venerdì, aprile 25, 2008

Tristitia Christi /5

"La Legge e tutti i Profeti infatti hanno profetato fino a Giovanni.
E se lo volete accettare, egli è quell'Elia che deve venire.
Chi ha orecchi intenda!
Ma a chi paragonerò io questa generazione?
Essa è simile a quei fanciulli seduti sulle piazze che gridano ai loro compagni e dicono:
Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato;
abbiamo cantato lamenti e non avete pianto."
(Mt XI, 13-17)



Ovvero: la solita "pizza" (ebraica)!

Lo avevo prennunciato di non essere profeta -nè figlio di profeta-; ed infatti con grande rammarico debbo constatare che, pur essendo giunto il tempo in cui oltre che in latino hanno imparato a leggere anche l'italiano, le autorità ebraiche hanno continuato, imperterrite, a dichiarare (contro ogni evidenza!) di non riscontrare nella "Preghiera per gli ebrei" del post-conciliare "Messale di Paolo VI" le medesime cause scatenanti di quei moti di tristezza, delusione, irritazione e protesta che invece sono stati provocati dalla lettura della corrispondente orazione latina del "Messale di san Pio V" non solo prima, ma anche dopo la revisione decretata dal Sommo Pontefice Benedetto XVI in data 4 febbraio 2008.

La colpa di tanto malumore ed incomprensione di fronte al Motu Proprio del 7 luglio 2007 da parte degli ebrei (e protestanti ma anche da parte di tanti cattolici) deve essere imputata alla stessa Curia Vaticana che all'epoca di Papa Montini volle presentare ai non cattolici la riforma liturgica quale "icona" del più generale aggiornamento della Chiesa Cattolica. Ma questa forma di propaganda "ad extra" in realtà ha finito per plasmare "ad intra" gran parte della forma mentis del cattolicesimo post-conciliare per cui solo nel perenne riformismo, aggiornamento ed adattamento dei rituali liturgici si troverebbe la cartina di Tornasole della vitalità del Cattolicesimo stesso!

Di conseguenza, di fronte al'idealistica epopea delle liturgighe "magnifiche sorti e progressive", ecco che venendo al caso particolare del continuo "progresso" della preghiera "pro Judaeis - dalla dichiarazione Sacra Congregazione dei Riti del 16 agosto 1948, alla rifoma dei riti della Settimana Santa approvata definitivamente da Pio XII nel 1955, giungendo all'eliminazione dell'agettivo "perfidus" da parte di Giovanni XXIII nel 1959, al Messale "provvisorio" del 1965 in cui Paolo VI eliminava il "velamen" dagli occhi degli ebrei- fino alla riformulazione completa della "Preghiera per gli ebrei" del Nuovo Messale Romano approvato da Paolo VI nel 1969, appare perciò insensato, reazionario, se non addirittura foriero di sciagure, la riproposizione del Messale di San Pio V.
Per il rabbino Di Segni, vittima eccellente di tale pseudo-ermeneutica: "Si pone un problema serio di credibilità e affidabilità: se la Chiesa è stata capace di tornare indietro su questo punto, ciò può avvenire su qualsiasi cosa. E il passato non è certo un buon modello".

Misurare il progressismo o il conservatorismo del Magistro della Chiesa Cattolica dalla lunghezza del pizzo nelle vesti liturgiche, dall'altezza o meno delle mitre vescovili, dal fatto che un prete che celebra l'eucarestia guardando verso i fedeli sia l'immagine di una Chiesa aperta al mondo moderno mentre se celebra dando le spalle all'assemblea simboleggia una Chiesa reazionaria: è un'impostazine del tutto irreale, insensata e profondamente ignorante! Tale impostazione avrebbe più senso se si stesse giudicando una nuova realtà religiosa nata da uno scisma e che abbia voluto modificare la propria liturgia per sottolineare la propria peculiarità e differenza; eppure è proprio con un simile criterio che gli acattolici (ma anche i cattolici) hanno guarato alla "nuova" Chiesa uscita dal Vaticano II.
Le gerarchie cattoliche -e vaticane in primis- in questi quarantennali "ludi ecumenici" hanno tenuto una atteggiamento "reticente" (come direbbe Riccardo Di Segni) quando si è trattatodi di spiegare all'ecumenico interlocutore quali siano i limiti teologici invalicabili da qualsivoglia "aggiornamento" e qualsivoglia concilio ecumenico. Tale diplomatica "reticenza" che si è voluta erroneamente chiamare "ecumenismo" e "dialogo" ha dilagato nelle pubbliche allocuzioni dei sacri pastori -forse per il sincero desiderio di condividere "le gioie e le speranze di ogni uomo" o forse per calcolarto gattopardismo- finendo per "inpregnare" le menti del gregge con l'idea che ogni seppur vaga esortazione al "volemose bbene" sia più cristiana dell'esortazione di San Pietro che invita a "dare ragione della speranza che è in voi". Lo disse papale papale il cardinale Giacomo Biffi nell'aprile 2005 in faccia a tutto il Sacro Collegio schierato:
«Vorrei dire al futuro Papa che faccia attenzione a tutti i problemi. Ma prima e più ancora si renda conto dello stato di confusione, di disorientamento, di smarrimento che affligge in questi anni il popolo di Dio, e soprattutto affligge i 'piccoli'».
«Qualche giorno fa ho ascoltato alla televisione una suora anziana e devota che così rispondeva all’intervistatore: 'Questo Papa, che è morto, è stato grande soprattutto perché ci ha insegnato che tutte le religioni sono uguali'. Non so se Giovanni Paolo II avrebbe molto gradito un elogio come questo».

«Infine vorrei segnalare al nuovo Papa la vicenda incredibile della Dominus Iesus: un documento esplicitamente condiviso e pubblicamente approvato da Giovanni Paolo II; un documento per il quale mi piace esprimere al cardinal Ratzinger la mia vibrante gratitudine. Che Gesù sia l’unico necessario Salvatore di tutti è una verità che in venti secoli – a partire dal discorso di Pietro dopo Pentecoste – non si era mai sentito la necessità di richiamare.
Questa verità è, per così dire, il grado minimo della fede; è la certezza primordiale, è tra i credenti il dato semplice e più essenziale. In duemila anni non è stata mai posta in dubbio, neppure durante la crisi ariana e neppure in occasione del deragliamento della Riforma.
L’averla dovuta ricordare ai nostri giorni ci dà la misura della gravità della situazione odierna.
Eppure questo documento, che richiama la certezza primordiale, più semplice, più essenziale, è stato contestato. È stato contestato a tutti i livelli: a tutti i livelli dell’azione pastorale, dell’insegnamento teologico, della gerarchia».


Così accade che quando la dottrina cattolica viene espressa con diplomatici giri di parole e circonvolute perifrasi non desta quelle protesta e quelle "preoccupazioni" che invece provoca subitanea la medesima dottrina cattolica quando (vedi la "Dominus Jesus") viene esposta con preposizioni brevi e linerai:
«sull'argomento della conversione degli ebrei c'era una certa reticenza, cioè non se ne parlava. Ma questo atteggiamento è stato interrotto bruscamente dalla nuova formula della preghiera per gli ebrei».
Così si angustia Riccardo di Segni!

Quel che sorpende, infatti, nelle allarmate lamentazioni del Rabbino Capo di Roma, e del collegio rabbinico italico tutto, di fronte ad una nuova orazione "pro Judaeis" per il "vecchio" rito di San Pio V è: non che la Chiesa abbia espresso apertis verbis la propria dottrina ma che lo abbia fatto con una terminologia giudicata meno "reticente" rispetto alla preghiera presente del Novus Ordo!

Speculare l'atteggiamento della Chiesa Valdese che all'inizio del Grande Giubileo del 2000 si rifiutò categoricamente di partecipare alla cerimonia ecumenica di apertura della Parta Santa della Basilica di San Paolo fuori le Mura per protestare contro una Chiesa Cattolica rea di non aver ancora fatte proprie la dottrina contro le indulgenze di Martin Lutero, mentre le "pretesse" e le "vescovesse" rappresentanti di ogni più stramba denominazione protestante varcavano piamente la Porta Santa della Basilica Ostiense.
Ora, essendo quella delle indulgenze dottrina costantemente insegnata dalla Chiesa cattolica, a ragion di logica, chi voglia protestare il proprio attacammento alle "tesi" di Lutero dovrebbe farlo non solo ad ogni venticinquennale apertura di Anno Santo ma dovrebbe rifiutarsi perennemente di partecipare ad ogni incontro ecumenico, poichè la così tanto detestabile dottrina romana delle indulgenze è in vigore perennemente e non solo ogni venticinque anni ma anzi: persino le preghiere per l'unità dei cristiani, come tutte le preghiere, sono indulgenziate!

Parimenti non si comprende come mai il rabbino Di Segni nel gennaio 2005, abbia rifiutato di partecipare all'atto commemorativo del quarantesimo della dichiarazione conciliare sulla "Nostra Aetate" a causa del fatto che il relatore vaticano era il Cardinale Jean-Marie Lustiger, un ebro convertito.
Ora, non si pensi che io sia eccessivamente "candido" da non capire il perchè per il rabbino Di Segni la scelta di un cardinale ebreo è parsa "inopportuna" e "preoccuante".
Vorrei solo poter avere risposta al seguente quesito: in che modo avrebbe influito negativamente sull'interpretazione del documento conciliare la presenza di un cardinale ebreo quando il testo della Nostra Aetate già a monte dichiara che per la Chiesa Cattolica: "Come attesta la sacra Scrittura, Gerusalemme non ha conosciuto il tempo in cui è stata visitata"?

La Nostra Aetate infatti non è un "concordato" - o meglio ancora un "trattato di non aggressione"- siglato tra la religione cattolica e la religione ebraica ma è un documento unilaterale della Chiesa Cattolica in cui si proclama infondata ed erratta l'accusa di "deicidio": la tesi teologica secondo cui tutti gli ebrei sono oggetto di punizioni e castighi da parte di Dio in quanto discendenti di quegli ebrei che non hanno riconosciuto in Gesù il Messia.
Ma per il fatto che agli ebrei contemporanei non può essere imputata nessuna colpa ( e pertanto nessuna punizione!) per la crocifissione di Gesù non significa certo che la Chiesa Cattolica, a seguito delle dichiarazioni conciliari contenute nella Nostra Aetate, debba rinunciare- o che perfino abbia per sempre rinunciato- ad insegnare che: "Come attesta la sacra Scrittura, Gerusalemme non ha conosciuto il tempo in cui è stata visitata"!

Non si può certo rimproverare da parte ebraica ad un singolo papa, ad un singolo cardinale, ad un singolo fedele cattolico di professare quella dottrina che però poi i medesimi ebrei non ritengono degna di biasimo quando la trovano formulata nella Preghiera per gli ebrei del "più ecumenico" Messale di Paolo VI:
“Preghiamo per gli Ebrei: il Signore Dio Nostro che li scelse primi tra tutti gli uomini ad accogliere la sua parola, li aiuti a progredire sempre nell’amore del suo nome e nella fedeltà alla sua alleanza.

“Dio onnipotente ed eterno, che hai fatto le tue promesse ad Abramo e alla sua discendenza, ascolta la preghiera della tua Chiesa, perché il popolo primogenito della tua alleanza possa giungere alla pienezza della redenzione”.


Preghiera che, nonostante ciò che possa dire Di Segni, è, e rimane, una preghiera per la conversione degli ebrei. Esattamente come lo è anche la nuova versione approvata per l'antico rito (che non è una preghiera che inviti il singolo fedele cattolico ad insistere "opportune et importune" e fare pressioni di qualunque sorta; fosse anche utilizzare infidamente i dialoghi interreligiosi come "aggiornate" prediche coatte affinchè il singolo ebreo accetti il battesimo, come di voluto insinuare):
"Preghiamo per i Giudei, affinché Dio Nostro Signore illumini il loro cuore, affinché riconoscano Gesù Cristo salvatore di tutti di gli uomini.”
“Onnipotente eterno Dio, che vuoi che tutti gli uomini siano salvi e giungano al riconoscimento della verità, concedi propizio che con l’ingresso della pienezza delle genti nella Tua Chiesa tutto Israele sia salvo.”


Anche la preghiera del Messale di Paolo VI è una preghiera in cui si chiede a Dio di convertire -perchè è Dio che solo ha il potere di converte!- tutto il popolo ebraico affinchè "possa giungere alla pienezza della Redenzione".
Ora, in cosa consista questa "pienezza" e di cosa trattavano "le promesse" fatte ad Abramo lo sappiamo benissimo sia io, sia Riccardo Di Segni sia Benedetto XVI, sia tutti gli ebrei e sia tutti i cristiani: l'avvento del Messia.

Perciò il rabbino Di Segni si duole di tanta mancanza di reticenza teologica e auspicherebbe che i cristiani pregassero affinchè gli ebrei possano giungere "alla pienezza della redenzione" ma solo al momento della fine dei tempi, cioè così come lo predisse Gesù a Caifa: "vedrete il Figlio dell'uomo seduto alla destra di Dio, e venire sulle nubi del cielo".
Anche in quel caso, però, si tratterebbe della riproposizione della stessa e medesima dottrina cattolica sulla necessità salvifica, e per tutti gli uomini di tutti i tempi, della mediazione dell'Uomo-Dio Gesù (seppur contestualizzata in un futuro il più futuribile possibile) ma che, comunque, per nulla rassomiglierebbe a quella dottrina della "salvezza parallela" come l'ha vagheggiata Riccardo Di Segni:
"I cristiani dovrebbero arrivare ad ammettere che gli ebrei, in virtù della loro elezione originaria e irrevocabile, e del possesso e dell'osservanza della Torà, possiedono una loro via autonoma, piena e speciale verso la salvezza che non ha bisogno di Gesù. Non basta dire, come si è fatto proprio recentemente e con un lodevole sforzo di elaborazione dottrinale, che la nostra "attesa non è vana" perché serve a stimolare i cristiani; bisogna dire che noi valiamo in quanto tali e nessuno deve giustificare la nostra fede in funzione di altre."

Delle post-conciliari continue e reiterate manifestazioni cattoliche di rispetto e stima per l'ebraismo non rimane pertanto che l'irrazionale accusa ai cattolici ,che scaturisce dalla atavica paura per i battesimi "forzati", che il "dialogo" sia solo una scusa per arrivare alla "soluzione finale" con altri mezzi.

In data 10 aprile 2008 il cardinale Walter Kasper Presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso ha risposto diplomaticamente al generale quanto immotivato stracciamento delle vesti rinnovando le solenni dichiarazioni di rispetto per l'Ebraismo, come sono enunciate nella Nostra Aetate:

"Diversamente dal testo del 1970, la nuova formulazione del testo del 1962 parla di Gesù come il Cristo e la Salvezza di tutti gli uomini, quindi anche degli ebrei. Molti hanno inteso questa affermazione come nuova e non amichevole nei confronti degli ebrei. Ma essa è fondata sull'insieme del Nuovo Testamento (cfr 1 Timoteo, 2, 4) e indica la differenza fondamentale, nota ovunque, che permane sia per i cristiani, sia per gli ebrei.
Anche se non se ne parla esplicitamente nella Nostra ætate, né nella preghiera del 1970, non si può estrapolare la Nostra ætate dal contesto di tutti gli altri documenti conciliari e nemmeno la preghiera del Venerdì Santo del Messale del 1970 dall'insieme della liturgia del Venerdì Santo che ha come oggetto appunto quella convinzione della fede cristiana. La nuova formulazione della preghiera del Venerdì Santo del Messale del 1962, quindi, non dice nulla di veramente nuovo, ma esprime soltanto ciò che già finora era presupposto come ovvio, ma evidentemente, in tanti dialoghi, non era stato tematizzato a sufficienza".

"La riformulata preghiera del Venerdì Santo esprime questa speranza in una preghiera di intercessione rivolta a Dio. Con questa preghiera la Chiesa ripete, in fondo, l'invocazione del Padre nostro "Venga il tuo regno" (Matteo, 6,10; Luca, 11,2) e l'acclamazione liturgica protocristiana "Maranà tha": Vieni, Signore Gesù, vieni presto (1 Corinzi, 16,22; Apocalisse, 22,20; Didachè, 10,6).
Tali preghiere per la venuta del Regno di Dio e per la realizzazione del mistero della salvezza, secondo la loro natura, non sono un appello rivolto alla Chiesa a compiere un'azione missionaria verso gli ebrei. Anzi, esse rispettano tutta la profondità abissale del "Deus absconditus", della Sua elezione per grazia, dell'indurimento, come della Sua misericordia infinita.
Con la sua preghiera la Chiesa, dunque, non assume la regia della realizzazione del mistero imperscrutabile. Non lo può affatto."

Conclude il Cardinal Kasper:
"Un dialogo sincero tra ebrei e cristiani, infatti, è possibile solo, da un lato, sulla base della comunanza nella fede nell'unico Dio, Creatore del cielo e della terra, e nelle promesse fatte ad Abramo e ai Padri, e, dall'altro, nella consapevolezza e nel rispetto della differenza fondamentale che consiste nella fede in Gesù quale Cristo e Redentore di tutti gli uomini."

Va notato che, nella sua millenaria sapienza, la Santa Sede, per mezzo dell'eminentissimo Kasper, ha risposto alle lamentazioni rabbiniche solo dopo la celebrazione del Triduo Pasquale ,come a voler comprovare con la prova dei fatti che la proclamazione della nuova-vecchia orazione in nulla aveva incrinato i rapporti amichevoli dei cattolici nei confronti degli ebrei.

Basterà? Mi sovviene alla mente quella domanda di Gesù:
“Vi ho fatto vedere molte opere buone da parte del Padre mio; per quale di esse mi volete lapidare?”.
Gli risposero i Giudei: “Non ti lapidiamo per un’opera buona, ma per la bestemmia che tu, che sei uomo, ti fai Dio”.(Gv X, 32-33)

giovedì, aprile 24, 2008

domenica, aprile 20, 2008

Der Papst "Cciofane" /4


Ovvero: "About a Boy"

"I miei anni da teenager sono stati rovinati da un regime infausto che pensava di possedere tutte le risposte; il suo influsso crebbe – penetrando nelle scuole e negli organismi civili come anche nella politica e addirittura nella religione – prima di essere pienamente riconosciuto per quel mostro che era. Esso mise Dio al bando, e così diventò inaccessibile per tutto ciò che era vero e buono.

Molti dei vostri genitori e nonni vi avranno raccontato l’orrore della distruzione che seguì. Alcuni di loro, infatti, vennero in America proprio per sfuggire a tale terrore.
Ringraziamo Dio, perchè oggi molti della vostra generazione sono in grado di godere le libertà che sono emerse grazie alla diffusione della democrazia e del rispetto dei diritti umani.
Ringraziamo Dio per tutti coloro che si battono per assicurare che voi possiate crescere in un ambiente che coltiva ciò che è bello, buono e vero: i vostri genitori e nonni, i vostri insegnanti e sacerdoti, quelle autorità civili che cercano ciò che è retto e giusto. Il potere distruttivo, tuttavia, rimane. Sostenere il contrario significherebbe ingannare se stessi. "
["Discoso ai giovani cattolici americani"; Seminario di Saint Joseph, Yonkers, New York; Sabato, 19 aprile 2008]

Si è detto di Benedetto XVI che abbia voluto presentarsi agli statunitensi come un papa "tocquevilliano"; dal suo discorso alla Casa Bianca ma ancor più dal breve inciso autobiografico del discorso ai giovani cattolici newyorkesi, appare tutto il rispetto e l'ammirazione per quella "giovane" America che con la forza della fede nel valore trascendente della dignità dell'essere umano (e del riconoscimento del diritto alla libertà e alla felicità!) salvò l'Europa -ed ancor più la ormai tetra Germania- dalla lucida follia nazista.

Sin dall'epoca dei Padri Pellegrini durante le guerre di religione in Europa, così come per gli ebrei europei durante la seconda Guerra Mondiale, gli Stati Uniti si sono configurati come uno spazio di libertà, uno spazio "pubblico" in cui veniva riconosciuto a tutti e a ciascuno il proprio inalienabile diritto "naturale" alla libertà. Di contro nella "Vecchia Europa" si era affermata la dottrina hegeliana -che la Chiesa Cattolica prontamente anatenizzò!- secondo cui invece la persona umana non ha valore "in sè" ma "tutto ciò che l'uomo è, lo deve allo Stato: solo in esso egli ha la sua essenza" (Hegel); pertanto: "Lo Stato, come quello che è origine e fonte di tutti i diritti, gode un certo suo diritto del tutto illimitato" (Syllabo, proposizione XXXIX). "Filosofia del Diritto" che è stata madre dell'ideologia del Reich nazista e del socialismo reale sovietico.

Dal punto di vista esistenziale per l'ex giovane tedesco scampato alla follia del totalitarismo hitleriano la democrazia non è un valore di per sè ma è il campo in cui viene riconosciuta, proclasmata, e difesa, la libertà dell'essere umano. E' prima di tutto difesa della libertà "dello spirito" umano che, in ultima istanza, è la libertà di ricercare "la verità" stessa. Verità la quale, come la libertà, precede ogni positivo "contratto sociale", fosse anche stabilito in nome di una divina rivelazione!
Il "senso religioso" innato dell'uomo, pertanto, precede qualsiasi religione "rivelata"; la riflessione su ciò che deve essere considerato vero, buono e giusto sono presenti nell'intimo di ogni uomo e presso tutti i popoli; e poichè in in tutte le culture umane l'uomo ha manifestato l'anelito ad una perfezione morale e spirituale "La medesima Santa Madre Chiesa professa ed insegna che Dio, principio e fine di tutte le cose, può essere conosciuto con certezza al lume naturale della ragione umana attraverso le cose create; infatti, le cose invisibili di Lui vengono conosciute dall'intelligenza della creatura umana attraverso le cose che furono fatte"("Dei Filius"; Concilio Vaticano, 1870).
Non stupisca, infatti, che il famigerato discorso di Ratisbona, in cui (da buon bavarese controriformato) "der professor" Ratzinger accusava la riforma luterana di aver -assolutizzando il principio del "Sola Scriptura"- mortificato la dignità della umana Ragione, sia stato considerato un attacco alla umma islamica.

CASTRUM DOLORIS, XIV


"American Gothic"

Ovvero: Epitome della "edificante" omelia pronunziata in anglico idioma dal sedici volte Benedetto -sabato 19 aprile 2008- durante "the celebration of the Holy Sacrifice of the Mass" nella neoeboracense neogotica Saint Patrick's Cathedral:

"Sono particolarmente lieto che ci siamo radunati nella Cattedrale di san Patrizio. Forse più di ogni altra chiesa negli Stati Uniti, questo luogo è conosciuto ed amato come “una casa di preghiera per tutti i popoli” (cfr Is 56,7; Mc 11,17).

Ogni giorno migliaia di uomini, donne e bambini entrano per le sue porte e trovano la pace dentro le sue mura. L’Arcivescovo John Hughes che – come ci ha ricordato il Cardinale Egan – è stato il promotore della costruzione di questo venerabile edificio, volle erigerlo in puro stile gotico. Voleva che questa cattedrale ricordasse alla giovane Chiesa in America la grande tradizione spirituale di cui era erede, e che la ispirasse a portare il meglio di tale patrimonio nella edificazione del Corpo di Cristo in questo Paese.

Vorrei richiamare la vostra attenzione su alcuni aspetti di questa bellissima struttura, che mi sembra possa servire come punto di partenza per una riflessione sulle nostre vocazioni particolari all’interno dell’unità del Corpo mistico.

Il primo aspetto riguarda le finestre con vetrate istoriate che inondano l’ambiente interno di una luce mistica. Viste da fuori, tali finestre appaiono scure, pesanti, addirittura tetre. Ma quando si entra nella chiesa, esse all’improvviso prendono vita; riflettendo la luce che le attraversa rivelano tutto il loro splendore.

Molti scrittori – qui in America possiamo pensare a Nathaniel Hawthorne – hanno usato l’immagine dei vetri istoriati per illustrare il mistero della Chiesa stessa.

È solo dal di dentro, dall’esperienza di fede e di vita ecclesiale che vediamo la Chiesa così come è veramente: inondata di grazia, splendente di bellezza, adorna dei molteplici doni dello Spirito. Ne consegue che noi, che viviamo la vita di grazia nella comunione della Chiesa, siamo chiamati ad attrarre dentro questo mistero di luce tutta la gente.

Non è un compito facile in un mondo che può essere incline a guardare la Chiesa, come quelle finestre istoriate, “dal di fuori”: un mondo che sente profondamente un bisogno di spiritualità, ma trova difficile “entrare nel” mistero della Chiesa.

Anche per qualcuno di noi all’interno, la luce della fede può essere attenuata dalla routine e lo splendore della Chiesa essere offuscato dai peccati e dalle debolezze dei suoi membri. L’offuscamento può derivare anche dagli ostacoli incontrati in una società che a volte sembra aver dimenticato Dio ed irritarsi di fronte alle richieste più elementari della morale cristiana."
[...]
"Ciò mi conduce ad un'altra riflessione sull’architettura di questa chiesa. Come tutte le cattedrali gotiche, essa è una struttura molto complessa, le cui proporzioni precise ed armoniose simboleggiano l’unità della creazione di Dio. Gli artisti medievali spesso rappresentavano Cristo, la Parola creatrice di Dio, come un “geometra” celeste, col compasso in mano, che ordina il cosmo con infinita sapienza e determinazione.

Una simile immagine non ci fa forse venire in mente il nostro bisogno di vedere tutte le cose con gli occhi della fede, per poterle in questo modo comprendere nella loro prospettiva più vera, nell’unità del piano eterno di Dio? Ciò richiede, come sappiamo, una continua conversione e l’impegno di “rinnovarci nello spirito della nostra mente” (cfr Ef 4,23), per acquistare una mentalità nuova e spirituale.

Esige anche lo sviluppo di quelle virtù che mettono ciascuno di noi in grado di crescere in santità e di portare frutti spirituali nel proprio stato di vita. Non è forse questa costante conversione “intellettuale” altrettanto necessaria quanto la conversione “morale” per la nostra crescita nella fede, per il nostro discernimento dei segni dei tempi e per il nostro contributo personale alla vita e la missione della Chiesa?

Una delle grandi delusioni che seguirono il Concilio Vaticano II, con la sua esortazione ad un più grande impegno nella missione della Chiesa per il mondo, penso, sia stata per tutti noi l’esperienza di divisione tra gruppi diversi, generazioni diverse e membri diversi della stessa famiglia religiosa. Possiamo andare avanti solo se insieme fissiamo il nostro sguardo su Cristo!

Nella luce della fede scopriremo allora la sapienza e la forza necessarie per aprirci verso punti di vista che eventualmente non coincidono del tutto con le nostre idee o i nostri presupposti. Così possiamo valutare i punti di vista di altri, siano essi più giovani o più anziani di noi, e infine ascoltare “ciò che lo Spirito dice” a noi ed alla Chiesa (cfr Ap 2, 7). In questo modo ci muoveremo insieme verso quel vero rinnovamento spirituale che voleva il Concilio..."

"Cari amici, queste considerazioni mi conducono ad un’ultima osservazione riguardo a questa grande cattedrale in cui ci troviamo.
L’unità di una cattedrale gotica, lo sappiamo, non è l’unità statica di un tempio classico, ma un’unità nata dalla tensione dinamica di forze diverse che spingono l’architettura in alto, orientandola verso il cielo. Anche qui possiamo vedere un simbolo dell’unità della Chiesa che è unità – come san Paolo ci ha detto – di un corpo vivo composto da molte membra diverse, ognuno con il proprio ruolo e la propria determinazione. Anche qui vediamo la necessità di riconoscere e rispettare i doni di ogni singolo membro del corpo come “manifestazioni dello Spirito per l’utilità comune” (1 Cor 12,7). Certo, nella struttura della Chiesa voluta da Dio occorre distinguere tra i doni gerarchici e quelli carismatici (cfr Lumen gentium, 4). Ma proprio la varietà e la ricchezza delle grazie concesse dallo Spirito ci invitano costantemente a discernere come questi doni debbano essere inseriti in modo giusto nel servizio della missione della Chiesa. Voi, cari sacerdoti, mediante l’ordinazione sacramentale siete stati conformati a Cristo, Capo del Corpo. Voi, cari diaconi, siete stati ordinati per il servizio di questo Corpo. Voi, cari religiosi e religiose, sia contemplativi che dediti all’apostolato, avete consacrato la vostra vita alla sequela del Maestro divino nell’amore generoso e nella piena fedeltà al suo Vangelo.

Tutti voi che oggi riempite questa cattedrale, così come i vostri fratelli e sorelle anziani, malati o in pensione che uniscono le loro preghiere e i loro sacrifici al vostro lavoro, siete chiamati ad essere forze di unità all’interno del Corpo di Cristo. Mediante la vostra testimonianza personale e la vostra fedeltà al ministero o all’apostolato a voi affidato preparate la via allo Spirito. Poiché lo Spirito non cessa mai di effondere i suoi doni abbondanti, suscitare nuove vocazioni e nuove missioni e di guidare la Chiesa – come il Signore ha promesso nel brano evangelico di stamattina – alla verità tutta intera (cfr Gv 16, 13).

Volgiamo dunque il nostro sguardo in alto! E con grande umiltà e fiducia chiediamo allo Spirito di metterci in grado ogni giorno di crescere nella santità che ci renderà pietre vive nel tempio che Egli sta innalzando proprio adesso in mezzo al mondo."

"Le punte delle torri della cattedrale di san Patrizio vengono di gran lunga superate dai grattacieli del profilo di Manhattan; tuttavia, nel cuore di questa metropoli indaffarata esse sono un segno vivo che ricorda la costante nostalgia dello spirito umano di elevarsi verso Dio..."


[© Copyright 2008 - Libreria Editrice Vaticana]

sabato, aprile 19, 2008

CASTRUM DOLORIS, XIII

Sive: "DE DELICTIS GRAVIORIBUS"


"Benedetto XVI non si è limitato a parlare del tema drammatico degli abusi sessuali compiuti da sacerdoti, ma ha anche voluto compiere un gesto significativo da molti atteso ma pur sempre difficile e delicato: incontrare personalmente alcune delle vittime.
Giovedì pomeriggio [17 aprile 2008, ndr], infatti, prima di lasciare la nunziatura per gli altri incontri previsti dal programma ufficiale, il Papa si è recato nella cappella dove si trovava ad attenderlo un piccolo gruppo di persone, vittime di abusi sessuali da parte di esponenti del clero, accompagnato dal cardinale arcivescovo di Boston, Sean Patrick O'Malley, da un sacerdote e una signora responsabili delle attività di cura spirituale e psicologica per tali situazioni nell'arcidiocesi.

L'incontro, molto semplice, è iniziato alle 16.15 ed è stato introdotto da un momento di preghiera comune guidato dall'arcivescovo che ha poi brevemente spiegato il significato spirituale dell'incontro.

Le parole del Papa, ispirate non solo al profondo dolore per i fatti avvenuti, ma anche all'incoraggiamento e alla speranza, hanno creato un clima di grande confidenza spirituale così che i singoli presenti si sono poi avvicinati a lui, a uno a uno, esprimendogli i loro racconti, i loro sentimenti, la loro gratitudine per la sua comprensione e anche la ritrovata fiducia di unirsi spiritualmente con lui e con la Chiesa.
Per ognuno Benedetto XVI ha trovato una parola di conforto, tenendo strette le mani dei suoi interlocutori, assicurando le sue preghiere per le loro intenzioni, per le loro famiglie e per tutte le vittime di abusi sessuali. Infine la benedizione.
Il cardinale O'Malley ha anche voluto consegnare al Pontefice un libro contenente i nomi di circa 1.500 persone (i nomi soli, non accompagnati dal cognome), vittime di abusi sessuali nel corso dei decenni passati perché li ricordasse nella sua preghiera.
Poco più di venti minuti di commozione intensissima per tutti i presenti. Ma un lungo passo nel cammino di risanamento spirituale e di purificazione della Chiesa.

Dalla pagina del dolore e della vergogna si passa così alla pagina della speranza. La Chiesa in America e tutta la Chiesa saranno molto grate al Papa di questo suo aiuto così determinato e spiritualmente efficace [...] Benedetto XVI ha anche voluto fare questo gesto che, attraverso le poche persone fisicamente presenti, in realtà ne ha raggiunte moltissime proprio con un messaggio concreto di speranza cristiana, secondo il tema di questo viaggio: Cristo è la nostra speranza."

[Dall'articolo di padre Federico Lombardi SJ:
"Le mani nelle mani;Il Papa incontra le vittime di abusi sessuali";
©L'Osservatore Romano di sabato 19 aprile 2008]

venerdì, aprile 18, 2008

Dictatus Papae, II

Ovvero: "Solo il Romano Pontefice può essere giustamente chiamato universale."


"Ogni Stato ha il dovere primario di proteggere la propria popolazione da violazioni gravi e continue dei diritti umani, come pure dalle conseguenze delle crisi umanitarie, provocate sia dalla natura che dall’uomo.

Se gli Stati non sono in grado di garantire simile protezione, la comunità internazionale deve intervenire con i mezzi giuridici previsti dalla Carta delle Nazioni Unite e da altri strumenti internazionali.

L’azione della comunità internazionale e delle sue istituzioni, supposto il rispetto dei principi che sono alla base dell’ordine internazionale, non deve mai essere interpretata come un’imposizione indesiderata e una limitazione di sovranità. Al contrario, è l’indifferenza o la mancanza di intervento che recano danno reale. Ciò di cui vi è bisogno e una ricerca più profonda di modi di prevenire e controllare i conflitti, esplorando ogni possibile via diplomatica e prestando attenzione ed incoraggiamento anche ai più flebili segni di dialogo o di desiderio di riconciliazione.

Il principio della "responsabilità di proteggere" era considerato dall’antico ius gentium quale fondamento di ogni azione intrapresa dai governanti nei confronti dei governati: nel tempo in cui il concetto di Stati nazionali sovrani si stava sviluppando, il frate domenicano Francisco de Vitoria, a ragione considerato precursore dell’idea delle Nazioni Unite, aveva descritto tale responsabilità come un aspetto della ragione naturale condivisa da tutte le Nazioni, e come il risultato di un ordine internazionale il cui compito era di regolare i rapporti fra i popoli. Ora, come allora, tale principio deve invocare l’idea della persona quale immagine del Creatore, il desiderio di una assoluta ed essenziale libertà.

La fondazione delle Nazioni Unite, come sappiamo, coincise con il profondo sdegno sperimentato dall’umanità quando fu abbandonato il riferimento al significato della trascendenza e della ragione naturale, e conseguentemente furono gravemente violate la libertà e la dignità dell’uomo.
Quando ciò accade, sono minacciati i fondamenti oggettivi dei valori che ispirano e governano l’ordine internazionale e sono minati alla base quei principi cogenti ed inviolabili formulati e consolidati dalle Nazioni Unite.
Quando si è di fronte a nuove ed insistenti sfide, è un errore ritornare indietro ad un approccio pragmatico, limitato a determinare "un terreno comune", minimale nei contenuti e debole nei suoi effetti.

Il riferimento all’umana dignità, che è il fondamento e l’obiettivo della responsabilità di proteggere, ci porta al tema sul quale siamo invitati a concentrarci quest’anno, che segna il 60° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.
Il documento fu il risultato di una convergenza di tradizioni religiose e culturali, tutte motivate dal comune desiderio di porre la persona umana al cuore delle istituzioni, leggi e interventi della società, e di considerare la persona umana essenziale per il mondo della cultura, della religione e della scienza.

I diritti umani sono sempre più presentati come linguaggio comune e sostrato etico delle relazioni internazionali. Allo stesso tempo, l’universalità, l’indivisibilità e l’interdipendenza dei diritti umani servono tutte quali garanzie per la salvaguardia della dignità umana. È evidente, tuttavia, che i diritti riconosciuti e delineati nella Dichiarazione si applicano ad ognuno in virtù della comune origine della persona, la quale rimane il punto più alto del disegno creatore di Dio per il mondo e per la storia. Tali diritti sono basati sulla legge naturale iscritta nel cuore dell’uomo e presente nelle diverse culture e civiltà. Rimuovere i diritti umani da questo contesto significherebbe restringere il loro ambito e cedere ad una concezione relativistica, secondo la quale il significato e l’interpretazione dei diritti potrebbero variare e la loro universalità verrebbe negata in nome di contesti culturali, politici, sociali e persino religiosi differenti.
Non si deve tuttavia permettere che tale ampia varietà di punti di vista oscuri il fatto che non solo i diritti sono universali, ma lo è anche la persona umana, soggetto di questi diritti.

La vita della comunità, a livello sia interno che internazionale, mostra chiaramente come il rispetto dei diritti e le garanzie che ne conseguono siano misure del bene comune che servono a valutare il rapporto fra giustizia ed ingiustizia, sviluppo e povertà, sicurezza e conflitto.
La promozione dei diritti umani rimane la strategia più efficace per eliminare le disuguaglianze fra Paesi e gruppi sociali, come pure per un aumento della sicurezza. Certo, le vittime degli stenti e della disperazione, la cui dignità umana viene violata impunemente, divengono facile preda del richiamo alla violenza e possono diventare in prima persona violatrici della pace. Tuttavia il bene comune che i diritti umani aiutano a raggiungere non si può realizzare semplicemente con l’applicazione di procedure corrette e neppure mediante un semplice equilibrio fra diritti contrastanti.

Il merito della Dichiarazione Universale è di aver permesso a differenti culture, espressioni giuridiche e modelli istituzionali di convergere attorno ad un nucleo fondamentale di valori e, quindi, di diritti. Oggi però occorre raddoppiare gli sforzi di fronte alle pressioni per reinterpretare i fondamenti della Dichiarazione e di comprometterne l’intima unità, così da facilitare un allontanamento dalla protezione della dignità umana per soddisfare semplici interessi, spesso interessi particolari.
La Dichiarazione fu adottata come "comune concezione da perseguire" (preambolo) e non può essere applicata per parti staccate, secondo tendenze o scelte selettive che corrono semplicemente il rischio di contraddire l’unità della persona umana e perciò l’indivisibilità dei diritti umani.

L’esperienza ci insegna che spesso la legalità prevale sulla giustizia quando l’insistenza sui diritti umani li fa apparire come l’esclusivo risultato di provvedimenti legislativi o di decisioni normative prese dalle varie agenzie di coloro che sono al potere. Quando vengono presentati semplicemente in termini di legalità, i diritti rischiano di diventare deboli proposizioni staccate dalla dimensione etica e razionale, che è il loro fondamento e scopo. Al contrario, la Dichiarazione Universale ha rafforzato la convinzione che il rispetto dei diritti umani è radicato principalmente nella giustizia che non cambia, sulla quale si basa anche la forza vincolante delle proclamazioni internazionali. Tale aspetto viene spesso disatteso quando si tenta di privare i diritti della loro vera funzione in nome di una gretta prospettiva utilitaristica. Dato che i diritti e i conseguenti doveri seguono naturalmente dall’interazione umana, è facile dimenticare che essi sono il frutto di un comune senso della giustizia, basato primariamente sulla solidarietà fra i membri della società e perciò validi per tutti i tempi e per tutti i popoli. Questa intuizione fu espressa sin dal quinto secolo da Agostino di Ippona, uno dei maestri della nostra eredità intellettuale, il quale ebbe a dire riguardo al "Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te" che tale massima "non può in alcun modo variare a seconda delle diverse comprensioni presenti nel mondo" (De doctrina christiana, III, 14).
Perciò, i diritti umani debbono esser rispettati quali espressione di giustizia e non semplicemente perché possono essere fatti rispettare mediante la volontà dei legislatori."
Benedictus Papa XVI

["Discorso ai membri all’Assemblea Generale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite"; New York, venerdì 18 aprile 2008, ]

venerdì, aprile 11, 2008

Sonètos Fùnebres, XVIII


"PREFIERO PATRIA LIBRE, A LA VIDA DE LOS PARIENTES"



Ovvero: In morte
della "Excelentísima Señora"
Luisa Isabel Álvarez de Toledo
y Maura
,
Duchessa di Medina Sidonia.


Figlia primogenita ed unica di Don Joaquín Álvarez de Toledo y Caro, ventesimo duca di Medina Sidonia, e della duchessa Maria del Carmen Maura Herrera (nipote di Antonio Maura che fu per cinque volte Presidente del consiglio dei ministri di Alfonso XIII); nacque il 18 agosto 1936 a Estoril, in Portogallo, dove i genitori vivevano in esilio in seguito alla crisi della "Seconda Repubblica" e lo scoppio della "Guerra civile"

Condotta al fonte battesimale il 21 agosto ricevette i nomi di Luisa Isabel María del Carmen Cristina Rosalía Joaquina e fu così ascritta nel libro d'oro dell'aristocrazia europea.
Nel 1940, terminata la Gurra Civile i Duchi di Medina Sidonia tornatono ai loro possedimenti andalusi.
Proseguendo la tradizione familiare che sin dai primi dell'Ottocento aveva reso il casato dei Medina Sidonia celebre per l'apertura alle idee progressiste, la piccola Luisa Isabel vide i propri genitori aiutare i poveri con cibo, medicine ed altro, mentre a lei consentivano tranquillamente di giocare con i figli dei contadini.

Educa in convento -come si conveniva per le fanciulle di buona famiglia- a causa del suo carattere "tremendo" e dei suoi modi "da maschiaccio" collezionò in breve tempo una lunga serie di espulsioni dai collegi religiosi: "Mi hanno insegnato il francese e hanno tentato di insegnarni l'inglese ed ho imparato a servire il tè. Nessuno mai ha preteso che io imparassi qualcos'altro".
Dalla frequentazione dei contadini imparò a ballare il flamenco.
La sua formazione culturale fu pertanto autodidatta sotto l'influenza del nonno materno Miguel Maura.

Compiuti i diciotto anni fece il suo debutto in società assieme a Sua Altezza l'Infanta Pilar de Borbón (sorella maggiore del futuro Re di Spagna Juan Carlos I). Poco prima di compiere i diciannove anni venne data in isposa al nobile José Leoncio González de Gregorio y Martí (1930-2008). Le nozze furono celebrate il 16 luglio 1955 a Mortera (in Cantabria) località di cui la nonna materna Julia Herrera si fregiava del titolo di "quinta Contessa" (la madre Carmen era morta quando Luisa aveva dieci anni).

Nel dicembre dello stesso anno 1955 (alla morte del padre) Donna Luisa Isabel venne a capo di una delle più prestigiose dinastie di Spagna risalente al 1297 (quando Guzmán "el Bueno" divenne il primo Duca di Medina Sidonia), nonchè il più antico titolo ducale reso ereditario nel 1445 per privilegio sovrano di Giovanni II per i servigi resi dal casato dei Medina Sidonia alla Corona di Castiglia.


La ventunesima Duchessa di Medina Sidonia "Grande di Spagna", ereditò inoltre i titoli di: diciassettesima Marchesa di Villafranca del Bierzo e "Grande di Spagna" (titolo concesso dalla Regina Isabella I "la Cattolica"); diciottesima Marchesa di Los Vélez e "Grande di Spagna" (titolo concesso dalla Regina Giovanna I "la Pazza"); Baronessa di Molinos del Rey ("Molins de Rei" in catalano). Fu anche "la ventinovesima"
Contessa di Niebla (fino a che non cedette questo titolo nobiliare al proprio primogenito).

Inoltre erede di antichi titoli nobiliari del Regno di Sicilia quali: Principessa di Montalbano e Principessa di Paternò, Contessa di Sclafani, Contessa di Adernò, Contessa di Caltabellotta, Contessa di Caltanissetta, Contessa di Caltabuturo, Contessa de Collesano, Marchessa di Calatafimi, Baronessa di Centorvi e Baronessa di Biancavilla (nonchè quindicesima Duchessa di Fernandina: attualmente "Ferrandina" in Provincia di Matera, Basilicata).
Ma con nessuno di una tal caterva di arcaici titoli assurse all'onore delle cronache: divenne celebre nel mondo intero con l'appellativo di 'Duquesa Roja' ovvero di "Duchessa rossa" per le sue pubbliche prese di posizioni "non convenzionali" nella Spagna franchista.

Residenza "principe" dei Medina Sidonia era il Palazzo Ducale della cittadina andalusa di Sanlúcar de Barrameda (Cadige) località in cui la duchessa (dai suoi concittadini popolarmente chiamata "La Duquesita") ha partorito i suoi tre figli: Leoncio Alonso González de Gregorio y Álvarez de Toledo (1956), María del Pilar Leticia e Gabriel Ernesto .

La diciannovenne e neosposa duchessa cominciò ad interessarsi del riordino dell'immenso patrimonio archivistico dei propri avi conservato nell'antico maniero di Sanlucar.
Dopo soli quattro anni di convivenza more uxorio , nel 1960 la duchessa si separò dal González de Gregorio anche se l'effettiva sentenza di divorzio si ebbe solo nel 2005.

Si andava, pertanto, diffondendo la fama di donna eccentrica della duchessa "tre volte Grande di Spagna", nomèa alimentate dal suo ostentare, oltre a sentimenti filantropici verso il proletariato, un portamento ed un vestire alla stregua dei suoi contadini. Contadini ai quali, oltre che a favorirli economicamente, cominciò a donare appezzamenti delle proprietà ducali, e progettava per loro la creazione di cooperative rurali.
Similmente si appassionava per le condizione economiche dei pescatori di Sanlucar de Barrameda alla testa dei quali nel 1964, abbigliata anch'essa a guisa di pescatore, guidò uno sciopero non autorizzato che le costò l'arresto ed il carcere che avrebbe potuto evitare pagando una multa, ma la ventunesima duchessa di Medina Sidonia rifiutò.

Il 17 gennaio 1967 nei cieli dell'Andalusia, durante un rifornimento in volo, avvenne la collisione tra due aerei militari statunitensi; un bombardiere B-52 che trasportava quattro bombe all’idrogeno con un aereo cisterna Kc-135; il boccaglio del braccio per il rifornimento dell’aereo cisterna urtò il bombardiere squarciandone la fusoliera che, a sua volta, colpendo l'aereo cisterna provocava l'esplosione in volo dei due veicoli e la morte di sette militari, mentre le quattro bombe atomiche cadevano sulla località costiera di Palomares de Almeria. Nell'impatto al suolo, due delle tre bombe H cadute sulla terra ferma, innescarono liberando complessivamente tre chili di plutoni; la quarta cadde in mare e quando ottanta giorni dopo fu ripescata -con ingentissimi sforzi della marina americana- dava anch'essa evidenti segnali di radioattività.

Mentre le autorità franchiste stavano tentavano di occultare o quantomeno sminuire la portata degli avvenimenti, la duchessa, riuscendo ad entrare nella zona interdetta grazie al privilegio del passaporto diplomatico vide con i propri occhi la vastità dei danni: si è poi stimato che mille e quattrocento tonnellate di terreno contaminato furono portati successivamente negli Stati Uniti per essere stoccati in appositi depositi di materiale nucleare; circa un'ottantina di cittadini di Palomares furono vittime delle radiazioni:

"Sono arrivata all’accampamento degli americani e ho visto tutti i bidoni di terra che stavano raccogliendo perché la terra era contaminata. Ne avevano levato un metro o forse più. Mi sono fatta riaccompagnare da una guardia civile che mi ha raccontato tutto.
Le persone del villaggio mi hanno chiesto di raccontare la verità all'esterno, alla stampa. Mi hanno dato anche una lettera. Sono andata a Madrid , dove conoscevo molti giornalisti e ho telefonato a molti corrispondenti dicendo che avevo l’autorizzazione della gente di parlare dell’accaduto.
Ho parlato con le autorità spagnole. Dovevano far arrivare 1 milione di dollari dall’America ma sembrava che ci fosse un problema burocratico. Allora ho chiesto di emettermi un certificato che dimostrasse che non erano stati contaminati. Il Capitano mi disse che non poteva emettere questo documento.
"Allora metteteli in quarantena e curateli" gli ho detto.
Ormai il male era fatto: "Almeno evitate che la situazione peggiori.
Se le autorità non mi ascoltano sono costretta a fare uno scandalo!"


Le sue pubbliche "sollecitazioni" al governo franchista per concedere indennizzi ai contadini i cui terreni erano stati irrimediabilmente contaminati culminarono, pertanto, un anno dopo, nel 1967, quando organizzò e capeggiò una pacifica manifestazione -oviamente non autorizzata- della popolazione di Palomares.
Fu arrestata, processata e condannata.
Il tribunale, in ossequio al suo rango, le aveva offerto il proscioglimento da ogni accusa in cambio di un suo pubblico "atto di pentimento" ma Donna Luisa preferì il carcere.
Scontò otto mesi di carcere dal marzo al novembre 1969 prima di uscire grazie ad un acconcio decreto legge di amnistia.
Nel frattempo un suo romanzo autobiografico "La Huelga" (cioè:lo sciopero) le costò nel 1968 un processo questa volta istruito presso il tribunale militare speciale che le comminò un'ulteriore condanna per avere insultato i militari e i magistrati; il libro venne proibito, circolò solo clandestinamente.
Nei suoi viaggi all'estero, solitamente in Francia, acquistava i "libri proibiti" dal regime franchista come ad esempio quelli degli esistenzialisti e dei marxisti, anche grazie al suo status diplomatico, riusciva a far passare alla dogana spagnola con lo stratagemma di coprire le opere proibite con le copertine di romanzi pornografici.
Scrisse e cercò di pubblicare "Palomares", un suo reportage sui noti eventi ma le rimandarono indietro la bozza del libro tutta completamente censurata per mano di Francisco Franco in persona!

Nell'anno 1970 a causa della sua attività politica con un atto giudiziario fu dichiarata "instabile" e le venne tolta la patria potestà dei figli mentre il marito José Leoncio Gonzales de Gregorio Marti ufficializzava la richiesta di divorzio. In questo frangente, in via confidenziale, ebbe notizia che un ordine di arresto per violazione della legge sulla censura era già pronto e che la attendeva una condannata a ventiquattro anni di prigione; in sole ventitrè ore -e in modo oltremodo picaresco- riuscì a passare i Pirenei.

Auto-esiliatasi in Francia, a Hesparren per oltre sei anni, si mantenne scrivendo articoli per giornali come "Le Monde" e "Liberation", denunciando la propria esperienza della dittatura franchista. Divenuta la beniamina dell'intelighenzia filocomunista con l'appellativo di "duchessa rossa", Luisa Alvàrez dovette pubblicamente schermirsi:
"Se avessi vissuto in uno stato comunista, avrei dovuto accettare tutta una serie di cose che non accetto: la perdita della libertà di espressione, di stampa, di raduno - proprio quelle privazioni contro le quali combatto nel mio paese".
La "tre volte Grande di Spagna" definiva la propria lotta politica: un "dovere repubblicano", fu pertanto una storica aderente al Partito Socialista spagnolo (PSOE) e riferendosi a Sua Maestà Juan Carlos era solita apostrofarlo come "El señor Borbòn". Amava dire:
"Se fossi nata in un paese libero, non avrei dovuto interessarmi di politica. Ma è stata una grande responsabilità essere spagnola".

Nel 1975, alla morte del Caudillo Francisco Franco, sul suo capo pendevano tutta una serie di condanne -a causa della sua attività antifranchista fatta all'estero- per le quali avrebbe dovuto scontare quarantaquattro anni di carcere!

Appena tornata in Spagna nel 1976 fu condannata a sei mesi di arresti domiciliari da scontarsi nel proprio maniero di La Montera per aver insultato una "guardia civil" subito dopo aver attraversato la frontiera.

Ritiratasi nella propria atavica magione andalusa di Sanlucar de Barrameda compose le novelle "La base", "La cacería" e in inglese "My prision", ispirandosi alla propria biografia politica; opere che in Spagna non trovarono nessun editore disposto a pubblicarle.

Si dedicò, pertanto, agli studi storici, in collaborazione con l'Università di Cadiz e il Dipartimento di Educazione dell'Andalucia, intorno alla storia del proprio casato ed alla catalogazione dei circa sei milioni di documenti conservati nell'archivio storico dei Duchi di Medina Sidonia: il più grande e antico fondo archivistico privato d'Europa. Ma anche per il sonnacchioso mondo accademico Luisa Isabel divenne un personaggio scomodo e degno di censure per la sua volontà di "revisionismo" della gloriosa storia patria.


Nel 1992 la Duchessa volle dare il proprio contributo alle celebrazioni per i cinquecento anni della scoperta dell'America col saggio: "Historia de una conjura" (storia di una congiura) cui seguì poco dopo un ulteriore tomo: "No fuimos nosotros" (Non siamo stati noi). Infatti, la tesi propugnata bellamente dalla duchessa, dopo aver scartabellato per anni le carte segrete dei propri avi, è che la scoperta dell'America sarebbe stata solo una farsa ed il frutto di una incrociata macchinazione politica:
"Per quanto ne sapeva la regina, Colombo veniva da Lisbona e faceva il tipografo. La regina aveva bisogno di qualcuno che non fosse spagnolo, che non avesse relazioni, che avesse un aspetto adeguato e che conoscesse molto poco la navigazione." Ebbe così a dichiarare (in una intervista televisiva)

L'attenzione della Duchessa (i cui avi erano i feudatari di quel porto di "Palos" da cui partirono le caravelle di Cristoforo Colombo) fu destato da un documento: "sul quale c'è scritto che la Corona mette a disposizione di Cristoforo Colombo 3 imbarcazioni per andare in un luogo assolutamente sconosciuto. Però si sapeva che il viaggio sarebbe durato 6 mesi. Colombo, infatti, si impegna a servire 2 mesi gratuitamente, mentre gli verranno pagati i restanti 4 mesi di viaggio.
Nel 1493, quando Colombo va a Barcellona, la Regina lo nomina Capitano Generale delle Indie e gli vieta di andare, nel suo prossimo viaggio, nelle miniere in possesso del Portogallo. Dunque, sia prima che dopo il 1492 sapevano esattamente dove erano le miniere.
E dovevano essere necessariamente in America. Se fossero state in Senegal, come ci raccontano, Colombo non ci poteva andare con le Caravelle"

Quindi da molto tempo prima della scoperta "ufficiale" -addirittura da secoli, secondo la XXI duchessa di Medina Sidonia!- le colonne d'Ercole erano attraversate pacificamente non solo da spagnoli e portoghesi, ma anche da inglesi ed addirittura dai turchi!
La duchessa considerò una prova indiretta della bontà della sua teoria il fatto che l'imperatore Carlo V nel 1536, cioè in seguito allo scisma anglicano di Enrico VIII, diede l'ordine di distruggere tutte le mappe e le carte nautiche sia pubbliche che in mano a privati: bisognava fare tabula rasa e creare nuove carte geografiche per convalidare l'idea di una scoperta "ex novo" da parte degli spagnoli (nonchè cattolici romani). Tra le pochissime che si salvarono, e che è giunta fino a noi, la prima mappa del nuovo mondo eseguita per i Re Cattolici dell'anno 1500 da Juan de la Cosa in cui si vede tracciato il contorno del Golfo del Messico e della Florida, ufficialmente scoperti successivamente.

Per Luisa Isabel Alvarez, molto prima che il neoeletto Papa Borgia nel 1493 ratificasse la suddivisione delle nuove terre tra spagnoli e portoghesi, già Papa Marino V era intervenuto nella contesa per le miniere d'oro "d'oltremare"! La Santa Sede aveva concesso ai portoghesi le terre chiamate di Guinea; la guerra che ne seguì si concluse nel 1480 quando Portogallo e Castiglia firmarono il trattato di Alcaçovas-Toledo, mediante il quale veniva rispettata l'esclusiva portoghese in Guinea e veniva riconosciuta la sovranità castigliana sulle Canarie.
Per la "Duchessa rossa" in realtà la guerra non era scoppiata per la colonizzazione della Guinea ma del Brasile!

In un documento indirizzato agli avi della Duchessa e risalente al 1475 Isabella la Cattolica dava istruzioni per recarsi nelle miniere d'oro di Guinea in cerca di schiavi, oro e "manegueta". Manigueta è parola portoghese per indicare comunemente il "peperoncino", ortaggio che secondo la storiografia ufficiale sarebbe potuto giungere in Europa solo diciassette anni dopo!
Quindi sia gli spagnoli che i portoghesi utilizzavano i nomi di luoghi presenti sulla costa africana per indicare anche località al di là dell'Oceano, sulle coste americane.

Nel saggio "Africa Versus América. La fuerza del paradigma" la duchessa argomenta la tesi secondo cui le miniere del sud America erano conosciuto sin dall'epoca dei Fenici, nonchè dai sovrani mussulmani di Spagna e Marocco poichè -secondo la duchessa- da Capo Vede anche la meno attrezzata delle imbarcazioni spinta dai venti Alisei in quindici giorni giunge infallibilmente in Brasile!
Secondo una tale ricostruzione prima della spartizione "ufficiale" fatta dal papa spagnolo Alessandro VI Borgia: "Ciò che gli antichi chiamavano Africa era in verità America. Tra i 16 gradi Nord e i 16 gradi Sud veniva tutto considerato come Africa".
"Gli storici credono che le miniere d'oro di cui si serviva l'Europa stavano tra il Marocco e la Guinea, però lì non c'è oro o comunque molto meno della quantità necessaria per supplire per secoli alle necessità degli europei"; ma la duchessa ha cercato di individuare sulla costa africana fiumi in grado di accogliere le navi dell'epoca ma "lì i fiumi non sono navigabili dalla foce verso l'interno"; perciò:"Tutte le descrizioni conducono al Brasile".
"Nel documento in cui Isabella La Cattolica invia una flotta di 35 caravelle in 'Guinea y La Mina de Oro' nomina il fiume Esclavios riferendosi in realtà al fiume Marañón in Brasile, dove vivevano negri e d inoltre a Recife si trova una finestra di stile moresco che dovrebbe far meravigliare gli storici".

L'opera "Africa versus America" è statta pubblicata grazie alla "Junta islamica" ovvero l'associazione ufficiale dei mussulmani di Spagna poichè arcinoto era il filoarabismo della duchessa nonchè la sua opposizione al perdurante protettorato spagnolo delle due enclave marocchine di Ceuta e Melilla, tanto è vero che nel 2000, quando si recò in visita al Re del Marocco, Mohammed VI la accolse con i massimi onori.

Nonostante il premio "Pricipe delle Asturie" per meriti culturali accordatole nel 2007, e ricevuto per le mani del medesimo Principe Felipe, per il mondo accademico lei e le sue teorie furono considerate "eccentriche" e la loro diffusione negli ambienti universitari ostacolata, fino alla fine.


E spirata all'età di 71 anni la sera del venerdì 7 marzo 2007 -Venerdì di Passione-nel suo Palazzo Medina-Sidonia di Sanlucar de Barrameda, sede dei suoi preziosi archivi e della Fondazione per gli studi storici, creata nel 1990, e per la quali ha speso la gran parte di ciò che rimaneva delle sue avite sostanze.

Nel 2005 la duchessa aveva modificato gli statuti decretando che alla propria morte la presidenza della "Fundacion Casa Medina Sidonia" andasse alla propria teutonica segretaria Liliana Maria Dahlmann, affidandole la gestione di tutti gli archivi storici dal Cinquecento in poi, e inoltre, concedendo a colei che è stata per un ventennio la sua "dama di compagnia", l'uso vitalizio di quel palazzo ducale che nel 1978 fu dichiarato dallo Stato "monumento histórico artístico".
Liliane Maria Dahlmann era giunta a Sanlucar per la prima volta nel 1983 in qualità di amica della sposa al matrimonio di Don Leoncio González de Gregorio, il primogenito di Donna Luisa.

Donna Luisa Alvarez e spirata, probabilmente a causa di un cancro ai polmoni, non prima però di usufruire della possibilità del voto postale per esprimere nuovamente il proprio suffragio per il primo ministro Spagnolo il socialista Josè Luis Rodriguez Zapatero.
Poche ora prima di morire, alla presenza della socialista Irene Garcìa, la alcaldesa (cioè la sindachessa) di Sanlucar, la "tre volte Grande di Spagna" ha sposato civilmente Liliana Maria Dahlmann.

La cinquantenne "vedova" vivrà nel palazzo di Sanlùcar sino alla morte, poi la proprietà andrà allo Stato in base alle disposizioni testamentarie della ventunesima Duchessa, disposizione questa certamente non condivisa dal ventiduesimo Duca di Medina Sidonia e dai suoi fratelli.

Il terzogenito Don Gabriel Ernesto, ricevuta la ferale notizia, si è così espresso:
"Mia madre per me è sempre stata un incubo. Abbiamo dovuto fare di tutto per bloccarla quando ha cominciato a regalare porzioni di terreno del palazzo di Medina Sidonia alla povera gente che ci viveva intorno, e alla fine ci siamo riusciti. Ma mia madre non ci ha mai perdonato di aver vinto la causa con la quale volevamo impedirle di dare via la proprietà.
Poi, quando Miss Dahlmann arrivò in Spagna dalla Germania e loro due diventarono amanti, mia madre aderì ad un gruppo di lesbiche radicali.
Quando ho scoperto che aveva sposato la sua segretaria in articulo mortis, ho pensato che era tipico di lei."

La messa esequiale è stata celebrata domenica 9 marzo 2008 nella Chiesa parrocchiale di "Nuestra Señora de la O".
La salma, che i comunicati uffiali affermavano sarebbe stata tumulata nella cappella di famiglia nel cimitero di Sanlucar de Barrameda, in realtà, in ossequio alle disposizioni testamentarie, è stata cremanata e le ceneri sparse per i giardini del Palazzo ducale dei Medina-Sidonia.

UNA PRECE

giovedì, aprile 10, 2008

Santa anche subito /12


"Tutti i miei conoscenti di sinistra e di centrosinistra vogliono una politica di destra.
Di destra-destra, mica Pdl. Quando fanno il test elettorale su www.voisietequi.it immancabilmente scoprono di condividere il programma della Lega e della Destra. Per ritrarsi subito dopo inorriditi: Bossi e Santanchè mai!

La democrazia italiana è cinquanta per cento brogli e cinquanta per cento bon ton. Sui brogli c’è poco da fare, è una tradizione che risale al 1860.
Il bon ton è appena più recente ma non meno consolidato: non sta bene dichiararsi di destra, nemmeno a sé stessi. E così vogliono bloccare l’immigrazione e votano Veltroni, frenare la deriva morale e votano Casini."

(Camillo Langone; PREGHIERA;
Il Foglio di giovedì 10 aprile 2008)

sabato, aprile 05, 2008

VOS ET IPSAM Campagnam Electoralem BENEDICIMUS

Ovvero: Fenomenologia della Madonna della Lettera.


Una nota di folclore cattolico durante la campagna elettorale per le elezioni politiche del domenica 13 e lunedì 14 aprile 2008, è pervenuta dal clamore mediatico intorno ad una lettera "della Madonna" composta e propagandata dal sacerdote genovese Paolo Farinella in data 4 febbraio 2008, ovvero durante i giorni giubilari per i centocinquant'anni delle apparizioni della Beata Vergina Maria di Lourdes.
Proprio in vista della festività marina dell'11 febbraio, infatti, il prete per lamentare il proprio sdegno per la caduta del secondo governo Prodi ed il proprio livore contro una iniqua legge elettorale e pertanto contro l'inetta classe politica tutta, non ha trovato niente di più originale che indiraizzare una lettera aperta alla Madre di Dio:
"Non ci resta che la Madonna di Lourdes, nella speranza che almeno lei possa fare qualcosa per l’Italia dove Padre Pio protegge il clan Mastella, Santa Rosalia piange il cattolicissimo Cuffaro e Sant’Agata di Catania si affida alla mafia per la sua onorata processione. Madonna di Lourdes, confidiamo in te! "

Indagare il perchè, tra tutti i titoli mariani sotto cui invocare aiuto e protezione dalla Vergine Santa, don Farinella abbia scelto proprio quello della Madonna di Lourdes potrebbe essere oggetto di meditazione assai proficua.

Il non aver scelto una qualche Madonna italiana (dalla Madonna di Pompei a quella "delle lacrime" di Siracusa, dalla romana Madonna del Divino Amore (salvatrice dell'urbe) alla "prodiana" Madonna di San Luca, per non parlare della poi della a lui familiare genovese Madonna della Guardia) può non essere considerato come l'ennesima manifestazione di quella cronica esterofilia che permea la mentalità italiana?
Forse a don Farinella le italiche madonne appaiono troppo "compromesse" con l'establishment , con lo statu quo quando non addirittura conniventi col malaffarre:
"Si manda a casa Prodi per fare posto al senatore (prossimo) Cuffaro, uomo integerrimo e di specchiata virtù, certificata dall’autorità del vice papa Pierferdinando Casini, cristiano spocchioso di chiara moralità coniugale insieme al suo compagnuccio di merende Gianfranco Fini: costoro, insieme al loro padrone e capo, cattolici dichiarati, amano tanto la famiglia da averne anche due sul modello poligamico arabo. Costoro, che hanno votato cristianamente in silenzio tutte le leggi immorali del governo Berlusconi, di cui, fino a ieri dicevano peste e corna, oggi strisciano ai suoi piedi proni al bacio della sacra pantofola con la benedizione del santo padre e figli devoti, sotto la direzione del cerimoniere Giuliano Ferrara."

La Madonna di Lourdes "appare" pertanto super partes, lontana dai centri di qualsiasi potere mondano, civile ed ecclesiarico.
Ella, la purissima, la senza peccato, colei che sola ha il privilegio unico di autodefinirsi "l'Immacolata" per antonomasia e che illumina con la sua specchiata illibatezza una grotta in cui solitamente pascolavano i porci, pare allegoricamente esprimere il suo celeste, chiaro e severo giudizio sulle vicende terrene.
Ella chiede preghiere e mortificazioni per i poveri peccatori.
Il suo linguaggio è scarno, diretto ed essenziale; anche quando chiede a Bernadette di indirizzare le proprie richiesta agli uomini di Chiesa la Santa Vergine si esprime senza deferenze curiali con quel: "và a dire ai preti" che non piacque per niente al curato Peyramale, il parroco di Lourdes.

Pertanto incalza don Farinella nel suo sfogo alla Vergine di Lourdes:
"Mi addolora che in questo attentato alla democrazia si possa scorgere la longa manus della gerarchia ecclesiastica cattolica, perché il colpo di grazia al governo Prodi, da sempre inviso oltre Tevere, forse perché da quelle parti non si tollerano i cristiani adulti, è avvenuta in una sincronia di fatti e interventi che definire casuali significa bestemmiare il Nome di Dio...

Ora le destre e le armate di Ruini, il grande regista dell’asse atei-devoti e devoti-atei, possono avanzare a tenaglia e, travolta la suicida maggioranza del governo Prodi, installarsi nelle casseforti del potere e spartirsi con immorale cupidigia le spoglie di ciò resta del malaffare, del conflitto d’interessi, dell’economia, della cassa e della dignità di un popolo...

...Onore alla Cei, a Ruini, a Bertone, a Betori e a Bagnasco che ora benedicono, senza dirlo espressamente, le falangi fasciste, casiniane, finiane, storaciane, mastelliane e berlusconiane, dimenticandosi – ahimé! – che tutti questi lanzichenecchi hanno fatto scempio della morale cattolica e della dottrina sociale alla quale pure dicono di doversi ispirare, avendo fatto solo i loro interessi e quelli del padrone, infischiandosene di quelli del Paese, delle famiglie, dei poveri, degli immigrati e di quanti non hanno nemmeno lacrime per piangere.

Onore a tutti i cristiani, figli devoti del papa, che in nome dei sacri valori della famiglia e del "sano laicismo" voteranno per cattolici divorziati, concubini, conviventi, mafiosi, condannati, ladri, atei e devoti capaci di vendere Cristo, l’etica e l’onore per meno di trenta denari. Quando si tratta di battere e riscuotere cassa, ciò che conta è la forza del potere, mai la coerenza del cuore e la dignità della coscienza che sono appannaggio degli spiriti deboli. Non ci resta che sperare in un miracolo! Madonna di Lourdes, pensaci tu, per piacere! Anche in articulo mortis! "


Se a molti piissimi cattolici la "sacra" missiva del prete genovese è parsa addirittura blasfema, essa in realtà dal punto di vista teologico-dogmatico appare perfettamente in linea con la più rigida tradizione spirituale che in diversi secoli, e sebbene con differenti sensibilità, ha visto da parte dei devoti la formulazione di voti e promesse, per certi versi dei veri e propri contratti con la Madonna stessa: si ricordi che il termine "omaggio" nel diritto feudale indicava la cerimonia di vassallaggio.

"Totus Tuus ego sum et omnia mea Tua sunt. Accipio Te in mea omnia. Praebe mihi cor Tuum, Maria" è la formula della "schiavitù mariana" promossa da San Luigi Grignon de Monfort che ne fu il grande apostolo dei tempi moderni (e di tale formula di "consacrazione" a Maria il Papa Giovanni Paolo II ne fu novello propugnatore). Già in età patristica Sant'Ildefonso di Toledo giustificava una simile spiritualità di sottomissione a Maria: “Per questo io sono tuo schiavo, perché il mio Signore è tuo figlio. Per questo tu sei la mia Signora, perché tu sei la schiava del Signore.”

Tipico dell'età medievale e barocca fu quello di suggellare la propria consacrazione mariana con veri e propri documenti formali; e magari controfirmati col proprio sangue; come ad esempio il giuramento "immacolatista" con cui nei secoli precedenti alla definizione dogmantica del 1854 moltissimi teologi si impegnavano a difendere "usque ad effusionem sanguinem" la dottrina della "Immacolata Concezione".

Spesso agli atti di devozione privata si accompagnavano petizioni pubbliche e solenni di città, di intere nazioni e regni con cui solennemente le pubbliche autoritò civili e militari supplicavano la protezione della "Vergo Potens" "Refugium peccatorum" ed "Auxilium Christianorum".

Il popolo cristiano della città di Messina venera la Santissima Vergine come propria specialissima patrona sotto il peculiare appallativo di Madonna "della lettera" , piamente tramandando l'antica divota nuova secondo cui i primi messinesi battezzati da san Paolo, avendo saputo per bocca dell'apostolo che la Madre di Gesù era ancora in vita -quando nell'anno 42 l'apostolo Paolo tornò a Gerusalemme- decisero di indirizzare alla Madonna una lettera che sarebbe stata poi consegnata nelle sue mani sante e venerabili da una delegazione di messinesi stessi, per ancor meglio esprimere "coram santissima" i sensi della propria devozione.
Non solo, ma addirittura la santissima Vergine Maria rispose all'ambasciata con una propria breve ma pregnante missiva che non poteva non concludersi che con la sua materna benedizione (e con la promessa della propria perpetua intercessione).

A ben guardare, però, il culto apparentemente singolarisimo verso una Madonna compositrice di missive alla blebe cristiana, è ben più diffuso e capillare nella storia della Chiesa, nella storia della devozione, e soprattutto nella forma mentis dei fedeli cattolici!

Esemplare, in tal senso, è il culto spoletino per la Santissima Icone della Madre di Dio. Piccola immagine di foggia bizantina ispirata alla icona costantinopolitana detta “Haghiosoritissa”; fu donata nell'anno 1155 ai cittadini di Spoleto da Federico I "il Barbarossa" quale segno di pace dopo la guerra in cui le truppe dello svevo sacro romano imperatore avevano raso al suolo la città di Spoleto.

La Madre di Dio, raffigurata a mezzo busto, mesta e dolente, leva in altro le mani in segno di intercessione presso Cristo quale avvocata dei peccatori e regge il seguente cartiglio:
“Che chiedi o Madre? -La salvezza dei viventi -
Mi provocano a sdegno -Compatiscili, Figlio mio
-Ma non si convertono!
-E tu salvali per grazia”.
La sacra immagine divenne il palladio della città, baluardo della propria indipendenza ed "icona" della propria sovranità politica; poichè se i fedeli cristiani indirizzano le proprie petizioni alla Madre di Dio, ciò vuol dire che essi ritengono che ella non solo abbia la posibilità di rispondere positivamente ma anche di agire fattivamente a loro favore!

Soprattutto nella lunga serie delle apparizioni mariane dell'età contemporanea viene dagli agiografi evidenziato come le manifestazioni di Nostra Signora abbiano avuto lo scopo di rispondere alle pubbliche richieste di soccorso e persino di prevenire e mitigare futuri più gravi pericoli, non più locali ma di portata planetaria.
Il culto tutta moderno verso le apparizioni di una Santa Vergine propagandatrice di messaggi più o meno segreti per i papi, per i governanti, per la Chiesa e per il mondo in genere, nasce pertanto già antica: i reiterati brevi messaggi ai fedeli di tutto il mondo da parte della Madonna di Medjugorie in realtà in nulla innovano nel contenuto rispetto a quel presunto primo messaggio dell'anno 42 indirizzato ai fedeli messinesi.

Se don Farinella ha deciso di scrivere proprio alla Vergine di Lourdes -e pertanto implicitamente ne aspettava anche risposta!- forse il motivo sta nel fatto che la Bella Signora della grotta è la meno politicizzata tra tutte le madonne; e benedetto da tutti (persino dai laicisti ed anticlericali) è il frutto delle apparizioni di Massabielle: ovvero la cura amorevole dei malati, disabili, handicappati e della varia umanità sofferente.
Una Madonna "del fare", una Madonna di poche parole che chiede a Bernadette di scavare nel fango, una Madonna che, pertanto, chiede ai cristiani di "sporcarsi le mani" per il bene comune invece di rinchiudersi nella propria "turris eburnea".

Come ai messinesi di duemila anni prima anche per Don Paolo Farinella è giunta celermente la risposta della Mamma Santissima con lettera raccomandata tramite messaggero angelico:
"Caro Paolo prete,
Sono la Madonna, la mamma di Gesù, e rispondo alla lettera aperta che esprimeva disillusione e disorientamento di fronte alle elezioni politiche dell’aprile 2008.
Moltissimi cittadine e cittadini non riescono a capire le posizioni della gerarchia cattolica, nonostante la politica di formale «non coinvolgimento» che il Presidente della Cei ha annunciato con grande enfasi il 10 marzo 2008 nella sua prolusione al consiglio permanente dell’organismo che raggruppa i vescovi italiani. «Non coinvolgimento» apparente, perché poi tutto, l’atteggiamento, il clima, il respiro, il contesto, lo sguardo, tutto converge verso alleanze implicite in nome di valori o singoli temi, perdendo di vista la visione complessiva del «bene comune» che è il criterio di fondo che la stessa gerarchia cattolica scrive nei suoi documenti ufficiali. Nello stesso tempo c’è il rifiuto di fronte alle liste così come sono fatte.
Molti si chiedono se sia giusto votare, se sia utile, se sia doveroso. Da persona seria, rispondo e non mi sottraggo al dovere di offrire una valutazione e di dare un consiglio...

Il segretario del partito democratico è certamente serio, fotogenico, televisivo, ma anche è un monsignore: basta guardarlo per vedere subito «le physique du role». Berlusconi gli è debitore in eterno (infatti non lo attacca mia direttamente) perché fu Monsignor Dabliu Veltroni a salvare Berlusconi dalla bancarotta, consegnandogli, chiavi in mano, il monopolio televisivo.
Era il 4 febbraio 1985. Al senato era in scadenza il decreto sulle tv voluto da Craxi e detto «decreto Berlusconi». La sinistra indipendente fece ostruzionismo e bastava che il Pci prestasse un suo uomo che parlasse per venti minuti e quel decreto non sarebbe mai più passato perché era stato bocciato una prima volta alcuni mesi prima. Dabliu Veltroni, che già studiava da prete, era responsabile dell’informazione di Botteghe Oscure e in questa veste diede ordine ai suoi di fare passare il decreto perché De Mita aveva concesso la direzione di Rai 3 all’allora PCI. Per venti minuti di ostruzionismo mancato, l’Italia si trova con il flagello Berlusconi e le sue tv... Di questo l’Italia deve ringraziare Monsignor Dabliu Veltroni...

...Alla storia si aggiunge anche la promessa che Monsignore Dabliu Veltroni fece diventando sindaco di Roma per la seconda volta: allo scadere del mandato, sarebbe andato in Africa e lavoro per lo sviluppo di quel continente che ama tanto e avrebbe lasciato la politica. Oggi si è dimesso da sindaco e dirige il nuovo partito democratico, in omaggio alle promesse e alla coerenza.
Detto questo, per chiarezza, bisogna rilevare che ha saputo dare l’unico e rilevante segno di rinnovamento, almeno iniziale, della politica, scegliendo di non allearsi con quella sinistra (si fa per dire!) recidiva che ha litigato tanto da riconsegnare per la seconda volta l’Italia a Berlusconi. Nelle sue liste bloccate come quelle degli altri, ha svecchiato il parlamento e ha fatto un programma credibile e possibile, anche se ha fatto l’errore di allearsi con i radicali, cortigiane a buon mercato che ieri erano di là...

Se gli Italiani e le Italiane dovessero scegliere onestamente, secondo coscienza, non dovrebbero votare alcuno degli attuali pretendenti. Non votare però è un brutto segno...

IN SINTESI

Se io, la Madonna, dovessi essere in Italia e votare, seguirei questi criteri, in quanto cittadina e in quanto cristiana:

1. Non voterei per i partiti o liste e/o individui suggeriti o appoggiati, direttamente o indirettamente dall’autorità ecclesiastica perché non ne ha competenza e perché in Italia vige un concordato che vincola le parti a fronte di reciproci benefici. La Chiesa deve pretendere la liberta di parola, di aggregazione, di culto, di insegnamento, senza oneri per lo Stato.

2. Non voterei simboli e scritte che portano il nome «cristiano» o immagini religiose, come croci, campanili: è un uso improprio, segno di ateismo pratico.

3. Non voterei partiti e liste che presentano inquisiti di qualunque genere: il presidente della Cei, card. Angelo Bagnasco, giustamente ha detto (aveva il diritto di dirlo) che i politici devono essere «esemplari». Un cristiano non può votare la lista di Berlusconi che ripresenta oltre trenta inquisiti più Marcello Dell’Utri già condannato in via definitiva e per la seconda volta i 1° grado; non può votare Udc di Casini che presenta Cuffaro «vasa-vasa», condannato in 1° grado per associazione mafiosa. I cattolici che li votano tradiscono tutto il loro codice etico.

4. Non voterei liste o partiti che presentano coloro che sono passati da una parte all’altra senza battere ciglio, tradendo gli elettori. Chi tradisce una volta è pronto per la seconda se il prezzo è congruo: non bisogna votare, ad es. De Gregorio, Dini, Bordon, Manzione, ecc.

5. Non voterei i difensori della famiglia che nella loro vita privata sono divorziati o conviventi, se pubblicamente urlano sulla indissolubilità della famiglia fondata sul matrimonio: non possono imporre agli altri i pesi che essi non sono stati capaci di portare. O stanno zitti o si ritirano a vita privata: se non lo fanno, devono mandarceli gli elettori.

6. Non voterei chi vuole imporre agli altri la propria visione della vita sia religiosa che politica, senza tenere conto delle esigenze delle minoranze di qualunque natura e cultura, nel rispetto assoluto della dignità della persona, sia essa residente o immigrata.

7. Non voterei liste o partiti che non abbiano candidato almeno un 30% di presenze femminili.
8. Non voterei liste o partiti che non abbiano almeno un 30% di candidati e candiate sotto i 40 anni.
9. Non voterei liste o partiti che presentano oltre il 30% di candidati con più di tre legislature.

10. Non voterei liste o partiti xenofobi che discriminano uomini e donne in base al sesso, alla religione, alla nazionalità, al bisogno e alla dignità come la lega di Bossi che venera il «dio Po» e rinnega anche la decenza.

Io, la Madonna, voterei per salvare l’Italia dal baratro della barbarie berlusconiana e poi dal giorno dopo le elezioni… sarà un altro giorno.
Con la mia materna benedizione
Maria di Nazaret, 11 marzo 2008"


La lettura di cotanto circostanziato messaggio della Madonna non può che lasciare costernati!
Se infatti la lettera del parroco genovese invocante il soccorso della "Regina delle Vittorie" appare legittima, poichè implicitamente riconosce la prerogativa della Santa Vergine quale "mediatrice di tutte le grazie", la risposta celeste invece appare macroscopicamente come un falso grossolano poichè innova decisamente rispeto a tutti i precedenti mistici interventi della Santa Vergine nelle vicende terrene.
Lo stile dialogico della Bella Signora di Don Farinella è di una prolissità imbarazzante che contrasta insanabilmente con il modo di esprimersi di Nostra Signora di Lourdes: nelle apparizioni che si susseguirono dall'11 febbraio al 16 luglio 1858 rimase per il più delle volte silenziosa, limitandosi a sgranare la corona del rosario.

martedì, aprile 01, 2008