domenica, luglio 30, 2006

Carmen Doloroso [2]

ovvero: Il Gesù della Pace




Che cos'è che sale dal deserto
come una colonna di fumo,
esalando profumo di mirra e d'incenso
e d'ogni polvere aromatica?

Ecco, la lettiga di Salomone:
sessanta prodi le stanno intorno,
tra i più valorosi d'Israele.
Tutti sanno maneggiare la spada,
sono esperti nella guerra;
ognuno porta la spada al fianco
contro i pericoli della notte.

Un baldacchino s'è fatto il re Salomone,
con legno del Libano.
Le sue colonne le ha fatte d'argento,
d'oro la sua spalliera;
il suo seggio di porpora,
il centro è un ricamo d'amore
delle fanciulle di Gerusalemme. (Cantico dei Cantici III, 6-10)

sabato, luglio 29, 2006

Concupiscenza e Liberazione

Ovvero: "Per i cristiani il desiderio è Cristo"
di Don Gianni Baget Bozzo.
"La mistica dell'eros"; Il Foglio; sabato 29 Luglio 2006.



«Il termine concupiscenza fa parte del gergo teologico. E indica l’attrazione che le realtà sensibili trasmettono all’uomo interiore e all’uomo esteriore, al pensiero come alla sensibilità. Certo tra queste attrazioni quella legata al sesso è la più potente ma non è la sola: anche la ricchezza o il potere possono essere oggetto di queste passioni d’amore in cui l’uomo cerca la sua integrazione con il mondo.
La cultura cristiana ha considerato la concupiscenza soprattutto in riferimento agli atti materiali che essa compie, alle sue opere: e quindi è soprattutto il riferimento alla determinazione di ciò che è violazione della legge in senso materiale ed esteriore. E quindi il sesso, è stato considerato prevalentemente in ragione di ciò che la cultura cristiana considerava un atto difforme della legge naturale. In questo il cristianesimo si è comportato come tutte le altre religioni, che hanno regolato il sesso come bene sociale e quindi determinato da norme di contenuto che lo riguardavano specificamente.

Il volto di ogni religione si misura dalle regole che impone in materia sessuale al comportamento dei suoi aderenti. La religione nasce come regola sociale che fonda la convivenza, determinando in particolare le norme del rapporto tra uomo, donna e figli.

Ma il cristianesimo pone l’accento sul soggetto, è l’unica religione che differentemente dalle altre, si riferisce direttamente al comportamento interiore delle persone e quindi alle motivazioni che le muovono. Il cristianesimo pensa l’uomo come composto di una dimensione spirituale e di una materiale e pone l’ultimo accento, per giudicare la moralità di un atto, sull’intenzione della volontà. Quello che importa è l’oggetto a cui si indirizza la volontà del singolo. Per questo, nonostante l’attenzione che la cultura cristiana ha dedicato agli atti esteriori come oggetto di moralità, di giudizio etico, rimane fondamentale la dimensione del singolo.
La bontà e la malizia di un atto hanno per oggetto l’atto esteriore, ma si fondano sul modo in cui è inteso e voluto dalla volontà che lo pone.

Il termine concupiscenza è stato visto nella cultura moderna come legato alla dimensione materiale degli atti, così come era stata posta dai costumi cristiani.
La caratteristica della modernità è stata la rivoluzione psicanalitica, che ha affrontato da un punto di vista non cristiano la dimensione interiore degli atti umani. Poiché il termine concupiscenza era stato legato dall’approccio cristiano alla dimensione del peccato negli atti esteriori che ne derivavano, questo termine non venne usato, nella psicologia moderna, come una parola significativa. Alla parola concupiscenza è stata sostituita dalla psicanalisi la parola libido.
La concupiscenza nel linguaggio cristiano era, nella sua forma concreta, determinata dal peccato originale.


Tutto l’amore dell’uomo per il mondo è nella cultura tradizionale cristiana segnato dal peccato originale. Da un atto umano che ha informato di sé il modo e l’esistenza della natura. Il desiderio delle cose esteriori e dei rapporti del singolo con gli altri e degli altri con il singolo è segnato da una volontà di possesso e cambia la concupiscenza come dimensione dell’esistenza dell’uomo in una esasperazione della volontà di sé.
Per la cultura cristiana il desiderio dell’altro fa parte della dimensione dell’uomo sia spirituale che corporea: ed è quindi in sé buona perché in essa si rispecchia la bontà del Creatore. Tuttavia la sua concreta esistenza è segnata dalla potenza del peccato che incide su tutti i rapporti dell’uomo con gli uomini e con le cose.

Il tema del peccato originale ha dominato tutta la storia del dibattito interno al cristianesimo sul tema della concupiscenza.
La controversia tra cattolici e protestanti è collegata ad esso.


Per i protestanti, poiché esisteva una concreta inclinazione dell’uomo verso il male in conseguenza al peccato originale, tutti gli atti dell’uomo e tutti gli impulsi dell’uomo andavano considerati come peccato. La giustizia era assegnata ad essi dall’atto redentivo di Cristo, che permetteva agli uomini di ricevere, come realtà da essi aliena, la fede nel redentore.
I cattolici si opposero alla definizione di ogni atto umano come peccato e sostennero che la concupiscenza era solo l’inclinazione al male, non era essa stessa peccato.
Rimaneva nell’uomo la concupiscenza segnata dal peccato originale, ma era possibile vincerne il fascino mediante il dono della grazia.

La posizione cattolica afferma la giustificazione mediante la fede dovuta alla redenzione di Cristo, ma la distingue dalla santificazione, opera dello Spirito Santo che anima gli atti umani nel cristiano. Il pensiero cattolico rimase perciò il solo a motivare una attenzione alla dinamica degli atti del singolo e quindi al governo della concupiscenza in conformità della norma che determinava la moralità o l’immoralità dell’atto materiale.
[...]
Con il protestantesimo avviene il passaggio alla modernità, il fatto che tutto sia peccato fa si che non lo sia più nessun atto particolare e che le regole della convivenza umana debbano essere quelle della società civile. Dal primato della morale si passa al primato del diritto, si ha la prima radicale secolarizzazione dell’Occidente.

Quale è la forza mediante cui il cattolico può regolare la sua concupiscenza in modo conforme alle norme della morale cristiana?

Evidentemente questa forza deve essere assunta in quello che è proprio del cristianesimo, l’amor divino.
La forza del cristianesimo consiste nel tema fondamentale della sua dottrina cioè l’incarnazione di Dio in Gesù Cristo, per cui il credente diviene veramente figlio di Dio, partecipe della natura divina. Il fatto che il Dio creatore della tradizione ebraica sia ora espresso da un uomo crocifisso cambia radicalmente il modo del sentimento spirituale, l’amore per Dio diviene più comprensibile se viene rivolto a un volto umano. La concupiscenza delle realtà esteriori all’uomo viene sostituita dall’amore per Cristo, in cui si fondono il sentimento di adorazione, classico di tutte le tradizioni religiose e quello di amicizia e di partecipazione.



Il divenire del Verbo divino nell’umanità rende possibile il divenire dell’uomo nella divinità. Il cristianesimo crea perciò una motivazione interamente nuova nella storia delle religioni e delle spiritualità: ed essa si fonda sul protodogma del cristianesimo, la divinità di Gesù.
La mistica cristiana è la trasformazione della concupiscenza umana verso un’altra finalità: quella dell’amore per Cristo come desiderio che vince gli altri desideri.

E’ significativo che la mistica come amore per Cristo sia propria del cattolicesimo e lo attraversi in tutta la sua storia.

Nella prospettiva cattolica il cristiano sta innanzi al Cristo e ne sente l’attrazione in modo che può vincere le attrazioni del mondo sensibile. Si è sviluppato un filone presente già nella Bibbia ebraica, in cui si manifesta l’amore di Dio per Israele e la sua domanda di ricambiare questo amore come la forma piena del patto originario tra Israele e il suo Dio. Ammettendo il cantico dei Cantici nel canone dell’Antico Testamento, il rabbinato ebraico offrì al nascente cristianesimo un linguaggio che gli sarebbe stato tanto più facile di parlare perché il Dio di Israele assumeva per i cristiani il volto di un uomo che chiedeva ai credenti di diventare una sola cosa con lui.

La mistica è il rovesciamento e il compimento della concupiscenza, la dimensione erotica diviene il linguaggio in cui meglio si può esprimere il rapporto tra il cristiano e il suo Dio. Si comprende come le donne abbiano avuto tanta parte nel linguaggio erotico della mistica cristiana.
Già il tema di Dio come sposo di Israele indicava che il divino assumeva la forma di colui che possiede e l’uomo di colui che è posseduto. Ciò avviene in riferimento alla singola persona, ma anche alla chiesa come comunità.
Il termine diviene in questo caso anche più intimo perché la chiesa è vista come corpo del Cristo che comunica alle sue membra la sua propria vita divino-umana. Senza la dimensione erotica e senza le pulsioni della concupiscenza, non esisterebbe la dimensione mistica come la vivono i mistici cattolici. È la figura corporea del desiderio che conduce alla transvalutazione dell’uomo. E’ la corporeità quella che esprime il linguaggio mistico cristiano, anche se esso è un atto della dimensione intellettuale e spirituale dell’anima umana.

La dimensione corporea è fondamentale in una visione del mondo in cui il momento fondamentale è la passione e la resurrezione di Cristo. Contro un intellettualismo, che era ben possibile quando il linguaggio cristiano attraversò il mondo greco, la centralità del corpo di Cristo diede sempre una accentuazione sulla dimensione corporea della spiritualità.
Ciò prese forme diverse, anche singolari come le forme del monachesimo egiziano e siriano, che spinsero alle più rigorose forme di ascetismo sino a scegliere come proprio eremo una colonna o un albero. Quello che era essenziale era mostrare che la vita divina donata all’uomo incideva sul corpo, era capace di agire radicalmente sui suoi istinti.

Era infine il medesimo senso che il martirio ebbe alle origini della chiesa, la sua proprietà, che è rimasta nel corso dei secoli. Il dono della vita divina doveva manifestarsi in un segno corporale, trasformare la concupiscenza mantenendo il suo riferimento a realtà sensibili, ma in forma opposta all’autoaffermazione del proprio dominio sugli altri. Per questa ragione la castità ha avuto un senso di confessione della fede in tutti i tempi cristiani segnati dalla Tradizione. Quando, con la riforma protestante, l’accento sulla castità e la preferenza della verginità vengono meno, è l’inizio di una secolarizzazione del mondo cristiano, del suo “disincanto”.

Nella concezione cattolica il dono della grazia associa i credenti al Cristo come suo corpo e determina la convinzione che il rapporto con il Cristo è corporeo e deve perciò segnare il corpo dell’uomo.

Nella secolarizzazione del mondo cattolico, che avviene negli anni ’60, vengono meno sia la dimensione mistica che il forte accento messo sulla trasformazione del cristiano nel suo corpo. Il proprio del cristiano divengono le opere sociali. E’ un altro aspetto del cristianesimo che viene valorizzato, ma appunto esso non è un aspetto mistico, legato al tema della divinizzazione, ma un tema legato alla efficienza della carità. Ciò però rischia di secolarizzare l’identità cristiana, di rendere cioè immanente al mondo e quindi non più fondata sulla dimensione cristica dell’esistenza cristiana ma dilatata come azione in termini che la giustifichino innanzi agli occhi del mondo.

E’ significativo che la prima enciclica di Benedetto XVI abbia per tema la concupiscenza e la mistica, l’eros e l’agape.
L’amore come passione umana, l’amore come passione divina.
Non è mai accaduto che una enciclica parlasse un linguaggio dell'erotica e della mistica come un linguaggio unitario.
Se dovessimo tradurre nel linguaggio della tradizione teologica i termini usati dal Papa, dovremmo dire che eros corrisponde alla natura e l’agape alla grazia. Ma il Papa ha preferito usare un linguaggio diverso che mette in relazione appunto l’erotica e la mistica, la passione dell’uomo per l’altro e per il dominio dell’altro la passione di Dio per donare l’uomo sé stesso. Il Papa ha così voluto segnare l’uscita della chiesa dal tempo della secolarizzazione.
E questo avviene quando un laicismo totale tende a fare della scelta umana la realtà della natura e il contenuto della libertà.

Il tema dell’omosessualità è divenuto emblematico perché esso viene interpretato come una scelta culturale, una determinazione del contenuto dell’esistenza. Non è l’omosessualità in sé che fa il problema, ma il fatto che essa divenga l’emblema della scelta umana come criterio della moralità e quindi, ancora una volta, il diritto pubblico prende il posto della libertà e della morale.

In un tempo in cui la tradizione cristiana non passa di padre in figlio e la scienza divenuta tecnica sembra la forma di un mondo fatto dall’uomo senza misura neanche di sé stesso, la fermezza nel difendere l’essenza del cattolicesimo da parte del Papa è il vero segno del tempo: drammatico eppure consolante.»

martedì, luglio 25, 2006

Veni de Libano

Ovvero: Carmen Doloroso y Jesùs de la Paz



«Tutta bella tu sei, amica mia,
in te nessuna macchia.

Vieni con me dal Libano, o sposa,
con me dal Libano, vieni!

Osserva dalla cima dell'Amana,
dalla cima del Senìr e dell'Ermon,
dalle tane dei leoni,
dai monti dei leopardi.

Tu mi hai rapito il cuore,
sorella mia, sposa,
tu mi hai rapito il cuore
con un solo tuo sguardo,
con una perla sola della tua collana!

Quanto sono soavi le tue carezze,
sorella mia, sposa,
quanto più deliziose del vino le tue carezze.
L'odore dei tuoi profumi sorpassa tutti gli aromi.
Le tue labbra stillano miele vergine, o sposa,
c'è miele e latte sotto la tua lingua
e il profumo delle tue vesti è come il profumo del Libano.

Giardino chiuso tu sei,
sorella mia, sposa,
giardino chiuso, fontana sigillata.
I tuoi germogli sono un giardino di melagrane,
con i frutti più squisiti,
alberi di cipro con nardo,
nardo e zafferano, cannella e cinnamòmo
con ogni specie d'alberi da incenso;
mirra e aloe
con tutti i migliori aromi.
Fontana che irrora i giardini,
pozzo d'acque vive
e ruscelli sgorganti dal Libano». (Cantico dei Cantici IV, 7-15)

domenica, luglio 23, 2006

sabato, luglio 22, 2006

Teologia di Base

ovvero: Le Confessioni (di una mente pericolosa)

Il quarantaduenne attore e regista Giulio Base si è imposto al vasto pubblico italiano come regista di fiction a sfondo religioso sulla vita dei santi come Padre Pio con Michele Placido, Maria Goretti e -il mai abbastanza deprecato!- San Pietro interpretato da Omar Sharif.

Giulio Base ha sempre umilmente decantato una sua particolare competenza, in materia di riduzione per il piccolo schermo della storia sacra, grazie ai suoi studi teologici che si sono in fin conclusi laureandosi in data 7 luglio 2006 presso il Pontificio Istituto Patristico "Augustinianum" retto, appunto, dai padri agostiniani, e di cui è preside padre Robert J. Dodaro, che è anche stato relatore della tesi, che il teologo Base -bontà sua- ha dedicato proprio al Santo di Ippona.
Titolo della tesi "Il tempo e la memoria in Sant'Agostino".

Il novello teologo, che possiede anche una "statale" laurea in Lettere, ha la ventura d'essere maritato con madama Tiziana Rocca, la pierre forse più famosa d'Italia, la quale essendo l'Istituto Patristico quasi attaccato al colonnato di piazza San Pietro, non ha resistito alla tentazione di festeggiare la pontificia laurea del consorte con un mondano cocktail party sulle terrazze dell'austera università agostiniana con vista panoramica sul cupolone.
A tutti gli intervenuti al sacro convivio è stata regalata la tesi di laurea in volume preziosamente rilegato.

giovedì, luglio 20, 2006

dei Sepolcri, XIV

E' di già un anno che si perpetua il rimpianto per la simpatica, fumantina, nonchè prezzemolina del piccolo schermo, Cecilia Gatto Trocchi: antropologa del religioso, del magico e del demoniaco, che è stata così tanto familiare al vasto publico italiano per le molteplici "ospitate" televisive ogni qual volta nella tv italiana si affrontavano i temi del paranormale, della stregoneria e l'occultismo della cronaca e della Storia.

La cinguettante Antropologa della Religione che con tanta ironia smontava il patos di tanti rituali magici, che con sarcasmo demitizzava i mistici scopi di tante società segrete del passato e del presente, è morta da più di un anno ma ben pochi di coloro che l'hanno conosciuta e apprezzata per i suoi interventi sui mezzi di comunicazione di massa pare che ancora lo sappiano.

Si rimpiangerà il suo amore alla verità storica, lo sberleffo della cialtroneria di tanti operatori di magheggi ed al contempo la critica pungente alla demagogia pseudo illuminista che vede nella religione e principalmente nella Chiesa cattolica la culla di ogni irrazionalità. Di fronte ai neo-illuminati razionalisti, che accusavano la Chiesa di ogni possibile crimine frutto della superstizione, quali spassosissimi exempla la professoressa Gatto Trocchi era solita divertirsi nell'elencare, ammiccante, le manie esoteriche di tanti padri nobili della scienza e della civiltà modernità.


Cecilia Gatto Trocchi era affetta da una forte depressione a causa della prematura scomparsa del figlio, Massimiliano Gatto, morto nel giugno del 2003 a causa di una leucemia fulminante subito dopo essere uscito vivo da un tremendo incidente d'auto.
La professoressa (che aveva già tentato il suicidio nel mese di febbraio 2005, con una massiccia ingestione di barbiturici) si è tolta la vita alle 21,30 di lunedi 11 luglio 2005, lanciandosi da una finestra del pianerottolo al quinto piano della palazzina in cui abitava, in via Eusebio Chini 69 a Roma. Secondo la ricostruzione dell'accaduto, si è lanciata nel vuoto stringendo in mano una foto del figlio, ed è morta sul colpo schiantandosi nel cortile interno dello stabile.

domenica, luglio 16, 2006

Carmen Doloroso

Ovvero: il Gesù della Pace
(el Jesùs de la Paz)

«In questi ultimi giorni le notizie dalla Terra Santa sono per tutti motivo di nuove gravi preoccupazioni, in particolare per l'estendersi di azioni belliche anche in Libano, e per le numerose vittime tra la popolazione civile. All’origine di tali spietate contrapposizioni vi sono purtroppo oggettive situazioni di violazione del diritto e della giustizia. Ma né gli atti terroristici né le rappresaglie, soprattutto quando vi sono tragiche conseguenze per la popolazione civile, possono giustificarsi. Su simili strade - come l’amara esperienza dimostra – non si arriva a risultati positivi.

Questo giorno è dedicato alla Madonna del Carmelo, Monte della Terra Santa che, a pochi chilometri dal Libano, domina la città israeliana di Haifa, anch’essa ultimamente colpita...»

mercoledì, luglio 12, 2006

San Gennaro Gattuso



Appena Grosso ha segnato il quinto rigore alla Francia, decretando la vittoria dell'Italia, l'esultanza della "Squadra Azzurra" quattro volte campione del Mondo è stata incontenibile.
Gennaro Gattuso detto Rino, detto Ringhio ha avuto un modo assai particolare di festeggiare: si è buttato su una delle bianche righe che segnano il campo di gioco ed ha "aspirato", l'odore della vittoria ed ha addentato l'erba, come Bernadette Soubirus nella grotta di Lourdes. Ma in quel caso la veggente dei Pirenei non aveva agito di propria iniziativa ma aveva obbidito ad un comando della santa Vergine. Con ciò non si vuol aprioristicamente negare una peculiare epifania del soprannaturale al calciatore calabrese, poichè rialzatosi il nostro Rino-Scarface-Gattuso con il viso solcato di polvere bianca avrebbe ragionevolmente potuto anche esclamare: "Sono solo un semplice ed umile lavoratore nel campo (di calcio) del Signore!": l'erba dell'Olympiastadion di Berlino dev'essere erba davvero buona.

Alan Cairncross, il responsabile dell'impianto sportivo berlinese ha annunciato che il manto erboso della finale mondiale Italia_Francia di domenica 9 luglio 2006 verrà messa all'asta. Un tassello di 30x20 centimetri costerà 75 euro completo di certificato e numero di riconoscimento.

La Camera del Lavoro di Corigliano Calabro, paese natale di Gennaro Gattuso ha decretato il conferimento della tessera onoraria della Cgil con la seguente motivazione: "Caro Rino, la Cgil insieme alle lavoratrici e ai lavoratori, desidera attribuirti la tessera onoraria per i valori della solidarietà, nella migliore tradizione del mondo del lavoro, da te profusi da grandissimo campione, quale hai dimostrato di essere".

Benedetto XVI ha commentato: "Il terzo posto della Germania mi sembra un buon risultato".
Poi confida ai giornalisti:"La Germania è nel mio cuore ma ho tifato Italia perchè vivo qui da tanto tempo. Mio fratello dice che se la Germania avesse vinto sarebbe diventata troppo arrogante".

martedì, luglio 11, 2006

Felici FaustoQue Ingressui anno Dom. MMVI




«Benvenuti a Moggiopoli: l’Italia mondiale è nata qui. Sotto la cupola, al telefono e sui campi: allenatore, giocatori, pure gli schemi.

Eddai lo sanno tutti, ma non si può dire: è scorretto, villano, volgare... Ma Cannavaro alza la coppa. La alza lui, che è il simbolo dell’Italia di Luciano Moggi. Uno. Felice. Fabio, il figlio di un’idea, di un modo di fare messo alla berlina senza neppure sapere che è così che funziona e non è il caso di fare i verginelli.
Quello attaccato per la telefonata intercettata: “Tu devi dirgli a Brindellone che vai via”. Cannavaro andò alla Juventus. Vergogna.
E adesso?
Adesso s’è portato il Mondiale a casa, per lui e per noi. S’è messo dietro tutti gli altri. La locomotiva del treno partito da Moggiopoli: Buffon, Zambrotta, Del Piero, Camoranesi. E poi gli altri retrocessi: Oddo, Nesta, Pirlo, Gilardino, Toni, Peruzzi e Inzaghi.

Gli impettiti signori del Financial Times non hanno avuto paura di scriverlo ieri: la Juventus è la squadra che ha inciso di più sul Mondiale di Germania, davanti al Chelsea, al Bayern Monaco, all’Arsenal, al Milan: due squadre italiane nelle prime cinque. Tutte e due nel gruppo delle corrotte. La Juve in testa. Tanti giocatori
suoi, tutti decisivi: in finale ce ne erano tanti. Perché c’è chi ha alzato la coppa e chi l’ha persa: Trezeguet, Vieira, Thuram. Poi gli altri del giro juventino del passato: Zidane, Henry, Inzaghi, Peruzzi. Gente che la Juventus ha trattato: comprato, venduto, valorizzato.
La Juventus di Luciano Moggi ... L’Italia di Luciano è campione. Perché è una squadra nata quando Moggi c’era e nessuno si aspettava che sarebbe finito.

Non ha vinto in sette partite, ha vinto dalla fine di Euro 2004, quando la Federazione scaricò Giovanni Trapattoni per prendere un allenatore diverso, senza acqua santa e con il marchio di un’identità. Fu preso Marcello Lippi: lo voleva il presidente della Figc Franco Carraro, uno che del sistema Moggi ha vissuto per molti anni. Lippi era stato scoperto da Luciano. Scudetti, Coppa dei campioni ai rigori
contro l’Ajax, Coppa intercontinentale.
Poi altri scudetti. L’addio, perché aveva capito che alla Juve aveva finito il percorso. Fu Moggi a spingere Marcello verso Roma e Coverciano. Come e perché sono sempre stati un dettaglio. Carraro lo voleva, Lippi era d’accordo. Stava bene a tutti e tre...

Campioni del mondo.

L’Italia di Moggi vince come spesso vinceva la sua Juventus: a contenere un uno a zero, a mettersi dietro ad aspettare gli altri, chiusi in difesa. Uno a zero è uguale a tre a zero: bisogna vincere e basta. Conta poter dire soltanto: “In campo conta solo il risultato”.
Francia-Italia di Berlino sembrava la finale di Champions Juventus-Ajax di Roma. Uno a uno al novantesimo, i supplementari, poi i rigori. Vittoria, vittoria, vittoria. E’ il sistema Luciano che va.
Il pallone s’è vergognato delle telefonate di Moggi e Lippi.
Come se Marcello non potesse avere amici, come se non si dovesse confrontare con gente che di pallone ne capisce. “Tienimi fuori Del Piero, stavolta”.
Dicono tutti che l’Italia ha retto fisicamente: è merito anche di questa furbizia, made in Moggiopoli. E di uno staff che è nato esattamente dove è nato questo gruppo: a casa di Lucianone. Ma non si può dire neanche questo, come nessuno si azzardi a dire che la rivoluzione tattica di questo Mondiale vinto Moggi l’aveva vista prima degli altri, meglio degli altri.

Le intercettazioni si usano soltanto quando sono fango da spargere col ventilatore. Quando si parla di calcio tornano nei cassetti. Moggi aveva segnalato a Marcello un’idea: “Devi giocare con una punta e con Totti”. L’Italia di prima giocava con due punte e Totti, l’Italia campione del mondo ha giocato con una punta e Totti. Previsti tutti i cambi, ogni sostituzione, ogni dettaglio. Chi sa fare sa capire...
Campioni.»


[Epitome di un articolo di Beppe Di Corrado sul Foglio di martedì 11 luglio 2006]

domenica, luglio 09, 2006

Joseph Ratzinger e il Calice di Fuoco



Alla domanda: "Dove è custodito il Santo Graal?", il calice usato da Gesù nell'ultima cena, potremmo tranquillamente rispondere che si trova "In cielo in terra e in ogni luogo".
Probabilmente l'alto numero di contenitori che a vario titolo reclamavano mistiche parentele con il Divin Redentore hanno indotto le autorità ecclesiastiche ad aver cauto rispetto per le pie credenze di tanti fedeli santamente orgogliosi di poter rinserrare dentro le mura della propria città la prestigiosa reliquia. Un pò come per le tante teste di San Giovanni il Battista, la gerarchia ha preferito permetterne la venerazione di molteplici teste attribuite ad un unico santo piuttosto che correre il rischio di non vererare la reliquia autentica.

Il Santo Graal conservato nella cattedrale della città spagnola di Valencia è, tra i santi calici di Cristo conservati in area cattolica, sicuramente quello più venerato e rispettato dalle autorità ecclesiastiche dell'età moderna. Poichè, infatti, il medioevo è finito da un pezzo ed il pregiudizio protestante su un clero cattolico fanatico collezionista di reliquie non può trovare appigli. L'illuminismo ha fatto breccia -soprattutto- fra gli alti ecclesiastici e sin dai tempi di Sisto V del quale si ricorda come "per errore" rompeva l'ampolla contenente il latte della Madonna e del quale si raccontano altri consimili fioretti iconoclastici.
Lo sviluppo degli studi storici ed archeologici hanno indotto tanti vescovi a trasferire tanti insigni reliquiari dalle chiese ai musei diocesani dove sono esposti in vetrina quali oggetti puramente artistici figli della candida devozione del tempo che fu.

Il Santo Grial di Valencia, invece, proprio con l'avvento del ventesimo secolo doveva accrescere il suo lusto poichè solo nel 1915 il Capitolo cattedralizio decise di trasformare l’antica sala capitolare della Cattedrale in Cappella del Sacro Calice, dove il venerato manufatto venne posto nella Solenità dell’Epifania del 1916. Si tratta di una sala dalla nobile architettura gotica sulla cui parete di fondo, al tabenacolo in alabastro che conserva il Santo Caliz fa da corona e da forziere il retablo gotico, realizzato dal toscano Nicola Poggibonsi nel XVI secolo.
Vent’anni dopo, nel 1936 in piena guerra civile spagnola la sacra coppa fu messa al sicuro fuori città in un paesino lontano da Valencia, prima che i repubblicani incendiassero la cattedrale.
Solo a guerra finita la preziosa coppa fu solennemente riconsegnato al Capitolo il Giovedì santo 9 aprile 1939 e fu ricollocato il 23 maggio 1943 nella sua cappella fedelmente ricostruita ripristinando la precedente forma gotica. Nel risorto clima di devozione cattolica della Spagna franchista nel 1947 l'arcivescovo di Valencia approva la fondazione della Confraternita del Santo Calice ("Hermandad del santo Caliz de la Cena") allo scopo di incrementare il culto al Sacramento dell'Eucaristia e diffondere fuori dai confini valenziani la devozione al "Santo Caliz".
Nel 1959 Papa Giovanni XXIII concesse indulgenze plenaria in occasione dei festeggiamenti per il presunto XVII centenario dell'arrivo del calice in Spagna .


La visita di Benedetto XVI a Valencia in occasione del V incontro mondiale delle famiglie è il secondo viaggio di un pontefice regnante nella terra dei Borgia. Vi era già stato Giovanni Paolo II nel novembre 1982, quando, l'allora atletico papa polacco, dovendosi recare per la prima volta in Spagna in occasione dei quarto centenario della morte di Santa Teresa d'Avila ne approfittò per percorrere in lungo ed in largo anche quelle ispaniche terre che con la indomita Santa castigliana poco e niente avavano avuto a che fare.
Come per Giovanni Paolo II, anche per Benedetto XVI il cerimoniale ha previsto durante la visita alla cattedrale una sosta nella cappella del Santo Calice per "pregare davanti al Santo Graal" che, come era avvenuto in occasione della visita di Giovanni Paolo II, è stato tolto dal tabernacolo e posto sull'altare affinchè il papa potesse venerarlo meglio. Ma a differenza di un Giovanni Paolo II compito e compunto davanti all'atavico manufatto Benedetto XVI non ha accennato alcun inchino davanti alla "reliquia", non ha congiuto le mani, ne tantomeno s'è inginocchiato ma, a debita distanza, ha intonato una orazione in cui si chiedeva al Signore la fede nel Sacramento eucaristico. Ha fatto finta di condividere l'entusiasmo per la delucidazioni sull'origine della reliquia che gli veniva sciorinata da un monsignore del capitolo cattedralizio vestito con un abito rosso che pareva tanto un costume da cardinale confezionato alla buona da una mamma valenziana in occasione del carnevale. E il carnevale valenziano è assai rinomato.


Il sedici volte Benedetto dopo aver firmato il libro d'0ro della confraternita del Santo Caliz (e firmato la lettera all'episcopato spagnolo li convenuto) senza convenevoli o discorso di circostanza è sgattaiolato in tutta fretta dall'aula capitolare.
L’8 novembre 1982 Giovanni Paolo II dopo aver venerato la Reliquia nella sua Cappella, l'aveva definita «traccia del passaggio di Cristo sulla terra» poi Papa Wojtyla celebrò la Messa all'aperto sul "Paseo de la Alameda" usando come calice l'antica coppa reliquia.

Benedetto XVI è sgusciato via come un furetto dalla cappella del "santo Grial", non prima di aver eloquentemente fatto dono alla cattedrale di un prezioso ma moderno calice da messa.

La vera "mistica" del Sacro Calice per il fedele cristiano, in effetti, può solo consistere nel venerare il calice - cioè qualunque calice- quale "icona sacra" cioè immagine che evoca il mistero della Transustanziazione: la trasformazione del vino nel sangue di Cristo in modo spirituale ma reale che avviene ad ogni messa, per mezzo della formula consacratoria promunziata da qualunque prete, usando qualunque calice, fosse anche una coppa in pietra d'agata, secondo gli archeologhi, del secondo secolo avanti Cristo fabbricata in area egizia.

La seguente visita alla cappella della Virgen de los Desamparados ha fatto un assai più buona impressione sul pontefice "ccioiosamente" regnante: nessun valenziano ha finora mai preteso che quella statua della Madonna patrona della Comunidad valenciana fosse il ritratto autentico della Santa Vergine Maria.

sabato, luglio 08, 2006

venerdì, luglio 07, 2006

Santa Paella della Croce

Papa Benedetto XVI gusterà sabato 8 luglio 2006 la paella valenciana nella prima giornata del suo viaggio apostolico a Valencia per presiedere gli atti finali del V Incontro Mondiale delle Famiglie.

L'agenzia giornalistica cattolica ZENIT in data 7 luglio 2006 informa che: "Il piatto tipico valenciano verrà cucinato dalla comunità di quattro donne dell’istituto secolare di vita consacrata “Operaie della Croce”, che presta abitualmente servizio nell’Arcivescovado.



Benedetto XVI cenerà nel Palazzo Arcivescovile sabato e farà colazione domenica mattina prima di dirigersi allo scenario costruito sul ponte di Monteolivete, vicino alla Città delle Scienze, per presiedere la Messa conclusiva del V Incontro Mondiale delle Famiglie.

Il Papa alloggerà in alcune stanze al primo piano dell’edificio, decorate con fotografie familiari dell’infanzia del Pontefice e quadri restaurati provenienti dal Palazzo Arcivescovile e dal Museo Diocesano.

La stanza da letto occupa una superficie di 12 metri quadri. Su una libreria ci sarà un’immagine della Madonna de los Desamparados, patrona di Valencia. Oltre che della stanza, Benedetto XVI disporrà di un piccolo studio. I suoi segretari occuperanno altre due camere da letto di 12 metri quadri, ognuna con bagno individuale, e con uno studio annesso di 20 metri quadri. Le stanze si raggruppano intorno ad una sala e ad un corridoio che dà accesso alla nuova cucina del Palazzo Arcivescovile.

Le stanze pontificie occupano una superficie totale di 186 metri quadri e sono ubicate vicino alla cappella dell’Arcivescovado con vista sul giardino interno. Le fonti di illuminazione delle stanze provengono dal magazzino del Seminario di Moncada, dove rimanevano inutilizzate. In altre stanze del Palazzo Arcivescovile alloggeranno il medico personale del Papa, altri collaboratori e un picchetto della Guardia Svizzera del Vaticano, che accompagna il Pontefice nei suoi viaggi.

La costruzione delle stanze papali fa parte dei lavori di ristrutturazione del Palazzo Arcivescovile, coordinati dall’Architetto valenciano Jaime Aloy, che hanno permesso di riconvertire varie stanze antiche dell’edificio."

giovedì, luglio 06, 2006

San Giovanni "Degollado" [y dòs]

Il primo luglio il Sommo Pontefice "ccioiosamente" regnante ha presieduto un concistoro pubblico per la canonizzazione di quattro Beati. La cerimonia è stata fissata per domenica 15 ottobre 2006.
Nel fausto giorno sacro alla Santa di Avila si unirà quindi al corteggio dei santi canonizzati anche il beato Monsignor RAFAEL GUÍZAR VALENCIA (1878-1938) vescovo messicano nonchè pro-zio e padre spirituale dell'allor giovane chierico Marcial Maciel Degollado: una delle sorelle del futuro santo, Maria, era la madre di Maura Degollado Guízar, madre a sua volta di Padre Marcial Maciel, fondatore dei Legionari di Cristo e del Movimento di apostolato Regnum Christi.

Il lieto evento non poteva non capitare in un momento più propizio viste le recenti "censure" in cui è incorso il nonagenario fondatore dei Legionari di Cristo. La canonizzazione di Rafael Guizar Valencia non potrebbe essere accolta con maggior gaudio dai figli spirituali del nipote del futuro santo.
San Rafael Guizar Valencia sarà per il "Regnum Christi" un santo di famiglia, il santo zio che ha "scoperto" e "indirizzato" la vocazione di padre Maciel.

Nel suo libro intervista "La Mia Vita è Cristo" il reverendo padre Maciel racconta: "Mia madre mi raccomandò molto di fargli visita. Mi ricevette con molta gentilezza e, quando gli annunciai che stavo andando al noviziato dai carmelitani, lui mi rispose con un’espressione molto messicana: “Ma quali carmelitani e carmelitani! Tu resti con me nel mio seminario per vedere ciò che Dio vuole da te”. Due giorni dopo il rettore del seminario minore, don Jerónimo Ugalde, passò a visitare il vescovo e mi condusse al seminario. Per questo motivo, non andai dai carmelitani come era nei miei programmi, ma al seminario di Veracruz, con sede in Atzcapotzalco a Città del Messico..."
In un altro passo sempre a proposito della burrascosa esistenza del suo santo zio il reverendo Marcial Maciel Degollado dice:

"Mons. Rafael Guízar era zio di mia mamma. Anche lui nativo di Cotija. Fu un sacerdote e un vescovo esemplare. La sua vita è stata molto movimentata, poiché visse ai tempi burrascosi della rivoluzione e della persecuzione religiosa.

Come sacerdote dovette accettare, con grande rassegnazione e spirito d’obbedienza eroica, una pena ingiusta di sospensione a divinis che gli fu inflitta dal suo stesso vescovo, a causa di calunnie e invidie..."


Non v'è dubbio alcuno che una tale similitudine nella vicenda biografica del "santo zio" e del -da molti ritenuto santo- nipote in futuro verrà tenuta sempre più in gran considerazione dagli estimatori di Padre Maciel e del carisma apostolico da lui infuso alla Legio Christi.