martedì, dicembre 29, 2009

Carenza di Bosforo / 6

Ovvero: "Il basileus che siede a Costantinopoli vince sempre."
_____ Cecaumeno, Strategikon (XI secolo d.C.)


L’archimandrita Tichon Sevkunov del monastero moscovita della Presentazione al Tempio, è il padre spirituale di Vladimir Putin.
Racconta l'archimandrita: "è venuto da noi in Chiesa, poiché il nostro monastero è situato non lontano dal suo precedente posto di lavoro". Il monastero della Presentazione è, infatti, vicino al palazzo della Lubjanka, sede del Kgb.

L'archimandrita Tichon salì all'onore delle cronache quando nell'anno Domini 2000 si mise alla testa di una campagna contro l'introduzione del codice fiscale considerato come l'apocalittico marchio dell'Anticristo. Ci fu bisogno di un solenne intervento del Santo Sinodo del Patriarcato di Mosca che negò ogni legame tra i codici a barre e il numero della bestia dell'Apocalisse.
Nell'aprile 2002, in un periodo di forti tensioni tra il Vaticano e il Patriarcato Moscovita, la rivista 30 Giorni dava conto di un'intervista al quotidiano Izvestija in cui l'archimadrita Tichon definiva Putin: "un cristiano ortodosso vero, e non solo per modo di dire. Un uomo che si confessa, fa la comunione ed è consapevole della responsabilità che ha dinanzi a Dio per l’alto compito affidatogli e per la salvezza della sua anima". E accompagnando l'ascesa dell'anima di Putin, Tichon Sevkunov è divenuto il punto di riferimento dei "teo-con" russi.
Per lo slavista Adriano Dell'Asta si tratta niet'altro che dei vecchi ideologhi sovietici riciclati: "I neoconservatori rivendicano una parentela con Solzenicyn, ma le loro posizioni sono agli antipodi. Questi autori parlano di espansione della Russia, invece la prospettiva che Solzenicyn indicava al potere era di rinunciare al perseguimento della via imperiale e di rivolgersi a uno sviluppo interno politico e umano, vero ambito della grandezza russa."

Or dunque: telegenico, sorridente, con lunghi capelli chiari raccolti in un codino, e con tanto di diploma in cinematografia, l'archimandrita Tichon in un cortometraggio realizzato nel 2008 con la benedizione del Cremlino, espone e pubblicizza l'ideologia "teo-con" imperialista russa di stampo putiniana. E del resto, l'imperialismo russo -anche quello sovietico- ebbe sempre come proprio ideale l'impero ortodosso di Costantinopoli: si deve a Stalin il potenziamento gli studi bizantini nelle università sovietiche.
Nel proprio saggio "Lo Stato Bizantino" la bizantinologa Silvia Ronkey osservava che non è un caso che la bizantinistica russa sia la più suggestiva del Novecento: "Il sospetto che l'analisi del passato bizantino sia debitrice di un'osservazione del presente sovietico riaffiora continuamente negli studi della generazione che fu annunciata da Levcenko. Il che non ne compromette la validità e lucidità. Anzi, l'attualizzazione dei problemi, la loro proiezione nel presente, ha fatto sì che gli studiosi dell'ex Urss abbiano nutrito verso Bisanzio un interesse meno casuale e meno marginale di altre culture europee."


Propongo di seguito ampli stralci del commento che (la Stampa 25 Marzo 2008), con la perfidia degna di una basilissa, Silvia Ronchei fa delle tesi dell'archimandrita:

« “La distruzione dell’impero: una lezione bizantina” è il titolo del cortometraggio di 45 minuti in cui Sevkunov passa dalle cupole innevate di Mosca a quelle di Santa Sofia a Istanbul e di San Marco a Venezia. Qui, davanti al celebre tesoro che include il bottino della conquista crociata di Costantinopoli nel 1204, il regista-narratore lancia l’accusa centrale: fin dal protocapitalismo delle repubbliche mercantili il rapace Occidente ha dissanguato il millenario impero bizantino, custode dei valori dell’ortodossia e della tradizione antica. Ha arraffato e predato quel che poteva — “Guardate, guardate, qui tutto è bizantino”, mostra Tichon alla cinepresa — per abbandonare poi Costantinopoli all’orda islamica del 1453.

L’equazione è chiara. Lo stesso accade oggi alla Terza Roma, Mosca, erede dell’autocrazia bizantina fin da quando il matrimonio del Gran Principe Ivan III con l’ultima erede dei Paleologhi trasmise al nascente impero russo il DNA di Bisanzio. Ma è altrettanto “genetico”, secondo il film, l’odio antibizantino degli occidentali. Se il primo errore di Bisanzio era stato fidarsi dell’Occidente [...] lo stesso può accadere alla Russia di oggi, insidiata dallo “spirito giudaico dell’usura” che anima il demone del capitalismo americano.

Bisanzio è caduta perché si è lasciata contagiare dalla modernizzazione importata dai mercanti genovesi e veneziani, infiltrare dal “satanico spirito del commercio” e del profitto. Oggi rischia lo stesso la Russia, minacciata dagli imprenditori americani e tradita dagli avidi oligarchi loro alleati.

“Lotta contro gli oligarchi” è chiamata senza mezzi termini la campagna vittoriosa di Basilio II contro i “ricchi e potenti” dell’impero. [...] Perché i veri traditori dell’impero, quelli che lo consegnarono all’Occidente, si annidavano all’interno della classe dominante, esattamente come oggi in Russia. Solo dimostrando che neppure la ricchezza può proteggerli dalla prigione gli oligarchi possono essere domati e trasformati in apparatciki, come nell’XI secolo i “ricchi e potenti” dell’impero erano stati costretti nei ranghi della burocrazia di corte al servizio dell’autocrator.
[...]
Così, mentre Solgenitsin è ormai uno sbiadito revenant che nessuno ascolta, è il fantasma di Stalin nell’immaginario dell’intelligencija, e nei talk show televisivi una vecchia leva di bizantinisti direttamente passati dalla fede nel partito a quella nella chiesa proclama apertamente: “L’Occidente è sempre stato contro Bisanzio così come è oggi contro la Russia”. E mentre nelle librerie di Mosca e Pietroburgo i libri di storia bizantina vanno a ruba, l’antico antioccidentalismo dei grandi reazionari contagia in versione mediatica le masse.»

lunedì, dicembre 28, 2009

DEVOTIO MODERNA [15]

Ovvero: "A meno che si possa fare il viaggio in modo più sicuro e con minor rischio su più solida nave, ossia affidandosi ad una divina rivelazione" (PLATONE)

"La prima "crociera cattolica", con la presenza di alcuni vescovi e di un noto sacerdote cantante è stata lanciata in questi giorni in Brasile.
«Non si tratta di una semplice crociera a tema, ma è un vero e proprio pellegrinaggio - spiega Otacilio de Melo, l’imprenditore che ha lanciato l’idea - Il progetto, concepito per non banalizzare la fede, è stato valutato e approvato dai vertici della Chiesa in Brasile».

La 'Crociera Cattolica - Navigando con Nostra Signora' si svolgerà nel febbraio del 2010, e percorrerà la costa brasiliana dal porto di Santos fino alla località balneare di Buzios, con sosta a Rio de Janeiro. Ognuno dei 1.800 «turisti della fede» pagherà 2.040 real (815 euro) per due settimane a bordo del transatlantico di lusso Grand Celebration. Ci saranno sessioni di preghiera condotte dalla nota attrice di telenovelas Myrian Rios, e serate allietate dal sacerdote cantante Fabio de Melo, uno dei fenomeni della musica cattolica in Brasile, con oltre dieci milioni di copie di CD vendute negli scorsi anni.
Secondo il maggior quotidiano brasiliano,la Folha de S.Paulo, che ha dato la notizia, per la crocierà è già confermata la presenza di una decina di vescovi, mentre il nunzio apostolico a Brasilia, Lorenzo Baldisseri, non ha ancora risposto all’invito."

["In crociera per fede" del vaticanista "Giacomo Galeazzi]

Carenza di Bosforo / 5

Dall'alto delle colonne della Stampa di domenica 27 dicembre 2009, con la perfidia degna di una basilissa, la bizantinologa Silvia Ronchey recensisce il saggio del politologo statunitense esperto di strategie militare Edward Luttwak, definendo benevolmente il tomo, tradotto e pubblicato dalle edizioni Rizzoli: "un esercizio di erudizione di più di 500 pagine, in cui prenda a parlare non più dell’impero romano, su cui a suo tempo ha scritto un libro molto discusso, ma di un impero studiato da pochi e conosciuto da ancora meno: l’impero bizantino."

"La grande strategia dell’impero bizantino" è stato un ingegnoso esercizio di attualizzazione della politica bizantina attraverso attraverso cui Luttwak paradgmaticamente interpreta l'insuccesso statunitense nell'esportazione armata della democrazia occidentale nei paesi islamici: "così da spiegare da un lato il fallimento della recente strategia di quest’ultima e predire dall’altro la sua continuazione quale massimo impero mondiale. Ecco che Bisanzio diventa la ricetta per il futuro dell’America[...]".

Per la "basilissa" Ronkey: "L’idea di Luttwak di studiare la strategia di Bisanzio è geniale oltre che attuale, poiché il fantasma di quel millenario impero multietnico aleggia sulle aree geopolitiche interessate dai conflitti del XXI secolo, e non solo su quelli scatenati dalle dottrine strategiche dell’amministrazione Bush — Iraq, Afghanistan, Pakistan — ma di fatto su tutte le zone nella cui odierna proliferazione bellica la strategia militare americana (e non solo) è intervenuta dopo la fine della Guerra Fredda: dai Balcani al Medio Oriente, dalla Mesopotamia al Caucaso.
Per questo, e per molte altre ragioni, le riflessioni di Luttwak sarebbero più che legittime. Se non partissero, tuttavia, da premesse sbagliate.
"Se fa come Bisanzio, l’impero americano durerà ancora a lungo”.
Ma l’America non è mai stata un impero.
Del particolare e peraltro desueto sistema di governo del territorio basato sulla dialettica fra centro e periferie anche remote, dunque sulla reciproca interazione di culture, geografie, etnie, linguaggi, élites, l’America non ha la storia, le tradizioni, l’apertura, che sono state invece proprie di poteri oggi in declino e in passato più o meno funzionali, ma certamente imperiali, come la Gran Bretagna o la Francia, la Turchia o la Russia. Ancora meno ha quelle di Bisanzio.

Conferire all’America status di impero significa da un lato alimentare un equivoco storico e dilatare un paragone incongruo fino al paradosso, dall’altro implicitamente giustificare ex post proprio quel ruolo di invadente gendarme internazionale che è stato causa dei fallimenti e dell’impopolarità dell’amministrazione Bush nel mondo e presso i suoi stessi cittadini.
Oltre all’equivoco di fondo, vari equivoci più circostanziati contribuiscono alla deformazione generale di un quadro che per altri versi Luttwak ha còlto (l’uso delle armi per contenere o punire piuttosto che per attaccare con spiegamento di forze; l’alleggerimento del potenziale militare e l’uso della diplomazia o della “dissuasione armata”; le varie forme di incentivo date agli stati satelliti sotto forma di sussidi, doni, onori, e così via). Ma, ad esempio, affermare che il punto di forza dei governanti bizantini sia stata “la fiducia indiscussa di essere gli unici difensori dell’unica vera fede”, presentare i rapporti con il nascente mondo arabo in termini di accesa contrapposizione religiosa, parlare addirittura, a proposito del califfato, di “offensiva jihadista”, spingersi a considerare “guerre sante” le iniziative militari bizantine — tutti questi sforzi di attualizzazione sono arbitrari e dunque insidiosi.
Non può essere certo paragonato all’islamismo odierno il tollerante e multireligioso mondo arabo ommayyade e abbaside preso in considerazione da Luttwak.

E, anzi, proprio nella periodizzazione si registra il maggior limite del libro, che lo colloca, come quello sull’impero romano, nel peraltro interessante genere dell’esercitazione storiografica praticata dal personale politico di ogni epoca. Nel definire quello che chiama il “codice operativo” della strategia di Bisanzio, Luttwak si basa su una “continuità” effettiva, che tuttavia attinge ai vari periodi in modo incostante. Se avesse approfondito di più l’età macedone, e quella comnena e paleologa, si sarebbe dovuto misurare con paradossi strategici ancora più significativi per il presente: ad esempio, l’ambiguo rapporto tra la potenza marittima bizantina e le repubbliche mercantili, la compenetrazione con i turchi osmani e così via. Come scrive nel suo Strategikon un bizantino dell’XI secolo, Cecaumeno: “Se prendi un libro, leggi tutte le pagine e non limitarti a estrarre solo le cose che ti piacciono di più”.

venerdì, dicembre 25, 2009

martedì, dicembre 22, 2009

Gran Rabbi nato /11

Sive: Ecclesia Dei afflicta

Il film sulla leggenda nera di Pio XII continuerà ad andare in onda perché frutto di un’antica partita interna al mondo cattolico. Lo ha spiegato il rabbino americano David G. Dalin
in appendice al volume di Burkhart Schneider, “Pio XII”.
“Quasi nessuno degli ultimi libri su Pio XII e sull’Olocausto” spiega “parla di Pio XII e dell’Olocausto.
Il vero tema di questi libri risulta essere una discussione interna al cattolicesimo circa il senso della chiesa oggi, dove l’Olocausto diviene semplicemente il bastone più grosso
di cui i cattolici progressisti possono disporre come arma contro i tradizionalisti”.

[Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro: "Gli attacchi a Pio XII nascono nella Chiesa"; Il Foglio, martedì 22 dicembre 2009]

lunedì, dicembre 21, 2009

La Ceremonia del Besamanos [4]

O sea: Entre todas las mujeres













Munificentissimus Deus [4]


Lo Stato della Città del Vaticano, nato con i Patti Lateranensi dell'11 febbraio 1929, ha rivendicato il diritto di battere moneta: privilegio che il Diritto intenazionale attribuisce ad ogni legittima autorità statuale. Con la convenzione monetaria siglata nel 1930, il Regno d'Italia concedeva al novello Stato Vaticano di batte moneta ma soltanto metallica. E nasceva, così, la Lira vaticana: coniata nella Zecca italiana, avente il medesimo valore nominale e lo stesso taglio delle monete circolanti nello Stato italiano.
Nel 1998, la Commissione Europea , in vista dell'entrata in vigore della moneta unica europea, dava mandato allo Stato italiano di ratificare una nuova convenzione monetaria poiché "è opportuno convenire che la Città del Vaticano utilizzi l'euro come sua moneta ufficiale e dia corso legale alle banconote e alle monete in euro emesse dal Sistema europeo di banche centrali e dagli Stati membri che adottano l'euro".

La Convenzione Monetaria tra la Santa Sede e la Repubblica Italiano, per conto della Comunità Europea, venne siglata il 29 dicembre dell'anno 2000. Nulla cambiava, tranne il bacino (continentale e non più nazionale) di circolazione della moneta vaticana. Gli Euro del Vaticano pertanto continuano ad esser coniati dalla Zecca di Roma, al pari degli Euro Italiani; il valore complessivo delle emissioni monetarie vaticane venne fissato ad un milione e 74 mila euro annui, circa la stessa cifra che precedentemente veniva coniata in lire
Le monete in Euro del Vaticano come quelle di tutti i paesi membri della Comunità europea, e di San Marino e del Principato di Monaco, vengono coniate in 8 pezzi (2 Euro, 1 Euro, 50, 20, 10, 5, 2 e 1 Eurocent) che adottano sul verso l'immagine utilizzato in tutta l'Unione Europea mentre il "recto" (che è quello che cambia da Stato a Stato) riporta, al pari di tutti gli Stati monarchici dell'Unione europea, l'effigie del capo di Stato ovvero del Pontefice regnante.

La prima serie di euro vaticani venne coniata nel 2002, e si trasformò immediatamente in un souvenir di lusso. Infatti, non solo la serie "fior di conio" ma tutto l'intero conio è divenuto oggetto delle brame dei patiti della numismatica. De facto è divenuto impossibile che l'Euro vaticano abbia una reale circolazione monetaria e tanto più che venga scambiato al valore nominale: una intera serie di monete coniate sotto il regno di Giovanni Paolo II può avere un valore che supera i mille euro! Lo stesso Pier Paolo Francini capo dell'ufficio filatelico e numismatico dello Stato della Città del Vaticano , intervistato dall'Osservatore Romano nell'agosto 2008, ammetteva con imbarazzo che gli euro vaticani coniati nel 2002 "hanno raggiunto quotazioni inopportune e improprie".

Ancor più "inopportune" le quotazioni della intera serie coniata nell'aprile 2005 durante la Sede Vacante con sul "recto" le insegne della Camera Apostolica e lo stemma del cardinale Camerlengo. Ad aumentare esponenzialmente la brama dei collezionisti è la peculiarità dell'emissione della Sede vacante del 2005 è che, unico caso nella pur breve storia dell'euro, l'anno non è espresso con le cifre arabe ma in numeri romani.
E poiché come attesta la scrittura "lo zelo per la tua casa mi divora" molti eurodeputati si sono fatti un punto d'onore di mettere fine a questa anomalia del sistema monetario europeo, trascinando la questione sul tavolo della Consiglio d'Europa.
I rappesentanti della Santa Sede hanno replicato che per lo Stato del Vaticano il conio durante la vacanza della Sede Apostolica è ritenuta necessario per rimarcare la continuità dell'esercizio dell'autorità statale e, di tale continuità dell'autorità il battere moneta è la manifestazione più rilevante. Ma il responso dei ministri delle Finanze dell'Unione in seduta comune è stato avverso. Le norme previste per il conio delle monete prescrive espressamente che il lato "nazionale" degli euro possa cambiare solo quando cambino i capi di Stato rappresentati sulla moneta: una temporanea vacanza o l'occupazione provvisoria della funzione di capo di Stato non può dare il diritto a cambiare il lato nazionale delle normali monete che vengono coniate per la libera circolazione.

I negoziati tra Vaticano e Commissione europea hanno portato ad un compromesso firmato l'11 febbraio 2009, nel fatidico anniversario dell'ottantesimo anniversario della fondazione della Città del Vaticano: gli Stati monarchici europei sono autorizzato a modificare l'effigie del capo di Stato ogni quindici anni per tener conto del cambiamento del suo aspetto; se un capo di Stato viene effigiato sulla moneta, nel momento in cui ci fosse un vuoto di potere o l'occupazione ad interim della funzione di capo di Stato - nel caso specifico: la Sede Vacante- ciò non dà diritto a modificare la faccia dei pezzi ma può coniare un solo pezzo commemorativo, e non un'intera serie. Quindi la Città del Vaticano potrà continuare a coniare la moneta "commemorativa" della Sede Vacante con tanto di insegne araldiche del Camerlengo, purché su di un solo pezzo e non su tutti ed otto monete.

Il Consiglio dell'Unione Europea in data 26 novembre 2009 decretava che l'Italia rinegoziasse gli accordi monetari con lo Stato della Città del Vaticano e che tale negoziazione avvenisse quanto prima nell'incombenza dell'entrata in vigore il primo gennaio 2010 delle nuove e generali disposizioni in materia di scambi monetari approvata dall'Unione europea. Pertanto, giovedì 17 dicembre 2009 a Bruxelles è stata siglata la nuova Convenzione monetaria tra lo Stato della Città del Vaticano e l’Unione Europea. A nome della Santa Sede, ha firmato monsignor André Dupuy, Nunzio apostolico presso l’UE, mentre per conto dell'Unione Europea non ha firmato un rappresentante del Governo italiano bensì lo spagnolo Joaquín Almunia, Commissario europeo per gli Affari Economici e Monetari.

Le disposizioni della nuova Convenzione monetaria (fonte Zenit, ndr) entreranno in vigore a partire dal primo gennaio 2010.
La Convenzione eleva a 2.300.000 euro fissi, più una quota supplementare variabile, il valore nominale della massa monetaria che può essere battuta dal Vaticano. Inoltre, d’ora in poi, almeno il 51% della moneta vaticana dovrà essere obbligatoriamente immessa in circolazione.
"Con la firma della Convenzione, il Vaticano recepisce tutte le normative comunitarie contro il riciclaggio di denaro, la frode e la falsificazione delle banconote."
"La Convenzione prevede infine l’istituzione di un Comitato misto che si riunirà annualmente per verificare l’applicazione della stessa Convenzione monetaria."

domenica, dicembre 20, 2009

Ecclesia Dei afflicta, V

Sive: Pascendi Dominici graegis


Sapido saggio di ecclesiologia offerto dal cardinale Godfried Danneels, l'Eminentissimo Primate del Belgio sul viale del tramonto, estratto dall'intervista rilasciata a Gianni Valente per il numero di Ottobre/novembre 2009 della benemerita rivista "30 Giorni":


Lei proprio quest’anno ha avuto modo di celebrare i 450 anni dalla fondazione della sua diocesi. Così la sua vicenda personale di arcivescovo ha avuto modo di incrociare i tempi lunghi della vita della Chiesa. Nei suoi discorsi, all’inizio delle celebrazioni giubilari, ha anche valorizzato la scelta del Concilio di Trento di istituire diocesi più piccole.
DANNEELS: Dal Concilio di Trento in poi c’è stata la scelta di diminuire l’estensione delle diocesi e fare diocesi più piccole, per favorire la prossimità. La mia arcidiocesi ancora adesso è abbastanza grande, ma prima lo era ancora di più: anche Anversa faceva parte di Malines-Bruxelles. Mi sembra importante, soprattutto adesso, nelle circostanze attuali, in cui la Tradizione sembra dissiparsi. Il pastore deve conoscere un po’ il suo gregge.

Lei, di questa prossimità, quale esperienza ha avuto? DANNEELS: I momenti più importanti sono sempre stati quelli vissuti andando il sabato sera e la domenica mattina in parrocchia, dove la gente va alla messa, per celebrare la liturgia eucaristica con loro, impartire le cresime, e poi rimanere lì a parlare per un’oretta. L’ho fatto per trent’anni. Per me è stata la cosa più confortante. Così ho sperimentato la comunione del vescovo con la sua Chiesa. Si prega insieme, c’è la liturgia, l’omelia, si celebrano i sacramenti. In questa realtà ordinaria della vita delle parrocchie, dove la Chiesa si raggiunge facilmente, fa parte del vicinato, e non bisogna fare percorsi complicati per raggiungerla e prender parte alla vita di fede. Dove magari vai e non trovi “truppe scelte”, persone dotte e sottili ragionatori, ma solo anziani, donne e bambini, qualche poveretto. Come accadeva già a san Paolo, che scrive ai cristiani di Corinto: tra di voi non ci sono molti sapienti secondo la carne, molti potenti, molti nobili. Ma è stato Dio stesso a scegliere i piccoli e i poveri, perché «nessun uomo possa gloriarsi» davanti a Lui. Per questo è il popolo che col suo sensus fidelium porta la Chiesa, e non il clero.


Questa prossimità ordinaria, questa raggiungibilità della Chiesa, tanti la sperimentano quando vanno a chiedere il battesimo per i propri figli piccoli. Lei, di recente, ha spiegato che in questa pratica non è in gioco solo il rispetto delle consuetudini.
DANNEELS: Quando Tertulliano ha detto a un certo punto della sua vita che non si sarebbero più battezzati i bambini, che chi voleva il battesimo doveva aspettare di diventare adulto, Roma ha risposto: no, perché è stato Gesù stesso a dire agli apostoli: «Lasciate che i piccoli vengano a me». L’argomento fondamentale a favore del battesimo dei bambini è che lo chiede Gesù stesso. Mi pare importantissimo. La presenza dei bambini battezzati nella Chiesa è una ricchezza che non possiamo mai dimenticare. È una grazia e un privilegio immenso, quello di vivere già dalla prima infanzia in un’atmosfera di preghiera, ma anche di culto, partecipando alla messa. [...]
DANNEELS:Il battesimo dei piccoli mostra fino a che punto la Chiesa crede che il venire alla fede è l’opera di Cristo in noi. E nello stesso tempo manifesta che la Chiesa è il luogo dove i piccoli e i poveri hanno il primo posto. La Chiesa non è un’assemblea di perfetti, tutti consapevoli e autonomi. Non è una riserva d’élite. Spesso noi crediamo che l’opera di Dio in noi si misuri in base al grado di consapevolezza che ne abbiamo: quanto più noi saremo consapevoli, tanto più la grazia potrà impregnarci. Ma non è così che funziona. Il lavoro della grazia non si manifesta in una presa di coscienza psicologica. La grazia precede la coscienza, e non ne è condizionata. Dio ama la sua creatura così com’è, cosciente o meno. Lui sa come lavorare le anime, anche quelle di chi non ne è consapevole. Quella del bebè come quella del moribondo o del malato terminale che ha perso coscienza. Solo la volontà malvagia prova a fare resistenza alla grazia. Non l’incoscienza innocente. E poi, chi può resistere alla mano di Dio, quando Lui ci vuole attirare a sé? Paolo, con tutta la sua volontà negativa, non è riuscito a resistere, alle porte di Damasco.
[...]
DANNEELS: La Chiesa ha bisogno di sant’Agostino. Che dice che la grazia fa tutto. Anche noi dobbiamo collaborare. Ma è Dio che opera, e noi cooperiamo. Invece ci siamo votati troppo a un certo pelagianesimo, pensiamo che le cose in fondo dipendono da noi, e che ci basta solo un piccolo aiuto da parte di Dio. E così neghiamo l’onnipotenza della grazia.
Proprio come succedeva ai tempi di Agostino.

Questa tentazione dove l’ha vista affiorare, nella Chiesa?
DANNEELS: Negli anni Sessanta e Settanta, questa tendenza ha assunto un colore più politico. Molti avevano in mente di realizzare il Regno di Dio inteso come rivoluzione sociale. Adesso, alcuni della Teologia della liberazione sono passati a fare l’ecologia. Sono gli stessi combattenti, hanno solo cambiato armamentario… Poi, negli anni Ottanta e Novanta, è prevalso un certo modo di interpretare l’evangelizzazione come impresa della Chiesa, come frutto del suo protagonismo nella società.
Oggi la stessa tendenza un po’ pelagiana ha assunto forme più restauratrici. Ci sono quelli che dicono: dopo il Concilio c’è stato un certo smarrimento, si sono dissipate tante cose buone, ma adesso ci pensiamo noi a rimettere a posto le cose, a raddrizzare il cammino. Chiamano sempre in causa cose essenziali: la liturgia, la dottrina, l’adorazione eucaristica… Ma a volte, nei loro discorsi, queste cose sembrano solo parole d’ordine di un nuovo corso, usate come bandiere. Cambiano gli slogan, ma la linea di fondo rimane sempre la stessa.

Quale?
DANNEELS: Siamo sempre tentati di fare da noi stessi. Prima nell’Azione cattolica, e dopo nei movimenti. Prima nel rinnovamento conciliare, e adesso nella restaurazione. Gli attori siamo sempre noi. Rimandiamo sempre a noi stessi: guardate me, come faccio bene le cose. Invece non serve a niente essere un grande predicatore, se l’attenzione del mondo si ferma sul predicatore. Vedere l’uomo di Chiesa non conta nulla, anzi, quell’uomo di Chiesa fa da schermo se dietro di lui non s’intravvede Gesù. San Paolo dice: potreste avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti padri. Ecco, questo è un tempo in cui ci sono tanti pedagoghi che parlano a nome di Cristo, danno lezioni a tutti nel nome di Cristo, ma non danno la loro vita. Non sono padri in Cristo, perché non sono figli.

Vorrei farle qualche domanda su questioni specifiche. Come ha vissuto dal Belgio la liberalizzazione dell’uso del Messale di san Pio V?
DANNEELS: Tutti i riti sono buoni quando sono riti cattolici. Ho sempre pensato che attraverso le disposizioni di tolleranza liturgica contenute nel motu proprio Summorum pontificum, il Papa abbia voluto mostrare la sua disponibilità affinché tutti i tradizionalisti rientrino nel seno della Chiesa cattolica. Non sono sicuro che sia sufficiente a risolvere la questione, perché il problema coi lefebvriani non è il rito, il problema è il Concilio Vaticano II.
La questione della liturgia è come la locomotiva. Bisogna vedere cosa c’è dentro i vagoni che essa trasporta."

martedì, dicembre 08, 2009

La [piccola] Peste di Milano [2]


EMINENZA REVERENDISSIMA, UFFA!

Ovvero:
amplissimi stralci della lettera aperta che Luigi Amicone, dalle pagine del Foglio di martedì 8 dicembre 2009, ha indirizzata all'Eminentissimo (ac Reverendissimus) Dionigi, Arcivescovo Metropolita della Chiesa Ambrosiana nonchè della Santa Romana Chiesa Cardinale Tettamanzi.


"Eminenza carissima, cardinale Dionigi Tettamanzi,
permetta qui una confessione pubblica: sono un cattivo cattolico, le parole del mio Vescovo mi parvero negli ultimi tempi come l’eco lontana di un pastore salito sull’Alpe e rimasto lassù, mentre noi qui, pecore smarrite restiamo a brucare terra nera, spazzata dalle fatiche della quotidianità e dalle angosce per il futuro nostro e, soprattutto, dei nostri figli.
“La nostra Città oggi è una città solidale, all’altezza della sua tradizione? E’ difficile rispondere con poche parole”. No, non è difficile rispondere in poche parole e con dati alla mano alla domanda contenuta nella sua omelia. Milano potrebbe figurare in cima a una enciclopedia della solidarietà in Italia. E non c’è bisogno delle ricerche del Censis per misurare questa realtà, basta la notizia di esempi che abbiamo qui sottomano.
Per esempio, in quest’anno di acuta crisi economica e sociale, in una sola giornata di “spesa per i poveri”, il Banco Alimentare ha raccolto nei supermercati di Milano città 375 tonnellate di alimenti contro le 360 tonnellate dello scorso anno, incrementando la raccolta del 4 per cento rispetto al 2008 e superando di un punto la media nazionale che è stata comunque superiore di 3 punti rispetto al 2008.
Per esempio, dall’Opera Nomadi alla Casa Famiglia tutti gli operatori milanesi impegnati sul fronte zingari possono confermare alla Curia di Milano che, nonostante le difficoltà e i conflitti presenti nei quartieri più periferici e popolari (sono infatti i più poveri che soffrono il problema degli accampamenti rom), gli sgomberi di questi giorni non sono ceauseschiani, non passano i carriarmati sulle bidonville e nessun bambino rom viene sacrificato sugli altari del consumismo e di una amministrazione politica che, secondo certa visione ecclesiastica, lucrerebbe consenso investendo sulla pura immagine. Qui a Milano gli zingari prendono voucher, i bambini rom sono scolarizzati, il patto di legalità funziona e non c’è città o paese d’Italia che abbia investito in conoscenza, risorse economiche e progettualità sociale, come il capoluogo lombardo.

E’ vero che le ruvide accuse della Padania bruciano e che non ha senso dare dell’imam al cardinale arcivescovo di Milano. Ma c’è disorientamento quando dal Duomo si diffonde il sospetto che nella diocesi più grande del mondo Cristo si è fermato nei modi in cui non si è fermato neanche a Eboli.

Eminenza carissima, quando qualche anno fa lei invitò a Milano Adriano Sofri perché, assieme ad altri scrittori e poeti, animasse con la lettura della Ballata del carcere di Reading i giorni della settimana santa, Lei forse non sapeva che dal carcere di Pisa Sofri aveva riflettuto sulla possibilità che la Lega Nord divenisse l’alternativa protestante alla chiesa cattolica. Sotto molti aspetti questa visione è corretta. Quanti fedeli lombardi hanno trovato nel partito di Bossi l’ascolto e la difesa identitaria che non trovano più nei Principi della chiesa? [...]
Eminenza, lo sappiamo, lo viviamo male, ma non possiamo sfuggire alla verità che il cattolicesimo è, per definizione, “annuncio a tutte le genti”, ecumenico, universale, slegato da ogni provenienza di razza, censo, cultura e religione. Ma allora perché stiamo diventando cattivi cattolici? Perché il popolo non ha quasi più sentore dell’esistenza di una chiesa locale?
Perché le Sue parole suscitano discussione quasi esclusivamente politica e vengono largamente ignorate dall’uomo della strada? Milano, la più grande diocesi del mondo, sembra subire silenziosamente il destino di un declino e di una protestantizzazione del cristianesimo.

Quest’anno, dopo non so quanti anni, Milano ospiterà un grande presepe in piazza del Duomo. Ma l’iniziativa proviene dalle istituzioni laiche, dal comune, non dalla Curia.
Grazie all’iniziativa delle Ferrovie dello Stato la Caritas ritroverà le sue sedi nelle stazioni e nuove risorse arriveranno per accogliere e sfamare gli ultimi, gli sbandati, i barboni.
Grazie all’opera di un’infinità di benemerite associazioni (anche vip e consumistiche) il Natale conoscerà ancora una volta un proliferare di iniziative per i poveri e di eventi di beneficenza.
Eminenza, non è l’attenzione agli ultimi e il senso della solidarietà che mancano. Semmai ciò di cui si sente la mancanza è una presenza piena di ragioni, di metodo e di speranza cristiana.
Sentiamo il generico richiamo a Cristo, ma non lo vediamo affermato in una proposta puntuale, che irradi intelligenza, conoscenza, fascino, e, perché no, potenza vitale.

Che ne è delle chiese e degli oratori ambrosiani dove una volta la gioventù incontrava il prete che lo trascinava in un’avventura esistenziale, piena di ragioni e di vita?
Oggi gli oratori vengono dati in affitto ai club calcistici e al posto dei biliardini degli anni sessanta offrono party umanitari e discoteche allo scopo di attirare una certa “clientela”.
Oggi i catechismi vengono spalmati per anni e anni, e sacramenti come la cresima vengono rinviati perché, pensano i preti, così almeno si riuscirà a tenere i ragazzini un po’ più impegnati e a trattenere più giovani in chiesa. Il risultato naturalmente contraddice i programmi: ragazzini e giovani se ne vanno anche a costo di perdere la confermazione e tutti gli altri sacramenti.
Ma esiste una valutazione serena di tutto ciò?
Cosa ne è della fede, della speranza e della carità vissuti dentro un orizzonte non genericamente umanitario e moraleggiante?
Oggi si deve andare nei grandi santuari per ritrovare quel popolino minuto e semplice che è stato il cuore pulsante del cristianesimo lumbard. Vai alla Madonna di Caravaggio e ogni domenica troverai come parte cospicua dei fedeli qualche vecchio agricoltore benestante e una marea di filippini che fanno pic nic e vi trascorrono l’intera giornata.

Il vecchio capo della comunità cinese a Milano ha voluto farsi tumulare nel cimitero Monumentale. Ma quali presenze cattoliche si stanno muovendo per portare la buona novella a Chinatown?
Si parla dell’immigrazione e, giustamente, si concentrano attenzioni e ansie nella questione islamica. Ma che senso pastorale c’è nell’affrontare il problema islam con gli appelli al dialogo interreligioso, gli incontri con imam che si fanno competizione interna e sono sul libro paga dei diversi stati mediorientali, la ripetizione dell’ovvio principio che la libertà di coscienza e di religione sono gli antemurali di tutte le libertà?
La fortuna e l’originalità del cristianesimo è che, a differenza dei musulmani, cristiani non si nasce, cristiani si diventa. Si diventa con il Battesimo e si sceglie di rimanere cristiani con un atto di libertà e di ragione. Da un certo punto di vista dovremmo riconoscere che nella secolarizzazione e nella globalizzazione c’è un processo che aiuta il cristianesimo. Quando tutte le identità e le tradizioni crollano sotto il vento della morte di Dio e della società liquida, il Cristo emerge con la sua pretesa che “nemmeno un capello del tuo capo andrà perduto”. Ma come è colta questa opportunità? Quali pastorali sono fondate non tanto sulla consolazione all’ombra dei più “poverini” quanto piuttosto sull’offensiva fondata su Colui che dice di sé: “Non sono venuto a portare pace, ma una spada”?

Di solidarietà e sobrietà, Eminenza carissima, lei parlò all’omelia di Natale dello scorso anno, ci tornò sopra in una prima serata di primavera televisiva in cui fu ospite di Fabio Fazio e infine ne ha parlato di nuovo nella sua predica di Sant’Ambrogio. Lei ripete che “la comunità cristiana può e deve diventare molto più sobria”. Che “c’è uno stile di vita costruito sul consumismo che tutti siamo invitati a cambiare per tornare a una santa sobrietà”. Che “con la sobrietà è in questione un ‘ritornare’” perché “ci siamo lasciati andare a una cultura dell’eccesso, dell’esagerazione” e “soprattutto la sobrietà è questione di ‘giustizia’, siamo in un mondo dove c’è chi ha troppo e chi troppo poco e…”. Uffa. Ma quanto ancora sentiremo la volgarizzazione delle tesi di Erich Fromm, delle confetture di Medici senza frontiere, delle denunce antimafia contro i pericoli delle infiltrazioni per qualunque cantiere aperto per modernizzare la città e dare lavoro alla gente?

Piuttosto, qualche anno fa, per iniziativa della Curia di Milano venne promossa in tutta la diocesi una ricerca sullo stato di salute della fede praticante.
Anche il sottoscritto, come tutti i frequentatori delle messe festive, fu chiamato a esprimersi su una batteria di domande che indagavano sulla pratica religiosa. Come mai a distanza di oltre un lustro i risultati di quella inchiesta non sono ancora stati noti? La sensazione diffusa è che nella più grande diocesi del mondo il tasso di disaffezione al precetto festivo e a tutti gli altri sacramenti abbia raggiunto percentuali da paesi del nord Europa.
Forse la diocesi di Milano non sarà un “cimitero”, come dicono le statistiche sul cristianesimo in Belgio o in Olanda. Ma tutto lascia supporre che la strada imboccata è quella di una pace senza vita. Senza contare che in quel ramo del lago di Como che volge a mezzogiorno, la mezzaluna di Maometto ha preso stabile dimora. Ma se Muhammad è il nome più diffuso tra i neonati di Milano..."

martedì, dicembre 01, 2009

Pro Missa bene cantata [12]

Sive: DEVOTIO MODERNA
«Il latino non è una vittima del Concilio Vaticano II,
ma dell’introduzione del microfono.
Molta gente, inclusa la gerarchia, si lamenta della scomparsa del latino nella chiesa cattolica senza capire che è stata il risultato della stessa innovazione tecnica da loro accolta con tanto entusiasmo. Il latino liturgico è una forma molto cool di espressione verbale, nella quale il bisbiglio e il mormorio giocano un ruolo importante. Ora, il microfono rende insostenibile un “borbottare” indistinto, ed accentua e intensifica tutti i suoni al punto da togliere loro ogni portata». (Marshall McLuhan)