca a Bartolomeo I e a Benedetto XVI affrontare, non si trattò tanto di un problema tra le due chiese, quanto di una prova di forza tra il Patriarca Michele Cerulario e l’imperatore. Il patriarca, grande intellettuale e politico, era desideroso di rivendicare la propria indipendenza, e il mezzo migliore che trovò per farlo fu la scomunica del vescovo di Roma. Ma la soggezione del clero rispetto al potere imperiale non c’è sempre stata, anche se si manifesterà sempre di più con il passare del tempo”.
Oggi, però, il problema è che l’ecumenicità di Bartolomeo “può apparire come un pallido fantasma, anche sul piano simbolico. Nella cittadella del Fanar, assediato da una vera e propria persecuzione da parte dell’attuale stato turco, appare vittima di quella integralizzazione islamica che rappresenta, però, un fenomeno relativamente recente”. Ma a maggior ragione, a giudizio di Silvia Ronchey, “dovremmo sforzarci di non cadere nella trappola nostalgico-nazionalista che guarda a Bisanzio come a quella cosa che l’islam ci ha tolto nel XV secolo.
In quella perdita hanno contato moltissimo gli errori delle potenze occidentali, di Venezia in primo luogo, più ancora di quelli del papato, che invece in quel periodo aveva fortemente chiara la necessità di mantenere il legame e l’interfaccia con l’oriente islamico. Venezia non invia la flotta e Bisanzio non viene salvata.
Cessa così di essere quel preziosissimo strumento attraverso cui l’occidente cristiano parlava, dialogava, comunicava, elaborava strategie, arte, pittura, musica, letteratura, forme di straordinario e fruttuoso sincretismo che in fin dei conti s’intravedono anche nei famosi dialoghi tra il cristiano e il musulmano di Manuele II Paleologo citati da Papa Ratzinger a Ratisbona”.

Se allora venne meno l’osmosi culturale tra oriente e occidente, non si estinse la vocazione imperiale di mediazione tra le etnie, mentre “ora è più forte il bisogno assoluto di ritrovare un’unità.
Nel momento in cui nella contrapposizione tra oriente e occidente si sommano il conflitto etnico, economico, strategico, militare, e anche un problema religioso, diventa vitale recuperare ogni stilla, ogni propaggine di quella bizantinità dimenticata”.



Il Papa si troverà anche a fare i conti, aggiunge Silvia Ronchey, “con un problema interno al mondo ortodosso, che nasce dalle autocefalie e dall’indebolimento progressivo del patriarcato ecumenico.
E’ evidente in Benedetto XVI la volontà di rafforzare la posizione di Bartolomeo I, con due effetti fondamentali. Sul piano tattico, se ci riesce, il papato avrebbe un unico interlocutore e sarebbe più agevole affrontare la ricomposizione dei contrasti dottrinari. Sul piano strategico generale, perché sono convinta che in questo momento sul Bosforo si fa o si disfa la nostra civiltà.
Penso che il viaggio papale avrà successo se, come ha dichiarato lo stesso Pontefice, il suo intento è davvero quello di riaccendere il faro del cristianesimo in quei luoghi e, insieme, di riavviare il meccanismo inceppato della mediazione”.

Un interlocutore privilegiato

C’è poi un aspetto, spiega ancora la bizantinista, che fa “di Benedetto XVI, come persona, come carattere, come ethos, una sorta di interlocutore privilegiato dell’ortodossia. E’ il suo intellettualismo, un lato estetizzante e conservatore che ha manifestato in più occasioni”.
La sua attenzione, per esempio, al recupero della liturgia tradizionale, “è un elemento che lo mette immediatamente in sintonia con il mondo ortodosso. L’ortodossia ‘è’ la sua liturgia.

Rimaniamo commossi e basiti di fronte al misticismo dei riti ortodossi, al loro carico di mistero e di pathos, che appaiono perduti nella funzione cattolica postconciliare. Ratzinger è molto sensibile all’esigenza di riportare il cattolicesimo a questi elementi”.

Il 30 novembre, festa di sant’Andrea, fondatore della chiesa d’oriente, Benedetto XVI e Bartolomeo I si riuniranno in preghiera nella chiesa patriarcale di san Giorgio al Fanar, a Istanbul.

Silvia Ronchey pensa a quando “Pio II, il Papa umanista Enea Silvio Piccolomini, nel 1462 (non erano passati ancora dieci anni dalla conquista ottomana di Bisanzio) attraversò Roma con un corteo mai visto, tra ali di folla commossa e in preghiera, per accogliere le reliquie di sant’Andrea, fratello maggiore di san Pietro, portate in salvo da Tommaso Paleologo, l’erede al trono imperiale che a Roma troverà rifugio e morirà.
La città, piena di fedeli arrivati a decine di migliaia da tutta Europa, partecipò del ricongiungimento simbolico di Pietro e Andrea, del cristianesimo d’occidente e d’oriente.

Nel 2004, Giovanni Paolo II restituì al Patriarca di Costantinopoli, con una solenne cerimonia a San Pietro, le reliquie di due Padri della chiesa, san Gregorio il Teologo e san Giovanni Crisostomo.
Un gesto che ha dato nuovo respiro al dialogo.
Da Benedetto XVI mi aspetto qualcosa di simile, un gesto antico e forte che solo lui saprà fare. Qualcosa che ricordi come la nostra cultura non sia solo romana o greca, ma anche orientale. Bisanzio è la nostra culla, è la capacità di resistere, perpetuare e integrare. La sua lezione attende ancora di essere riscoperta”.

Rex tremendae Majestatis


«L'imperatore, ritto in piedi accanto al trono, tese il braccio con maestosa affabilità e disse [...]
«Cari cristiani! So che molti fra voi, e non gli ultimi, hanno più caro di tutto nel cristianesimo quell'autorità spirituale che esso da ai suoi legittimi rappresentanti e non per loro particolare vantaggio, ma senza dubbio per il bene comune, poiché su questa autorità si basa il giusto ordine spirituale, nonché la disciplina morale, indispensabile per tutti. Cari fratelli cattolici! Oh, come capisco il vostro modo di vedere e come vorrei appoggiare la mia potenza sull'autorità del vostro capo spirituale! E perché non crediate che si tratti di lusinghe e di vane parole, noi dichiariamo solennemente: per nostra autocratica volontà, il vescovo supremo di tutti i cattolici, il papa romano, da questo momento è reintegrato nel suo seggio di Roma, con tutti i diritti e le prerogative di un tempo, inerenti a questa condizione e a questa cattedra e che un giorno gli furono conferiti dai nostri predecessori a cominciare da Costantino il Grande. Ma per questo, fratelli cattolici, voglio soltanto che dall'intimo del cuore riconosciate in me il vostro unico difensore ed unico protettore. Coloro che per coscienza e sentimento mi riconoscono tale vengano qui vicino a me». E indicava i posti vuoti sul palco.

Con esclamazioni di gioia - «Gratias agimus! Domine! Salvum fac magnum imperatorem» - quasi tutti i principi della Chiesa cattolica, cardinali e vescovi, la maggior parte dei credenti laici e più della metà dei monaci salirono sul palco e dopo essersi profondamente inchinati davanti all'imperatore, andarono ad occupare le poltrone loro destinate.
Ma giù, in mezzo all'assemblea, diritto e immobile come una statua di marmo, il papa Pietro II rimase al suo posto.
Tutti coloro che prima gli stavano intorno ora si trovavano sul palco. Allora la schiera ormai diradata dei monaci e dei laici, che era rimasta in basso, si spostò e si strinse attorno a lui in un anello serrato da cui si udiva un mormorio contenuto: «Non praevalebunt, non praevalebunt portae inferi».

Guardando con sorpresa il papa immobile, l'imperatore alzò di nuovo la voce: «Cari fratelli! So che fra voi ci sono di quelli per i quali le cose più preziose del cristianesimo sono la sua santa tradizione, i vecchi simboli, i cantici e le preghiere antiche, le icone e le cerimonie del culto. E in realtà che cosa vi può essere di più prezioso di questo per un'anima religiosa?
Sappiate dunque, miei diletti, che oggi ho firmato lo statuto e fissata la dotazione di larghi mezzi per il museo universale dell'archeologia cristiana che verrà fondato nella nostra gloriosa città imperiale di Costantinopoli, con lo scopo di raccogliere, studiare e conservare tutti i monumenti dell'antichità ecclesiastica, principalmente quelli della Chiesa orientale; vi prego poi che domani eleggiate fra voi una commissione con l'incarico di studiare con me le misure da prendere per riavvicinare, quanto più possibile, i costumi e le usanze della vita attuale, alla tradizione e alle istituzioni della Santa Chiesa Ortodossa!

Fratelli ortodossi! quelli che hanno in cuore questa mia volontà, quelli che per intimo sentimento mi possono chiamare loro vero capo e signore vengano qui sopra». E la maggior parte dei prelati dell'Oriente e del Nord, la metà dei vecchi credenti e più della metà dei preti, dei monaci e dei laici ortodossi salirono sul palco e con grida di gioia, dando uno sguardo di sfuggita ai cattolici che già vi stavano assisi con aria di importanza.

Ma lo starets Giovanni non si mosse e diede un forte sospiro. E quando la folla attorno a lui si fu alquanto diradata, lasciò il suo banco e andò a sedersi vicino a papa Pietro e al suo gruppo. Dietro di lui si avviarono anche tutti gli altri ortodossi che non erano saliti sul palco.

L'imperatore prese di nuovo a parlare: «Mi sono noti fra voi, cari cristiani, anche coloro che nel cristianesimo apprezzano più di tutto la personale sicurezza in fatto di verità e la libera ricerca riguardo alla Scrittura. Non occorre che mi diffonda su quello che ne penso io. Voi sapete forse che fin dalla mia prima giovinezza ho scritto sulla critica biblica una voluminosa opera, che a quel tempo ha fatto un certo rumore e ha dato inizio alla mia notorietà. Ed ecco che probabilmente in ricordo di questo fatto l'università di Tubinga in questi giorni mi ha rivolto la richiesta di accettare la sua laurea ad honorem di dottore in teologia. Ho ordinato di rispondere che accettavo con gioia e gratitudine. E oggi, insieme al decreto per la fondazione del museo d'archeologia cristiana, ho firmato quello per la creazione di un istituto universale per la libera ricerca sulla Sacra Scrittura in tutte le sue parti e da tutti i punti di vista, nonché per lo studio di tutte le scienze ausiliarie, con un bilancio annuale di un milione e mezzo di marchi.

Quelli di voi che hanno a cuore queste mie sincere disposizioni e che con puro sentimento possono riconoscermi per loro capo sovrano, li prego di venire qui, accanto al nuovo dottore in teologia». E le belle labbra del grande uomo si allungarono lievemente in uno strano sorriso.

Più della metà dei sapienti teologi si mosse verso il palco, sia pure con qualche indugio e qualche esitazione. Tutti volsero lo sguardo verso il professor Pauli che pareva abbarbicato al suo seggio. [...]
Pauli sollevò il capo, si alzò con un movimento un po' indeciso, si diresse verso i banchi rimasti vuoti e, accompagnato dai suoi correligionari che avevano tenuto fermo, venne con essi a sedersi accanto allo starets Giovanni, al papa Pietro e ai loro gruppi.

La grande maggioranza dei membri del concilio si trovava sul palco, ivi compresa quasi tutta la gerarchia dell'Oriente e dell'Occidente. In basso erano rimasti soltanto tre gruppi di uomini che si erano avvicinati gli uni agli altri e che si stringevano accanto allo starets Giovanni, al papa Pietro e al professor Pauli.

Con accento di tristezza, l'imperatore si rivolse a loro dicendo:«Che cosa posso fare ancora per voi? Strani uomini! Che volete da me? Io non lo so. Ditemelo dunque voi stessi, o cristiani abbandonati dalla maggioranza dei vostri fratelli e capi, condannati dal sentimento popolare; che cosa avete di più caro nel cristianesimo?».

Allora simile a un cero candido si alzò in piedi lo starets Giovanni e rispose con dolcezza: «Grande sovrano! Quello che noi abbiamo di più caro nel cristianesimo è Cristo stesso. Lui Stesso e tutto ciò che viene da Lui, giacché noi sappiamo che in Lui dimora corporalmente tutta la pienezza della Divinità. Da te, o sovrano, noi siamo pronti a ricevere ogni bene, ma soltanto se nella tua mano generosa noi possiamo riconoscere la santa mano di Cristo».
( Vladimir Soloviev; Il Racconto dell'Anticristo )

venerdì, novembre 24, 2006

Il cappellone degli spagnoli 4

panoramiche ratzingeriane /3

Ovvero: Se sbaglio... mi contraddirete

Alle ore dodoci di martedì 21 novembre 2006, con un comunicato della Sala Stampa Vaticana , la Santa Sede ha reso noto che “il Santo Padre Benedetto XVI ha terminato di scrivere la prima parte di un libro il cui titolo è: "Gesù di Nazareth. Dal Battesimo nel Giordano alla Trasfigurazione" e lo ha consegnato, nei giorni scorsi, alla Libreria Editrice Vaticana”.

L'uscita in libreria dell'opera è prevista per la primavera del 2007 e la sua diffusione mondiale sarà curata dalla casa editice Rizzoli che ha anticipato il testo della prefazione “La strada della mia interpretazione della figura di Gesù nel Nuovo Testamento”, scritta dallo stesso Ratzinger

Ha avuto subito vasta risonanza la seguente frase: "Di certo non c’è affatto bisogno di dire espressamente che questo libro non è assolutamente un atto magisteriale, ma è unicamente espressione della mia ricerca personale del “volto del Signore” (Salmo 27,8). Perciò ognuno è libero di contraddirmi."

Commenta l'ottimo blog Crossroads : «...dietro la apparente semplicità di quella frase, "ognuno è libero di contraddirmi", dietro la sua apparente modestia, si cela un secondo motivo di riflessione, che rivela tutto il mondo di Joseph Ratzinger: liberi di contraddire, si, ma... se siete in grado di farlo.

Non è arroganza, è la consapevolezza di chi si esprime sapendo che ogni sua parola ha una solida base su cui appoggiarsi.
Perchè questa, e non altra, è la grandezza del "professore" diventato "Maestro": la sua capacità di motivare le opinioni che esprime con argomenti comprensibili, logici, scientificamente fondati.

Chiunque voglia, può dire di non essere d'accordo, ma viene -implicitamente- sfidato a dimostrare la fondatezza delle sue contro-affermazioni: come si fa, come si dovrebbe fare in ogni dibattito, in ogni discussione serenamente e seriamente volta alla ricerca di una soluzione, o della verità.

Non dubito che si troveranno (soprattutto fra i filosofi da TV e i politici da corteo) molti personaggi prontissimi a raccogliere l'invito a contraddirlo; dubito fortemente, però, che saranno in grado di spiegare il perché, senza fare brutta figura».

giovedì, novembre 23, 2006

Veni de Libano /2



Sul mio letto, lungo la notte, ho cercato
l'amato del mio cuore;
l'ho cercato, ma non l'ho trovato.

"Mi alzerò e farò il giro della città;
per le strade e per le piazze;
voglio cercare l'amato del mio cuore".
L'ho cercato, ma non l'ho trovato.

Mi hanno incontrato le guardie che fanno la ronda:
"Avete visto l'amato del mio cuore?".

Da poco le avevo oltrepassate,
quando trovai l'amato del mio cuore.
Lo strinsi fortemente e non lo lascerò
finché non l'abbia condotto in casa di mia madre,
nella stanza della mia genitrice.
(Cantico dei Cantici III,1-4)

Fortezza d'Europa /2

Ovvero: Roma e Bisanzio: nel XX secolo pace (quasi) fatta!



(Un lungo articolo di Carlo Cardia sul Foglio di di martedì 21 novembre 2006)

«La storia del patriarcato ecumenico sotto la cattività ottomana si conclude agli inizi del Novecento con un episodio e un evento del tutto particolari. Un fatto singolare si verifica nei rapporti tra Roma e Costantinopoli, nella Prima guerra mondiale, quando l’impero ottomano si allea con gli imperi centrali, tedesco e austroungarico, e combatte contro il suo nemico storico, la Russia zarista.
A Mosca si coltiva un disegno di riconquista di Istanbul e di liberazione del Patriarca di Costantinopoli che era rimasto comunque la figura più eminente e il padre spirituale di tutti gli ortodossi.
Nel progetto russo è previsto che, dopo la riconquista di Istanbul, si crei un’area extraterritoriale per trasferirvi il Santo Sinodo russo [!!!] e per creare una condizione in qualche modo analoga a quella di cui godeva il Pontefice romano all’epoca, con la legge delle Guarentigie approvata in Italia nel 1871. Una condizione, cioè, di tipo extraterritoriale che assicuri al centro dell’ortodossia autonomia e indipendenza, e ne esalti il ruolo di fronte a tutta la cristianità.

Questo disegno preoccupa Roma, soprattutto quando nel 1916 le armate russe sembrano cogliere i primi successi verso uno sfondamento in Turchia. E’ allora che la Santa Sede, violando la neutralità che osserva nel conflitto, avverte l’alto comando tedesco della situazione e chiede uno sforzo militare speciale per fermare l’avanzata russa.
Difficile commentare questo episodio.
L’interpretazione più moderata può evocare la contrarietà vaticana alla disgregazione dei grandi imperi, per le conseguenze che possono derivarne con l’esplosione dei diversi nazionalismi. La lettura più realistica spinge a considerare la scelta come l’ultimo riflesso di quelle gelosie che per secoli hanno diviso Roma dal maggior Patriarca orientale, e che ancora agli inizi del Novecento fanno temere una rinascita dell’ortodossia e della sua capacità di attrazione.

Il secondo evento è di portata più generale e cambia la condizione giuridica e politica del patriarcato. Esso si realizza in rapida successione con le svolte politiche prima della rivoluzione dei giovani turchi, poi della riforma di Kemal Ataturk, che creano la Turchia moderna.
Crolla l’impero della Sublime Porta con le sue istituzioni medievali, nascono strutture statali laiche, almeno da un punto di vista formale. Con queste riforme il patriarcato perde il carattere di istituzione imperiale (l’impero non esiste più), e con esso la giurisdizione sui patriarcati storici e sui cristiani che si trovano fuori della Turchia; diviene struttura nazionale e repubblicana con giurisdizione soltanto spirituale sui cittadini turchi di religione greco-ortodossa, cioè una infima minoranza in un paese che restava, ed è tuttora, un paese totalmente musulmano.

Vengono meno anche i residui privilegi materiali perché la laicizzazione imposta da Ataturk riduce l’importanza del patriarcato, oltre a impoverirlo di beni e possedimenti. Con l’aggiunta, un po’ curiosa, che la legge che proibisce di portare fogge ecclesiastiche in pubblico riguarda anche il Patriarca, il quale, senza più un vero popolo spirituale, si vede ridotto al rango di un qualsiasi cittadino turco.
Però, da quel momento il patriarcato d’oriente inizia a pensare e ad agire in un orizzonte diverso e più ampio: prima quello della Società delle Nazioni, poi della divisione del mondo tra est e ovest, quando la Turchia si schiera con il mondo occidentale in chiave anticomunista, infine l’orizzonte della mondializzazione e della globalizzazione dopo la caduta del comunismo in tutta Europa.

E’ del 1920 una enciclica del Patriarca ecumenico che concerne una serie di problemi tipicamente ecclesiali: dialogo tra le chiese, unità del calendario, rapporti tra scuole di teologie e tra teologi per l’accesso reciproco a scuole ecclesiastiche, congressi pancristiani, rispetto degli usi delle differenti chiese, e altre questioni relative ai matrimoni misti, alle esequie, alle attività poste in comune.

L’incontro tra Atenagora e Paolo VI

In questo quadro, a conclusione del Concilio vaticano II, si realizza la storica caduta degli steccati tra Roma e Costantinopoli.
Nell’incontro del 1965 a Gerusalemme tra il Patriarca ecumenico Atenagora e il Pontefice romano Paolo VI vengono finalmente revocate le scomuniche che le chiese d’occidente e d’oriente si erano lanciate nel 1054.
Il ritardo storico con cui matura riduce l’importanza dell’evento, tuttavia da allora nulla sarà come prima nei rapporti tra cattolici e ortodossi.

Si effettuano altri incontri, come quello tra Giovanni Paolo II e il Patriarca Demetrio nel 1979, e tra Roma e le capitali dell’ortodossia nell’ultima parte del secolo ventesimo. Si moltiplicano i riconoscimenti reciproci, anche se offuscati e frenati da tendenze proselitiche di parte cattolica nei paesi ex comunisti.

Si avverte che l’evoluzione storica pone i due centri della cristianità su un medesimo fronte ideale e strategico, si ricrea insomma una situazione analoga a quella dei primi secoli del cristianesimo.
E’ la riflessione strategica sul futuro del mondo che rende l’incontro del 28 novembre tra Bartolomeo I e Benedetto XVI un evento unico nel suo genere.
La storia universale è cambiata, è entrata in una fase nella quale l’unità del continente europeo si sta costruendo con fatica e incertezze, mentre il risveglio dell’islam costituisce una nuova emergenza per il cristianesimo e le terre d’occidente. Entrambi i problemitrovano convergenza in Turchia. Perché in discussione il suo ingresso in Europa, con tutto il carico di speranze, ma anche di diffidenze e di rischi, che comporta.


La Turchia costituisce la frontiera più fragile tra le due grandi religioni del libro, e l’ingresso di Ankara in Europa potrebbe portare una confusione di questi confini, ma ciò che si profila è una alternativa affascinante e preoccupante insieme: o la creazione di un islam moderato e liberale, o un ingresso dell’islam in Europa e nelle sue istituzioni, capace di influenzare e condizionare le nostre leggi, i nostri costumi, di travolgere il carattere laico-cristiano del vecchio continente.
L’agenda storica che apriranno nel loro incontro, chiede a Benedetto XVI e a Bartolomeo I di pensare in termini geopolitici.
L’ortodossia, come la chiesa cattolica, sta prendendo coscienza che la costruzione dell’Europa si va realizzando fuori di un orizzonte cristiano, ed è attraversata da un processo di secolarizzazione inarrestabile. D’altra parte, proprio nell’epoca in cui trionfa al suo interno una cultura razionalistica senza limiti, l’occidente assiste a un risveglio dell’islam che sembra antistorico ma che può produrre risultati paradossali; perché l’islam può penetrare in Europa, non più con le armi o con la pressione politica diretta, ma con l’immigrazione, con un fondamentalismo che pone a rischio tante conquiste europee di libertà e di autonomia dei singoli, degli stati, delle chiese.
Su questi temi l’Europa, il Papa, il Patriarca sono incerti, sia nelle analisi che nelle soluzioni da proporre. Un solo dato certo e consolidato. Gli interessi di Roma Costantinopoli non sono più divergenti.
Entrambi i centri della cristianità si trovano nuovamente a dovere affrontare problemi che li riguardano e li pressano da vicino, che mettono in discussione il futuro del cristianesimo. Per questo, il capitolo storico delle gelosie tra ortodossia e cattolicesimo si è chiuso per sempre. Sul resto, permangono i dubbi e le incertezze, anche la paura di fare passi falsi.

Se, ad esempio, la Turchia non entrasse in Europa essa verrebbe ricacciata dentro un confine islamico saturo di fondamentalismo e integralismo, e svanirebbero le speranze in una sua evoluzione in senso liberale e occidentale.
Nessuno vuole correre questo rischio, e soprattutto nessuno vuole apparire responsabile di un simile fallimento.
Ma i pericoli di un ingresso frettoloso della Turchia in Europa non sono meno gravi. Perché la Turchia, è stata certamente laicizzata da Kemal Ataturk e ha mantenuto un ordinamento diversificato rispetto a quelli islamici del vicino oriente. Ma la società turca è rimasta impermeabile a quel movimento di trasformazione civile e religiosa che ha investito gli ordinamenti occidentali.

Il problema della libertà religiosa in Turchia

Soprattutto dal punto di vista della libertà religiosa, il profilo istituzionale nasconde una realtà sostanziale ancora oggi compattamente musulmana.

La libertà religiosa non consiste soltanto nel rispetto giuridico delle minoranze, ma nell’apertura al nuovo, al proselitismo religioso, ideologico.
Libertà religiosa vuol dire consentire l’apertura di giornali, case editrici, l’accesso ai media, vuol dire accettare pienamente la diffusione di altre idee religiose. Tutto ciò in Turchia non esiste.

D’altronde, se si uccidono preti, si minacciano ritorsioni contro il Papa, si manifesta a favore dell’islam più intransigente, tutto ciò non può essere imputato soltanto a singoli perché è il frutto di un clima, di una cultura, di una “appartenenza” che è quella di sempre, alla “umma” e alla terra dell’islam. Per questo motivo il Papa romano e il Patriarca ecumenico sanno che il rischio più serio è che, entrando la Turchia in Europa, non sia la prima a modificarsi e aprirsi, ma sia la seconda a farsi influenzare, condizionare, contaminare nelle proprie istituzioni, nel proprio tessuto sociale, nella propria identità più profonda che resta laica e cristiana. Da quando l’Europa è diventata cristiana non ha avuto dubbi sulla propria identità.

Oggi Roma e Costantinopoli devono affrontare con realismo e coraggio l’interrogativo che molti si pongono: se l’islam penetrerà in Europa con il suo bagaglio di aggressività e di ostilità al cristianesimo, o se l’Europa laica e cristiana cambierà l’islam trasformandolo in una religione libera, evoluta, ricca soltanto di spiritualità. Forse nel rapporto con la Turchia, e nelle risposte che si confideranno il Papa e il Patriarca sta la cifra per rispondere a questa domanda».

mercoledì, novembre 22, 2006

Santa anche subito /6

Ovvero: la patrona delle casalinghe (disperate)

In illo tempore: "Mentre erano in cammino, entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo accolse nella sua casa. Essa aveva una sorella, di nome Maria, la quale, sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola; Marta invece era tutta presa dai molti servizi. Pertanto, fattasi avanti, disse: "Signore, non ti curi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti".

Ma Gesù le rispose: "Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c'è bisogno.

Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta".


(Luca X, 38-42)

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La sera di domenica (19 novenbre '06) nella elegante dimora milanese di Daniela Santanché si è festeggiata l'uscita di "Fuori onda": ennesimo libro di Emilio Fede.
Tra gli ospiti accuratamente selezionati da madama Santanchè ci sono uomini politici (da Roberto Formigoni a Ignazio La Russa), vip (da Simona Ventura a Santo Versace) e pure una decina di giornalisti. Dulcis in fundo per festeggiare il sempre a lui devoto direttore del TG4, arriva a sorpresa da Roma Silvio Berlusconi che si diverte a intrattenere gli ospiti con barzellette, frizzi e lazzi fino ad oltre le due di notte: «è la prima sera di relax che mi prendo da non so quanto...».

A tarda sera, finita la cena vera e propria, si va in mansarda e lì comincia il pettegolezzo politico a cui "Il Cavaliere" non si sottrae ma, anzi, va a briglia sciolta: «Il governo non cadrà, non ora e neppure domani. La questione è semplice, manca il killer». Allo stato attuale se cadesse il governo Prodi nel centrosinistra non ci sarebbe nessuna altra personalità così forte da riuscire a mantenere in piedi la maggioranza sino alla fine naturale della legislatura. Inoltre:«Anche i miei senatori -dice Berlusconi- non hanno nessuna voglia di tornare a casa adesso, lo hanno già dimostrato nelle ultime votazioni».
Evidente perciò la conclusione del ragionamento del Cavaliere.
Se il Governo Prodi-come è nelle previsioni- durasse fino al 2011 un Berlusconi ottuagenario non può considerarsi adatto per candidarsi quale premier del centrodestra: «Ho già dato, l'uomo giusto c'è già ma per favore niente nomi». Anche sul Quirinale non sembra avere dubbi: «Per carità, con la politica operativa ho chiuso. Per il capo dello Stato il nome lo faccio: Gianni Letta».
Silvio Berlusconi, tra una barzelletta e l'altra, annuncia inoltre di di star preparando un libro autobiografico sulla propria carriera politica dall'evocativo titolo: «Il calvario della libertà».

Fra i giornalisti presenti ben pochi sembrano aver dato valore politico alle esternazioni berlusconiane dato che soltanto due testate hanno proposto ai propri lettori un resoconto della serata a casa della Santanchè. La Repubblica ha relegato la notizia nella cronaca mondana milanese, invece Alessandro Sallusti ha pubblicato uno strillato articolo sulla prima pagina di Libero, riproponendo parola per parola il verbo berlusconiano.

Paolo Bonaiuti deputato di Forza Italia, portavoce del Cavaliere, ha negato che Berlusconi voglia abbandonare la guida del partito e della coalizione, e che ciò che scrive Libero sono «panzane che non stanno né in cielo né in terra». Anche Berlusconi si è affretato a dichiarare che non avrebbe mai tradito i propri elettori.

Intanto, il direttore di "Libero", Vittorio Feltri ha annunciato querela all'indirizzo di Paolo Bonaiuti che a quella cena non era presente, e non può perciò smentire o confermare un bel niente, mentre il giornalista Sallusti c'era!
A fine giornata è sceso in campo lo stesso Silvio Berlusconi a placare le polemiche con una telefonata a Feltri -una telefonata "tra gentiluomini"- nella quale Berlusconi ha dato l'interpretazione autentica del proprio verbo: 1) Il Cavaliere non intende ritirarsi dalla politica attiva, solo non sarebbe interessato a far parte di un eventuale governo di larghe intese; 2) Non è Berlusconi ad avere bisogno di un killer "ma è la situazione che lo richiederebbe"; 3) Il Cavaliere non sta scrivendo un'autobiografia, ma un saggio.

Qualcuno ha anche ipotizzato che essendo la padrona di casa una deputata di Alleanza Nazionale, così come tanti altri ospiti a quella cena, ventilando la propria "abdicazione" Berlusconi abbia solo voluto essere gentile con quelli che sognano un Gianfranco Fini leader della "Casa delle libertà".

Nel dubbio molti hanno sottoposto alla onorevole Santanchè il testo con le dichiarazioni del "Gesù di Arcore" chiedendole se fosse un testo "canonico" oppure "apocrifo".
Ma sagiamente l'intelligente signora dei salotti non ha vuluto entrare nella querelle dichiarando: «non sono abituata a origliare le conversazioni dei miei ospiti». E poi, come dovrebbe fare ogni buona padrona di casa, era tutta intenta ad impartire ordini alla servitù!
Ma Daniela Santanchè non nasconde la soddisfazione per la buona riuscita dell'evento mondano: «Saranno 15 anni che Silvio non partecipa a una festa in un'abitazione privata!».
Quasi un Giubileo.

martedì, novembre 21, 2006

Pro Missa Bene Cantata [2]

Ovvero: la Messa dell'Incoronazione

Era passato meno di un mese da quando Giovanni XXIII aveva presieduto la solennissima cerimonia d'apertura del II Concilio Ecumenico Vaticano quando, domenica 4 novembre 1962 , Papa Giovanni XXIII scese nuovamente in San Pietro con tutto il suo fastoso corteggio per presiedere un'altra solennissima liturgia.
Il papa, in verità, allo stesso modo dell'11 ottobre, non celebrò la messa ma vi assistette assiso sull'alto suo trono.
La messa viene così celebrata su un altare mobile posto nella navata centrale davanti all'altare della Confessione.
Per l'inaugurazione del Concilio -era la ricorrenza liturgica della Divina Materintà di Maria :"Gaudet Mater Ecclesia!"- la messa "de Spiritu Sancto" venne celebrata dal cardinale Eugenio Tisserand, il Decano del sacro collegio.
Domenica 4 novembre invece, giorno in cui si commemora San Carlo Borromeo , fu l'arcivescovo di Milano il cardinale Giovan Battista Montini , chiamato a presiedere il solenne pontificale alla presenza di ottanta cardinali, dieci patriarchi e di quasi duemila e cinquecento tra arcivescovi, vescovi ed abati: il motivo di tanta solennità era la felice ricorrenza del quarto anniversario dell'Incoronazione di Giovanni XXIII.

Era stato il neoeletto papa Roncalli (28 ottobre 1958) ad ordinare che la la propria solenne intronizzazione ed incoronazione avvenisse nella memoria liturgica di san Carlo Borromeo di cui Angelo Roncalli era sempre stato grande devoto nonchè studioso.
Il cerimoniale allora in vigore prevedeva che la "cappella papale" in occasione dell'anniversario dell'incoronazione di un pontefice regnante fosse celebrata in San Pietro da colui che aveva avuto l'onore di essere stato il primo cardinale creato dal papa medesimo. Non fu certo senza ponderazione, quindi, che Papa Giovanni aveva voluto che la prima "creatura" del suo primo concistoro fosse proprio monsignor Montini, il successore di San Carlo sulla cattedra ambrosiana!

Cadendo, percio, la ricorrenza dell'inizio del quinto anno del suo pontificato durante i lavori del concilio, Papa Giovanni fu ben lieto di far presiedere (e per la quarta volta) la messa commemorativa della propria elezione a colui che sette mesi dopo sarebbe stato chiamato a succedergli. Essendo la festa di san Carlo, infatti, al Papa "Buono", nulla sembrava più appropriato che chiedere di celebrare al successore dello stesso Borromeo nella carica di Arcivescovo di Milano e di conseguenza volle che data la cornice ecumenica la messa fosse in Rito Ambrosiano.

Il Concilio si era aperto da meno poche settimane, quindi, ma esso si era già impantanato poichè, non essendoci eresie da affrettarsi a condannare, dovendosi i padri conciliari limitare a trattare temi di carattere squisitamente "pastorale" essi però non avevano una chiara idea in cosa dovesse consistere "l'aggiornamento" della Chiesa cattolica auspicato da papa Giovanni.
Ma il clima conciliare di quei giorni fu altresì funestato dal diffondersi di voci allarmate sul repentino aggravarsi delle condizioni di salute di papa Roncalli (ed anzi, si temeva una sua improvvisa dipartita già prima della conclusione della prima sessione). Pertanto, con questo sottinteso sottofondo di anziosa attesa, nei padri conciliari destarono profonda impressione le parole di Giovanni XXIII, nell'allocuzione di fronte a tutto il concilio schierato, in cui, tessendo le lodi del santo del giorno, elogiò la capacità dell'"Arcivescovo di Milano" nell'aver saputo condurre a buon fine "il concilio"; della meritoria opera del cardinal Borromeo al concilio di Trento stava parlando Papa Roncalli ma gli occhi di tutti si puntarono sull'arcivescovo di Milano quasi che Giovanni XXIII del cardinal Montini stesse volutamente vaticinando.

Devesi, poi, sapere che nelle rarissime occasioni in cui era il papa a celebrare la messa, l'antico cerimoniale prevedeva che alla fine del sacro rito fosse consegnata al romano pontedice una borsa contenente alcune monete d'oro quale ricompensa "per aver bene cantato la messa".
Accadde che finito di "cantare la messa" il cardinale Montini, recatosi presso il trono papale per il tradizionale rito dell'obbedienza, abbia avuto la sorpresa di ricevere dalle mani del papa una preziosa croce pettorale: "pro missa bene cantata" fu la motivazione addotta da Giovanni XXIII.




La “Fondazione pro Musica e Arte Sacra“ che si occupa di raccogliere fondi per i restauri delle basiliche patriarcali di Roma (San Pietro, San Giovanni in Laterano, Santa Maria Maggiore e San Paolo fuori le mura), ha organizzato la "V edizione del Festival Internazionale di Musica e Arte Sacra" dal 15 e 19 novembre nella -come suol dirsi- "straordinaria cornice" delle quattro basiliche maggiori.

Cadendo nel 2006 la ricorrenza dei 250 anni della nascita di Mozart il programma del festival è stato dedicato per intero al compositore salisburghese. Festeggiandosi, inoltre, nel 2006 i 500 anni di posa della prima pietra della Basilica di San Pietro in Vaticano ( nonchè dell’istituzione della Guardia Svizzera Pontificia!) il Festival si è chiuso domenica 19 novembre nella Basilica vaticana, con l'esecuzione della celeberrima Messa dell'Incoronazione K. 317 eseguita - perla terza volta in san Pietro- dei Wiener Philharmoniker (insieme ai Wiener Sängerknaben ed ai cantori selezionati dei Cori di Colonia e Speyer) diretti dallo specialista mozartiano Leopold Hager.
A differenza di ciò che è accaduto nelle altre basiliche, domenica 19 novembre 2006 in Vaticano non s'è trattato di esecuzione concertistica ma di vero e proprio accompagnamento musicale della Santa Messa Solenne che per l'occasione è stata celebrata all'altare della Confessione dall'eminentissimo compatriota di Mozart cardinale Christof Schönborn, arcivescovo di Vienna.
La "Krönungsmesse" è così chiamata poichè fu commissionata a Mozart in occasione di una annuale (la ventottesima) commemorazione dell'incoronazione canonica con corona rocaille e raggi d’argento della statua della Madonna di Plain avvenuta nel 1751 la quinta domenica dopo Pentecoste. Da allora ogni anno in tale data a Salisburgo si festeggia la sacra immagine di Maria Plain.
Il dotto cardinal Schönborn (già discepolo del professor Ratzinger e poi collaboratore del cardinal Ratzinger alla Congregazione per la dottrina della fede), alternando la madrelingua tedesca con un ottimo e fluido italiano,ha ricordato alla numerosa assemblea la festa liturgica della "Dedicazione" della Basilica Vaticana, commemorata il giorno precedente (18 novembre)e, traendo spunto dele apocalittiche letture della messa del giorno, ha elogiato l'arte sacra con cui l'uomo cerca di esprimere attraverso una bellezza ed una perfezione sensibile l'icona della perfezione e sublimità delle realtà invisibili.

Essendo risaputa la passione per la musica classica di Papa Benedetto XVI ed in particolare per la musica sacra di Bach e di Mozart (passione condivisa anche da Schönborn) il "divinus" Magister si era arrischiato a ventilare un'apparizione a sorpresa del sedici volte Benedetto che non avrebbe certo resistito alla tentazione di ascoltare risuonare sotto la cupola michelangiolesca le divine note mozartiane!
In vero, esercitando eroicamente la virtù della prudenza e rendendosi pertanto vindice anche sulla più veniale tentazione, Papa Ratzinger ha preferito starsene nel proprio appartamento privato per rimanere fedele all'appuntamento domenicale della preghiera dell' Angelus con i fedeli raccolti in Piazza San Pietro.
Affacciandosi alle ore 12 in punto il Papa ha salutato i musicisti per lodare l'evento ed ha affermando che: “Nella musica spirituale e nell’arte sacra risuonano e brillano la bellezza e la grandezza della fede”.

Il pubblico encomio al suo pupillo è stato solo differito. Il cardinal Schönborn aveva infatti pochi giorni prima annunciato all'Austria "felix" che Benedetto XVI aveva accettato l'invito a compiere un viaggio Apostolico a Vienna per essere presente l'8 settembre 2007 ai festeggiamenti per l’850° anniversario della fondazione del Santuario mariano di Mariazell; una piccola località di montagna, situata a circa 870 metri di altitudine e che conta circa 2.000 abitanti, ubicata nel cuore dell’Austria, a 160 chilometri a sud-est di Vienna, che riceve ogni anno un milione di pellegrini attratti da'immagine della Madonna delle Grazie detta la “Magna Mater Austriae”.

Il Cardinale Christoph Schönborn ha molto tenuto a sottolineato che non era affatto scontato che il papa accettasse l'invito e pertanto gli austriaci debbono essere molto onorati che il Papa -tra i molti viaggi internazionali possibili- abbia voluto recharsi in visita in un Paese di dimensioni assai ridotte come l’Austria.

domenica, novembre 19, 2006

La Vera Dottrina spiegata alle ragazze


Epistola pubblicata dal Foglio addì sabato 18 novembre 2006 -che qui viene proposta in versione purgata ed emendata- a firma del sempre più "orrido" Langone che si fa apologeta della dottrina sulla Grazia Santificante.

Ovvero: La Lettera "alla Romana"

"Carissima Sara,

questa lettera vale doppio perché deve avere come risultato due battesimi: il tuo e quello del bambino che porti in pancia.

Se fallisco, fallisco due volte, e sento che il rischio è forte perché tu sei una lettrice di riviste femminili, monumenti cartacei che vengono innalzati ogni settimana e ogni mese per celebrare lo stato di natura, patinate volgarizzazioni del pensiero di uno degli uomini più imbecilli e pericolosi mai venuti al mondo, Jean-Jacques Rousseau.
Ti sfugge il nesso? Quando i pubblicitari chiesero alla neo direttora Maria Laura Rodotà a quale tipo di donne fosse rivolto Amica, la sventurata rispose: “Alle stronze”.
La stronza crede di essere cultura ma è natura quasi pura perché è inchiodata alla sua biologia, alla sua anagrafe (infatti il parametro più importante per i pubblicitari è l’età). A lei non gliene frega nulla del battesimo, il suo obiettivo è stronzeggiare un po’ di anni e a fine corsa, ad abbonamento scaduto, ci penseranno gli addetti al forno crematorio (la stronza è orientaleggiante e minimalista, frequenta ristoranti dove usano piatti quadrati e quindi opta per la cremazione). L’idea-base della stronza è l’autosufficienza ed è convinta che la sua stronzaggine sia sua. Sbaglia anche in questo.
René Girard ha scritto: “La maggioranza delle produzioni hollywoodiane e televisive si basa sulla falsa nozione romantica dell’autonomia dell’individuo e dell’autenticità del suo desiderio”.
La formulazione sarebbe perfetta se al massimo filosofo vivente (ovviamente cattolico) non fosse sfuggito il romanticismo degradato a commercio di creme che è tipico delle riviste femminili. Ma il punto è colpito con precisione: l’idea corrente che le moderne testoline siano dedite a liberi fantasticari, mentre invece è il mondo a decidere che cosa devono sognare, ingozzandole di immagini con la stessa malagrazia dell’allevatore che infila l’imbuto nella gola delle oche all’ingrasso, per imbottirle di mangime e gonfiare i fegati.[...] allargare l’aria della frustrazione, ecco lo slogan segreto di questa stampa diabolica.


Il battesimo va in direzione opposta, non ti carica di desideri capaci di schiacciarti, deformarti, indebitarti, intristirti, bensì te ne libera. Con il primo sacramento istituito direttamente da Cristo diventi parte di un tutto e non sei più da sola a fronteggiare il mondo.

Questo rito bimillenario (l’acqua versata sulla testa per tre volte mentre viene invocato il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo) “ci toglie dalla balìa del potere che occupa e dirige le coscienze illudendole della loro autonomia”, per usare le parole di don Giussani, un prete brianzolo che mi accorgo di saccheggiare spesso. Seguire Cristo oppure ubbidire agli uomini, la vita si può sintetizzare così.

[...] Dal Catechismo estraggo solo poche righe essenziali:
“Il santo Battesimo è il fondamento di tutta la vita cristiana, il vestibolo d’ingresso alla vita nello Spirito e la porta che apre l’accesso agli altri sacramenti. Mediante il Battesimo siamo liberati dal peccato e rigenerati come figli di Dio, diventiamo membra di Cristo; siamo incorporati alla Chiesa e resi partecipi della sua missione”.
Vedi che cosa tocca sorbirsi per il fatto di non essere stati battezzati da piccoli?
Se da neonata ti avessero spruzzato come si deve ecco che adesso potresti ripassare la ricetta degli gnocchi di semolino e io potrei prendere la bicicletta e andare a pedalare in Cittadella, sugli spalti della vecchia fortezza di Parma. Chissà che bei colori le foglie dei platani in questa stagione.
Invece no, a te tocca studiare dottrina e a me tocca fare il catechista, io che non ci sono portato.[...]

Sono molto preoccupato: dev’essere successo qualcosa di tremendo in Italia nell’ultimo quarto di secolo se una ragazza nata negli anni Ottanta, per giunta cresciuta fra cupole e campanili ad Albano Laziale, a due o tre chilometri da Castel Gandolfo, non è stata battezzata e non sa nemmeno come si faccia il segno della croce.
Non sei mica figlia di anarchici carrarini o di satanisti torinesi eppure te l’ho dovuto insegnare come lo si insegna ai bambini, quella volta che siamo entrati in Santa Maria degli Angeli. E’ passato del tempo, ti ricordi ancora come si fa? Ti è capitato di segnarti in altre occasioni?

Negli anni Ottanta erano ancora vivi i nostri nonni, i miei, i tuoi, i nonni di tutti. Potevamo approfittarne, riscaldarci con gli ultimi fuochi di un catechismo domestico che stava spegnendosi con loro. Me la ricordo come fosse oggi, mia nonna che si segna al passaggio di un’ambulanza. Potevamo raccogliere il testimone, tenere acceso il fuoco, ma non lo abbiamo fatto perché pensavamo che il compito fosse di qualcun altro. Qualcun altro chi, se i nostri genitori erano i primi a fregarsene?

“Una cultura può estinguersi come la fiamma di una candela” diceva Konrad Lorenz che ho appena riletto e mi sembra attuale come non mai. Basta che una generazione salti, basta che per vent’anni tutti pensino solo ad abbronzarsi a Sharm-el-Sheikh o a Varadero o sull’atollo, ed ecco che nel 2010 il tuo bambino rischia di non avere nessuno che gli insegni le preghiere.
Non si può vivere senza e tu lo sai meglio di me.



Quando stavi male e temevi di abortire, me l’hai raccontato, ti sei stesa sul letto e hai cominciato a pregare con parole tue che grazie a Dio sono risultate efficaci. E’ andata bene perché non sapevi le parole delle preghiere ma sapevi che le preghiere esistono. E se non avessi saputo nemmeno questo? In che cosa avresti trasformato la tua angoscia? Un uomo impossibilitato a pregare mi fa venire in mente i cani a cui vengono tolte le corde vocali prima di sottoporli a vivisezione, per non farli abbaiare.[...]
Tanto per cominciare tu entrerai nella Chiesa orante, l’insieme di coloro che pregano il Padre, il Figlio, la Madonna e i Santi, ed è per mostrarti la porta che sto scrivendo questa Lettera alla Romana (la Lettera ai Romani non è alla mia portata, non sono san Paolo).

“Noi non possiamo rimanere quieti fino a che ogni uomo non venga illuminato e non entri in comunione consapevole col suo Salvatore. Noi siamo chiamati a portare Dio a tutti: agli ebrei, ai musulmani, ai nuovi pagani”. Sono parole del cardinale Biffi, il maestro che tenne accesa la luce in anni difficili, quando in Emilia avanzava la notte della ragione e sembrava non si potesse più vivere senza avere in tasca le tessere della Coop e dell’Arcigay.
Biffi parla di conversione universale ma io devo fare i conti con le mie forze perciò mi basterebbe cristianizzare te e due o tre altre amiche semipagane. Per la salvezza del resto dell’umanità confido nella venuta di un grande santo, meglio se coadiuvato da qualche santo minore, siccome il lavoro non manca.


“Ti piace fare il domatore di conigli” mi hai detto. A me piace dormire, sognare, leggere, bere, non sono uomo da caccia grossa io.[...] San Corbiniano era capace di ammansire gli orsi, san Girolamo i leoni e san Francesco i lupi.
“Vieni qui, fratello lupo, io ti comando in nome di Cristo di non fare alcun male né a me né ad altri”. [...]

Vengo subito ai tuoi coniglieschi dubbi:
“Le mie incertezze nascono dal conflitto che continuamente vivo tra l’attrazione per il sacro e una miscredenza nei suoi confronti. Non riesco a fidarmi delle formule, dei simboli, del segno della croce, delle preghiere a memoria. Non ci credo che l’acqua è santa”.

Vedi, nelle cose umane essere diffidenti è saggio ma queste sono cose divine. Dio non gioca a dadi, l’universo non è un immenso gioco delle tre carte. Gli uomini possono raggirarti, le sette (una setta è una religione che pretendendosi tutta mistica prima diventa tutta umana e infine tutta bestiale) possono toglierti libertà e soldi.
Cristo invece non ti toglie nulla.
Se è davvero risorto, quindi se è davvero figlio di Dio, col battesimo ti donerà la Grazia. Se non è risorto, se era soltanto il figlio del falegname, il battesimo ti incoraggerà a seguire il suo insegnamento da cui, anche su questa terra, si ricavano solo vantaggi: tutti vogliono essere amici di chi cerca di rispettare i dieci comandamenti più uno (il comandamento dell’amore).
Comunque Gesù è risorto davvero, così come scritto nei Vangeli, come confermato dalla presenza di centinaia di testimoni oculari alle sue apparizioni, come ribadito dalla persistenza della Chiesa da lui fondata sotto promessa di eternità: l’istituzione di gran lunga più antica fra tutte le istituzioni del mondo, l’unica capace di resistere al logorio di venti secoli.

E’ proprio Gesù risorto che dice: “Andate e ammaestrate tutte le nazioni battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”. Quindi non puoi non credere nella formula, ce l’ha data lui in persona, non l’ha inventata il parroco: “Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”.

Non puoi non credere ai simboli, in questo caso all’acqua.
Proprio lui, che essendo senza peccato poteva farne a meno, per dare l’esempio si fece battezzare da Giovanni Battista nel fiume Giordano.
Le parole contengono le cose, in greco battezzare significa “tuffare”, “immergere”, ovviamente nell’acqua perché “lo spirito di Dio aleggiava sulle acque” e non sul latte d’asina o sul gin tonic.


Non credi alle preghiere recitate a memoria?
Questo, mi dispiace dirtelo, è proprio Rousseau, e del più rancido. Fa il paio con l’idea anni Settanta che le poesie non vadano mandate a mente, come se versi sublimi potessero spontaneamente venire alle labbra di chiunque in qualunque momento. Il risultato non poteva che essere il presente Alzheimer giovanile di massa: perdita di memoria e naturalezza afasica.
E lo sai che l’autore del “Padre nostro” è Gesù Cristo in persona? Pensi di poter fare meglio? Quella che tu chiami miscredenza mi sembra un alibi, ho trovato nel Catechismo un passaggio che fa al caso tuo: “I sacramenti non solo suppongono la fede, ma con le parole e con gli elementi rituali la nutrono, la irrobustiscono e la esprimono”.
La solitudine è madre dell’angoscia e del dubbio, la fede si rafforza pregando e praticando, in chiesa insieme agli altri. Come l’amore che si impara amando.
Pietro Metastasio ha scritto migliaia di versi a suo tempo (nel Settecento) di gran moda e oggi dimenticati. Due meritano di essere ripresi: “Quanto è breve il sentiero, / che dal finto in amor conduce al vero”. In un viaggio non contano molto i motivi, conta la direzione.

Il battesimo non è una laurea in teologia, non implica il sapere tutto, non è la fine di un percorso, è l’inizio. Per questo si battezzano anche i bambini. E’ un punto di fronte al quale i presuntuosi di ogni tempo, da Pelagio a Piergiorgio Odifreddi, hanno sempre recalcitrato.

Senza lasciarsi intimorire la Chiesa ha sempre proclamato la verità: i bambini nascono col peccato originale e devono essere liberati dal Maligno. Loro non c’erano, nel paradiso terrestre, ad allungare la manina verso l’albero della conoscenza, eppure come tutti ne pagano le conseguenze. Non so se è giusto, anch’io ho qualche dubbio in proposito, ma so che è così, che la natura umana è imperfetta.

Forse a una futura mamma non bisogna dirlo ma i bambini sono cattivissimi, qualsiasi maestra te lo può raccontare.
Sono gelosi, possessivi, invidiosi. Lasciati senza controllo si accaniscono contro i deboli e i diversi. Sono natura, appunto, biologia allo stato brado.

“La storia umana sarà sempre più una gara tra l’educazione e la catastrofe” scrisse profeticamente (nel 1920) uno dei padri della fantascienza, Herbert George Wells. C’era già stata la Prima guerra mondiale ma non ancora le camere a gas, l’atomica, le bombe umane islamiche, la strumentazione dell’orrore manovrata da ex-bambini cattivi non educati o male educati ovvero non educati cristianamente.

Coloro che rimandano il battesimo dei propri figli al momento in cui questi saranno grandi e consapevoli, muniti di libero incondizionato arbitrio, stanno parlando dell’anno del mai. Siamo sempre condizionati da qualcosa, meglio essere condizionati dall’amore disinteressato dei genitori che da un ambiente imbevuto di rivalità e competizione.
Una delle più belle poesie di Michel Houellebecq recita così: “Mi sarebbe piaciuta una patria, / qualcosa di forte e di grande.”
Lo scrittore francese è troppo francese per saperlo ma quella patria esiste ed è la Chiesa.


Non negare a tuo figlio la fede dei padri, la compagnia dei fratelli, una casa grande come una cattedrale, l’insegnamento del bene, un amico immortale a cui rivolgersi.
Che Dio vi benedica, tu e il bambino (o la bambina)."
Camillo

giovedì, novembre 16, 2006

visioni private /13

Ovvero: La difesa delle sacre immagini



Nel programma televisivo "Confronti" di venerdì 10 novembre, mentre il presentatore Gigi Moncalvo elogiava l'imitazione del papa da parte di Maurizio Crozza, la giornalista Maria Giovanna Maglie ha assicurato che papa Ratzinger non aveva mai visto la sullodata parodia. Anzi, non sapeva nemmeno dell'esistenza di una parodia. I fidi collaboratori forse per paura che se ne dispiacesse non lo hanno mai avvisato. La notizia proveniva da una "fonte sicura" affermava la Maglie.
E dato che è ben difficile che il sedici volte Benedetto alle ore 23 e seguenti si metta davanti al televisore avrebbe anche potuto a lungo pontificare senza che la nuova raggiungesse le sacre stanze. Il pontefice "ccioiosamente" regnante penso che la sera vada a dormire presto e comunque se fosse affetto da insonnia si andrebbe a vedere "la LXX" e non certo "La7".
A meno che non gli abbiano presentato una copia censurata, la mattima di sabato 11 novembre il sedici volte Benedetto, sfogliando l'Avvenire, ha dissipato la sua ignoranza al riguardo, leggendo un indignato editoriale a firma Giuseppe Della Torre in cui si stigmatizzava -nessun altro termine parmi più acconcio- Maurizio Crozza e la sua caustica parodia pontificia additandola quale quintessenza del trash televisivo italico.



Personalmente protesto d'esser rammaricato, anzi: "molto rammaricato" perche sempre più m'accorgo che -nonostante i discorsi ratisbonensi- la sensibilità religiosa che va per la maggiore in Europa è quella islamica!

Trovo nelle lamentazioni dei cattolicissimi giornalisti dell'Avvenire il sintomo di una sottile quanto perversa infatuazione cattolica per il "sacro zelo" dimostrato di fedeli islamici.
Le miti "pecorelle" di Gesù "Buon pastore" provano una incoffessabile invidia pe la capacità di manifestare in modo organizzato -e perseverante!- il sacro sdegno per ogni seppur microscopica offesa della Divina Maestà.
E' umanamente comprensibile che di fronte ad interi popoli che si sollevano unicamente "A Maggior Glori a di Dio", qualcuno possa anche provare una -se così si può dire- "santa" invidia.
Epperò i manuali di teologia avvisano che l'invidia spirituale è la più grave declinazione del -di per se capitale!- vizio dell'invidia! Attenzione, perciò, a quei cristiani che ardono dal desiderio di imitare i mussulmani nella esuberanza dei loro esercizi di "timor di Dio"; e, al contempo, sempre i medesimi cristiani, rimpiagono una tramontata età dell'oro -mai esistita in verità- in cui tutti i cattolici ad un cenno del "bianco padre", come un sol uomo si predisponevano a guisa di "un esercito all'altare".

Non meravigli pertanto che se si guarda alle biografie di tanti italiani convertiti all'islam, si troveranno degli ex militanti delusi dal variegato associazionismo cattolico.
Di fronte ad una società contemporaneo che si agita come bestia senza ragione si vede nella rigidità e disciplina bimillenaria della Chiesa cattolica lo strimento efficace per "marchiare a fuoco" un Mondo bizziso. Poi la inevitabile, cogente, delusione. Chiunque in nome dei santi insegnamenti di Cristo e della Chiesa vorrà edificare il "Regno di Dio" sulla Terra -non importa se fascista o democratico, liberista o comunista- si troverà ben presto nemica la Chiesa poiche quel cristiano non ha compreso che quel Regno di Dio -annunziato da Cristo- sulla Terra c'è già: ed e la Chiesa stessa.
Nell'islam c'è un unico "jihad"; c'è un unico "sforzo" per edificare il "Regno di Dio" senza sottili distinguo teologici tra le realtà temporali e quelle spirituali. Se poi andiamo a guardare attentamente, il "paradiso in terra" sognato degli islamici e un regno modellato per tribù arabe dell'VIII secolo.
Mettendosi in simbiosi con il Corano si vuol entrare in una dimensione metatemporale che renda il muslim del XXI secolo contemporaneo di Maometto. Da questo lo "sforzo"-in un certo modo ascetico- di abbigliarsi anche nella metropoli occidentale come un cammelliere beduino e, le donne, ammantarsi da capo a piedi come le mogli di quegli antichi beduini medievali (per non far filtrare le finissime polveri dell'immoralità del desero spirituale dell'Occidente).


Il Cristianesimo ha plasmato la civiltà occidentale e ne difende pertanto la bontà di tanti sforzi di penetrazione nel secolo ma non accetta di essere identificato con la sola realtà culturale.
Pio XI condannò l'Action Francaise poichè identificava la fedeltà alla Chiesa Cattolica con la necessità di ritornare alla situazione politica precedente la Rivoluzione Francese (e Papa Ratti non era certo noto per le sue simpatie democratiche!).
Nonostante la sua graniticità dottrinaria, perciò, la Chiesa cattolica non è "dura e pura" come certuni vorrebbero.
(L'islam oltre a presentarsi come una fede senza se e senza ma-e senza troppi convegni-, propone uno stile di preghiera, umile, contrito e ordinato, e anche la più negletta moschea offre uno spettacolo assai più devoto di qualsiasi mega-raduno di papaboys in Piazza san Pietro).

LA STORIA DELL'ESPANSIONE DEL CRISTIANESIMO è completamente diversa a quella islamica.

Già la prima comunità di credenti in Gesù, tutti ebrei -come fedele alla tradizione ebraico era stato Gesù stesso!- ha capito che i convertiti provenienti dal paganesimo non dovevano giudaizzarsi per essere considerati "veri" cristiani.
L'evangelizzazione dell'impero romano venne fatta scendendo sul terreno culturale ellenistico. I cristiani hanno annunciato il vangelo anche per mezzo dela filosofia dei greci e del diritto dei romani, ben lontani quindi dall'arroccarsi alla sola esegesi rabbinica della Bibbia! "Conciliare Atene e Gerusalemme": come si suol dire (mentre a me pare che gli islamisti sognano un mondo che assomigli alla periferia della Mecca).

Le differenti impostazioni teologiche non passano sopra le teste della gente, la penetra e, anche non cosciamente, la permea. La teologia crea mentalità, indirizza le sensibilità, è l'autentica fonte della cultura : è questo che intendeva dire Benedetto XVI a Ratisbona!

Se noi possiamo recarci impunemente in una edicola per acquistare un calendario con le donnine nude lo dobbiamo a quei santi monaci che nel IX secolo pur di dipingere le icone della Madre di Dio erano disposti a correre il rischio di avere le mani mozzate dagli iconoclasti!
Certo, se lo chiedete a don Georg (il segretario del papa) vi risponderà che comprare i calendari con le donne nude è peccato mortale e che questa vergogna dovrebbe finire etc, etc. Ma questo non toglie che, in ultima istanza, la nostra scristianizzata "società dell'immagine" ha avuto origine grazie al secondo concilio di Nicea dell'anno 787 che dichiarava lecita la raffigurazione degli angeli e dei santi e dello stesso Dio!

La società dell'immagine non è stata creata dallo star-sistem holliwoodiano. Se la massima autorità della cristianità viene eletta in uno stanzone le cui quattro pareti sono completamente piene di migliaia di immagini dipinte un motivo ci sarà!

Gli occidentali hanno una bimillenaria prossimità con l'immagine; hanno grandissima familiarità nel rapportarsi con la raffigurazione della realtà. L'uomo occidentale è riuscito persino a raffigurare plasticamente dei misteri della fede, cioè realtà eminentemente spirituali, quali la Trinità, lo Spirito Santo o l'Immacolata Concezione.

Mi rendo conto che l'introduzione ha preso il sopravvento e vengo al punto.


L'uomo occidentale sa "usare" l'immagine ed è anche molto smaliziato rispetto ai tempi della lanterna magica. A questo va aggiunta una secolare spirito anticlericale -anch'esso nato in un regime di cristianità- che ha reso un dato di fatto incontestabile la possibilità -se non sempre la libertà- di fare dell'ironia su Dio -il Dio cristiano!- e sui preti.

Nell'Italia del XXI secolo la soglia di ciò che è blasfemo si è molto abbassata, prova ne è il fatto che coloro che hanno deprecato la parodia di Crozza lo hanno fatto in nome della difesa del "buon gusto" e NON del "buon costume".
Ciò per cui molto mi rammarico con Boffo (direttore di Avvenire), o chi per esso, è per l'equazione tra il trash televisivo e lo "scherzare con i santi".
Ciò lo evinco dal fatto che quale insuperabile campione del trash viene additata non la trasmissione Crozza-Italia nel suo complesso ma la sola parodia di Benedetto XVI. Forse che ai pii editorialisti dell'Avvenire i siparietti di Crozza ed Elio (delle Storie Tese) paiono assai più spiritualmente edificanti?

Queste lamentazioni sono anche poco "furbe" perchè si da immediatamente la stura a quei nostri agnostici materialisti all'acqua di rose che non vedono l'ora di affermare che i cattolici sono molto più intolleranti degli islamici.

Non contenti di "stigmatizare" Maurizio Croza si è ritenuto opportuno formare una "triade maledetta" con Fiorello e Litizzetto.
Dino Boffo ha sostenuto che l'Avvenire si è fatto carico del "grido di dolore che da più parti d'Italia si eleva" a causa della cativeria con cui si scherniscono le figure religiose care al popolo italiano.
Ora, con tutta la buona volonta, dire che Ruini è personalità assai cara al popolo italiano è arduo: sarà pur assai stimato ma l'amore è un'altra cosa.
Che poi, dopo due anni all'Avvenire ci si è accorti che ogni domenica sera alle ore ventuno Luciana Litizzetto inbastiva dei dialoghi immaginari con "Eminenz", come commentarlo?

Il segretario del papa, poi, è fonte di benevola curiosità e delle ironie salottiere degli italiani nella quale si inscrive la parodia fatta da Fiorello alla radio.
Sostenere che si sia voluto dar voce alle doglianze del santo padre che, a motivo la sua alta missione, non poteva difendersi: è falso, per il semplice fatto che non essendo a conoscenza della cosa non aveva alcuna possibilità di angustiarsene.
Neanche don Georg, interpellato a riguardo da una giornalista che si è camuffata da pia fedele indignata, ha dato segno di aver saputo prima d'allora di quelle parodie.

Forse l'unica cosa buona di questa triste pantomima clericale è stata quella di far sintonizzare su La7 il sedici volte e vieppiù Benedetto per assistere allo spettacolo di un papa che in Vaticano deve fare tutto lui, che ha difficoltà nell'approcciarsi con le folle, ma alcontempo ha un vero desiderio di comunicare con la gente. Di un papa che non capisce perchè i cardinali gli sconsigliano di fare pubblicamente delle costatazioni che a lui invece paiono lapalissiane. E potrà magari anche sorridere al pensiero che alle volte la realtà supera la fantasia.

martedì, novembre 14, 2006

Croce e delizia [2]

Epistola pubblicata dal Foglio addì sabato 11 novembre 2006 in cui "l'orrido" Langone si fa apostolo della Santa Croce.

Ovvero:LA VERA DOTTRINA SPIEGATA ALLE RAGAZZE



Carissima Cristina,
tu sei cristiana e non porti il crocifisso.
Dici che è solo un ornamento e che non vuoi portare Gesù morto in croce come ornamento.
Dici che tutti quei ciondoli con croci di forma strana e materiali troppo preziosi (anche platino) non hanno più niente dell’oggetto religioso. Siccome sei precisina mi fai anche il nome di qualche marchio, Breil, Kris, che però non ho mai sentito nominare (io al massimo conosco Bulgari o Pomellato).
Dici che il crocifisso portato sopra i vestiti è di cattivo gusto. Dici che incastrato fra i seni è volgare.[...]
Ho tenuto per ultima la questione che vorrei risolvere per prima: “Il collo è fatto per essere baciato, la catenina del crocifisso disturba”.

Questa del crocifisso di castità non l’avevo mai sentita, come ti è venuta in mente? Quando ti avrò convinto a portarla, la croce ti proteggerà dai malintenzionati e non frenerà gli slanci degli amanti.
Te lo dice un maschio: in quei momenti cruciali, nella lunga lista degli impicci possibili l’impiccio-catenina proprio non esiste. Mi piacerebbe entrare nei dettagli, spiegarti per filo e per segno quali sono i pensieri, e i timori (anche timori tecnici), che passano nella mente dell’uomo che ti sta baciando sul collo. Tu però sei una donna severa e mi guarderesti con espressione schifata, quindi lascio perdere e torno alla catenina e ai suoi poteri: ad esempio potrà far capire a certi bruti che con te devono comportarsi meglio del loro solito, che sei una brava ragazza e non devi essere buttata dopo l’uso. Non mi sembra un malvagio risultato.

Adesso provo a fugare i dubbi più consistenti:
1) il valore materiale dell’oggetto che scaccerebbe il valore spirituale; 2) l’ostentazione fastidiosa; 3) i cattivi propositi di chi se lo infila tra le tette.

Io porto una croce di pietre dure (quarzo occhio di falco oppure occhio di tigre, non ho mai capito la differenza). Me l’hanno regalata ma anche se l’avessi comperata avrei speso poco. Per aumentare il tasso di francescanesimo, ma anche perché lo ritengo più elegante (sono uomo vanitoso), al posto della catenina uso una cordicella di cuoio di quelle che si comprano dal calzolaio. Detto questo, non mi scandalizzerei per croci e catenine in metallo prezioso. Innanzitutto la questione va ridimensionata: non stiamo parlando di Aston Martin e nemmeno di Porsche Cayenne bensì di piccoli oggetti alla portata del 90 per cento degli italiani.
Sarebbe bello che l’esibizionismo della ricchezza si risolvesse nell’esibizione di ricchi crocifissi. Camminare per strada sarebbe come sfogliare un’edizione Franco Maria Ricci della Lettera ai Galati di San Paolo: “Non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo”.[...]
Non confondiamo il cristianesimo col pauperismo, Cristo non ci vuole tutti poveri, ci vuole tutti salvi.
Se la nonna lascia in eredità alla nipote la sua croce d’oro la ragazza deve conservarla come cosa cara e indossarla alla prima occasione: è un tenero ricordo di cui non deve vergognarsi.
E’ anche un modo per obbedire al quarto comandamento, che esorta a rispettare i genitori ma anche a “tributare onore, affetto e riconoscenza ai nonni e agli antenati” (c’è scritto nel Catechismo, non me lo sto inventando io). Tramandare un oggetto è tramandare la memoria delle personeche l’hanno posseduto, è sfidare l’onnipotenza della morte, è religione.
Se la croce della nonna non si discute la croce del gioielliere invece sì: ne sconsiglierei l’acquisto se non altro per non fornire occasioni agli scippatori e agli invidiosi. Comunque quando incontri qualcuno ti invito a notare la croce e non il metallo: cerca di avere uno sguardo da cristiana e non da impiegata del monte dei pegni. Se proprio non riesci fare a meno di indignarti per il platino, o l’oro o il titanio o quello che è, trasforma questo tuo problemino in opportunità: comprati una croce di ferro così da testimoniare la tua fede sobria.

Con questo verbo, testimoniare, arrivo al punto 2: “Il crocifisso portato sopra i vestiti è di cattivo gusto”. Allora portalo sotto, che problema c’è? A parte che il gusto, buono o cattivo, non credo abbia a che fare con l’immortalità dell’anima. E’ molto soggettivo, sottoposto a forti oscillazioni nel tempo. Un anno va il nero, l’altro anno va il bianco. Un’epoca esige l’essenziale, un’altra va pazza per l’orpello. Sono fenomeni a cui bisogna dare il giusto (modesto) peso.[...]

Io sono cristiano perché voglio l’eterno, non mi faccio inchiodare al qui e ora del trendy che domani mattina sarà già modernariato.

Siccome sei cresciuta a Bologna vado a rivedermi il catalogo del bolognese Guido Reni, pittore per esteti.
Com’è giusto che sia i crocifissi abbondano e non c’è Maddalena senza la sua brava croce. Magari non al collo però in mano e di grandi dimensioni, quindi ancora più visibile. La Maddalena penitente conservata a Baltimora porta una croce sottilissima, elegantissima, evidentissima.

Potresti obiettarmi che per quanto ex peccatrice Maddalena è una santa e tu invece sei una donna normale. A maggior ragione: la croce non è un premio da meritarsi, non è una medaglia al valore. Sono proprio i santi quelli che potrebbero farne a meno e siamo esattamente noi, distratti, smemorati, ad averne costante bisogno. Per lungo tempo ho temuto che il mio cattivo comportamento (i vizi a cui sono tanto affezionato) potesse gettare un’ombra sulla croce che porto al collo.
Ho avuto questo cruccio fino a quando non ho letto Angelo Scola, il patriarca di Venezia: “Se io dovessi aspettare di essere perfetto per testimoniare non testimonierei mai. Invece paradossalmente anche il più grande peccatore può testimoniare. Non si comunica se stessi, ma il grande dono ricevuto da Gesù.”

Una rassicurazione definitiva dopo la quale posso soltanto passare al punto 3: la questione molto molto femminile del crocifisso infilato fra le tette.

Sì, il mondo dello spettacolo è pieno di zoccole che usano la croce per valorizzare la scollatura. Non tutto il male viene per nuocere, la zoccolaggine dilagante sugli schermi mi dà l’occasione di citare niente meno che Alessandro Manzoni: “E’ dottrina perpetua della chiesa che si devono detestare gli errori e amare gli erranti.”

Sei una donna cavillosa, Cristina, e mi dirai che mi viene troppo facile di amare le zoccole.

Sì, mi è sempre venuto facilissimo, non è che bisogna soffrire 24 ore su 24 per tutti i giorni che ci sono dati da vivere.
Temo ci sia anche un pizzico di superbia nel non volersi mescolare con le puttane o simili. Frequentarle non è obbligatorio ma non è nemmeno proibito. Gesù lo faceva, abitualmente, e infatti i farisei, razza di vipere ipocrite, non perdevano occasione per criticarlo. Lui non si faceva condizionare e a casa di Simone il Fariseo si fece massaggiare i piedi da una di quelle: “Una peccatrice venne con un vasetto di olio profumato; e stando dietro, presso i suoi piedi, cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di olio profumato” (Vangelo di Luca 7, 37-38, se vuoi puoi andare a controllare).
Simone naturalmente pensò male e Gesù rispose in questo modo: “Le sono perdonati i suoi molti peccati, poiché ha molto amato.” Dopo una frase del genere, di quelle che bastano per salvare vite e mondi, faccio fatica a continuare ma devo.

Parlavamo delle zoccole crocimunite.
Può darsi che usino il crocifisso al solo scopo di attirare l’attenzione dei maschi ma può anche darsi che non sia così. Credo che parecchie volte si intreccino le due motivazioni: l’orgoglio per le tette e l’affidamento a Cristo (ne hanno molto bisogno, è un duro mestiere, le tette durano poco). Ma siamo sempre nel campo delle ipotesi. Lo sai tu che cosa passa per la testa di queste signorine? Io no. Mi piacerebbe ma non lo so. E allora “in dubio pro reo” come dicevano i latini. [...]



Infine: ammettendo pure che i non tantissimi crocifissi che si vedono per strada siano tutti, nessuno escluso, al collo di baldracche o sataniste, vuoi lasciare a gente simile il monopolio della rappresentazione divina?

Vista la brutta piega che negli anni Settanta stavano prendendo le cose, papa Paolo VI si preoccupò di fissare l’ultima trincea: “Bisogna che sussista un piccolo gregge, per quanto piccolo esso sia”. Quel piccolo gregge siamo noi che portiamo la croce in quanto cristiani. E’ intorno al nostro collo che si gioca la validità del famoso versetto del Vangelo di Matteo: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa”.

Questo dovrebbe bastarti per farti scattare verso il più vicino chincagliere onde munirti di croce regolamentare. Lo hai già fatto, lo so, me l’hai detto, “per farti un’idea”. Ma non hai trovato nulla.
Non hai trovato nulla perché sei andata nei negozi di articoli religiosi che andrebbero invece chiamati negozi del kitsch religioso. Gli oggetti in vendita sembrano realizzati per indurre ripugnanza e favorire, per reazione, l’eresia iconoclasta.

Bella la tua mail in proposito:
“La ricerca del Crocifisso si sta facendo sempre più ardua e le suore non sono il massimo della simpatia. Vado al negozio di apostolato liturgico in piazza Duomo e la suora mi ripropone le Tau (“NONEEE”) e croci in legno con Gesù in metallo (“La vorrei senza Gesù”). Rimane una crocetta che dovrebbero vendere corredata di lente di ingrandimento.
Esco. Libreria San Paolo, sempre in piazza Duomo. Entro e c’è nell’aria “No woman no cry” (Bob Marley). Mi rivolgo a questo prete che ha la faccia, i capelli e le mani da busone. Aridaje con le Tau in legno e con le crocette microchip. Mi apre la scatolina delle crocette microchip e ne prende una e non vuole darmela in mano (come alle elementari: Te la faccio vedere, ma in mano mia).”


Povera Cristina e povero Cristo!
Gli esponenti del clero in cui ti sei imbattuta richiamano una frase di Pio XII: “La prova che la chiesa è un’opera divina è che neanche gli ecclesiastici sono riusciti a distruggerla.” In particolare le Tau, le croci egiziane a forma di T, mi fanno innervosire. Le ho sempre viste addosso a telepreti in stile Antonio Mazzi, mezzesuore in stile Rosi Bindi, ragazzi smunti che scrivono sui settimanali diocesani, chitarristi beat che ragliano durante la messa domenicale. E’ la croce prediletta da quella deprimente fauna parrocchiale che a me fa uno stranissimo effetto: ogni volta che la sfioro mi prende l’irresistibile voglia di ascoltare heavy metal ad alto volume e partecipare a orge con ragazze indossanti slip di pelle nera.

Ovviamente la croce da portare al collo deve avere la forma della croce su cui venne inchiodato Cristo. Una croce latina, quindi. Qualsiasi altra croce tradisce la realtà, ad esempio quelle croci deformi, curvilinee, quasi aerodinamiche, che si vedono in tante vetrine. “Nell’arte sacra non c’è spazio per l’arbitrarietà. Dalla soggettività non può venire alcuna arte sacra.”
Lo ha scritto il cardinale Ratzinger e chissà a quali serbatoi di pazienza avrà attinto quando, divenuto Papa, ha dovuto parlare al convegno ecclesiale di Verona sotto una grande croce dai braccini corti che al posto di Gesù Cristo mostrava un ectoplasma lattiginoso. Gli oggetti condizionano, eccome, e l’arcivescovo di Milano sotto quella croce rattrappita fece un discorso che le somigliava, rachitico, ingeneroso, un discorso coi braccini corti. Descrisse la chiesa come un club esclusivo, per soli preti e amici dei preti.
Il Papa dovette poi spiegare che è invece un movimento inclusivo, aperto a tutti: è cristiano chiunque sappia che la croce salva l’uomo, e non importa granché se non conosce o non condivide ogni singolo dogma.

Le ultime parole pronunciate da Gesù furono: “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”. Se lui vuole stare con me io voglio stare con lui, portando una croce che mi ricordi sempre e per sempre la sua presenza, seguendo l’esempio di papa Giovanni Paolo II che stringeva spasmodico il crocifisso partecipando malatissimo alla sua ultima via crucis, l’esempio del milione di cristiani (lavoratori indiani, filippini, libanesi, egiziani copti…) che vivono in Arabia Saudita e rischiano ogni giorno di essere picchiati e incarcerati perché quel regime musulmano proibisce severamente anche il possesso di un rosario, l’esempio della signora Nadia Eweida, impiegata della British Airways all’aeroporto londinese di Heathrow, che si è fatta sospendere dal lavoro pur di non strapparsi dal collo la sua piccola croce.

Cristina, per il nome che porti e per i sentimenti che ho conosciuto in te, sono sicuro di non dover aggiungere altro. Che Dio ti benedica.
Camillo