venerdì, febbraio 29, 2008

Dio e Sanremona /2

Ovvero: come il giornalista Federico Marchi sopra "il Giornale" enarri che in quel di Sanremo, in concomitanza della celeberrima gara canora, sia esplosa una gesuitica cagnara intorno ai gregoriani inni e cantici:

Sanremo si ribella ai Gesuiti: «Vogliamo la Messa in latino»

"A Sanremo si possono cantare le canzoni sui gay, su Saffo, sulla rivoluzione, ma non si possono cantare le Messe in latino. Il caso è stato sollevato ieri (27 febbraio 2008, ndr) in Comune, mentre alla sala stampa dell'Ariston Roof andavano in scena le solite polemiche sul calo di ascolti, sulle canzoni inedite o meno e sullo spostamento del Festival a Roma.

La situazione è seria e rischia di causare un vero scontro in città ma non solo. Tutto ha avuto inizio lo scorso 7 luglio quando il Papa aveva disposto la possibilità di celebrare nuovamente la Santa Messa tradizionale in latino. Condizione necessaria era la richiesta di un gruppo di fedeli composto da almeno 30 persone.
È così subito nata un'iniziativa che ha portato alla costituzione di un gruppo sanremese cui hanno aderito 250 fedeli.
Il 23 dicembre si è svolta la prima celebrazione, in rito tradizionale e cantata in gregoriano, presso la chiesa di Santo Stefano retta dai Padri Gesuiti.
Alla Messa avevano partecipato 500 fedeli, molti dei quali giovani, il che faceva presupporre il ripetersi di queste occasioni come lo stesso Benedetto XVI aveva auspicato.

Il superiore dei Gesuiti per il nord Italia, Padre Alberto Remondini, ha invece decretato l'impossibilità di celebrare Messe in latino se non per eventi eccezionali, escludendo di fatto la possibilità di stabilirne cadenze fisse o periodiche.

«Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso» aveva scritto il Santo Padre nella sua lettera sulla Messa tradizionale.
Proprio su queste parole si basa la protesta attuata dall'associazione di fedeli di Sanremo «Beato Tommaso Reggio» che ora chiede il rispetto di queste intenzioni per poter celebrare nuovamente il rito con date fisse.

«Abbiano chiesto chiarimenti sia al Provinciale d'Italia, sia al Superiore Generale dei Gesuiti - ha detto uno dei portavoce Enrico Spitali - precisando che la mancata risposta sarebbe equivalsa ad una conferma del divieto comunicatoci verbalmente». La risposta non è arrivata confermando quindi questa decisione negativa.
«È molto doloroso che questa violazione di un diritto di fedeli e, soprattutto - proseguono i fedeli -, che questo spregio alle disposizioni del Santo Padre provenga dall'Ordine i cui membri, per statuto, formulano un voto speciale di obbedienza al Papa».

Tutto questo mentre si assiste a celebrazioni particolari che sono state approvate, il gruppo sanremese fa infatti riferimento al Padre Gesuita Van Der Eecke e al corso di danza liturgica che si tiene anche a Milano.

Il dito viene puntato proprio sullo spirito di obbedienza dei Gesuiti verso il Santo Padre che, in questo caso, sembrerebbe venire meno.

«Evidentemente possiamo affermare che il primo atto del Papa Nero è una patente di disobbedienza al Santo Padre, quello vero - prosegue Francesco Rilla delegato sanremese di Una Voce per l'Italia - perché decretare che un suo provvedimento, avente immediata forza di legge, non deve essere applicato in alcun luogo di culto è un atto, prima ancora che illegittimo ed abusivo, oltraggioso verso Benedetto XVI».

I fedeli appartenenti al gruppo di Sanremo chiedono, a questo punto, di vedere attuate le disposizioni del Santo Padre anche dai Gesuiti di tutt'Italia e che, dunque, sia espressamente consentito ai Padri di riaprire le porte della loro chiesa al rito antico e alla Messa tradizionale celebrata secondo i libri liturgici approvati dal Papa.
«Ci auguriamo - conclude Enrico Spitali - che, per dimostrare nei fatti l'attaccamento al Santo Padre della Compagnia di Gesù, i suoi vertici intervengano a chiarire la situazione incresciosa creata dall'ostracismo ingiustificato ed immotivato alla Santa Messa tradizionale in latino».
Il caso parte da Sanremo ma rischia di assumere un rilievo nazionale per gli sviluppi che potrà aprire."

© Copyright Il Giornale (Genova), 28 febbraio 2008

lunedì, febbraio 25, 2008

La Ceremonia del Besamanos [3]

"Gesù disse: «Chi mi ha toccato?».
Mentre tutti negavano, Pietro disse: «Maestro, la folla ti stringe da ogni parte e ti schiaccia».
Ma Gesù disse: «Qualcuno mi ha toccato. Ho sentito che una forza è uscita da me».(Lc VIII, 45-46)"

Ovvero: racconto agiografico di Maurizio Crippa (Il Giornale, lunedì 25 febbraio 2005) intorno al divoto baciamano di Giuliano l'apostolo apostata al sedici volte Benedetto papa "ccioiosamente" regnante avvenuto tra le sacre mura della Chiesa romana di Santa Maria Liberatrice nella terza domenica di Quaresima dell'anno terzo di pontificato.

«E finalmente in una tiepida domenica mattina di febbraio si sono incontrati. Un semplice parrocchiano un po' speciale del Testaccio, il quartiere un tempo popolare e poi simbolo della Swinging Rome rutelliana, e il vescovo della città venuto in visita alla parrocchia di Santa Maria Liberatrice.

La foto presa al volo dall'Ansa è bella e reticente, come tutte le foto rubate alla cronaca. Il corpaccione esuberante nel cappotto cammello del giornalista laico - anzi ex comunista - e oggi combattente contro l'aborto; e il corpo esile e diafano, bianco come la papalina e la zazzera del gran professore tedesco, il Papa teologo. Alla fine del lungo percorso attraverso il mondo della politica e quello delle idee, dalla noia per l'ideologia alla scoperta della teologia, Giuliano Ferrara è arrivato sotto casa, nella «sua» parrocchia, dove ieri ha incontrato Benedetto XVI, gli ha baciato con rispetto la mano, è brillato un sorriso, si sono scambiati qualche rapida parola. La foto è reticente. Non per le parole che resteranno private, ma perché non dice nulla del lampo degli occhi, che senza dubbio ci dev'essere stato. E chi come me ha consuetudine con il mio direttore, sa che sono lampi eloquenti, spesso felicemente bambini.

Un lungo rapporto a distanza, quello tra il direttore del Foglio che da tempo ha preso il vezzo di definirsi «ateo devoto», mandando fuori di testa tutti quelli che non sanno se prenderlo sul serio, e in brodo di giuggiole gli amici che sanno che è divinamente serio, assolutamente ironico. E il «professor Ratzinger», come Ferrara lo chiama spesso.

Anche se la dietrologia italiana immagina sempre rapporti sotterranei e chissà quali segreti d'Oltretevere, (...) era la prima volta che i due si trovavano vis à vis.
Un lungo avvicinamento, e credo non spiacerebbe ai due se si rubassero a Goethe le sue «affinità elettive».

Quando Joseph Ratzinger si presentò sulla Gran Loggia di San Pietro, il pomeriggio del 19 aprile 2005, i testimoni oculari - io non c'ero, sto a Milano - raccontano di un gran balzo di Giuliano sulla poltrona, e del suo urlo liberatorio «Josephum», con cui faceva eco in tutta la redazione al nome latino appena pronunciato dal cardinale camerlengo.
Il trionfo di una scommessa vinta, di un'anticipazione azzeccata.
Quella mattina, il Foglio era uscito a tutta prima pagina con il titolo «La formidabile lezione del professor Ratzinger» e aveva sbattuto in faccia ai dubbiosi il testo integrale dell'omelia che Ratzinger aveva tenuto prima dell'inizio del Conclave. E che era già un programma di pontificato. Ma un orecchio più fine avrebbe forse avvertito che i gemiti della poltrona del direttore avevano un tono diverso da quelli provocati da Ferrara per un'altra notizia, anche quella pubblicata a tutta prima pagina con un giorno d'anticipo, la rielezione di Bush alla Casa Bianca. Quello era il legittimo orgoglio di una scommessa giornalistica stravinta. Invece il tripudio di quel pomeriggio d'aprile, quello che fece decidere in un istante, come capita sempre al Foglio, di uscire il giorno dopo con la testata modificata in «Il Soglio», con una squillante «S» rossa, era la gioia di un nuovo inizio: quasi l'intuizione di un «adesso cominciamo a divertirci», adesso avremo qualcosa di cui scrivere ogni giorno.

Ferrara ripete sempre che ad appassionarlo alle vicende della Chiesa fu la potenza meravigliosamente spavalda davanti alla modernità di Giovanni Paolo II. Ma già allora, in tempi non sospetti, fu il Prefetto della Fede ad attirare la sua attenzione.
Nel 2000 il Foglio aveva già pubblicato con risalto la Dominus Jesus, la «dichiarazione circa l'unicità e l'universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa», contestata dai progressisti, con cui Joseph Ratzinger faceva punto e a capo di tutte le possibili confusioni sulle diverse religioni. Analoga attenzione aveva attirato nel 2004 la Lettera ai vescovi sulla collaborazione dell'uomo e della donna nella chiesa e nel mondo, scritta sempre dal Custode della Fede. Altra clamorosa bomba messa sotto la mentalità corrente, che non a caso interessò maggiormente le femministe inquiete che tante anime belle della Chiesa chiacchierante, quella istituzione trasversale che tanto Papa Ratzinger quanto Ferrara detestano apertamente. Erano i primi segnali, che lasciavano a bocca aperta molti in redazione, di un interesse crescente. Ma segnali che venivano da lontano.

Ferrara semplicemente si è accorto che la sapienza della Chiesa, Agostino e Tommaso, Wojtyla e Ratzinger, ha spesso molte più cose interessanti da comunicare all'uomo (post)moderno - sull'amore umano, sulla nascita e la morte, fino al «supremo scandalo del nostro tempo», l'aborto - di quanto non l'abbiano tonnellate di filosofia corrente e di scadente pensiero unico laico. E da allora il Foglio è stato un tripudio di iniziative che Ferrara ama definire «ratzingeriane», come anche gli Appunti per il dopo pubblicati la scorsa estate.
Vista da (abbastanza) vicino la fascinazione di Ferrara per Ratzinger («siamo il giornale del Papa», è battuta su cui in redazione si può scherzare, ma fino a un certo punto) è fatta sostanzialmente di due cose. L'interesse per un uso della ragione «illuminista», che si interroga su tutto e non rinuncia alla ricerca della Verità. L'altra è il sacrosanto amore per il linguaggio, la parola cristallina che chiama le cose con il loro nome, che scandaglia il vero e lo rende comprensibile anche ai laici.
Di contro c'è l'odio per il fumo dell'ecclesialese, il linguaggio indigeribile che invece sembra essere il codice segreto del cattolicesimo contemporaneo. Quello «aperto al mondo», ma che al mondo non riesce a dire niente di interessante. E figurarsi a un uomo di mondo come Giuliano Ferrara.
Da qui il grande rilancio del discorso «illuminista» di Ratisbona, e la passione con cui il Foglio ha discusso le encicliche di Benedetto XVI: passione intellettuale per un uomo che ha qualcosa da dire, e sa splendidamente dirlo, sottolinea sempre Ferrara. Fino alla pubblicazione a tutta prima pagina del grande discorso negato alla Sapienza, sbattuto in faccia all'ignoranza di professori piccini e censori.

Da anni in tanti si interrogano sui rapporti tra Giuliano Ferrara e la Fede, tra il direttore del Foglio e il Papa. Su quel suo stare «sulla soglia» di Santa Romana Chiesa. Chi ha la possibilità di frequentare la faccenda un po' più da vicino, potrebbe testimoniare davanti al Sant'Uffizio soltanto di quel che vede: una stupenda, inconsueta, avventura intellettuale e umana. Vissuta con amore e buonumore dal suo protagonista. Fino all'ultima partita, quella che Giuliano Ferrara ha intrapreso della lista per la moratoria contro l'aborto. Su questo, il Papa ha già detto quel che doveva dire: riprendendo, nel discorso al corpo diplomatico di inizio anno, il filo del parallelo ferrariano tra la moratoria della pena di morte e il necessario impegno a favore della vita.»

sabato, febbraio 23, 2008

LA DIVINA PASTORA [7]

LE SUORE VERDI

Ovvero:GREEN SISTERS: A Spiritual Ecology (Harvard University Press, April 2007), by Sarah McFarland Taylor.


«Il libro di una storica delle religioni dal punto di vista delle donne, Sarah McFarland Taylor, episcopaliana, rilancia pesanti accuse di panteismo nei confronti di numerose religiose cattoliche statunitensi, appartenenti a varie congregazioni: di San Giuseppe, di Loreto, della Carità, di Notre Dame, dell’Umiltà di Maria, del Cuore Immacolato di Maria oltre che a suore francescane e domenicane e alle Sorelle delle Missioni mediche.

“Green Sisters: a spiritual ecology” si intitola la sua opera, una ricerca cominciata nel 1994 e che l’ha portata a trascorrere due estati nella Fattoria Genesi, nel New Jersey, a visitare dozzine di centri analoghi, a compiere centinaia di interviste e a presenziare a quattro conferenze delle “Sorelle della Terra”. La conclusione: Dio e il cosmo, per le “green sisters” sono fusi l’uno nell’altro.
Alla conferenza delle “Sorelle della terra” del 2002 le 150 partecipanti cantavano, della Terra: “Tutto è santo, così santo. Tutto è sacro, così sacro. Tutto è uno”. Invece nel 2003, alla conferenza della Leadership delle Religiose (che raccoglie 76mila aderenti negli Usa), novecento suore cantavano, sempre riferito alla Terra: “Sacra è la chiamata, davvero tremenda la consegna. Aver cura del Sacro, aver cura del Sacro”.
L’invito della conferenza mostrava un’immagine del pianeta con la scritta: “Aver cura del Sacro”. Il teologo di riferimento è un passionista di novanta anni, Thomas Berry, discepolo di Teilhard de Chardin. Propone come “Grande Opera” per l’umanità del nostro tempo quella di “fare da levatrice all’umanità verso l’era Ecozoica”.
Il mondo naturale, secondo padre Berry, è la “rivelazione primaria” di Dio; il teologo consiglia di mettere la Bibbia sullo scaffale almeno per venti anni, così che la gente possa leggere “la scrittura primaria che è intorno a noi”.

Le “suore verdi” hanno spostato la loro preoccupazione primaria dagli esseri umani alla “Terra totale”. Così una suora che ha studiato con padre Berry quando prese i voti si sentì “legata da un amore appassionato con il Divino così come si è rivelato nella storia universale”. Il che, fa notare una studiosa critica, “non è la stessa cosa che diventare sposa di Cristo”. Per un’altra il voto di castità significa “impegno morale a alleggerire l’ecosistema” stressato dalla crescita della popolazione.

Le “suore verdi” sostengono di non essersi allontanate dalla tradizione cattolica, ma non tutti sono d’accordo. In particolare alcuni pensano che la loro visione di Cristo non sia ortodossa.
Una delle suore intervistate sostiene che “nella liturgia del Cosmo” c’è fusione fra “la storia di Gesù, la storia della terra e la storia del cosmo” in una grande “epica evoluzionistica”.
Con poche eccezioni le “suore verdi” sono vegetariane: molte dichiarano di aver cessato di considerare “i non umani inferiori agli umani”. E una religiosa spiega che la cena per lei “è un’eucarestia quotidiana con il corpo della terra e del sole”. E hanno anche un’analogia fra cibo consumato ogni giorno e la transustanziazione eucaristica.

Il fenomeno delle “suore verdi” fu notato nel 1993, durante una visita in Vaticano dei vescovi Usa. Giovanni Paolo II ammonì: “Talvolta forme di venerazione della natura e la celebrazione di miti e simboli sostituiscono il culto di Dio rivelato in Gesù Cristo”. Ma non ci fu nessuna azione disciplinare, anche se alcuni critici sostengono che molte delle loro tesi ricadono nella condanna emanata da Pio IX verso il credere che “tutte le cose sono dio e hanno la stessa sostanza di Dio”.»
(di Marco Tosatti vaticanista della Stampa)

venerdì, febbraio 22, 2008

"questo, d'ignoto amante inno ricevi" (3)

Sive: In Festo Cathedra Beati Petri Apostoli


«A Roma ho imparato una lezione molto importante, tra le innumerevoli altre conquiste.

E' stato spesso affermato che l'architettura gotica rappresenta l'anima che tende verso Dio, mentre quella rinascimentale e romanica rappresenta Dio che trova la Sua dimora nell'uomo. Entrambi questi aspetti sono essenziali, eppure nessuno dei due, nella religione dell'Incarnazione, può sussistere senza l'altro.

Da un lato è vero che l'anima deve essere sempre in ricerca, sempre rivolta in alto verso l'oscurità dove Dio si nasconde, sempre memore che l'infinito trascende il finito e che vi è un elemento di immenso agnosticismo in ogni credo; le direzioni di questo mondo, così comìera, s'innalzano verso le tenebre; la luce che ci accompagna attraverso tracce incise e indizi oscuri ci permette di camminare, ma nulla di più. Nel silenzio Dio si rivela e attraverso i misteri proclama la Sua esistenza. Dio è spirito, senza forma, infinito, invisibile ed eterno: Quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità! (Gv 4,24). Qui vi è quindi il misticismo e la notte oscura dell'esperienza spirituale.

Dall'altra parte Dio si è fatto uomo e "il Verbo si fece carne".
La natura divina e inconoscibile si unì alla carne e "venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la Sua gloria". Ciò che era nascosto divenne conosciuto. Non siamo solo noi gli assetati che bussano: è Dio stesso ad essere assetato del nostro amore, a morire su una croce affinchè possano venire aperte le porte del Paradiso a tutti i credenti, che ha squarciato il velo del Tempio con il suo urlo di morte, e che ancora adesso bussa ad ogni cuore per poter entrare a cenare in compagnia dell'uomo.
La cupola rotonda del Paradiso è stata portata quaggiù in terra, i confini del mondo sono visibili e riconoscibili grazie alla luce di Dio; il vasto chiarore della Rivelazione si difonde in ogni dove attraverso finestre che danno su un lastricato splendente; angeli insieme a santi e uomini si radunano come ebbri per l'amore divino, l'altare sublime si erge davanti a noi illuminato (...) affinchè tutti possano vedere e ammirare.

Ora, va detto che questo aspetto della religione dell'Incarnazione non aveva molto significato per me.
Ero un nordico e nel senso letterale del termine, educato in maniera nordica. Amavo le luci soffuse, la musica misteriosa e le ombre del bosco fitto, mentre odiavo gli spazi aperti al sole, le trombe che suonano all'unisono e il tondo e il quadrato in architettura. Preferivo la meditazione rispetto alla recitazione delle preghiere; Madame Guyon a Mather Julian; John Inglesant a San Tommaso; il secolo tredicesimo così come me lo immaginavo a quello sedicesimo.

All'incirca sin dalla fine della mia esperienza anglicana avrei dovuto conoscere questo aspetto: allora avrei potuto risentirmi per quest'accusa in quanto già iniziavo a capire (e quindi pensavo di aver pienamente compreso) che il mondo era sia materiale che spirituale e che le credenze erano necessarie come le aspirazioni.
Ma quando giunsi a Roma compresi che in realtà non avevo colto del tutto questo aspetto.

Ecco una città rinascimentale da capo a coda, sotto un cielo limpido e un sole che scotta, la cui religione era come l'anima che risiede nel corpo. Era la dimostrazione vivente di come la realtà umana può personificare il divino.
Anche le dottrine proprie del cristianesimo venivano raffigurate con immagini pagane. La rivelazione parlava attraverso le forme della religione naturale; Dio abitava senza vergogna nei luoghi luminosi, i preti erano preti e non pastori dalle buone intenzioni; compivano i sacrifici, aspergevano con l'acqua benedetta, partecipavano a lunghe e ondulate processioni con l'incenzo e i lumi, chiamando Olimpo il Paradiso.
In un altare di granito notai la scritta Sacrum Divo Sebastiano.

Spesso sedevo in compagnia di professori di teologia che scherzavano, ridevano e dimostravano la loro gioia in una sala conferenze davanti a sei nazioni. Vedevo l'immagine del "Padre dei principi e dei re e padrone del mondo" esposta nelle strade il giorno del suo onomastico, circondata di fiori e lampade ad olio nella maniera in cui, due millenni fa, altri padroni del mondo venivano onorati. Sono sceso nelle catacombe nei giorni di Santa Cecilia e di San Valentino e ho sentito l'odore del bosso e del miro sotto i mie piedi, che rendeva onore alla fragranza della loro memoria così come secoli prima, in un diverso contesto, aveva reso onore ai vincitori.
In una frase, iniziai a capire che "il Verbo di fece carne e venne ad abitare in mezo a noi" (Gv1,14); che se ha scelto la sostanza creata di una vergine per costituirsi un corpo naturale, allora può anche utilizzare la sostanza creata degli uomini (i loro pensieri, le loro forme di espressione e metodi) per formare per sè quel corpo mistico attraverso cui Egli si rende presente a noi sempre. In poche parole, capii che l'unica cosa veramente mondana è il peccato.

Ma allora il cattolicesimo è materialistico?
Certo, e lo è come la Creazione e l'incarnazione, nè più ne meno.

E' impossibile descrivere cosa significhi questa scoperta per uno spirito nordico. Significa di sicuro l'oscuramento di alcune di alcune di quelle vecchie luci che sembravano scosì belle nella semi oscurità dell'esperienza individuale, o piuttosto il loro scoparire di fronte alla luce forte del giorno.
[...]
Paragonate un aspetto qualsiasi della fede e del culto cattolico così come vengono vissuti nella Città eterna al corrispondente anglicano!
Eppure gli anglicani rimangono scioccati quando vengono a Roma, i dissidenti si scandalizzano del paganesimo e i liberi pensatori sorridono al pensiero delle piccolezze di tutto questo. Certo, si scioccano, si scandalizzano e sorridono: potrebbero comportarsi diversamente?

Invece la verità è che un soggiorno a Roma allaga la mente al di là di ogni descrizione.
Mentre fino a quel momento mi ero abituato ad immaginare il Cristianesimo come un fiore delicato, divino in quanto soprannaturalmente fragile, ora vedevo che è invece un albero i cui rami accolgono gli uccelli dell'aria un tempo nemici della sua tenera crescita ma che ora possono trovarvi rifugio. La sua divinità consiste nell'ampienza della sua diffusione e dalla forza delle sue possenti radici: nulla pò paragonarsi a questo.
Prima la immaginavo come un aroma raffinato e dolce, da venir gustato a parte; ora capivo che si trattava del lievito, nascosto nei luoghi più reconditi della terra, che si manifestava in modo molto più rozzo di quanto avrei immaginato fino a quando tutto sarà fermentato.

E così giorno dopo giorno continuavo ad imparare (...) piano piano la lezione veniva assimilata dal mio cervello ed imparavo che vi era qualcosa di totalmente diverso da ciò che ero abituato a conoscere, qualcosa che non avrei mai appreso nella mia tranquilla penombra nordica.
Qui si trova la sede centrale del mondo spirituale; qui la grazia veniva elargita, i dogmi definiti e le provviste salvaguardate per le anime di tutto il mondo.
Qui aveva stabilito il Suo trono per governare il Suo popolo, dove un tempo Domiziano, dominus et deus noster, l'imitatore di Dio comandava prescindendo da Lui, eppure adombrando il vicario di Cristo.

Il Venerdì Santo, sotto le rovine del Palatino, andai alla chiesa di San Toto e ascoltai quel versetto: "Se liberi costui non sei amico di Cesare" (Gv19,12). Oggi "costui" è il Re mentre Cesare non è nulla.

Certo è che qui, più che in ogni altro luogo, il lievito conficcato dalla mano divina nel suolo duro dell'Impero romano, gradualemte si è espresso in leggi e dogmi con immagini del pensiero "del mondo"; qui il sangue di Pietro è confluito sotto l'obelisco, ancora pulsante nelle vene di Pio [X, all'epoca regnate, n.d.r], Pontifex Maximus et Pater Patrum, che dista solo di qualche metro.

Almeno questo a Roma l'ho appreso, ed era una lezione che valeva la pena imparare, pur tra tutte le difficoltà. Venivo da una stanza calorosa e illuminata dal caminetto, piena di ombre, e mi ritrovavo ora esposto alle folate di vento negli spazi immensi della storia umana.
Capii finalmente che nulla di ciò che è umano è indifferente a Dio, che i tentattivi di ricerca dei popoli pre-cristiani molto spesso li hanno avvicinati al Cancello della Verità; che i loro piccoli sistemi, sforzi ed immagini non venivano disprezzati da Colui che li aveva permessi, e che "Dopo aver Iddio in antico, a più riprese e in molti modi, parlato ai nostri padri per mezzo dei profeti, in questi ultimi tempi parlò a noi per mezzo del Suo Figlio, che costituì erede di ogni cosa e per mezo del quale creò anche i secoli. questo figlio, immagine della gloria di dio e impronta della sua sostanza, dopo aver compiuto la purificazione dei peccati si è assiso nel più alto dei cieli alla destra della Maestà divina" (Ebrei, I, 1,3)».

Dalle "Confessioni di un Convertito" (1913)
di Robert Hugh BENSON (1871-1914)

mercoledì, febbraio 20, 2008

ADVERSUS HAERESES, XIII

Ovvero: Con "quanta cura" Marco Politi scrive i suoi articoli?

Commemorandosi il centotrentesimo anniversario del beatissimo trapasso di Papa Mastai (7 febbraio 1878), mercoledì 6 febbraio 2008 il sedici volte Benedetto salutando i pellegrini radunatisi nell'Aula Paolo VI per la consueta udienza generale ha menzionato, tra gli altri, anche i rappresentanti del Comitato Pio IX di Senigallia:
"Vi ringrazio per il vostro generoso impegno teso a richiamare l'attenzione sulla figura e sull'esemplarità delle virtù di questo grande Pontefice, che espletò con eroica carità la missione di pastore universale della Chiesa, avendo sempre come obiettivo la salvezza delle anime. Nel suo lungo pontificato, segnato da avvenimenti burrascosi, egli cercò di riaffermare con forza le verità della fede cristiana di fronte a una società esposta ad una progressiva secolarizzazione. La sua testimonianza di indomito e coraggioso servitore di Cristo e della Chiesa costituisce anche oggi un luminoso insegnamento per tutti. Auspico di cuore che questa significativa ricorrenza contribuisca a far conoscere meglio lo spirito e il "volto" di questo mio beato predecessore e a farne apprezzare ancor più la sapienza evangelica e la fortezza interiore."


Chi tra i vaticanisti avrebbe potuto avere mai qualcosa da ridire per un saluto rivolto dal papa a dei pellegrini giunti a Roma per celebrere (per giunta un anniversario tondo) la festa di un santo ufficialmente riconosciuto dalla Chiesa cattolica?

Marco Politi, ovviamente!
Egli, dopo aver celebrato nell'intimo dei novelli Novendiali per la buon'anima di Papa Mastai Ferretti, in data 16 febbraio -cioè ben dieci giorni dopo!- ha pubblicato sulla Repubblica un disgustoso articolo pieno di veleno e vomito verso il nove volte e beato Pio e verso il sedici volte Benedetto pontefice regnante!

"L´ombra di Pio IX torna ad affacciarsi in Santa Romana Chiesa. L´improvvisa esaltazione di papa Mastai, indicato da Benedetto XVI come grande pontefice di esemplari virtù, «indomito e coraggioso» combattente contro la secolarizzazione dell´Ottocento, non è l´auspicio migliore per un rasserenarsi delle tensioni tra la società laica e il papato...
L´immagine di Pio IX, nella descrizione fatta da Ratzinger, è quella di un pontefice che lotta per riaffermare le verità della fede cristiana di fronte a una società protesa verso la secolarizzazione. Un eroico baluardo. Ieri Pio IX, oggi Benedetto XVI è l´equazione presentata istintivamente agli occhi dei fedeli e del mondo. L´Osservatore Romano conferma. «Oggi si vive in buona parte dell´eredità di Pio IX - proclama fiero il postulatore della causa di canonizzazione - e si corrono rischi che il suo magistero intendeva risparmiare alla Chiesa d´allora e di sempre». Così si pone sullo stesso piano ciò che conciliabile non è.
L´opposizione frontale alla modernità di Pio IX e l´apertura ai segni dei tempi di Giovanni XXIII, l´infallibilità papale da un lato e la gestione collegiale della Chiesa con l´insieme dei vescovi dall´altro.
Torna continuamente, insomma, la volontà di negare il carattere di svolta e, per certi aspetti, di rottura del concilio Vaticano II..."

Il guaio di Politi e che l'idea reiterata con diabolica perseveranza, secondo cui il Concilio Vaticano II ha prodotto un rottura totale con cattolicesimo come s'era andato strutturando nei diciannove secoli precedenti, non viene combattuta subdolamente da Benedetto XVI tramite la citazione di questo o di quel papa reazionario ma è stata solennenente, fortemente e perentoriamente negata da Papa Ratzinger nel suo primo discorso alla Curia Romana del dicembre 2005, quarantesimo anniversario della chiusura del Vaticano II.

L'idea, invece, secondo cui il cattolicesimo anche nel XXI secolo "vive in buona parte dell´eredità di PioIX", e che fa muovere a sdegno sin nelle viscere il Nostro sono parole non di un fanatico pretuncolo lefebvriano ma di un papa "conciliare" come Paolo VI!
Papa Montini, infatti, nel centenario della morte di papa Mastai presiedette un solenne pontificale in San Pietro per "l'amabile figura di Papa Pio IX":
... per commemorare la sua nascita al Cielo, avvenuta un secolo fa, allorché la sua anima apostolica, al suono dell'Ave Maria, lasciò il corpo ormai grave d'anni e d'affanni. Ciò vuol dire che limiteremo la nostra memore attenzione e la nostra devota meditazione sul profilo spirituale ed apostolico di un Pontefice che tanto fu amato, e su ciò che egli, con invitto coraggio, intraprese per l'incremento della fede cattolica e per il bene della Santa Chiesa.
...l'ansia di servire la causa di Cristo e del suo Vangelo. "Servire la Chiesa: questa fu l'unica ambizione di Pio IX", ha scritto uno storico autorevole. Ciò spiega l'instancabile sua dedizione ai doveri, anche i più gravosi e più ardui, dell'apostolico ministero: una qualità costante che è doveroso riconoscergli non senza ammirazione, al di là degli stessi impulsi dell'umano carattere e delle obiettive difficoltà che si frapposero alla sua azione di Pastore e di Sovrano..."

Dopo di chè il papa, che viene sempre citato a sproposito per aver detto nel centenario di Porta Pia che la fine del potere temporale fu provvidenziale, fa un elogio dello Stato Pontificio:

"...Il crollo del Potere temporale appariva indebito e grave, e comprometteva l'indipendenza, la libertà e la funzionalità del Papato; minaccia questa che pesò, fino ai giorni della Conciliazione, sulla Sede Apostolica, tenendo vivo con nostalgica amarezza il ricordo dei secoli, in cui il Potere temporale era stato lo scudo difensivo di quello spirituale e in pari tempo il tutore del territorio dell'Italia centrale, vi aveva conservato la memoria e il costume civile della tradizione classica romana, favorendo la promozione della compagine degli Stati del continente, alimentando una coscienza unitaria della civiltà scaturita dall'umanesimo greco-romano, e soprattutto sviluppando negli animi e nei costumi la fede cattolica... La ferita inferta allora al Papato arrivò anche a grande parte del Popolo e della Chiesa intera, e ne tormentò per lunghi anni la coscienza civile e il sentimento cattolico."

"Intorno alla compatibilità del regno temporale col regno spirituale disputano tra loro i figli della Chiesa cristiana e cattolica" (Sillabo) ma il sedicente cattolico più o meno adulto, più o meno baciapile, che continua a biasimare Pio IX, per essere sempre rimasto intransigentemente reazionario nel rivendicare i propri diritti di sovrano temporale, vuol dire che non è un figlio affettuoso che si vanta di professare la fede cattolica! La storia stessa infatti ha premiato l'intransigenza di Pio IX (e parimenti dei suoi successori come solitamente si fa finta di dimenticare)!
Pio IX in fine ha vinto: ciò che di principio rivendicava Papa Mastati fu concesso cinquantanni dopo la sua morte a Pio XI con i Patti Lateranensi del 1929 e la creazione dello Stato del Vaticano.

"Ma ecco- continua papa Montini-, proprio in quella paradossale situazione il prodigio della immortalità di Pietro ("Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo", aveva detto Gesù [Matth. 28, 20]), si rinnovò. Tutto il Pontificato di Pio IX fu, si può dire, una rivelazione delle inesauste energie che il Papato e la Chiesa, per una storia sempre nuova, possiedono in proprio.

Un'apertura di dilatata generosità fu la nota precipua del suo servizio, la quale, fondendosi con le innate caratteristiche di cordialità e di buon senso, ereditate dalla sua terra e dalla sua gente, valse a conciliargli la devozione delle classi umili e popolari e via via, in misura crescente, delle moltitudini dei figli della Chiesa.
...Pio IX appare nella storia della Chiesa come un solerte animatore ed un operoso costruttore, il cui carisma e la cui eredità si protendono fino all'età contemporanea, se è vero che non poco di quanto egli intuì e volle e attuò è rimasto vivo e perdura anche oggi."

Che profonda sintonia tra queste affermazioni del 1978 e quelle espresse dal postulatore della causa di canonizzazione di papa Mastai "Oggi si vive in buona parte dell´eredità di Pio IX"! Se questo sarebbe il segnale della cospirazione lefebvreiana ed anti vaticanosecondista promossa dall'attuale pontefice, forse che, ad insindacabile giudizio di Politi, papa Ratzinger si vedrà strappato dalla buon'anima di Papa Montini lo scettro di primo cospiratore?

Orbene, sostenere che il lunghissimo pontificato di Pio IX ha prodotto dei frutti che hanno positivamente inciso su tutta la successiva storia della Chiesa non può essere considerata una discutibile e faziosa dichiarazione di principio ma è un dato di fatto incontrovertibile. Basterebbe solo pensare alle decine di nuovi ordini religiosi maschili e femminili (per tutti varrà ricordare i salesiani di Don Bosco) nati con la benedizione del beato Papa-Re!

Ora, se Paolo VI nel centenario della morte di un papa (il cui processo di beatificazione era "congelato") poteva permettersi di fare un simile peana, perchè mai nel centotrentesimo anniversario della morte di un papa ormai già beatificato Benedetto XVI avrebbe dovuto esimersi dal rivolgere un breve pensiero e saluto ai fedeli di Senigallia venuti a Roma per celebrarne la festa liturgica attorno alle sacre spoglie di papa Mastai?

Se durante l'udienza di mercoledì 20 febbraio il sedici volte Benedetto avesse salutato calorosamente una delegazione di fedeli giunti da Carpineto Romano in occasione del centotrentesimo anniversario dell'elezione di Leone XIII (20 febbraio 1878) c'è da chiedersi se Politi si sarebbe adontato.
Certamente no, perchè Leone XIII è universalmente noto per essere stato un papa "buono", "il papa dei lavoratori" il papa della "Rerum novarum" un papa progressista rispetto a Pio IX, un papa che accettò la modernità, di dice con formula equivoca.

Ma Leone XIII è anche il papa che ha rinnovato sin dalla sua prima enciclica la protesta per l'usurpazione sabauda del principato ecclesiastico. Leone XIII è il papa che ha rinnovato tutte le condanne teologiche e dottrinarie già condannate da Pio IX nell'enciclica "Quanta cura" (e sintetizate nel Syllabo), primariamente quello che all'epoca veniva detto "Indifferentismo" (ai nostri tempi si direbbe "Relativismo") religioso ma anche nei suoi risvolti filosofici e politici:
"...nel secolo XVI una funesta novità di opinioni infatuò moltissimi.
Da quel tempo, la moltitudine non solo volle dare a se stessa una libertà più ampia, che fosse di uguaglianza, ma sembrò anche voler foggiare a proprio talento l’origine e la costituzione della società civile. Anzi, moltissimi dei tempi nostri, camminando sulle orme di coloro che nel secolo passato si diedero il nome di filosofi, dicono che ogni potere viene dal popolo: per cui coloro che esercitano questo potere non lo esercitano come proprio, ma come dato a loro dal popolo, e altresì alla condizione che dalla volontà dello stesso popolo, da cui il potere fu dato, possa venire revocato. Da costoro però dissentono i cattolici, i quali fanno derivare da Dio il diritto di comandare come da naturale e necessario principio.
...dopo la cosiddetta Riforma, i cui promotori e capi combatterono radicalmente con nuove dottrine la potestà sacra e civile, repentini tumulti ed audacissime ribellioni seguirono specialmente in Germania, e ciò con tanta deflagrazione di guerra civile e con tanta strage, che pareva non ci fosse alcun luogo immune da tumulti insanguinati. Da quella eresia ebbero origine nel secolo passato la falsa filosofia, quel diritto che chiamano nuovo, la sovranità popolare e quella trasmodante licenza che moltissimi ritengono la sola libertà. Da ciò si è arrivati alle finitime pesti che sono il Comunismo, il Socialismo, il Nichilismo, orrendi mali e quasi sterminio della società civile..." (enciclica Diuturnum illud)

Rincarava poi la dose (enciclica Immortale Dei)
"... il potere pubblico per se stesso non può provenire che da Dio. Solo Dio, infatti, è l’assoluto e supremo Signore delle cose, al quale tutto ciò che esiste deve sottostare e rendere onore: sicché chiunque sia investito del diritto d’imperio non lo riceve da altri se non da Dio, massimo Principe di tutti. Non v’è potere se non da Dio (Rm 13,1)...
...Perciò, come a nessuno è lecito trascurare i propri doveri verso Dio – e il più importante di essi è professare la religione nei pensieri e nelle opere, e non quella che ciascuno preferisce, ma quella che Dio ha comandato e che per segni certi e indubitabili ha stabilito essere l’unica vera – allo stesso modo le società non possono, senza sacrilegio, condursi come se Dio non esistesse, o ignorare la religione come fosse una pratica estranea e di nessuna utilità, o accoglierne indifferentemente una a piacere tra le molte; ma al contrario devono, nell’onorare Dio, adottare quella forma e quei riti coi quali Dio stesso dimostrò di voler essere onorato. Santo deve dunque essere il nome di Dio per i Principi, i quali tra i loro più sacri doveri devono porre quello di favorire la religione, difenderla con la loro benevolenza, proteggerla con l’autorità e il consenso delle leggi, né adottare qualsiasi decisione o norma che sia contraria alla sua integrità...

Dunque Dio volle ripartito tra due poteri il governo del genere umano, cioè il potere ecclesiastico e quello civile, l’uno preposto alle cose divine, l’altro alle umane. Entrambi sono sovrani nella propria sfera; entrambi hanno limiti definiti alla propria azione, fissati dalla natura e dal fine immediato di ciascuno; sicché si può delimitare una sorta di orbita, all’interno della quale ciascuno agisce sulla base del proprio diritto. Ma poiché l’uno e l’altro potere si esercitano sugli stessi soggetti, e può accadere che una medesima cosa, per quanto in modi diversi, venga a cadere sotto la giurisdizione dell’uno e dell’altro ... Pertanto tutto ciò che nelle cose umane abbia in qualche modo a che fare col sacro, tutto ciò che riguardi la salvezza delle anime o il culto di Dio, che sia tale per sua natura o che tale appaia per il fine a cui si riferisce, tutto ciò cade sotto l’autorità e il giudizio della Chiesa"

Ora, tutto questo magistero di Leone XIII non solo è la piana ed ampia esposizione delle condanne contenute nel famigerato "Sillabo" di Pio IX ma, più che dalla penna di un papa innovativo, paiono addirittura uscite dalla bocca di teocrati medievali come Innocenzo III, Innocenzo IV o Bonifacio VIII!

Non mi dilungo con citazioni dell'enciclica "Libertas", tanto cara ai fondatori della futura Democrazia cristiana, dove Papa Pecci si scaglia contro la laicità dello Stato e contro la libertà religiosa (o per meglio dire contro l'uguagliaza di tutti i culti di fronte allo Stato).

Eppure, pur avendo insegnato ai fedeli cattolici le medesime dottrine di Pio IX, Leone XIII non è vittima del medesimo dileggio laicista!
Se Benedetto XVI elogiasse "la figura mite e forte" di papa Leone XIII nessuno vomiterebbe tanto astio sulla figura altrettanto mite ed umile di papa Ratzinger, perchè?

Perchè di Pio IX si fatto un simbolo, la personificazione di quel "immortale odium" per il papato, per la sua missione spirituale, segno e sintomo di qul disprezzo per la pretesa della Chiesa cattolica di professare dottrine di carattere soprannaturale!
Soltanto che ormai, i "democratici" e i "liberali" contemporanei non sono più truci nel loro anticlericalismo come lo erano nell'Ottocento, poichè non solo la Chiesa Cattolica ha dovuto fare "aggiornamento".

Il moderno antipapista per colpire e trafiggere al cuore la santità dei più venerandi dogmi del cattolicesimo ha imparato a strumentalizzare la medesima volontà della Chiesa cattolica -massimamente espressa col Concilio vaticano II- di promuovere una nuova evangelizzazione indirizzata all'uomo della società ormai secolarizzata:
"Ma l´operazione -come mutatis mutandis spiega lo stesso Politi- può riuscire soltanto affidandosi all´apologetica o rifugiandosi nella rimozione. Pio IX aborriva la democrazia, il Vaticano II l´ha fatta propria. Pio IX considerava folle la libertà di religione, il Vaticano II l´ha riconosciuta. Pio IX riteneva inconcepibile la libertà di coscienza, Karol Wojtyla ne ha fatto un cardine del suo pontificato".

Cioè bisogna infischiarsene del fatto che Leone XIII esprimeva verso il mondo moderno, cioè verso le ideologie moderne, i medesimi anatemi di Pio IX, perchè ammettere questo è ammettere che vi sia una continuità dottrinaria tra i pontefici, significa manifestare scopertamente che in realtà la propria critiaca distruttrice si rivolge non a singole pecche dei cattolici (chierici innanzitutto) ma al Cattolicesimo tout court, lo scopo di chi procede di tal sorta è quello di mostrare la contraddizzine tra un pontefice e l'altro, rappresentare ogni papa come un attore che entra in scena per dire l'esatto contrario del proprio predecessore e, con tutto ciò, far apparire il pontefice regnante sempre e comunque peggiore dei predecessori. Perciò, Pio IX non fu un buon papa perchè si oppose all'unità d'Italia (ma l'unità d'Italia non è un dogma come non lo è quello dell'unità della Jugoslavia), mente Leone XIII era un papa che amava gli operai. Pio X era un papa bonaccione che non si occupava di politica ma solo di far imparare il catechismo ai bambini; Benedetto XV era un pacifista, Pio XI era un fascista e comunque era sempre meglio di Pio XII che era un criminale nazista.
E poi "venne un uomo mandato da Dio" il suo nome era Giovanni: il papa "buono", buono cioè da usare in ogni attacco alla Chiesa. Poi Paolo VI che fece le riforme (d'accordo, avrebbe potuto fare di più ma meglio di Ratzinger!).
Papa Luciani che era un parroco di campagna che abolì la sedia gestatotia e che sicuramente avrebbe rivoluzionato la Chiesa cattolica, avrebbe venduto il Vaticano e dato il ricavato ai poveri del sudamerica per finanziare la rivoluzione anti-imperialista, se non fosse morto dopo soli 33 giorni (probabilmente a causa di un caffe avvelenato offertogli dall'allora cardinale Ratzinger).
Che dire, poi, del grande e rimpianto papa Giovanni Paolo II che per ventisei anni è volato ai quattro angoli del pianeta allo scopo di evangelizzare ai cattolici dei cinque continenti la buona novella che le religioni sono tutte uguali?

Ovviamente , Politi è persona colta, o almeno facendo il vaticanista da almeno tre papi ed essendosi sorbito migliaia di omelie sulla divinità di Gesù Cristo, sulla immacolata concezione della Vergine etc, lo sa benissimo che la dottrina cattolica dopo il Concilio Vaticano II non è mutata e che le prese di posizione di Benedetto XVI non sono in controtendenza con quelle del suo immediato antecessore. Ma egli è pagato per scrivere malevoli pettegolezzi sul pontefice sotto mano.

Proprio nel discorso di apertura del Concilio Giovanni XXIII ebbe a ribadire che i padri conciliari non erano stati chiamati a Roma per procedere a nuove definizini dogmatiche ma che il concilio: "vuole trasmettere integra, non sminuita, non distorta, la dottrina cattolica, che, seppure tra difficoltà e controversie, è divenuta patrimonio comune degli uomini. Questo non è gradito a tutti, ma viene proposto come offerta di un fecondissimo tesoro a tutti quelli che sono dotati di buona volontà.
Però noi non dobbiamo soltanto custodire questo prezioso tesoro, come se ci preoccupassimo della sola antichità... Al presente bisogna invece che in questi nostri tempi l’intero insegnamento cristiano sia sottoposto da tutti a nuovo esame, con animo sereno e pacato, senza nulla togliervi, in quella maniera accurata di pensare e di formulare le parole che risalta soprattutto negli atti dei Concili di Trento e Vaticano I".

Un pò come i devoto di sant'Antonio, che da lui cercano solo i miracoli ignorando che egli sia un Dottore della Chiesa, senza, pertanto, considerare utilile o necessario alla propria devozione la lettura dei tomoni scritti dal santo di Padova, similmente, Papa GiovanniXXIII viene issato a bandiera del rinnovamento, dell'aggiornamento, a difesa di ogni possibile rigurgito controriformista senza sapere che in realtà papa Giovanni nutriva una specialissima devozione per Pio IX sulla cui tomba in San Lorenzo al Verano il cardinal Roncalli si recò a pregare poche ore prima di entrare in conclave.

Alla "classica" obiezione su come poter conciliare Pio IX e Giovanni XXIII rispondeva già il cardinale Saraiva Martins nel lontano anno 2000 ai tempi della polemica sulla beatificazione congiunta di papa Mastai e Papa Roncalli:
"...cos' ha in comune il Papa della Pacem in terris con il Papa del Sillabo? "
«Giudicare il Sillabo come espressione di uno spirito illiberale e contro il progresso o come un incontrollato rigurgito reazionario, significa non conoscere a sufficienza né Pio IX né la sua epoca.
Il Sillabo non può essere considerato un atto isolato dal Magistero precedente a Pio IX né a quello a lui susseguente. Il documento venne, del resto, invocato, e con insistenza, da molti vescovi ed è conseguenza logica in un' ottica di fedeltà alla rivelazione divina e al patrimonio della verità rivelata.
È noto, inoltre, cosa il beato Giovanni XXIII pensasse nell' indire il concilio Vaticano II. Si ispirava al suo lontano predecessore Pio IX e, da buon conoscitore della storia della Chiesa, l' 8 dicembre 1960 affermava: «Dalla contemplazione della figura mite e forte di Pio IX, prendiamo ispirazione per inoltrarci di buon passo nella grande impresa del concilio Vaticano II, che ci sta innanzi»

Che direbbe Politi nello scoprire che anche il "Papa buono" ricevette in udienza i conterranei di Papa Mastai?

All’udienza generale del 6 settembre 1961, rivolgendosi ai millecinquecento pellegrini di Senigallia, il Papa ricordò subito la figura del suo antecessore marchigiano:
«I pellegrini di Senigallia vantano una gloria specialissima: Pio IX. E il vecchio Pio IX deve tornare a farsi vedere. Il pensiero va spesso a questo insigne servo di Dio e non è disgiunto dal desiderio per una sua glorificazione, riconosciuta anche sulla terra. Ci sarà il Concilio Vaticano II, il quale non può, in qualche modo, non riallacciarsi al Concilio Vaticano I, voluto e aperto da Pio IX. Chissà che in tale circostanza non ci sia pure l’auspicabile gaudio di vedere Pio IX oggetto di particolare venerazione. Sarà, comunque, quel che Iddio disporrà per la sua maggior gloria. Il Signore è mirabilis in sanctis tuis, tanto in quelli decorati con l’aureola della venerazione ufficiale decretata dal capo visibile della Chiesa, quanto in tutti gli altri che popolano il paradiso.
Noi dobbiamo attendere, quaggiù, alla nostra santificazione, il che equivale a imitare i moltissimi che hanno bene compiuto, con la fede e le opere, il pellegrinaggio terreno».

E nel suo "Diario dell'anima" durante gli esercizi spirituali dell'avvento del 1959 aveva scritto:
"Nella mitez­za e nella umiltà del cuore c'è la buona grazia del ricevere, del par­lare, del trattare; la pazienza del sopportare, del compatire, del tacere e dell'incoraggiare. Ci deve essere soprattutto la prontezza abituale alle sorprese del Signore, che tratta bene i suoi prediletti, ma di solito ama provarli con le tribolazioni, le quali possono es­sere infermità del corpo, amarezze dello spirito, contraddizioni tre­mende, da trasformare e da consumare la vita del servo del Signore e del servo dei servi del Signore, in un vero martirio. Io penso sem­pre a Pio IX di santa e gloriosa memoria; ed imitandolo nei suoi sacrifici, vorrei essere degno di celebrarne la canonizzazione."

Insomma, appare chiaramente che, soprattutto in vista della convocazione del concilio, per papa Roncalli Pio IX era il più adatto modello di pontefice a cui ispirarsi nello svoglimento dei suoi doveri pontificali! Con buona pace di tutti coloro per i quali sono inconciliabili "L´opposizione frontale alla modernità di Pio IX e l´apertura ai segni dei tempi di Giovanni XXIII, l´infallibilità papale da un lato e la gestione collegiale della Chiesa con l´insieme dei vescovi dall´altro."

Lascio ad altra occasione la disquisizione sul "body-languige" di papa Ratzinger che tanto manda in fregola Marco Politi.

"Noi oggi - conchiudeva Paolo VI la sua omelia- abbiamo voluto commemorarlo per tributargli un doveroso omaggio se pur assai impari al merito, e per manifestare, altresì, quei sensi di viva riconoscenza che il Pastore della Chiesa di oggi deve al Pastore della Chiesa di ieri, che la Chiesa del Concilio Vaticano II deve alla Chiesa del Concilio Vaticano I, che tutto il Popolo di Dio, nella mirabile realtà unitaria della comunione dei santi, deve a coloro - fedeli e pastori - che l'hanno preceduto "nel segno della fede" e, con in mano questa fiaccola di luce (cfr Matth. 25, 1; 5, 15), sono già andati incontro a Cristo Signore. Così sia."

lunedì, febbraio 18, 2008

Tristitia Christi /4

Ovvero: "A chi dunque paragonerò gli uomini di questa generazione, a chi sono simili?
Sono simili a quei bambini che stando in piazza gridano gli uni agli altri:
Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato;
vi abbiamo cantato un lamento e non avete pianto!"

In data 25 gennaio 2008 il cardinale Karl Lehmann arcivescovo di Magonza ha inviato una lettera circolare a tutti i vescovi tedeschi per annunziare le proprie dimissioni da Presidente (per oltre un ventennio) della Conferenza episcopale tedesca (Dbk).
Il settantunenne presule e teologo (che ha motivato le proprie dimisioni a causa di problemi di salute) ha chiesto, pertanto, che in occasione dell’assemblea della Dbk che si sarebbe aperta l'11 febbraio a Würzburg, si procedesse all'elezione del successore.
Ed ecco che il 12 febbraio 2008 viene prontamento eletto il nuovo presidente dei vescovi tedeschi nella persona nel sessantanovenne Arcivescovo di Friburgo monsignor Robert Zollitsch.

L'Arcivescovo Zollitsch (eletto dopo un ballottaggio con il "più ratzingeriano" Reinhold Marx neo-Arcivescovo di Monaco e Frisinga) ha principiato il proprio mandato di sei anni a capo dei vescovi tedeschi rispondendo alle domande dei giornalisti.

Non essendo in grado di valutare il vero o presunto "scalpore" che le dichiarazioni di monsignor Zollitsch abbiano realmente suscitato nei germanici lettori di "Der Spiegel" e di "Bild am Sonntag", devo purtroppo constatare sui media italiani la solita insulsa cagnara sulle dichiarazioni "rivoluzionarie" del prelato di turno.

Il canovaccio è sempre il solito: se i cattolici italiani avessero il coraggio di valicare i confini italiani ci troveremmo di fronte allo spettacolo di fedeli, vescovi e conferenze episcopali tutte che "vanno avanti nonostante il Vaticano" (come in illo tempore cantava Jovanotti).
Si rinnova la disgustosa distorsione della realtà ecclesiastica e dottrinaria da parte dell'intelighentia "laica" italiana! Questa perenne sindrome da "eretici italiani del XVI secolo" per cui lontani dall'ombra del cupolone, e fuori dalla giurisdizione di Ruini ieri e di Bagnasco oggi, sussisterebbe e prosperebbe un cattolicesimo che sin nelle più alte gerarchie và professando un progressismo in esplicito dissenso con le direttive del pontefice regnante (il quale -ovviamente- è sempre più reazionario rispetto al papa morto).

"I vescovi tedeschi aprono ai gay e ai preti sposati" titola persino il dodoci volte pio Andrea Tornielli! E se tanto mi da tanto, lascio solo immaginare ai miei cinque lettori che cosa avranno riferito opinionisti meno pii: "la svolta", "la spallata", "la rivoluzione" dell'illuminato ecclesiastico di turno che non ha paura di uscire dallo stato di minorità cui lo costringe il despota oscurantista del Vaticano!

Ma cosa avrebbe mai detto di così "rivoluzionario" questo "novello Lutero"?
«Constatiamo la diminuzione delle vocazioni, perché la sfida del Vangelo è difficile da trasmettere. È ovvio che il collegamento tra l’essere prete e il celibato non è teologicamente necessario».
Ha sostenuto che il celibato non è una legge di diritto divino ma di diritto ecclesiastico ragion per cui alla bisogna potrebbe essere sempre modificata o abolita. Bella scoperta!
Come non trattenere un riso (amaro) percependo lo spasimo orgasmico di tanti sedicentio intellettuali che trovano di un progressismo al limite del rivoluzionario tanta verbosa banalità del contemporaneo gergo ecclesialese?

Sostenere però che l'Arcivescovo di Friburgo "vuole" l'abolizione del celibato e che assieme a lui una grande parte dell'episcopato mondiale vogliano veramente abolire il celibato dei preti è ben altra cosa!
Il monsignore ha chiaramente detto che in ben due recenti Sinodi dei Vescovi (e non solo, aggiungerei) della cosa se ne è discusso ma che la stragrande maggioranza dei padri sinodali ha ritenuto non utile e fruttuoso l'introduzione dei preti uxorati nella chiesa di rito latino.
L´Arcivescovo Zollitsch ha sottolineato che il cosiddetto "matrimonio dei preti" «sarebbe una rivoluzione che una parte della Chiesa non accetterebbe» e pertanto, «giacché l´abolizione del celibato inciderebbe molto nella vita interna della Chiesa» è necessario che sia un Concilio Ecumenico a prendere una tale capitale decisione.

Il solito prelato progressista che invoca un Concilio Vaticano III quale panacea ti tutti i mali della Chiesa?
Proprio no. Da tutti descritto come un mite pastore, per anni responsabile della commissione "per dottrina della fede" della stessa conferenza episcopale tedesca il prelato non ha fatto altro che tentare di rispondere alle domande preconfezionate sciorinatagli dal giornalista di turno che magari è convinto che su tematiche "sensibili" i vescovi non si possano esprere per paura dalle ritorsioni del "dittatore" vaticano.
Il vero problema e che per i "mass media" gli unici problemi "sensibili" sono quelli che riguardano l'ambito della genitalità.

Il signor Arcivescovo, da par suo, ha risposto assai cattolicamente a tutte le domande: teologiche, canonistico-disciplinari, giuridiche, politiche ed economico-sociali.
Sono poi i media che semplificano e appiattiscono. Poi, mettendo insieme capra e cavoli, scrivono maliziosamente che l'arcivescovo è "favorevole alle unioni gay e al matrimonio dei preti" quasi che le due "liberalizzazioni" fossero interdipendenti.

"Purtroppo" l'arcivescovo di Friburgo non è poi così tanto rivoluzionario come si vuol far credere se di seguito dichiara perentoriamente il "suo" no alle donne prete: «Gesù Cristo ha chiamato soltanto uomini a fare gli apostoli. La funzione sacerdotale e quella episcopale restano riservate agli uomini, anche se in determinate cerimonie religiose le donne possono predicare. Siamo interessati ad avere donne come assistenti spirituali».

Ciò che infastidice maggiormante è questa assoluta mancanza di rispetto per la dottrina cattolica immaginata e rappresentata come un incoerente cumulo di divieti anacronistici! Tali detrattori non aspettano altro che il prete, il vescovo, il cardinale "utile idiota" di turno che ammoderni ed aggiorni la Chiesa, una Chiesa in cui però non vorranno mai entrare perchè, per quanti aggiornamenti si saranno fatti, la Chiesa cattolica apparirà loro sempre troppo "medievale".


Per quanto riguarda poi le sensazionali confessioni di monsignor Robert Zollitsch alla "Bild am Sonntag" sul più che comprensibile umano rimpianto per non aver avuto figli, ecco di seguito le scabrose dichiarazione che non mancheranno di renderlo "per antonomasia" il vescovo più trasgressivo della storia del Cristianesimo :

«Quando ero studente ero innamorato di una compagna di classe e vedevo bene per me un matrimonio e una famiglia. Sarei volentieri diventato padre. Non avere propri figli è di per sé una rinuncia. Ho dovuto provare questa rinuncia su me stesso, per poter essere disponibile nei confronti di molte persone».
Fu una decisione assolutamente razionale: volevo aiutare altri uomini a condurre una vita nella fede e senza peccato».

Chissà se i lettori tedeschi saranno rimasti scossi nel sentire Monsignor Zollitsch elencare i propri "vizi":
«La sera ascolto musica di Mozart e Haydn, leggo e bevo un bicchiere di vino rosso».

domenica, febbraio 17, 2008

Pro Missa bene cantata [7]

Mercè il "divinus" Magister si alza il velame sul contenuto delle risposte date "a braccio" dal sedici volte Benedetto alle domande formulategli da alcuni membri del clero romano durante la tradizionale udienza ai parroci e rettori delle chiese della Diocesi di Roma.
Nell'udienza al clero romano del 7 febbraio 2008, che si è svolta nella Loggia delle benedizioni della Basilica Vaticana, come di prammatica il giovedì seguente il Mercoledì delle Ceneri, tra le dieci domande rivolte a Benedetto XVI una recitava così:
Come conciliare il tesoro della liturgia in tutta la sua solennità con il sentimento, l'affetto e l'emotività delle masse di giovani chiamati a parteciparvi?

Il Sedici volte e vieppiù Benedetto sommo liturgo ha così risposto:

"È un grande problema quello delle liturgie alle quali partecipano masse di persone. Ricordo che nel 1960, durante il grande congresso eucaristico internazionale di Monaco, si cercava di dare una nuova fisionomia ai congressi eucaristici, che sino ad allora erano stati soltanto atti di adorazione. Si voleva mettere al centro la celebrazione dell'Eucaristia come atto della presenza del mistero celebrato.

Ma subito nacque la domanda su come fosse possibile. Per adorare, si diceva, lo si può fare anche a distanza; ma per celebrare è necessaria una comunità limitata che possa interagire con il mistero, dunque una comunità che deve essere assemblea attorno alla celebrazione del mistero.

Erano molti quelli contrari alla celebrazione dell'Eucaristia all'aperto con centomila persone. Dicevano che non era possibile proprio per la struttura stessa dell'Eucaristia, che esige la comunità per la comunione. Erano anche grandi personalità, molto rispettabili, quelle contrarie a questa soluzione.

Ma poi il professor Jungmann, grande liturgista, uno dei grandi architetti della riforma liturgica, ha creato il concetto di "statio orbis", cioè è tornato alla "statio Romae" dove proprio nel tempo della Quaresima i fedeli si raccolgono in un punto, la "statio", come i soldati per Cristo, e poi vanno insieme all'Eucaristia. Se questa, ha detto, era la "statio" della città di Roma, il luogo dove la città di Roma si riunisce, allora questa è la "statio orbis", il luogo di raccolta del mondo.

È da quel momento che abbiamo le celebrazioni eucaristiche con la partecipazione delle masse. Per me, devo dire, rimane un problema, perché la comunione concreta nella celebrazione è fondamentale e quindi non trovo che la risposta definitiva sia stata realmente trovata. Anche nel Sinodo scorso ho fatto emergere questa domanda, che però non ha trovato risposta.

Anche un'altra domanda ho fatto, sulla concelebrazione in massa: perché se concelebrano, per esempio, mille sacerdoti, non si sa se c'è ancora la struttura voluta dal Signore. Sono domande. E così si è presentata a lei, a Loreto, la difficoltà nel partecipare a una celebrazione di massa durante la quale non è possibile che tutti siano ugualmente coinvolti. Si deve dunque scegliere un certo stile per conservare quella dignità che è sempre necessaria per l'Eucaristia; la comunità non è uniforme e l'esperienza della partecipazione all'avvenimento è diversa; per alcuni è certamente insufficiente. Ma a Loreto la cosa non è dipesa da me, piuttosto da quanti si sono occupati della preparazione.


Si deve dunque riflettere bene su cosa fare in queste situazioni [...]. Rimane il problema fondamentale, ma mi sembra che, sapendo che cosa è l'Eucaristia, anche se non si ha la possibilità di un'attività esteriore come si desidererebbe per sentirsi compartecipi, vi si entra con il cuore, come dice l'antico imperativo nella Chiesa, creato forse proprio per quelli che stavano dietro nella basilica: "In alto i cuori! Adesso tutti usciamo da noi stessi, così tutti siamo con il Signore e siamo insieme". Non nego il problema, ma se seguiamo realmente questa parola "In alto i nostri cuori" troveremo tutti, anche in situazioni difficili ed a volte discutibili, la vera partecipazione attiva."

Il vaticanista Paolo Rodari (dal suo Palazzo Apostolico) informa che Benedetto XVI ha dato ordine che non solo il cuore ma corpo ed anima di monsignor Guido Marini fossero elevati nel più alto dei cieli, mercè l'uso dell'aereoplano, al fine di sorvolare l'oceano Atlantico e l'Oceano Pacifico per recarsi negli Stati Uniti ed in Australia a supervisionare la regia delle incombenti messe "oceaniche" che il Sommo Pontefice deve presiedere:

"...Nell’ultima grande celebrazione di massa cui Ratzinger ha partecipato, ad esempio, e cioè il recente raduno di Loreto, tutti i problemi di questa celebrazione si sono verificati e la cosa, ha detto, «non è dipesa da me, piuttosto da quanti si sono occupati della preparazione».
E così, ecco la soluzione, per ora ancora parziale, ma comunque necessaria, in vista delle prossime messe oceaniche: le due in occasione del viaggio apostolico negli Stati Uniti (il 17 aprile nel nuovo Nationals Park e il 20 aprile al Yankee Stadium di New York) e quelle previste in occasione della giornata mondiale della gioventù di Sydney.
Negli Usa, e poi in Australia, il Papa ha deciso di non delegare più a terzi l’organizzazione delle celebrazioni. E così ha chiesto che, nei prossimi giorni, fosse il suo cerimoniere, monsignor Guido Marini, a volare oltre Oceano (sia Pacifico che Atlantico) col preciso incarico di studiare gli spazi adibiti per le funzioni liturgiche al fine di assumersi la responsabilità diretta dello svolgimento delle celebrazioni in quegli spazi. Affinché il risultato siano messe sì oceaniche, ma almeno segnate il più possibile da compostezza e rigore."

sabato, febbraio 16, 2008

Benedictus benedicat, VI

Sive: « Tu es "Petrus", et super hanc petram aedificabo Ecclesiam meam; et portae inferi non praevalebunt».


E’ una tragedia: Benedetto XVI è ancora più forte, è ancora peggio di Giovanni Paolo II.
Queste le testuali parole espresse nei riguardi della persona di Joseph Ratzinger poche ore dopo la sua esaltazione alla cattedra di san Pietro nell' aprile del 2005.
Tali biasimevoli giudizi non provenivano però da parte del professor Marcello Cini o da qualche suo collega del dipartimento di Fisica dell'università La Sapienza, nè da parte di tanti cattolici sedicenti 'adulti' che speravano in un pontefice più "conciliante", nè dai papaboys che avrebbero preferito un papa più fotogenico, e nemmeno dai mondani e fatui opinionisti che desideravano l'elezione di un papa che semplicemente non fosse cattolico romano.

Il nuovo Papa è ancora più forte di quello di prima e ci farà soffrire molto”!
E' parola, niente di meno che, di satanasso in persona:
"per l’esattezza, parlò per bocca di una donna - posseduta - sottoposta ad esorcismo da Monsignor Andrea Gemma, Arcivescovo Emerito di Isernia-Venafro, uno dei pochi prelati, se non il solo, ad esercitare il ministero della liberazione dal Maligno, che ha raccontato l’aneddoto in questa intervista esclusiva concessa a ‘Petrus’...
“Il fatto che Satana abbia paura del Papa, vuol dire che è sulla strada giusta. Che Dio guardi e protegga il Santo Padre Benedetto XVI! Non tutti sanno che Giovanni Paolo II è molto invocato negli esorcismi, e il Diavolo soffre molto all’udire il suo nome. E’ dunque confortante che Benedetto XVI venga considerato dagli spiriti maligni un avversario addirittura più pericoloso, letale e potente del suo venerato predecessore”.


In successivi articoli il giornalista Gianluca Barile, direttore del sito 'Petrus', dà notizia che ai primi di febbraio 'mentre una donna era sottoposta a preghiera di liberazione in una chiesetta in provincia di Salerno, Satana si è lasciato sfuggire l’ennesimo sfogo':
Lo odio, non lo sopporto più: ogni sua parola, ogni suo gesto e ogni sua benedizione rappresentano un esorcismo.

"Satana non riesce proprio a rassegnarsi: il Papa gli dà filo da torcere, lo tortura, lo smaschera mettendo continuamente in guardia l’umanità contro le sue opere e seduzioni, e lui, il Maligno, l’angelo decaduto, il dannato in eterno, il capo degli spiriti infernali, si sente ormai alle strette, piegato e piagato dal Magistero di Joseph Ratzinger.

In quanto collaboratore di un esorcista, sono testimone diretto della sofferenza atroce che patisce il Diavolo al solo udire il nome di Benedetto XVI: urla, strepiti, pianti di dolore... è disperato, non ne può proprio più del Papa e delle sue continue catechesi contro l’Inferno e gli spiriti che lo abitano..."

venerdì, febbraio 15, 2008

Gran Rabbi nato /6

Sive: "Oremus et pro Iudaeis"


di monsignor Gianfranco Ravasi
(©L'Osservatore Romano - 15 febbraio 2008)


Un giorno Kafka all'amico Gustav Janouch che lo interrogava su Gesù di Nazaret rispose: "Questo è un abisso di luce. Bisogna chiudere gli occhi per non precipitarvi". Il rapporto tra gli Ebrei e questo loro "fratello maggiore", come l'aveva curiosamente chiamato il filosofo Martin Buber, è stato sempre intenso e tormentato, riflettendo anche la ben più complessa e travagliata relazione tra ebraismo e cristianesimo. Forse sia pure nella semplificazione della formula è suggestiva la battuta di Shalom Ben Chorin nel suo saggio dal titolo emblematico Fratello Gesù (1967): "La fede di Gesù ci unisce ai cristiani, ma la fede in Gesù ci divide".

Abbiamo voluto ricreare questo fondale, in realtà molto più vasto e variegato, per collocarvi in modo più coerente il nuovo "Oremus et pro Iudaeis" per la Liturgia del Venerdì Santo. Non c'è bisogno di ripetere che si tratta di un intervento su un testo già codificato e di uso specifico, riguardante la Liturgia del Venerdì Santo secondo il Missale Romanum nella stesura promulgata dal beato Giovanni XXIII, prima della riforma liturgica del Concilio Vaticano II. Un testo, quindi, già cristallizzato nella sua redazione e circoscritto nel suo uso attuale, secondo le ormai note disposizioni contenute nel motu proprio papale "Summorum Pontificum" dello scorso luglio.

All'interno, dunque, del nesso che unisce intimamente l'Israele di Dio e la Chiesa cerchiamo di individuare le caratteristiche teologiche di questa preghiera, in dialogo anche con le reazioni severe che essa ha suscitato in ambito ebraico. La prima è una considerazione "testuale" in senso stretto: si ricordi, infatti, che il vocabolo "textus" rimanda all'idea di un "tessuto" che è elaborato con fili diversi.

Ebbene, la trentina di parole latine sostanziali dell'Oremus è totalmente frutto di una "tessitura" di espressioni neotestamentarie. Si tratta, quindi, di un linguaggio che appartiene alla Scrittura Sacra, stella di riferimento della fede e dell'orazione cristiana.

Si invita innanzitutto a pregare perché Dio "illumini i cuori", così che anche gli Ebrei "riconoscano Gesù Cristo come salvatore di tutti gli uomini". Ora, che Dio Padre e Cristo possano "illuminare gli occhi e la mente" è un auspicio che san Paolo già destina agli stessi cristiani di Efeso di matrice sia giudaica sia pagana (1, 18; 5, 14). La grande professione di fede in "Gesù Cristo salvatore di tutti gli uomini" è incastonata nella Prima lettera a Timoteo (4, 10), ma è anche ribadita in forme analoghe da altri autori neotestamentari, come, ad esempio, il Luca degli Atti degli Apostoli che mette in bocca a Pietro questa testimonianza davanti al Sinedrio: "In nessun altro c'è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale sia stabilito che possiamo essere salvati" (4, 12).

A questo punto ecco l'orizzonte che la preghiera vera e propria delinea: si chiede a Dio, "che vuole che tutti gli uomini siano salvi e giungano alla conoscenza della verità", di far sì "che, con l'ingresso della pienezza delle genti nella Chiesa, anche tutto Israele sia salvo". In alto si leva la solenne epifania di Dio onnipotente ed eterno il cui amore è come un manto che si allarga sull'intera umanità: egli, infatti si legge ancora nella Prima lettera a Timoteo (2, 4) "vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità". Ai piedi di Dio si muove, invece, come una grandiosa processione planetaria, che è fatta di ogni nazione e cultura e che vede Israele quasi in una fila privilegiata, con una presenza necessaria.

È ancora l'apostolo Paolo che conclude la celebre sezione del suo capolavoro teologico, la Lettera ai Romani, dedicata al popolo ebraico, l'olivo genuino sul quale noi siamo stati innestati, con questa visione la cui descrizione è "intessuta" su citazioni profetiche e salmiche: l'attesa della pienezza della salvezza "è in atto fino a che saranno entrate tutte le genti; allora tutto Israele sarà salvato come sta scritto: Da Sion uscirà il liberatore, egli toglierà le empietà da Giacobbe. Sarà questa la mia alleanza con loro quando distruggerò i loro peccati" (11, 25-27).

Un'orazione, quindi, che risponde al metodo compositivo classico nella cristianità: "tessere" le invocazioni sulla base della Bibbia così da intrecciare intimamente credere e pregare (è un'interazione tra le cosiddette "lex orandi" e "lex credendi").

A questo punto possiamo proporre una seconda riflessione di indole più strettamente contenutistica. La Chiesa prega per aver accanto a sé nell'unica comunità dei credenti in Cristo anche l'Israele fedele. È ciò che attendeva come grande speranza escatologica, cioè come approdo ultimo della storia, san Paolo nei capitoli della Lettera ai Romani (capitoli 9-11) a cui sopra accennavamo. È ciò che lo stesso Concilio Vaticano II proclamava quando, nella costituzione sulla Chiesa, affermava che "quelli che non hanno ancora accolto il Vangelo in vari modi sono ordinati ad essere il popolo di Dio, e per primo quel popolo al quale furono dati i testamenti e le promesse e dal quale è nato Cristo secondo la carne, popolo in virtù dell'elezione carissimo a ragione dei suoi padri, perché i doni e la vocazione di Dio sono irrevocabili" (Lumen gentium, n. 16).

Questa intensa speranza è ovviamente propria della Chiesa che ha al centro, come sorgente di salvezza, Gesù Cristo. Per il cristiano egli è il Figlio di Dio ed è il segno visibile ed efficace dell'amore divino, perché come aveva detto quella notte Gesù a "un capo dei Giudei", Nicodemo, "Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, e non lo ha mandato per giudicare il mondo ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui" (cfr Giovanni, 3, 16-17). È, dunque, da Gesù Cristo, figlio di Dio e figlio di Israele, che promana l'onda purificatrice e fecondatrice della salvezza, per cui si può anche dire in ultima analisi, come fa il Cristo di Giovanni, che "la salvezza viene dai Giudei" (4, 22). L'estuario della storia sperato dalla Chiesa è, quindi, radicato in quella sorgente.

Lo ripetiamo: questa è la visione cristiana ed è la speranza della Chiesa che prega. Non è una proposta programmatica di adesione teorica né una strategia missionaria di conversione.

È l'atteggiamento caratteristico dell'invocazione orante secondo il quale si auspica anche alle persone che si considerano vicine, care e significative, una realtà che si ritiene preziosa e salvifica. Scriveva un importante esponente della cultura francese del Novecento, Julien Green, che "è sempre bello e legittimo augurare all'altro ciò che è per te un bene o una gioia: se pensi di offrire un vero dono, non frenare la tua mano". Certo, questo deve avvenire sempre nel rispetto della libertà e dei diversi percorsi che l'altro adotta. Ma è espressione di affetto auspicare anche al fratello quello che tu consideri un orizzonte di luce e di vita.

È in questa prospettiva che anche l'Oremus in questione pur nella sua limitatezza d'uso e nella sua specificità può e deve confermare il nostro legame e il dialogo con "quel popolo con cui Dio si è degnato di stringere l'Antica Alleanza", nutrendoci "della sua radice di olivo buono su cui sono innestati i rami dell'olivo selvatico che siamo noi Gentili" (Nostra aetate, n. 4). E come pregherà la Chiesa nel prossimo Venerdì Santo secondo la liturgia del Messale di Paolo VI, la comune e ultima speranza è che "il popolo primogenito dell'alleanza con Dio possa giungere alla pienezza della redenzione".



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Nota della Segreteria di Stato


Con riferimento alle disposizioni contenute nel Motu proprio "Summorum Pontificum", del 7 luglio 2007, circa la possibilità di usare l'ultima stesura del Missale Romanum, anteriore al Concilio Vaticano II, pubblicata nel 1962 con l'autorità del beato Giovanni XXIII, il Santo Padre Benedetto XVI ha disposto che l'Oremus et pro Iudaeis della Liturgia del Venerdì Santo contenuto in detto Missale Romanum sia sostituito con il seguente testo:

Oremus et pro Iudaeis

Ut Deus et Dominus noster illuminet corda eorum, ut agnoscant Iesum Christum salvatorem omnium hominum.

Oremus. Flectamus genua. Levate.

Omnipotens sempiterne Deus, qui vis ut omnes homines salvi fiant et ad agnitionem veritatis veniant, concede propitius, ut plenitudine gentium in Ecclesiam Tuam intrante omnis Israel salvus fiat. Per Christum Dominum nostrum. Amen.

Tale testo dovrà essere utilizzato, a partire dal corrente anno, in tutte le Celebrazioni della Liturgia del Venerdì Santo con il citato Missale Romanum.
Dal Vaticano, 4 febbraio 2008.


(©L'Osservatore Romano - 6 febbraio 2008)

las Angustias /5

"L'Osservatore Romano" ha pubblicato uno scultoreo editoriale nella ricorrenza dell'11 febbraio anniversario dei Patti lateranensi del 1929, nell'anno sessantesimo della Costituzione della Repubblica italiana che all'articolo 7 recita:
"Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.
I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi.
Le modificazioni dei Patti accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale."
.
Dovrebbe essere evidente a chiunque che oltre ad un articolo che proclami la libertà religiosa di tutte le confessioni religiose vi sia stata la necessità di un acconcio articolo della Costituzione che definisse e chiarificasse i rapporti tra lo Stato e la Chiesa Cattolica a causa dalla "assoluta peculiarità della situazione prodottasi nel Paese a seguito del moto di unificazione nazionale, per la quale proprio in Italia, addirittura nella sua capitale, è la sede del governo della Chiesa universale: il Sommo Pontefice, infatti, è il Vescovo di Roma."

i Patti Lateranensi erano costituiti da due distini documenti, ovvero: un Trattato internazionale con cui veniva istituito lo Stato della Città del Vaticano del quale è sovrano la somma autorità della religione cattolica, ed un Concordato, alla stregua di ogni Concordato tra qualunque Stato e la Santa Sede, in cui veniva regolatamentata di fronte allo stato italiano la vita della Chiesa cattolica delle sue istituzioni e dei suoi membri.
Poichè il Concordato lateranense del 1929 è stato sostituito da un diverso Concordato del 1984, e che tra l'altro non venne nemmeno firmato al Laterano, a sessant'anni dall'entrata in vigore della carta costituziaonale appare sempre più evidente che quando l'articolo 7 parla del rispetto della novella ed antifascista Repubblica per i "Patti lateranensi" si stà riferendo innanzitutto al Trattato con cui Mussolini a nome dello Stato italiano riconosceva l'indipendeza politica della Città del Vaticano.

Pertanto:
"Alla luce di tale distinzione appaiono assolutamente improprie, anzi senz'altro erronee, le confusioni che non di rado si fanno, nella polemica politica e sui mass media, tra la Santa Sede e la Chiesa italiana; tra la Città del Vaticano, che rispetto all'Italia è uno Stato straniero, e l'episcopato italiano riunito nella Conferenza Episcopale Italiana; tra le istituzioni della Santa Sede o vaticane e le istituzioni della Chiesa italiana."


Ma poichè come ebbe a profetizzare il santo profeta Davide: "hanno occhi e non vedono, hanno orecchi e non odono" ecco che il vaticanista della "Repubblica" a seguito del clamore mediatico suscitato dall'irruzione delle forze dell'ordine in un ospedale napoletano (seguito di una denuncia anonima per infanticidio) si senta in diritto si chiedere conto e soddisfazione per l'accaduto al Cardinale messicano Javier Lozano Barragàn, presidente del Pontificio Consiglio per la pastorale sanitaria, come se ad invadere il reparto di ostetricia fossero stati gendarmi vaticani!

Questi i fatti. Lunedì 11 febbraio, una telefonata anonima ai carabinieri di un dipendente del Policlinico Federico II di Napoli denuncia un caso di malasanità: «Ho telefonato anche a Striscia la notizia, ma non mi hanno risposto. Sono in servizio e non posso uscire. Il fatto è accaduto adesso: c'è una signora che dev'essere operata addirittura con i ferri in mezzo alle gambe. Non posso fare una cosa del genere. Ancora dev'essere operata, c'è il bambino nella bacinella. Ha abortito con i ferri in mezzo alle gambe e sta in sala operatoria. Policlinico nuovo, Ostetricia, secondo piano: non vi ho detto niente. Noi abbiamo il centro sopra, però sopra a un certo orario se ne vanno a f...
Poi quando le donne stanno male le portano a noi dei piani e noi dobbiamo intervenire, poi la signora partorisce nel gabinetto e non ce la fa. Quella che sta vicino a lei è una poveretta che è incinta per i fatti suoi e non ce la fa, vede 'sta scena... Se mandate adesso una macchina, li prendete 'ncopp' o fatto ».

L'anonimo, evidentemente un paramedico, più che una violazione della Legge 194 voleva denunciare il clima di pressapochismo e menefreghismo della classe medica nei confronti delle esigenze dei degenti (per questo il tentativo di contattare quelli di "Striscia la Notizia" noti per denunciare il malaffare ospedaliero).

Dalla ingarbugliata delazione le forze dell'ordine rubricano la seganlazione come denuncia di caso di infanticidio e la Procura di Napoli manda al "cento aborti" (come lo chiama il delatore anonimo) un'agente donna in borghese allo scopo di interrogare la donna ed il personale medico, infermieristico e un'altra degente compagnia di stanza della donna "incriminata" al fine di verificare se ci siano state violazioni della legge.
La concusione dell'indagine è stata che si è trattato di aborto "terapetico" in totale ossequo ai dettami della legge 194/78: se la gravidanza fosse stata portata a termine ci sarebbe stato il quaranta per cento di possibilità di un deficit mentale perciò la donna ha presentato un certificato psichiatrico che attestava il rischio di grave danno alla salute psichica in base al quale è stato autorizzava l'intervento.

Il primario di ginecologia Carmine Nappi ha dichiarato che «La paziente aveva effettuato il trattamento farmaceutico per l'aborto la mattina ed è rimasta ricoverata tutto il giorno, perché non si può prevedere quando il farmaco farà effetto. Quando ha avvertito dolori alla pancia, la donna non ha chiamato il personale ma si è recata da sola in bagno e ha espulso il feto. È un episodio che può capitare».

Marco Politi sulla Repubblica del 14 febbraio 2008 scrive che "l'immagine di una donna in ospedale, circondata da poliziotti nel momento delicatissimo che segue un´interruzione di gravidanza" -bontà sua- "ha turbato" persino l'eminentissimo porporato che a nome del Santo Padre ha il compito di occuparsi della Sanità:

Cardinale Barragan, una donna è inquisita appena uscita dalla sala parto, mentre in Italia la crociata contro l´aborto, lanciata in nome di una moratoria, sta avvelenando il clima.
Cosa ha da dire la Chiesa?

«L´aborto è sempre un fatto oggettivamente grave».
A Napoli non stava succedendo nulla di illegale. Si stava compiendo un´interruzione di gravidanza nei termini previsti dalla legge. Un aborto terapeutico a norma della 194.
«L´aborto terapeutico non esiste, è solo aborto e basta. Ed è riprovevole».
Allora l´irruzione in ospedale da parte della polizia?
«Violare o non violare l´intimità di una persona dipende dalle leggi, ma la legislazione deve essere basata sui diritti umani».
Nel caso concreto?
«Violare la privacy, in un caso come questo, immagino avvenga seguendo una legge. Però la norma non può che fondarsi sul rispetto della dignità umana».
Qual è stata la sua reazione?
«Senta, io non conosco il diritto italiano, sono uno straniero. L´unica cosa che so è che la dignità dell´essere umano va sempre tutelata».

Un piccolo capolavoro di mistificazione quello di Politi che rappresenta all'eletto uditorio dei lettori di Repubblica "l'immagine" di una donna recatasi in ospedale per abortire che viene circondata da guardie svizzere e zuavi pontifici che armeggiando con le alabarde la minacciano di condurla davanti al tribunale della Suprema e Generale Inquisizione!

Se la donna ha abortito seguendo le disposizioni della legge 194, è da ritenere che ciò che hanno ritenuto di fare e le forze dell'ordine e la Magistratura "immagino avvenga seguendo una legge"!
Come ha ben detto il cardinale Barragan egli, non essendo italiano e non svolgendo il suo alto incarico religioso su mandato della Conferenza Episcopale Italiana sul suolo della Repubblica Italiana ma in Vaticano per conto della Santa Sede, non ha alcun obbligo di tenersi informato sulla italica giurisprudenza. Tanto valeva che Marco Politi intervistasse il Presidente del Pontificio Consiglio per l'interpretazione dei Testi Legislativi!

Eppure sembrava così intellegibile l'invito a non insistere volutamente a far confusione "nella polemica politica e sui mass media, tra la Santa Sede e la Chiesa italiana...tra le istituzioni della Santa Sede o vaticane e le istituzioni della Chiesa italiana"!
E evidente (o almeno dovrebbe esserlo) che quando all'Eminentissimo Barragan viene chiesto "Cosa ha da dire la Chiesa" sull'aborto egli non si esprime -egli non vuole e non può esprimersi - a nome della Chiesa italiana ma si esprime a nome della Santa Sede riaffermano i principi basilari della religione cattolica che nella costituzione pastorale "Gaudium et spes" del Concilio Vaticano II proclama che «La vita, una volta concepita, deve essere protetta con la massima cura: l’aborto e l’infanticidio sono abominevoli delitti».
E poichè da nessuna parte i padri conciliari dichiararono che l'aborto è un delitto "ad eccezione di quanto è previsto dalla legge 194" ecco che l'Eminentissimo Barragan può anche infischiarsi del fatto che Marco Politi, straciandosi teatralmente le vesti, proclami che in Italia la legge 194 renda l'aborto non illegale e quindi non delittuoso.

Verrebbe da applicare a Marco Politi e a tutta l'orrida schiatta dei suoi consimili vaticanisti il motto evangelico: "A chi dunque paragonerò gli uomini di questa generazione, a chi sono simili?
Sono simili a quei bambini che stando in piazza gridano gli uni agli altri:
Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato;
vi abbiamo cantato un lamento e non avete pianto!"


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"La donna ha 39 anni, dice Repubblica. Suo figlio aveva 21 settimane. Aveva occhi, naso, bocca, braccia, piedi, cuore, sistema nervoso e tutto il resto. Se ne stava lì aspettando di nascere, lottando per vivere. Provava dolore o piacere, a seconda. Erano in simbiosi, sua madre e lui, ma lui non era un parassita. Era un essere umano di sesso maschile. Con un'anomalia che, secondo il maggior esperto italiano, il professor Carlo Foresta, è propria di un nato su cinquecento, e spesso non è nemmeno diagnosticata, chi ce l'ha non lo sa. Era malato, diciamo così. Aveva la sindrome di Klinefelter. Ce l'hanno a decine di migliaia in Italia. Bisogna curarsi. Ci sono seri inconvenienti, tra cui spesso, molto spesso, la sterilità. Ma per il resto uno se la cava e vive, in mezzo agli altri uomini e alle altre donne, curandosi."
(Giuliano Ferrara; © Il Foglio, 15 febbraio 2008)

sabato, febbraio 09, 2008

Oliviero Diliberto Societatis Jesu

Ovvero: TODO MODO

Risulta esperienza intellettualmente sempre assai proficua la lettura della veramente "cattolica" rivista internazionale 30Giorni diretta dal senatore a vita Giulio Andreotti.

Nel numero di Dicembre 2007 la rivista fa memoria dell'ottantesimo anniversario di una benemerita associazione giovanile cattolica fondata dai reverendi padri della Compagnia di Gesù, ovvero: la Lega Missionaria Studenti.

Nel 1927 a Roma tra gli studenti del "celeberrimo ed esclusivo istituto Massimiliano Massimo, nei pressi delle Terme di Diocleziano" (dal 1960 Palazzo Massimo alle Terme è invece una sede del Museo Nazionale Romano) sorsero varie iniziative per raccogliere fondi per le opere missionarie dei gesuiti. Ma il "papa nero" dell'epoca padre Wladimir Ledochowski assai lucidamente ebbe a sentenziare:“Questi sono studenti. Perché si devono ridurre solo a raccoglier soldi? Facciamo delle missioni oggetto di studio, per sostenere la preghiera e l’azione esterna”.

Primo presidente della associazione giovanile fu Enrico Medi allora studente ginnasiale del Massimo e futuro scienziato di fama mondiale (che mantenne il titolo di presidente onorario fino alla morte avvenuta nel 1974) che così nel 1969 rievocava lo spirito e le opere dei giovani fondatori della Lega missionaria: "Studiavamo un argomento al mese: Africa, Cina, India, Afghanistan, Norvegia… Quando poi ci si riuniva, uno di noi faceva da moderatore e poi, uno alla volta, con le schede di studio alla mano, presentavamo le ricerche. Il nostro lavoro era minuziosissimo, profondo, preciso. Le conferenze erano accuratamente preparate con diapositive e testi. Precorrevamo addirittura gli avvenimenti".

Un quadro dell'attuale situazione della gesuitica associazione viene delineato nell'intervista al padre gesuita Massimo Nevola dal 1995 direttore della "Lega missinaria studenti":

"Rispetto alle origini, quali sono oggi il significato e il ruolo della Lega missionaria studenti?
MASSIMO NEVOLA: Aprire il cervello e il cuore alla mondialità mediante lo studio delle problematiche emergenti. Ma soprattutto mediante il coinvolgimento fattivo nel lavoro per le missioni. Negli anni Trenta era impossibile mandare studenti all’estero. Non c’era la cultura. Grazie a padre Pellegrino e al suo successore, padre Vincenzo Cardillo, i ragazzi hanno incominciato a partire volontari.
(...)
A chi propone di partire per i campi? E che cosa fanno questi giovani una volta giunti là?
NEVOLA: Propongo di partire ai ragazzi delle ultime classi del liceo. Altri sono ex alunni, ormai universitari, che vivono ancora l’esperienza della Lega. I campi, ovviamente, si fanno d’estate, e durano da un minimo di quindici giorni a un massimo di due mesi. Certo, in Perù, nello Sri Lanka o a Cuba, ci vanno i più grandi e per un tempo più lungo.
(...)
Mi diceva di Cuba…
NEVOLA: Dopo tre viaggi di sopralluogo, alla fine, per andarci con i miei studenti, mi sono fatto raccomandare da Oliviero Diliberto, segretario dei Comunisti italiani. Ha studiato dai gesuiti e suo padre è stato presidente della Congregazione mariana, un’altra nostra associazione. Grazie a una sua lettera, dopo quarantasette anni dalla rivoluzione castrista siamo stati la prima associazione che la Chiesa ha potuto utilizzare per inventarsi un campo di evangelizzazione popolare..."