lunedì, novembre 30, 2009

Pro Missa bene cantata [11]

«Milano, 30 novembre 1969.
Messa nella chiesa di San Gottardo. Ci sono andato per salutare don Ernesto Pisoni, che per la prima volta tornava a officiare dopo il grave infarto che lo ha condotto tre mesi fa in fin di vita. L’ha officiata secondo il nuovo rito che dovrebbe, dicono, favorire una più spontanea partecipazione dei fedeli. Infatti è stata una di essi che lo ha iniziato leggendo qualcosa ad alta voce davanti all’altare. Ma quando si è voltata, ho visto che si trattava di Eva Magni [nota attrice dell'epoca, ndr ].
Poi, per farla completa, è subentrato Enzo Ricci [l'attore Renzo Ricci , ndr]. Ha letto un’epistola di San Paolo da par suo, cioè da pari di San Paolo, anzi come se San Paolo fosse stato lui stesso, tanto che mi sono stupito che non si fosse presentato addirittura in costume romano. Hai voglia a dare la spontaneità ai fedeli cattolici! Essi non sapranno che “recitarla” »

["I conti con me stesso" diario di Indro Montanelli (1909-2001) a cura di Sergio Romano; Ed. Rizzoli 2008]

giovedì, novembre 26, 2009

Ecclesia Dei afflicta, IV


Sive: PRO MISSA BENE CANTATA

Piero Marini persevera nell'errore.
In data 25 novembre 2009 l'Osservatore Romano pubblica l'articolo (dal titolo quanto mai comicamente inappropriato) "La liturgia al tempo di Benedetto XVI" a firma dello stesso emerito curatore delle liturgie papali prima che il Benedetto sommo liturgo lo promuovesse a responsabile dell'organizzazione dei Congressi Eucaristici internazionali.
L'articolo altro non è che un veloce excursus incensatorio dell'opera plasmatrice di Monsignor Maestro sulle liturgie pontificie all'alba del pontificato ratzingeriano. Il testo, pubblicato dal foglio vaticano, denuncia d'essere un estratto dalla Lectio Magistralis pronunciata dall'emerito cerimonie pontificio in occasione nella sua propria incoronazione con le apollinee fronde, tributatagli dalla Facoltà Teologica della Università di Friburgo, quale solenne atto di riconoscimento e di riconoscenza "per il contributo decisivo dato all'attuazione della riforma liturgica del concilio Vaticano II nel corso del suo servizio di responsabile delle celebrazioni liturgiche papali".

Piero Marini persevera nell'errore, scientemente e contro ogni evidenza storico critica: ne aveva già dato testimonianza nel suo anglico libello "A challenging Reform" per i tipi della Liturgical Press pubblicato nel 2007 sostenendo che i padri conciliari approvando prima di ogni altro documento la costituzione liturgica "Sacrosantum Concilium" per la semplice ragione che da quei venerabili padri «la riforma liturgica non era intesa o applicata solo come riforma di alcuni riti» ma era «la base e l’ispirazione degli obiettivi per cui il Concilio era stato convocato»!
Lo ripete pertinacemente ricevendo la laurea honoris causa in teologia: «La riforma liturgica è il fondamento delle altre riforme. La riforma della Chiesa, l'ecumenismo, la missione, il dialogo con il mondo contemporaneo dipendono cioè dalla riforma liturgica. Si può dunque a ragione affermare che la Sacrosanctum concilium è stata la prima costituzione conciliare non solo in senso temporale ma anche come fons e matrice delle altre costituzioni e di tutte le riforme promosse dal concilio».

Quindi per il Monsignore, qualunque passo avanti nelle buone relazioni con ebrei, buddisti o scintoisti deve necessariamenre essere il frutto di una riforma liturgica, ed al contempo deve generare ulteriori riforme litugiche. Ecco quindi che il "Summorum Pontificum" sarebbe un "tornare indietro" un "volgere le spalle" non solo al dialogo ecumenico ma ad interessarsi delle problematiche planetarie quali la pace, la povertà e la fame dei popoli.
Or bene, siccome il prete che celebra in vernacolo rivolto verso il popolo, quale immagine di un cattolicesimo dialogante ed amico del mondo contemporaneo, continua imperterrito a ripetere gli stessi no (al divirzio, all'aborto, al sacerdozio alle donne etc) del prete preconciliare volgente le spalle al popolo: bisogna dedurne che una tale teoria sia inconciliabile con la realtà sia della lettera e sia dello spirito dei padri conciliari e tanto più dei padri post-conciliari.

Qualunque storia seppur sommaria del Concilio Vaticano II deve ammettere che non ci furono affatto motivazioni ideologiche che spinsero a trattare per primo l'argomento liturgico, quasi che sulla creazione di nuove norme liturgiche avrebbe dovuto poggiare tutta l'architettura dottrinaria a seguire. Lo schema sulla liturgia fu il primo ad essere trattato proprio perchè era quello che creava meno spaccature ideologiche: "Che, poi, questo testo sia stato il primo a essere esaminato dal Concilio non dipese per nulla da un accresciuto interesse per la questione liturgica da parte della maggioranza dei Padri, ma dal fatto che qui non si prevedevano grosse polemiche e che il tutto veniva in qualche modo considerato come oggetto di un’esercitazione, in cui si potevano apprendere e sperimentare i metodi di lavoro del Concilio." (Joseph Ratzinger "LA MIA VITA - Ricordi")
Insomma: come poteva l'episcopato essere contrario alle riforme liturgiche? Se ne ereno sempre fatte: l'appena concluso pontificato pacelliano era stato zeppo riforme liturgiche! E sotto il pontificato roncalliano il lavorìo dei liturgisti vaticani non era venuto certo meno: producendo prima la semplificazione delle rubriche del messale tridentino e poi la nuova edizione del medesimo messale.
Lo schema sulla liturgia fu pertanto l'unico redatto da una commissione preparatoria della Curia Romana a non subire la bocciatura dall'Assise Ecumenica: tutti erano daccordo sulla necessità che la Santa Sede proseguisse nell'opera già intrapresa della revisione dei libri liturgici.
I venerabili padri si accalorarono soltanto intorno al maggior o monore uso delle lingue volgari nei riti.

Nelle proprie memorie Joseph Ratzinger, "perito" al Concilio, porta lo stesso Papa della riforma liturgica post-conciliare a testimonio del fatto che (a differenza di ciò che vuol far credere Piero Marini!) nessun vescovo presente al Vaticano II era lucidamente convinto di essere giunto a Roma per approvare quella capitale riforma liturgica che avrebbe generato niente di meno che la palingenesi del Cattolicesimo stesso: "Per la maggioranza dei padri conciliari la riforma proposta dal movimento liturgico non costituiva una priorità, anzi per molti di loro essa non era nemmeno un tema da trattare. Per esempio, il cardinale Montini, che poi come Paolo VI sarebbe divenuto il vero papa del Concilio, presentando una sua sintesi tematica all’inizio dei lavori conciliari aveva detto con chiarezza di non riuscire a trovare qui alcun compito essenziale per il Concilio"!
Monsignor Marini Senior prosegue nella recita del suo mantra: "La riforma liturgica è il fondamento delle altre riforme". Persevera nel recitare la propria professione di fede in una riforma bugniniana teogona! Ecco la blasfemia per cui la rifoma liturgica post-conciliare avrebbe generato il Cattolicesimo stesso! Ma diradatisi, ormai, le cortine d'incenso dell'ideologia bugniniana (di cui monsignor Marini senior è l'epigono) appare, con raccapriccio, il parto della fantasia post-conciliare al potere: una vero e proprio mostro mitologico nutrito e carezzato per un quarantennio da tutta la compagine del mondo ecclesiale.
Ben tenuta al guinzaglio dal monsignor Piero, la fantastica chimera pretende ancora di scorrazzare da padrone nella vigna del Signore, colpevolmente incurante della presenza del Benedetto vignaiolo.

mercoledì, novembre 18, 2009

SPES AEDIFICANDI, IV


Ovvero: "La Cattedrale dall'architettura romanica a quella gotica, il retroterra teologico"

"La fede cristiana [...] ispirò anche una delle creazioni artistiche più elevate della civiltà universale: le cattedrali, vera gloria del Medioevo cristiano. Infatti, per circa tre secoli, a partire dal principio del secolo XI si assistette in Europa a un fervore artistico straordinario.
Un antico cronista descrive così l’entusiasmo e la laboriosità di quel tempo: “Accadde che in tutto il mondo, ma specialmente in Italia e nelle Gallie, si incominciasse a ricostruire le chiese, sebbene molte, per essere ancora in buone condizioni, non avessero bisogno di tale restaurazione. Era come una gara tra un popolo e l’altro; si sarebbe creduto che il mondo, scuotendosi di dosso i vecchi cenci, volesse rivestirsi dappertutto della bianca veste di nuove chiese. Insomma, quasi tutte le chiese cattedrali, un gran numero di chiese monastiche, e perfino oratori di villaggio, furono allora restaurati dai fedeli” (Rodolfo il Glabro, Historiarum 3,4).

Vari fattori contribuirono a questa rinascita dell’architettura religiosa. Anzitutto, condizioni storiche più favorevoli, come una maggiore sicurezza politica, accompagnata da un costante aumento della popolazione e dal progressivo sviluppo delle città, degli scambi e della ricchezza. Inoltre, gli architetti individuavano soluzioni tecniche sempre più elaborate per aumentare le dimensioni degli edifici, assicurandone allo stesso tempo la saldezza e la maestosità. Fu però principalmente grazie all’ardore e allo zelo spirituale del monachesimo in piena espansione che vennero innalzate chiese abbaziali, dove la liturgia poteva essere celebrata con dignità e solennità, e i fedeli potevano sostare in preghiera, attratti dalla venerazione delle reliquie dei santi, mèta di incessanti pellegrinaggi.

Nacquero così le chiese e le cattedrali romaniche, caratterizzate dallo sviluppo longitudinale, in lunghezza, delle navate per accogliere numerosi fedeli; chiese molto solide, con muri spessi, volte in pietra e linee semplici ed essenziali. Una novità è rappresentata dall’introduzione delle sculture. Essendo le chiese romaniche il luogo della preghiera monastica e del culto dei fedeli, gli scultori, più che preoccuparsi della perfezione tecnica, curarono soprattutto la finalità educativa. Poiché bisognava suscitare nelle anime impressioni forti, sentimenti che potessero incitare a fuggire il vizio, il male, e a praticare la virtù, il bene, il tema ricorrente era la rappresentazione di Cristo come giudice universale, circondato dai personaggi dell’Apocalisse. Sono in genere i portali delle chiese romaniche a offrire questa raffigurazione, per sottolineare che Cristo è la Porta che conduce al Cielo. I fedeli, oltrepassando la soglia dell’edificio sacro, entrano in un tempo e in uno spazio differenti da quelli della vita ordinaria. Oltre il portale della chiesa, i credenti in Cristo, sovrano, giusto e misericordioso, nell’intenzione degli artisti potevano gustare un anticipo della beatitudine eterna nella celebrazione della liturgia e negli atti di pietà svolti all’interno dell’edificio sacro.

Nel secoli XII e XIII, a partire dal nord della Francia, si diffuse un altro tipo di architettura nella costruzione degli edifici sacri, quella gotica, con due caratteristiche nuove rispetto al romanico, e cioè lo slancio verticale e la luminosità.
Le cattedrali gotiche mostravano una sintesi di fede e di arte armoniosamente espressa attraverso il linguaggio universale e affascinante della bellezza, che ancor oggi suscita stupore. Grazie all’introduzione delle volte a sesto acuto, che poggiavano su robusti pilastri, fu possibile innalzarne notevolmente l’altezza. Lo slancio verso l’alto voleva invitare alla preghiera ed era esso stesso una preghiera. La cattedrale gotica intendeva tradurre così, nelle sue linee architettoniche, l’anelito delle anime verso Dio. Inoltre, con le nuove soluzioni tecniche adottate, i muri perimetrali potevano essere traforati e abbelliti da vetrate policrome. In altre parole, le finestre diventavano grandi immagini luminose, molto adatte ad istruire il popolo nella fede. In esse - scena per scena – venivano narrati la vita di un santo, una parabola, o altri eventi biblici. Dalle vetrate dipinte una cascata di luce si riversava sui fedeli per narrare loro la storia della salvezza e coinvolgerli in questa storia.

Un altro pregio delle cattedrali gotiche è costituito dal fatto che alla loro costruzione e alla loro decorazione, in modo differente ma corale, partecipava tutta la comunità cristiana e civile; partecipavano gli umili e i potenti, gli analfabeti e i dotti, perché in questa casa comune tutti i credenti erano istruiti nella fede. La scultura gotica ha fatto delle cattedrali una “Bibbia di pietra”, rappresentando gli episodi del Vangelo e illustrando i contenuti dell’anno liturgico, dalla Natività alla Glorificazione del Signore.

In quei secoli, inoltre, si diffondeva sempre di più la percezione dell’umanità del Signore, e i patimenti della sua Passione venivano rappresentati in modo realistico: il Cristo sofferente (Christus patiens) divenne un’immagine amata da tutti, ed atta a ispirare pietà e pentimento per i peccati. Né mancavano i personaggi dell’Antico Testamento, la cui storia divenne in tal modo familiare ai fedeli che frequentavano le cattedrali come parte dell’unica, comune storia di salvezza.
Con i suoi volti pieni di bellezza, di dolcezza, di intelligenza, la scultura gotica del secolo XIII rivela una pietà felice e serena, che si compiace di effondere una devozione sentita e filiale verso la Madre di Dio, vista a volte come una giovane donna, sorridente e materna, e principalmente rappresentata come la sovrana del cielo e della terra, potente e misericordiosa. I fedeli che affollavano le cattedrali gotiche amavano trovarvi anche espressioni artistiche che ricordassero i santi, modelli di vita cristiana e intercessori presso Dio. E non mancarono le manifestazioni “laiche” dell’esistenza; ecco allora apparire, qua e là, rappresentazioni del lavoro dei campi, delle scienze e delle arti. Tutto era orientato e offerto a Dio nel luogo in cui si celebrava la liturgia.

Possiamo comprendere meglio il senso che veniva attribuito a una cattedrale gotica, considerando il testo dell’iscrizione incisa sul portale centrale di Saint-Denis, a Parigi: “Passante, che vuoi lodare la bellezza di queste porte, non lasciarti abbagliare né dall’oro, né dalla magnificenza, ma piuttosto dal faticoso lavoro. Qui brilla un’opera famosa, ma voglia il cielo che quest’opera famosa che brilla faccia splendere gli spiriti, affinché con le verità luminose s’incamminino verso la vera luce, dove il Cristo è la vera porta”.

Cari fratelli e sorelle, mi piace ora sottolineare due elementi dell’arte romanica e gotica utili anche per noi. Il primo: i capolavori artistici nati in Europa nei secoli passati sono incomprensibili se non si tiene conto dell’anima religiosa che li ha ispirati. Un artista, che ha testimoniato sempre l’incontro tra estetica e fede, Marc Chagall, ha scritto che “i pittori per secoli hanno intinto il loro pennello in quell'alfabeto colorato che era la Bibbia”. Quando la fede, in modo particolare celebrata nella liturgia, incontra l’arte, si crea una sintonia profonda, perché entrambe possono e vogliono parlare di Dio, rendendo visibile l’Invisibile.
[...]
Il secondo elemento: la forza dello stile romanico e lo splendore delle cattedrali gotiche ci rammentano che la via pulchritudinis, la via della bellezza, è un percorso privilegiato e affascinante per avvicinarsi al Mistero di Dio. Che cos’è la bellezza, che scrittori, poeti, musicisti, artisti contemplano e traducono nel loro linguaggio, se non il riflesso dello splendore del Verbo eterno fatto carne? Afferma sant’Agostino: “Interroga la bellezza della terra, interroga la bellezza del mare, interroga la bellezza dell’aria diffusa e soffusa. Interroga la bellezza del cielo, interroga l’ordine delle stelle, interroga il sole, che col suo splendore rischiara il giorno; interroga la luna, che col suo chiarore modera le tenebre della notte. Interroga le fiere che si muovono nell'acqua, che camminano sulla terra, che volano nell'aria: anime che si nascondono, corpi che si mostrano; visibile che si fa guidare, invisibile che guida. Interrogali! Tutti ti risponderanno: Guardaci: siamo belli! La loro bellezza li fa conoscere. Questa bellezza mutevole chi l’ha creata, se non la Bellezza Immutabile?” (Sermo CCXLI, 2: PL 38, 1134).
BENEDICTUS PP XVI

venerdì, novembre 06, 2009

Gaudet Mater Ecclesia! [5]

OVVERO: IL TRONETTO DOVE LO METTO?



[dal "Diario del Concilio" di monsignor Neophytos Edelby (1920-1995) vescovo cattolico arabo di rito bizantino]

"Venerdì 6 novembre 1964, - 116a congregazione generale.
Questa mattina il papa ha voluto presiedere di persona la riunione conciliare. Molti si chiedevano, in effetti, perchè il papa non prendesse mai parte alle deliberazioni conciliari, come se non fosse membro del Concilio. E' vero che il papa tende a non restringere, con la sua presenza, la libertà d'espressione dei padri. Ma non è bene, non più, che il papa appaia come estraneo al Concilio, avendo solo il ruolo di confermare, se lo vuole, le decisioni del Concilio, inteso come assemblea dei vescovi separata dal papa.

Questa mattina, dunque, il papa ha dato una manifestazione concreta della collegialità episcopale al Concilio, perchè vi ha semplicemente preso parte, al tavolo del consiglio di presidenza, in mezzo ai cardinali. Egli ha semplicemente occupato il posto del card. Tisserant, su una poltrona un po' più dorata e un po' più elevata.
Collera di mons. Dante, cerimoniere pontificio, che non può comprendere come il papa possa sedersi in mezzo agli altri vescovi!

Il papa ha assistito, per cominciare, alla messa di rito etiope, celebrata con tam-tam e cetre.
Ha fatto il suo ingreso nella basilica accompagnato soltanto da due cardinali e da quattro segretari. E' venuto a piedi, senza sedia gestatoria, e camminando così veleocemente che la sua scorta faticava a seguirlo. Allora nella sala conciliare sono scattati degli applausi frenetici. Sono state ascoltate delle voci: «Viva il papa democratico!». Era una battuta di spirito. Ma è certo che i vescovi sono rimasti molto toccati da questo gesto del papa che, poco a poco. senza rivoluzioni e senza dichiarazioni incendiarie, si sta spogliando delle apparenze di un'apoteosi non evangelica.
I vescovi e il mondo cristiano lo rispetteranno di più.

Questa mattina, sotto la presidenza del papa, si è cominciata la discussione dello schema sulle missioni. Il papa, con la sua presenza e con il suo discorso inaugurale, ha sottolineato l'importanza di tale questione. Il card. Agagianian, prefetto della congregazione di Propaganda, gli ha risposto in termini commossi, evocando il lavoro, le lacrime e il sangue dei missionari attraverso il mondo.
Poi il papa è teornato a casa, non senza salutare i cardinali presenti, i cardinali moderatori, e ciascuno dei patriarchi personalmente.
Di nuovo applausi entusiasti. [...]"