domenica, settembre 30, 2007

Non sono Mosè, chiamatemi Patriarca! 4



Se all'epoca dell'agonia di Papa Wojtyla i sociologi coniarono l'espressione "generazione Giovanni Paolo II" per etichettare la commozione (e il sentimento di smarrimento) di tutta quella grossa fetta di cattolici dai trent'anni in giù che non aveva avuto altro papa all'infuori di lui, credo che si possa teorizzare qualcosa di simile per il giovane popolo rumeno per cui il nonagenario Patriarca Teoctist pareva essere eterno.
Eletto capo supremo della Chiesa Ortodossa Rumena, poco prima del crollo dell'impero sovietico, nel 1986 quando già era un vecchio ultra settantenne Teoctist è rimasto per oltre un ventennio sempre lucido ed in buona salute dando ai fedeli ortodossi l'impressione -di contro ai veloci sconvolgimenti politici, economici e sociali dalle Romania- di aver a che fare con una icona immarcescibile!

E affinchè il popolo italiano fosse rincuorato e dissuaso dal convincimento di possedere la classe politica più opportunisticamente ed ipocritamente ossequiosa della Gerarchia ecclesiastica in occasione della morte di Teoctist si è visto un Presidente della Repubblica (Traian Basescu) che, cavalcando la commozione popolare, ha solo allora trovato opportuno decorare il defunto patriarca con le insegne dell’ordine della Stella di Romania, mentre il dichiaratamente ateo ex presidente Iliescu si è esibito in inchini e ampli segni di croce di fronte al catafalco di Sua Beatitudine!

Nei necrologi d'occasione da parte di tutti si è insistito sulle accuse rivolte a Teoctist e agli altri gerarchi Ortodossi di essere stati collaborazionisti del regime comunista di Ceaucescu. Fu infatti per volontà della dittatura comunista che il vecchio e tranquillo Teoctist che molto si occupava di pregare e poco si curava di politica divenne patriarca. Evidentemente, Ceaucescu avrebbe con entusiasmo sottoscritto il noto detto della cattolico-democratica Rosi Bindi: "Io amo pensare alla Chiesa che si occupa delle cose di Dio".

Che l'elezione patriarcale del 1986 fosse stata pilotata dai comunisti è provata dal fatto che, appena crollato il regime ed appena divenne bersaglio di accuse di collaborazionismo, Sua Beatitudine Teoctist nel 1990 rassegnò prontamente le dimissioni al Santo Sinodo che però lo riconfermò sul seggio patriarcale.
Grazie all'avvenuta elezione mercoledì 12 settembre 2007 del nuovo patriarca romeno sono ben arrivato a comprendere che non per mezzo di oscure trame ma con la massima estrema limpidità nel 1986 il regime comunista decretò quell'elezione di Teoctist così come le democratiche autorità politiche nel 2007 hanno decretato l'elezione di Sua Beatitudine Daniele .



Per un "latino" assuefatto, a causa di un millennio di elezioni papali, alla lapalissiana considerazioni che il potere politico non ha alcuna autorità per decidere quale sia il miglior Capo della Chiesa; anzi gli stessi "elettori" non solo debbono essere ecclesiastici ma che è inoltre più che giusto che stiano isolati "cum clave" per non subire pressioni indebite e condizionamenti esterni; non può che suscitare meraviglia la metodologia dell'elezione di un Patriarca Ortodosso!

Infatti ad eleggere il Patriarca romeno non è soltanto il Santo Sinodo cioè l'assemblea di una cinquantina di Arcivescovi, Vescovi e "monsignori" più importanti della Chiesa Ortodossa di Romania ma un più allargato "Collegio Elettorale della Chiesa" composto da 195 membri dei quali ben 88 non sono chierici ma laici: autorità politiche ed accademiche e la cosa è ancora più degna di nota se si ha presente che la soglia dell'elezione non è quella dei due terzi come per l'elezione papale ma la maggioranza assoluta ovvero la metà più uno! E se gli elettori laici nel 1986 erano i rappresentanti del dogma comunista nel 2007 sono l'espressione politica di una Romania che che vede nell'Occidente democratico la propria vocazione, nella Comunità Europea vede il proprio messia e nell'euro la propria redenzione!
Già durante i quaranta giorni di lutto per la morte del patriarca, prima della conclusione dei quali non è possibile procedere all'elezione del successore, nella persona del locus tenens Daniel Ciobotea i media romeni avevano indicato il probabile "patriarca politico".

Il cinquantaseienne Arcivescovo Metropolita di di Moldovia e Bucovina Daniel Ciobotea nato il 22 luglio 1951 (al secolo Dan Ilie: Daniel è il nome assunto al momento della professione monastica) è stato definito un "intellettuale riformista con capacità manageriali"; ha conseguito tre dottorati universitari di teologia dei quali due all’estero: presso la Facoltà di Teologia Protestante dell'Università di Scienze Umane di Strasburgo (Francia) e presso la Facoltà di Teologia Cattolica l'Università di Friburgo (Germania).
Per dodici anni è stato docente di studi ecumenici: prima presso l'Istituto Ecumenico di Bossey in Svizzera (ne è stato anche vicedirettore) e al contempo è stato professore aggregato a Ginevra e Friburgo, poi tornato in patria tra il 1988 e il 1990 è stato "consigliere patriarcale" e direttore del Settore Teologia Contemporanea e Dialogo Ecumenico del Patriarcato.
Nel 1990 fu consacrato vescovo e da quel momento è stato sempre il rappresentante ufficiale della propria Chiesa nell'ambito del dialogo ecumenico.

In veste di esperto di ecumenismo il Metropolita Daniel si è trovato non solo ad organizzare ma anche a presiedere la Terza Assemblea Ecumenica Europea si è svolta a Sibiu e per la prima volta in un paese a maggioranza ortodossa (dopo quella nella protestante Ginevra e nella cattolica Graz) contribuendo, così, a dare alla nazione romena l'orgoglio di un altro "primato" di modernità e di democrazia della propria Chiesa Autocefala rispetto alle Chiese Autocefale delle nazioni vicine dell'Europa Orientale.

Nella prima settimana di settembre in qualità di luogotenente della sua Chiesa egli ha accolto oltre 2.500 delegati delle chiese cattoliche, protestanti o ortodosse che a Sibiu oltre ad assistere a spettacoli, danze e canti folcloristici della nazione romena, hanno discusso non giammai di ecumenismo ma del dovere morale dei cristiani europei di impegnarsi per la pace, per l'eliminazione della povertà, per incoraggiare il commercio equo e solidale, per difendere l'ambiente e combattere l'inquinamento. Per riaffermare, insomma, i valori cristiani nelle decisioni della Comunità Europea ed infatti la "costruzione europea" è stato l'argomenti principe della Terza Assemblea Ecumenica Europea, a cui hanno partecipato rappresentanti dell’Ue e del Consiglio d’Europa.
Gli esponenti delle varie Chiese e comunità ecclesiali hanno solennemente dichiarato di apprezzato l’impegno delle istituzioni europee nel dialogo aperto con le Chiese del continente: “se l’Europa era, all’inizio, un progetto politico volto ad assicurare la pace, ora deve diventare un’Europa dei cittadini, più di un semplice spazio economico”.
Dal punto di vista dei politici romeni l'assemblea ecumenica più che un evento eminentemente spirituale è stato uno riuscito spot pubblicitario del ruolo strategico della Romania nell futuro dell'Unione Europea (un po' come lo era stato nel 1998 il poco spontaneo invito di Teoctist al Giovanni Paolo II).

L'attività pastorale di Sua Eminenza Daniel durante gli anni di epicopato in Moldavia è stata molto felice e proficua per la capacità del presule di utilizzare i mass media per l'evangelizzazione, fondando pubblicazioni religiose come: "Vestitorul Ortodoxiei" (Il Messaggero dell'Ortodossismo)e "Candela Moldovei" (La Candela della Moldavia) ma anche anche "Radio Trinitas": la Radio della Trinità!
Inoltre è stato un abile amministratore dei beni economici del suo distretto ecclesiastico facendo diventare la Metropolia della Moldavia la più ricca del paese.

Il Patriarca Daniel è pertanto ritenuto anche un buon manager e un comunicatore abile il che spiega il fatto che la sua candidatura sia stata supportata dal mondo degli affari e dal mondo politico.
Suo malgrado egli si trova ad essere il contr'altare ecclesiastico di quella classe dirigente romena (formata da suoi coetanei cinquantenni rampanti) che mira ad una nazione idealmente proiettata -senza complessi di inferiorità- nel consesso dei popoli europei democratici ed economicamente sviluppati ragion per cui le posizioni più o meno entusiaste in campo ecumenico vengono tradotte in politichese come una maggiore o minore appoggio all'integrazione della nazione nella Comunità Europea.
Di contro, per quei membri della Chiesa Ortodossa poco ecumenici -e che anche se non fossero molti nella gerarchia episcopale non sono pochi nelle fila dei semplici monaci (cioè tra coloro che sono la coscienza della devozione dei pii fedeli ortodossi)- Daniel è stato pubblicamente apostrofato quale "massone" e un “venduto all'Occidente protestante”.

Il 12 settembre 2007 i membri del Santo Sinodo della Chiesa Ortodossa Romena hanno comunicato ai membri del Collegio elettorale riunitosi nel palazzo Patriarcale di Bucarest la lista di tre nominativi scelti dal Santo Sinodo nella riunione avvenuta il giorno precedente. A quel punto il "collegio elettorale della Chiesa", al secondo scrutinio ha eletto il metropolita Daniel quale sesto patriarca di Romania con 95 voti, 29 in più rispetto al principale controccandidato (66 voti), l'ottantenne Bartolomeu Anania, metropolita di Cluj.
Allo scrutinio risolutivo hanno partecipato 169 elettori di cui 99 ecclesiastici e 70 laici.
Alla domenica 30 settembre è stata poi stata fissata l'intronizzazione di "Sua Beatitudine l'arcivescovo di Bucarest, metropolita della Valacchia e Dobrugia e Patriarca della Chiesa Ortodossa Romena".

Subito dopo aver saputo i risultati dello scrutinio il novello Patriarca Daniel ha ringraziato il Santo Sinodo e il Collegio Elettorale per la fiducia accordata ed ha fatto appello a tutti sia chierici sia fedeli laici per lavorare strettamente uniti: “Il Patriarca non lavora da solo, bensì con il Sinodo, con i fedeli, con i sacerdoti e con l’intera societa’. Abbiamo bisogno della cooperazione di tutti”.

Tra le congratulazioni piovute dagli ambienti religiosi e politici spicca quella del Presidente Traian Basescu che ha espresso "la fiducia che il Patriarca dedicherà la sua saggezza ed esperienza al servizio dei valori della fede e alla guida della Chiesa Ortodossa Romena, in una societa’ moderna ed europea .

Come a dire, per usare una chiosa evangelica: "Chi ha orecchie per intendere intenda!"

Introíbo ad altáre Dei

Sive: "Ad Deum qui lætíficat iuventútem meam"

Vi è una apposita "Dichiarazione" della sacra Congregazione per la dottrina della fede "Instauratio liturgica" , del 25 gennaio 1974, (a firma del prefetto cardinale Franjo Seper e del segretario Jean Jéròme Hamer) con cui la Sede Apostolica (dopo aver precedentemente approvato nella versione ufficiale latina i nuovi testi del rito romano riformato dopo il Concilio Vaticano II) "approva e conferma" le traduzioni della "Editio Typica" del 1969 dal latino "in lingua volgare delle formule sacramentali stabilendo, nello stesso tempo, che il significato da intendersi per esse è, nella mente della Chiesa, quello espresso dall'originale testo latino".

Ciò vuol dire che la Sede Apostolica, facendo uso del "Potere delle Chiavi" dato da Cristo a San Pietro, mentre decreta che il clero e i fedeli sono scioli dall'obbligo del latino quale unica lingua liturgica della Chiesa Romana e mentre concede amplissima facoltà nell'usare il vernacolo in tutte le liturgie, contemporaneamente però, la medesima Sede Apostolica obbliga Domine Iddio a recepire tutte le pubbliche orazioni della Chiesa Cattolica di Rito Latino come se Gli fossero state rivolte in lingua latina.

venerdì, settembre 28, 2007

LA DIVINA PASTORA [5]


Ovvero: Articolo di Mario Luzzatto Fegiz sul Corriere della Sera di giovedì 27 settembre, 2007 sulla Conversione di Ornella Vanoni:
Gesù mi ha cambiata. Sono diventata un' evangelica
Il battesimo, le funzioni e un nuovo cd con una dedica particolare

MILANO - A 72 anni Ornella Vanoni dedica un disco a Gesù. Si chiama «Una bellissima ragazza» e in copertina c' è lei, adolescente, 14 anni, bellissima ragazza appunto come il titolo della canzone scritta per lei da Carlo Fava che ha dato il via all' album («l' ha scattata mio padre a Paraggi, stavo sbocciando»). In copertina i ringraziamenti: a «Gesù con tutto il cuore, noi due sappiamo perché».
Quella che per decenni è stata un sex symbol della canzone italiana, la voce sensuale, da qualche anno frequenta la chiesa evangelica di Milano, canta nei cori, partecipa alle funzioni e ha anche condotto le ultime edizioni del festival dei canti religiosi al Palalido di Milano.

Perché una dedica a Gesù? «Ha cambiato la mia vita in meglio da quando l' ho accettato e mi sono affidata a lui. Per fare un disco bisogna star bene».

Ma quali sono le tappe di questa svolta? «Io ero cattolica, siamo tutti cattolici. In Italia si parla molto di cattolicesimo ma non c' è fede. Scarseggia la fede, religione ce n' è d' avanzo. Ho conosciuto un pastore evangelico che mi ha parlato di Gesù. Se avessi incontrato un prete cattolico altrettanto convincente l' avrei seguito. Il mio pastore, che è poi una donna brasiliana, mi ha sbattuto la faccia davanti allo specchio».

E quel che ha visto l' è piaciuto? «No. Oggi rinnego circa un buon cinquanta per cento delle mie scelte di vita. Era male e mi ha fatto del male».

Un cambiamento radicale: dalle passioni travolgenti, dagli amori che finiscono sui giornali alla totale dedizione a Gesù. Un bel cambiamento.
«Sì, e non del tutto indolore. Io mi sento come la Maddalena che appare in un quadro della pittrice Gentileschi. Questa Maddalena ha una lacrima. Due le spiegazioni possibili: la commozione per quello che ha trovato o il dolore per quello che dovrà lasciare».

L' incontro col pastore evangelico risale a oltre sei anni fa. «Io ricordavo il catechismo come qualcosa di noioso, la frequenza saltuaria a messa come puro formalismo. Oggi frequento il culto che comprende ringraziamento, adorazione e molta musica, anche rock. Le nostre funzioni sono allegre e ci sono tanti giovani sorridenti ed entusiasti».

Il risultato di questo percorso? «Una grande forza. Ho imparato ad amare follemente Gesù. Mi possono dire che non è mai esistito ma io lo sento nel mio cuore». L' età ha influenzato il nuovo percorso? «Credo di sì. A trent' anni vedevo la vita diversamente. Un anno fa mi sono battezzata. Gli evangelici si battezzano da adulti, quando c' è piena coscienza».

Come si sente ora? «Una mia amica mi manda degli sms e mi dice: "Gli anni passano, ma tu non cambiare più, resta quella che sei". Io sono l' esempio del fatto che si può cambiare».

Qualcuno la prende in giro. La più bella e la più desiderata, che ha fatto peccare con cattivi pensieri milioni di italiani, sposa Gesù. «Sì, qualcuno mi prende in giro. Ma io me ne frego e rido perché sto bene. Io voglio pace e tranquillità. Cerco intesa e affettività, non reggerei la grande passione cavalcante».

Ci sono altre ragioni per cui ha scelto gli evangelici, anziché la chiesa apostolica romana? «Non ho mai superato i senso di profondo ribrezzo per la copertura data per molti anni dal papato ai preti pedofili americani».

La Vanoni evangelizzata canta con voce giovane e cristallina, proprio come ci si aspetta dalla «Bellissima ragazza» della copertina. Un velo di tristezza qua e là. «Sono sola, ma vivo bene la mia solitudine. Mi manca ogni tanto l' abbraccio del maschio. Amo tanto mio figlio, i miei nipoti, i miei amici, e forse dopo tanti anni mi accetto, da sola senza lo sguardo di un lui» .



Il popolo del Ministero di Sabaoth (Dio degli Eserciti), fondato 13 anni fa dal pastore donna Roselen, brasiliana, segue una ritualità legata a profezie, musica e danza. In Italia oggi sono circa 400mila, 4.000 a Milano, il doppio di 10 anni fa. In Brasile sono una moda travolgente, ma ora i pentecostali fanno sempre più proseliti anche in Italia. Questo perché per avvicinare i giovani a Gesù, i pentecostali curano diverse attività come il festival del cinema, uno studio di registrazione e una libreria. Si incontrano sempre al Pub Le Pecore, in via Fiori Chiari, a Brera. Pregano ospiti della chiesa Valdese o al teatro delle Erbe dove si vedono ogni domenica, ballando gospel misto a rock per due ore.
I fedeli sono in gran parte giovani, con un passato da oratorio, in cerca di spiritualità. Vendono anche gadget: magliette con scritto «Quando il gioco si fa duro io prego», «Non lasciarti vincere dal male» oppure «Gesù sempre al mio fianco».

mercoledì, settembre 26, 2007

TOMUS AD RENATUM



La questione verteva:
"Sulla liceità d'una seconda via, parallela a quella cristiana, e, in caso di risposta affermativa, sulla conseguente liceità della terza"


Al riguardo ritengo -in tutta modestia- che un attento esame dei seguenti passi della Lettera di San Paolo ai Galati sia poco proficuo:

"È scritto che Abramo ebbe due figli, uno dalla schiava e uno dalla donna libera. Ora, quello dalla schiava è nato secondo la carne; quello dalla donna libera, in virtù della promessa. Tali cose sono dette per allegoria: le due donne infatti rappresentano le due Alleanze; una, quella del monte Sinai, che genera nella schiavitù, rappresentata da Agar, corrisponde alla Gerusalemme attuale, che di fatto è schiava insieme ai suoi figli. Invece la Gerusalemme di lassù è libera ed è la nostra madre."(Gal. IV,22-26)
"Ora voi, fratelli, siete figli della promessa, alla maniera di Isacco. E come allora colui che era nato secondo la carne perseguitava quello nato secondo lo spirito, così accade anche ora. Però, che cosa dice la Scrittura? Manda via la schiava e suo figlio, perché il figlio della schiava non avrà eredità col figlio della donna libera. Così, fratelli, noi non siamo figli di una schiava, ma di una donna libera."(Gal.IV,28-31)
"Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi; state dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù. Ecco, io Paolo vi dico che, se vi fate circoncidere, Cristo non vi gioverà a nulla. E dichiaro ancora una volta, a chiunque si fa circoncidere, che egli è obbligato ad osservare tutta la Legge. Non avete più nulla a che fare con Cristo, voi che cercate la giustificazione nella legge; siete decaduti dalla Grazia." (Gal.V,1-5)


La suddetta Lettera ai Galati non mi pare il testo neotestamentario più adatto per intavolare una dissertazione teologica sulla imperscrutabilità con cui opera la Grazia redentrice di Cristo, o almeno mi sarei soffermato su altri versetti più intellegibili rispetto all'allegoria tra il figlio della schiava e il figlio della donna libera!
Considererei, piuttosto, la Lettera ai Romani in cui l'Apostolo espone quasi sistematicamente la propria dottrina sul "Primato della Grazia", mentre ai Galati San Paolo scrive concitatamente denunziando non tanto la ricerca di un formalismo esteriore "giudaizzante" della propria fede in Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore ma addirittura il pericolo di mettere a repentaglio lo stesso "kerigma": "O stolti Gàlati, chi mai vi ha ammaliati, proprio voi agli occhi dei quali fu rappresentato al vivo Gesù Cristo crocifisso?". Così geme angosciato l'Apostolo che evangelizzò la Galazia e che pertanto si sente il padre nella fede di quella primitiva comunità cristiana. Le parole dell'Apostolo hanno pertanto un fine pastorale ben finalizzato e pertanto una universalizzazione delle sue argomentazioni fuori da quel precipuo contesto teologico parmi come pretendere di trovare nella Bibbia la ricetta dei carciofi "alla Giudìa"!


Le bibliche vicende di Ismaele ed Isacco non sono "cose dette per allegoria" ma è piuttosto l'Apostolo che "usa" allegoricamente la vicenda della nascita dei due popoli semitici e che pertanto la successiva storia delle "Religioni del Libro" c'entra quanto la scienza botanica ha a che fare con la metafora dell'ulivo selvatico innestato nell'ulivo buono!
Scrive Riccardo di San Vittore nel commento all'Apocalisse (che non a caso è il più allegorico dei sacri testi): “Ogni figura mostra tanto più chiaramente la verità, quanto prova più apertamente, mediante la similitudine dissimile, di essere figura e non la verità, e le similitudini dissimili conducono la nostra anima tanto più alla verità, in quanto non le permettono di rimanere in una sola similitudine”.

San Paolo, evidentemente, non stà tenendo una lectio magistralis di "Teologia della religione" nè di "Teologia ecumenica" ma stà facendo una "catechesi" anzi, direi, "catechismo" a dei fedeli cristiani ricordano loro che:
"Se qualcuno afferma che l’uomo può essere giustificato davanti a Dio dalle sue opere, compiute con le sole forze umane, o con il solo insegnamento della legge, senza la grazia divina meritata da Gesú Cristo: sia anàtema.

Se qualcuno afferma che la grazia divina meritata da Gesú Cristo viene data solo perché l’uomo possa piú facilmente vivere giustamente e meritare la vita eterna, come se col libero arbitrio, senza la grazia, egli possa realizzare l’una e l’altra cosa, benché faticosamente e con difficoltà: sia anàtema.

Se qualcuno afferma che l’uomo, senza previa ispirazione ed aiuto dello Spirito Santo, può credere, sperare ed amare o pentirsi come si conviene, perché gli venga conferita la grazia della giustificazione: sia anàtema. (Concilio di Trento)


San Paolo vede nei Galati il fondato pericolo che la fede nella promessa biblica di redenzione realizzatasi in Cristo Gesù si traduca in un rinnovato legalismo che confonde la fede nel Cristo che dona la Grazia con invece il vivere realmente nello stato di Grazia meritata da Cristo: "Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me. Non annullo dunque la grazia di Dio; infatti se la giustificazione viene dalla legge, Cristo è morto invano."
Pertanto la metafora del "figlio della carne" e del "figlio della promessa" non può essere considerato una personificazione rispettivamente del Giudaismo e del Cristianesimo (nè tantomeno della fede islamica e della fede giudaico-cristiana!) ma più propriamente una analogia tra le due modalità -una eterodossa e l'altra ortodossa- con cui si può essere cristiani!

Poichè "la Gerusalemme di lassù" che "è libera ed è la nostra madre" evocata da San Paolo è una immagine allegorica anzi "anagogica", parimenti il riferimento "alla Gerusalemme attuale, che di fatto è schiava insieme ai suoi figli" non può essere limitato ad una analisi "sociologica" poiche anche la "Gerusalemme attuale" è collocata come simbolo di una dimenzione spirituale.
San Paolo non sostiene che la Legge mosaica sia dannosa o inutile nè tantomeno fonte di peccato ma nella lettera ai Romani la chiama "Santa" essa ha il compito provvidenziale di additare al fedele il proprio peccato ed eccitarlo ad amare Dio: "Ora, noi sappiamo che tutto ciò che dice la legge lo dice per quelli che sono sotto la legge, perché sia chiusa ogni bocca e tutto il mondo sia riconosciuto colpevole di fronte a Dio. Infatti in virtù delle opere della legge nessun uomo sarà giustificato davanti a lui, perché per mezzo della legge si ha solo la conoscenza del peccato." (Romani.III,19-20)
Come spiega ai Galati, la Legge mosaica era il mezzo dell'Alleanza e non il fine:"Così la legge è per noi come un pedagogo che ci ha condotto a Cristo, perché fossimo giustificati per la fede. Ma appena è giunta la fede, noi non siamo più sotto un pedagogo. Tutti voi infatti siete figli di Dio per la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non c'è più giudeo né greco; non c'è più schiavo né libero; non c'è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù. E se appartenete a Cristo, allora siete discendenza di Abramo, eredi secondo la promessa."
Ecco pertanto che, a parer mio, protagonista vero della metafora non sono i due figli ma il padre: "È scritto che Abramo ebbe due figli".
Abramo che se è legittimamente padre (solo "carnale"?) sia di Ismaele e sia di Isacco, secondo San Paolo è pienamente vero "padre" dei cristiani proprio perchè egli credette alla promessa di Dio (realizzata da Gesù Cristo): "Noi diciamo infatti che la fede fu accreditata ad Abramo come giustizia. Come dunque gli fu accreditata? Quando era circonciso o quando non lo era? Non certo dopo la circoncisione, ma prima. Infatti egli ricevette il segno della circoncisione quale sigillo della giustizia derivante dalla fede che aveva già ottenuta quando non era ancora circonciso; questo perché fosse padre di tutti i non circoncisi che credono e perché anche a loro venisse accreditata la giustizia e fosse padre anche dei circoncisi, di quelli che non solo hanno la circoncisione, ma camminano anche sulle orme della fede del nostro padre Abramo prima della sua circoncisione" (RomaniIV,9-12).

Pertanto la diatriba paolina sulla circoncisione o la non circoncisione dei gentili convertiti a Cristo non può essere ricondotta ad una metastorica (luterana) contrapposizione tra "La libertà del cristiano" ed invece la dis-grazia della "schiavitù" alla cui sarebbero soggetti i fedeli osservanti della "Legge" che non può salvare (mosaica o maomettana che sia) poichè non mi pare che nè "il fariseo" San Paolo nè gli altri Apostoli una volta convintisi che Gesù fosse il "Christos" e il "Kyrios" abbiano smesso di ubbidire alle prescrizioni della Legge Mosaica!
"Noi riteniamo infatti che l'uomo è giustificato per la fede indipendentemente dalle opere della legge. Forse Dio è Dio soltanto dei Giudei? Non lo è anche dei pagani? Certo, anche dei pagani! Poiché non c'è che un solo Dio, il quale giustificherà per la fede i circoncisi, e per mezzo della fede anche i non circoncisi. Togliamo dunque ogni valore alla legge mediante la fede? Nient'affatto, anzi confermiamo la legge" (Romani III,28-31).

La fede nello "scandalo della Croce" conporta comunque l'ubbidienza ai comandamenti poiche: "Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Purché questa libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri. Tutta la legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: amerai il prossimo tuo come te stesso" (Galati V,13-14).

"Così adempirete la legge di Cristo" dice più oltre San Paolo e così sottolineano i Padri tridentini:
"Chi afferma che nel Vangelo non si comanda altro, fuorché la fede, che le altre cose sono indifferenti, né comandate, né proibite, ma libere; o che i dieci comandamenti non hanno nulla a che vedere coi cristiani: sia anatema.

Se qualcuno afferma che l’uomo giustificato e perfetto quanto si voglia non è tenuto ad osservare i comandamenti di Dio e della chiesa, ma solo a credere, come se il Vangelo non fosse altro che una semplice e assoluta promessa della vita eterna, non condizionata all’osservanza dei comandamenti: sia anatema.

Se qualcuno afferma che Gesù Cristo è stato dato agli uomini da Dio come redentore, in cui confidare e non anche come legislatore, cui obbedire: sia anatema."


A questo punto non ho ancora risposto all questione se vi sia una sola via o molteplici vie della Salvezza.
Per il cristiano la Salvezza è la persona di Gesù di Nazaret il quale disse "Io sono la Via, la Verità e la Vita" ed anche "Senza di me non potete far nulla"!
Per cui la più corretta domanda dovrebbe essere: sulla liceità d'una seconda via, parallela a quella cristiana nella quali si manifesti la Salvezza operata da Cristo (e, in caso di risposta affermativa, sulla conseguente liceità della terza).

Or bene, ritengo che per meditare una tale eventualità non si debba partire dall'immagine di Abramo prototipo dell'uomo di fede in Dio, ma da Adamo primogenito dei morti a causa del peccato che per San Paolo è messo in diretta relazione con Gesù "Nuovo Adamo" primogenito dei vincitori della morte e del peccato!


Il Concilio Vaticano II ha autorevolmente risposto che: "E ciò vale non solamente per i cristiani, ma anche per tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore lavora invisibilmente la grazia. Cristo, infatti, è morto per tutti e la vocazione ultima dell'uomo è effettivamente una sola, quella divina; perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire associati, nel modo che Dio conosce, al mistero pasquale.
Tale e così grande è il mistero dell'uomo, questo mistero che la Rivelazione cristiana fa brillare agli occhi dei credenti."
(Gaudium et Spes)


Invito pertanto, se si vuole prendere a maestro San Paolo, a posare lo sguardo sulla dottrina dell'unità del genere umano che è basilare al dogma del Peccato Originale, e pertanto della conseguente necessità di un Redentore universale che di fronte a Dio "ricapitoli" in se stesso ogni singolo uomo e parimenti tutto il Genere Umano.

Già ammoniva l'Apostolo:"Tutti quelli che hanno peccato senza la legge, periranno anche senza la legge; quanti invece hanno peccato sotto la legge, saranno giudicati con la legge. Perché non coloro che ascoltano la legge sono giusti davanti a Dio, ma quelli che mettono in pratica la legge saranno giustificati.
Quando i pagani, che non hanno la legge, per natura agiscono secondo la legge, essi, pur non avendo legge, sono legge a se stessi; essi dimostrano che quanto la legge esige è scritto nei loro cuori come risulta dalla testimonianza della loro coscienza e dai loro stessi ragionamenti, che ora li accusano ora li difendono. Così avverrà nel giorno in cui Dio giudicherà i segreti degli uomini per mezzo di Gesù Cristo, secondo il mio vangelo." (Romani II, 12-16)

domenica, settembre 23, 2007

A SECRETIS, IV

Ovvero: Bertone mormorò: non passa "Lo Straniero"!


Ai vespri del venerdì 21 settembre 2007, a Roma nella splendida cornice extraterritoriale dell'Aula Magna della Pontificia Università Urbaniana si è svolta la presentazione ufficiale de L'ultima veggente di Fatima. I miei colloqui con suor Lucia” (Edizioni Rai-Eri e Rizzoli, Milano 2007, pp. 196, Euro 17,50): libello del Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato di sua Santità, scritto a quattro mani con il Vaticanista del Tg1 Giuseppe De Carli; tomo che si fregia dell'augusta presentazione del sedici volte Benedetto.
Moderatore della serata il "gesuitico" direttore della Sala Stampa Vaticana padre Federico Lombardi.

Gli interventi sono stati aperti dal "padrone di casa" monsignor Ambrogio Spreafico, rettore dell' Urbaniana, che ha laudato l'importanza ecclesiale e culturale del felice evento.
Il Vescovo emerito di Leiria-Fatima, monsignor Serafim de Sousa Ferreira e Silva, ha raccontato del come e quando ha personalmente acconpagnato nell'anno 2000 l'allor monsignor Bertone a Coimbra da Suor Lucia per i colloqui propedeutici alla rivelazione del "Terzo Segreto": "Lei le verificò attentamente, riconoscendo le pagine scritte di proprio pugno 56 anni prima, e riconoscendo persino la carta”.
Poi è stato il turno del giornalista Vittorio Messori "Arci-scrittore-cattolico" che, dal suo "emporio" di nozioni mariologiche, ha tracciato un alato excursus della costante presenza parallela della Madre celeste nelle vicende terrestri.
Il vaticanista televisivo De Carli ha presentato due documenti video: prima un reportage tutto girato nel monastero di clausura di Coimbra, dove Suor Lucia a partire dal 1950 visse stabilmente fino alla morte, poi una video-intervista con monsignor Capovilla.
L'antico segretario personale di Papa Roncalli nonchè unico sopravvissuto alla lettura del "terzo segreto" fatta da Giovanni XXIII nel 1959, e che è stato -forse- l'involontaria leva su cui si sollevata la diatriba sulla possibile esistenza di un ulteriore "messaggio" di Nostra Signora di Fatima, ha nuovamente e solennemente smentito categoricamente l'esistenza di un "Quarto Segreto": “Quando ho sentito parlare di 'Quarto Segreto' sono rimasto strabiliato. Non mi era mai passato per la testa che esistesse un quarto segreto. Nessuno me lo ha detto né io ho affermato una cosa del genere”.
Anche Messori ha escluso che che vi possa essere ancora un "Quarto segreto" occulto ed occultato.
Personalmente prendo piacevolmente atto della svolta "razionalistica" del cattolico Messori che fino a non pochi anni addietro pubblicava libelli infarciti di apocalittiche profezie di Madonne, di Santi, e quel che è più grave, di proprie congetture su catastrofiche palingenesi della Chiesa e del Mondo!

Dulcis in fundo -o se si preferisce: in cauda venenum!- l'Eminentissimo Bertone, introdotto dall'onorevole Francesco Rutelli, ha tenuto a giustificare la somma prudenza adottata dalla Chiesa nei casi di fenomeni soprannaturali per evitare delirii collettivi “di tipo 'apocalittico'”, così come il “protagonismo da parte dei 'veggenti'”. “Bisogna evitare il pericolo di una 'Chiesa delle apparizioni' diffidente della Gerarchia della Chiesa".

Volenti o nolenti, insomma, ha aleggiato sulle teste dell'eletto uditorio l'espressione "Quarto segreto" nonchè il fantasma dell'innominato suo coniatore: Antonio Socci. Giornalista, ardente cattolico, nonchè fumantino toscano assai facile all'infervoro, Antonio Socci per la verità non s'è paventato all'Urbaniana solamente sotto specie ed accidenti ma in carne e -soprattutto- sangue!

Già i suoi colleghi vaticanisti si erano affrettati ad interperlarlo telefonicamente intorno alla possibilità di una sua eventuale "marcia su Roma" ed infatti così si esprimeva il buon Socci: "Stasera andrò alla presentazione del libro di Bertone, anche come parte in causa perchè è contro il mio libro ma chiederò al cardinale un solo minuto per rispondere a una semplice domanda, con un sì o con un no".

La fatidica domanda avrebbe dovuto essere la seguente: «Eminenza, lei è pronto a giurare sul Vangelo che alla famosa frase “In Portogallo si conserverà sempre il dogma della fede etc” contenuta nel Terzo Segreto di Fatima reso noto dal Vaticano nel 2000 non segua nient’altro?».
Se l'Eminentissimo Bertone in coscienza avesse ritenuto di non poter dire un "no" assoluto Socci alla fine avrebbe trionfato (assieme al Cuore Immacolato)!
Se l'Eminentissimo Bertone avesse invece detto il suo "sì" convinto, Socci avrebbe chiesto seduta stante di far ascoltare al Cardinale e all'uditorio la registrazione autentica della dichiarzione che monsignor Loris Capovilla rilasciò ad un cultore di Fatima tal Solideo Paolini, nella quale, sempre secondo l'adamantino Socci, Monsignor Capovilla dichiarava papale-papale: «oltre alla quattro paginette, c’era anche qualcos’altro, un allegato, sì» .

Pertanto -nell'attesa di constatare se Tarcisio Bertone fosse capace di esercitare la virtù della pazienza nel grado eroico di una Giovanna Melandri- prima che principiasse la presentazione, Socci varcava il portone della gianicolense Università pontificia chiededendo gentilmente che l'Eminentissimo concedesse la grazia di farsi porre la mistica questione ma poichè gli è stato risposto che nessuno avrebbe avuto la libertà di interrogare l'Eminentissimo ospite d'onore, il perseverante Socci ha aspettato paziente nel cortile dell'Università Urbaniana l'arrivo del Cardinal Bertone per ottenere soddisfazione in faccia ai giornalisti e ai teleoperatori schierati, ma invano poichè l'Eminentissimo, avvertito "del pericolo" incombente, è sgattaiolato velocemente all'interno dell'Urbaniana!

Rimasto fuori dell'Aula Magna nel cortile dell'Urbaniana, come San Pietro nel Cortile del Palazzo del Sommo Sacerdote, a differenza dell'Apostolo, Antonio Socci non si è sottratto all'interrogatorio dei colleghi giornalisti! A quel punto è intervenuto il discreto personale della sicurezza vaticana che -con fermezza- ha pregato Socci di non dare spettacolo e di accomodarsi (assieme a chi lo stava ad ascoltare) fuori dal cancello dell'università Urbaniana che a norma dei Patti lateranensi sorge su proprietà extraterritoriale della Santa Sede. Ma poichè l'autore del "Quarto Segreto di Fatima" (Rizzoli) si mostrava palesemente insensibile verso le ragioni delle norme concordatarie e del diritto internazionale è stato, contro la proria volontà, ricondotto "in partibus infidelium".



Dalla meditazione di questo ennesimo "Fioretto" dal sapore francescano della biografia di Antonio Socci bisogna ricavare tre gravi condiderazioni:

1) La totale mancanza di solidarietà da parte del mondo giornalistico, financo da parte di quei giornalisti anticlericali che trattandosi del caso particolare dell'inviso Socci hanno plaudito (poichè hanno detto: "è la prova che anche l’assolutismo serve a qualcosa") mentre se un Gad Learner o un Michele Santoro, un Eugenio Scalfari od anche un'umile Barbara Palombelli fossero stati sbattuti fuori dal territorio vaticano poichè -legittimamente!- ritenuti ospiti non graditi, noi oggi staremmo assistendo ad una campagna stampa per l'abolizione del Concordato e per l'occupazione di San Pietro manu militari!

2) Non si può non rimanere sorpresi per il fatto che il Cardinal Bertone non batta ciglio ma anzi si compiaccia nel sentire il nonagenario Capovilla che, per dare ragione alla tesi Bertone, riaffermare esattamente -ed anzi direi: "canonizza"- ciò che è sostenuto nel libro di Socci: ovvero che ci furono due distinte date in cui Paolo VI aprì la busta del "terzo segreto" solo che una delle due date non compare nella documentazione del Sant'Uffizio!
Ma se questo fosse vero vorrebbe dire che è tranquillamente possibile ipotizzare che anche altre volte quella busta uscì dalla "Suprema Congregazione" senza che nei registri della medesima Congregazione del Sant'Uffizio rimanesse traccia!
Questo vorrebbe dire che Bertone non può più sostenere, solo sulla base delle carte d'archivio, ad esempio che Papa Luciani non lesse il Terzo Segreto o che Papa Wojtyla lo lesse solo dopo l'attentato del 13 maggio 1981!

3) Terzo -vero!- "mistero" su cui interrogarsi relativamente alla serata del 21 Settebre all'Urbaniana è stata "l'apparizione" al fianco di Bertone, al tavolo dei relatori, del vice-premier Francesco Rutelli!

giovedì, settembre 20, 2007

vite parallele /14

Ovvero: Lo chiamavano "bocca d'oro".


Era il mercoledì 19 Settembre 2007, ed era trascorsa meno di una settimana dal mille e seicentesimo anniversario della morte di San Giovanni Crisostomo "Arcivescovo di Costantinopoli", quando il sedici volte Benedetto nella consueta udienza generale volle tracciare ai pellegrini convenuti nel "Foro petriano" un breve profilo del santo Padre della Chiesa antica, essenso la Storia della Chiesa il filo conduttore scelto da Benedetto XVI per le sue catechesi del mercoledì.

Nel considerare la prima parte della vita del Santo (cioè precedente alla sua elevazione sulla cattedra costantinopolitana) descrivendo i suoi natali antiocheni; la sua formazione e vocazione sacerdotale; l'essere un così grande predicatore che gli valse l'appellativo di "Chrysostomos" ovvero "Bocca d'oro"; il sedici volte Benedetto non ha trovato di meglio che additare ad esempio di tanta somma sacra eloquenza i ventidue sermoni quaresimali che l'allora prete Giovanni tenne all'irrequeto popolo di Antiochia in seguito alla rivolta detta "delle statue":
"Il 387 fu l’“anno eroico” di Giovanni, quello della cosiddetta “rivolta delle statue”. Il popolo abbatté le statue imperiali, in segno di protesta contro l'aumento delle tasse."

A questo punto il Pontefice sedici volte e vieppiù Benedetto ha alzato gli occhi dai fogli ed ha aggiunto la glossa: "Si vede che alcune cose nella storia non cambiano!"
Gli italici pellegrini abbracciati dal colonnato del bernini e solleticati dall'arguzia del teutonico umorismo hanno applaudito e - mentre tutte le agenzie di stampa annunciavano "urbi et orbi" che il papa "ha fatto la battuta!"- il Pontefice "ccioiosamente" regnante ha proseguito:
"In quei giorni di Quaresima e di angoscia a motivo delle incombenti punizioni da parte dell'imperatore, egli tenne le sue 22 vibranti Omelie sulle statue, finalizzate alla penitenza e alla conversione."

La "battuta" ratzingeriana seppur formalmente ecumenica (poichè a nessun cittadino di qualunque fede, di qualunque nazionalità e di qualunque periodo storico, piace pagare troppe tasse), è stata interpretata dai vaticanisti italiani come un sibillino commento alla situazione socio-politica del "Bel Paese" mille e seicento anni dopo la morte del Crisostomo.

In illo tempore. L'euforia per la fine dell'era Berlusconi -a seguito delle elezioni politiche del 2005- nel "popolo della sinistra" durò ben poco a causa dello sconfortante spettacolo della continua litigiosità tra partiti eterogenei che -accantonato con estrema nonchalance il programma elettorale- continuamente disputavano su quali dovessero essere le "vere" priorità dell'azione governativa senza approdare a nessun provvedimento che potesse essere sensibilmente esperimentabile dal cittadino quale utile giovamento.
Di contro ad un aumento del numero dei ministri e sottosegretari senza precedenti nella storia della Repubblica c'è stato una vero e proprio arenarsi dell'azione legislativa, causa proprio della risicata maggiornaza parlamentere, ragion per cui ben pochi furono i provvedimenti varati dal Parlamento e solitamente furono provvedimenti su cui incombeva l'esplicita richiesta della fiducia da parte del Governo.
Così al malcontento degli elettori di centro-destra per essere governati dai "comunisti" si unì la rabbia della -ex- "meglio gioventù" per un Governo che non dice "cose di sinistra"!
Emerse un generale e generalizzato malcontento popolare verso la classe politica tout court descritta come una "casta" facente parte di una più ampia "casta" di "potenti" prevaricatori delle leggi penali ed economiche cui invece debbono sottostare tutti i poveri cittadini onesti.
I privilegi che le leggi della Repubblica riconoscono agli uomini politici vennero considerati ingiusti ed eccessivi e per di più scandalosi di fronte ai mille balzelli e corvè cui senza scampo deve sottostare l'uomo qualunque. La stessa Chiesa cattolica venne additata da vari esponenti del Centro-Sinistra come causa diretta (per i più benevoli come causa indiretta) della difficile situazione economica del popolo italiano.

"Antipolitica" venne definita questa ondata di indignazione dal basso verso la classe politica italiana che ebbe nel comico Beppe Grillo un eccezionale catalizzatore e un sorprendente successo mediatico l'8 settembre 2007 con il "Vaffa-Day" organizzato a Bologna e in tante altre piazze d'Italia.
Una giornata in cui gli attivisti coagulati da Beppe Grillo (e dal suo Blog ) hanno potuto pubblicamente "mandare a quel paese" ogni potente e potentato: uno sfogo liberatorio, un pò come quello dei cittadini di Antiochia che nel 387 abbatterono le statue dell'Imperatore e della famiglia imperiale.



Se si vuole procedere col giochino ratzingeriano di paragonare la vita e l'opera del Crisostomo alla attualità italiana allora per una nuova "rivolta delle statue" più che pensare a Umberto Bossi e ad altri esponenti della Casa delle Libertà che hanno minacciato lo scioprero fiscale per protestare contro il Governo Prodi e la sua politica di aumento delle imposte, io volgerei lo sguardo verso Beppe Grillo: il sommo oratore italico che con la sua verve estenuante riesce a creare opinione, a fare informazione, ad additare le storture della politica e della finanza italiana nonchè a denunciarne le reciproche complicità.

I parallelismi sono comunque ideologici, quando non perniciosi come dimostra l'editoriale del direttore del TG2 Mauro Mazza che ha paragona Beppe Grillo ai cattivi maestri degli anni di piombo che con i loro proclami additavano chi colpire mortalmente.

I parallelismi storici sono assai perniciosi come ammonisce "la basilissa" Silvia Ronkey intervistata da Alessandro Trocino (Corriere della Sera; 20 settembre 2007):
E Crisostomo? Si schierò con il popolo contro l'oppressione fiscale?

«Niente affatto, si schierò apertamente dalla parte dell'imperatore. Nelle sue omelie, insiste sull'importanza del rispetto dell'autorità costituita».

Avevano abbattuto solo delle statue.

«Ma Crisostomo spiega che abbattere le statue è come mettere in discussione il potere e non si deve mai. L'imperatore vuole una buona immagine. Le statue di allora sono come la tv di oggi».


Quindi nonostante il suo probabile pessimo giudizio sulla classe dirigente italiana, dalla boutade di Papa Ratzinger emergerebbe il retro pensiero di un Benedetto XVI che preferirebbe il vecchio Prodi-Teodosio "baciapile" e "repressore" invece delle popolari rivendicazioni di maggior giustizia sociale ed economica.

Ma se è pur vero che quei lunghi sermoni fatti in piazza al popolo di Antiochia servivano a calmare il malcontento popolare e allo stesso tempo a dar ragione del dovere di obbedire ai legittimi governanti, è pur vero che avevano lo scopo schiettamente mediatico-propagandistico di provocare nell'imperatore Teodosio un cambiamento della sua politica verso la popolazione della metropoli antiochena!

I lunghi sermoni fatti nelle piazze principali delle città con largo uso delle tecniche per destare l'interesse, la curiosità e la vivacità dell'uditorio oggi li chiameremmo comizi e tali erano le omelie sulle statue del Crisostomo. Egli attaccava i vizi pubblici, le pubbliche corruttele ed invitava al rigore morale, e alla solidarietà tra classi sociali un pò come Beppe Grillo che per anni ha girato le piazze e i teatri con i suoi spettacoli comici che in realtà erano delle documentate denuncie di macroscopiche italiche storture.

Se Grillo si stupisce ironicamente che "oggi" in Italia la classe politica debba rispondere ai j'accuse di un comico è certo che anche nel IV secolo la classe senatoria dovesse essere molto sorpresa di vedersi interpellata e giudicata dagli uomini di Chiesa. E ancor più ci sarebbe stupiti quando pochi anni dopo l'arcivescovo di Milano Ambrogio impedirà all'imperatore Teodosio di andare a messa il giono di Pasqua se prima non avesse fatto pubblica penitenza per i propri peccati al pari di un cristiano qualsiasi!

Nella sua catechesi Benedetto XVI puntualizza che dopo quelle "eroiche" omelie per il Crisostomo "Seguì il periodo della serena cura pastorale (387-397)."

Beppe Grillo ha più volte dichiarato che non intende "scendere in campo": la sua è una battaglia da laico predicatore che dal pulpito del proprio Blog, il più seguito in Italia, si lancia contro la corruzione della Politica, le storture dell'Economia e della Finanza promuovendo campagne di opinione e promuovendo la raccolta di firme per acconcie leggi popolari che dettino le linee di specchiata moralità per chi voglia occuparsi della Cosa Pubblica.
Beppe Grillo si occuperà soltanto di dare il suo appoggio alle "liste civiche" che si formeranno via via nelle varie ed eventuali campagne elettorali al fine di incoraggiare i buoni operai nella vigna dell'elettore.

Ma uno sguardo alla Vita del santo "Bocca d'oro" ci inculca il dubbio che, forse volente o nolente, prima o poi, non si sa bene neanche come, Beppe Grillo potrebbe ritovarsi con un potere mediatico che si traduca -Berlusconi docet- in suffragi elettorali. O magari, più prosaicamente, lo schieramento vincitore di qualche futura competizione elettorale incoroni Grillo quale proprio mentore e per premiarlo gli dia una poltrona.

Ci provarono anche con Giovanni Crisostomo. Lo scelsero come nuovo Arcivescovo di Costantinopoli credendo che la sua abilità dialettica, come quella di tutti gli Oratori dell'epoca, potesse essere messa al servizio del "despota illuminato".
L'arcivescovo Giovanni giunto a frequentare la classe senatoria della "Nuova Roma" cominciò invece a scagliarsi contro le feste mondane e i divertimenti continui della corte imperiale (persino durante la Settimana Santa!) e contro lo sfarzo esagerato e la sfacciata ostentazione del lusso da parte della "casta" dei potenti dell'epoca.

Le agiografie raccontano di una cospirazione ordita dall'establishment.
Si ipotizzò di trovare un capo d'accusa per gettarlo in prigione ma -dicevano dubbiosi- così egli avrebbe "soffrire per il Signore" e ne sarebbe uscito rafforzato, non solo spiritualmente ma anche "mediaticamente". Meglio quindi direttamente condannarlo a morte, però come strategia politica alla lunga non avrebbe pagato l'averne fatto un martire.
Più insidiosa la terza proposta: indurlo a compiere qualche peccato che ne delegittimasse presso il popolo la fama di santità (cioè il potere mediatico) di cui godeva. Nel caso del Crisostomo l'obbiezione fu che: "è impossibile convincerlo a commettere un peccato volontariamente".

Non voglio continuare oltre il parallelismo perchè non sono in grado di mettere la mano sul fuoco sull'impeccabilità del comico genovese poichè se da una parte abbiamo l'ascetico monaco dall'altra abbiamo il ricchissimo uomo di spettacolo e come ammonisce il Vangelo "là dov'è il tuo tesoro l'ha sarà il tuo cuore".
Ma ammesso che di fronte a qualche basso ricatto proveniente dai piani alti Grillo si riveli ancor più adamantino di quello che egli crede di essere ci potrebbe essere la -per lui non nuova!- soluzione adottata anche per Giovanni Crisostomo: l'esilio.
E se il Crisostomo patì due esilii è da ricordare che l'esilio mediatico fu già una volta decretato per Beppe Grillo tra la fine della prima Repubblica ed il sorgere della seconda.

Nell'anno 403 un gruppo di alti gerarchi filo governativi capeggiati dal Patriarca di Alessandria Teofilo giunto a Costantinopoli per discolparsi dall'accusa di eresia riuscirono a cambiare le carte in tavola e dichiararono invece eretico San Giovanni Crisostomo: quel sinodo episcopale fu detto il "conciliabolo della Quercia". Qui, cautamente, pongo fine alle elucubrazioni sui corsi e ricorsi storici.

lunedì, settembre 17, 2007

Impressione delle Stimmate

Ovvero: Renacavata

"Tu sei bellezza, Tu sei mansuetudine.
Tu sei protettore, Tu sei custode e nostro difensore,
Tu sei fortezza, Tu sei refrigerio.
Tu sei la nostra speranza, Tu sei la nostra fede.
Tu se la nostra carità.
Tu sei tutta la nostra dolcezza"
(San Francesco d'Assisi)


mercoledì, settembre 12, 2007

Parole sante, Signora mia! 4

Ovvero: "Ella è più Madre che Regina"


"Su Fatima non ci sono due verita', ne' un quarto segreto: il testo che ho letto con Papa Giovanni XXIII nell'agosto 1959 e' lo stesso diffuso dal Cardinale Tarcisio Bertone e dal Papa"
Questa è la dichiarazione rilasciata dal nonagenario monsignor Loris Capovilla che fu il segretario particolare di Giovanni XXIII e che ogni italica massaia ha potuto leggere sul settimanale "Diva e Donna".
Monsignor Capovilla e' l'unico ancora vivente che fu diretto testimone (ma sarebbe meglio dire uno degli attori principali) della apertura della busta contenente il testo del "terzo segreto di Fatima" che Nostra Signora rivelò ai tre pastorelli portoghesi il 13 luglio 1917 e che suor Lucia (unica sopravvissuta dei tre veggenti)trascrisse e sigillò in una busta (su richiesta del vescovo di Leiria-Fatima) che, avvicinandosi la fatidica data del 1960 quando secondo le indicazioni di Suor Lucia il segreto si sarebbe potuto rivelare, nel 1957 la suddetta busta venne trasferita in Vaticano e, in data 17 agosto 1959, presentata alla lettura del Papa Buono che preferì non rivelarne il contenuto rimandando la decisione di pubblicare il segreto al beneplacito dei pontefici venturi.

Dice Capovilla agli inviati di "Diva e Donna":
"Il testo che lessi con Papa Giovanni XXIII e' lo stesso presentato al mondo nel giugno 2000 dall'allora Cardinale Joseph Ratzinger e da Tarcisio Bertone. Non ci sono due testi diversi: basta coi falsi teoremi".
Perche' allora si parla del testo originale nascosto e di un'altra versione?
"Non e' cosi'. Semplicemente il Papa disse: "L'ho visto, l'ho fatto leggere, lo richiudiamo e nessuno dei presenti gli chiese di pubblicarlo". Papa Giovanni, semplicemente, rimando' ogni decisione al futuro”.

In realtà se si è creato un vero e proprio filone di letteratura complottistica intorno al "Quarto segreto di Fatima", che al confronto il "Codice da Vinci" sembra il Catechismo di san Pio X, lo si deve proprio all'antico segretario di papa Roncalli che in data 5 luglio 2006 concesse un'intervista a tale "fatimida" Solideo Paolini dando risposte sibilline ed ammiccati e facendo capire all'interlocutore che la storia ufficiale del "terzo segreto" fatta dall'allora monsignor Bertone non era corretta: “No guardi, anche per evitare imprecisioni, visto che nel 2000 è stato rivelato ufficialmente (il Terzo Segreto, nda), io mi attengo a quanto è stato detto. Anche se potrei sapere pure dell’altro, bisogna attenersi a quanto detto nei documenti ufficiali”. Dando, insomma, l'idea di sapere dell'esistenza di "altarini" -come suol dirsi- che direttamente egli non poteva rivelare ma di cui egli lasciava all'acume del Paolini lo scoprire l'arcano tramite una documentazione fornita dal medesimo Capovilla. Tuttò ciò è raccontato da Antonio Socci nella introduzione del libro "Il Quarto Segreto di Fatima" la cui fortuna editoriale ha assai fatto imbufalire l'Eminentissimo Bertone che ha dovuto scrivere un proprio libello per dire "tutta la verità" su Fatima al fine -in vero senza successo- di controbattere ai "profeti di sventura".

Infatti più che verso l'adamantino Socci, l'Eminentisimo avrebbe dovuto scagliare i propri fulmini contro il nonagenario monsignore veneziano che ha fatto proprio l'insegnamento evangelico di essere "candido come la colomba e astuto come il serpente".
Nessuno avrebbe mai notato le incongruenze delle date tra il "Plico Bertone" e il "Plico Capovilla" se in data "14.VII.2006 A.D" non fosse stato proprio Capovilla ad aver spedito a Solideo Paolini quel "plico" di stralci delle proprie personalissime carte d'archivio.

Ciò che personalmente faccio oggetto di meditazione è, invece, il perchè mai per fare una tale smentita l'antico segretario di Papa Roncalli abbia scelto le assi poco vereconde pagine di una rivista di pettegolezzi.
Ma poi mi rendo conto che non è stato il monsignore a cercare i gionalisti ma sono stati i collaboratori di quella "somma sacerdotessa del pettegolezzo" di Silvana Giacobini a cercare il vetusto uomo di Chiesa per parlare di "cose di religione" poichè alla buona donna italica e cattolica fa sempre piacere, tra uno scandalo a luci rosse e l'altro, leggere dei miracoli dei Padri Pii e del Papi Buoni.

Una tale dichiarazione ad una rivista femminile sarà più utile al ridimensionamento "l'affaire Fatima" più di mille libri scritti da Tarcisio Bertone. Epperò più che una "eminente" pressione dall'alto, a muovere il venerando Loris Capovilla è stata forse la paura di aver indirettamente distratto tante pie donne devote dal vero messaggio della Santa Vergine di Fatima: cioè la preghiera per la conversione dei peccatori. Dove apporre il proprio ammonimento se non sulle colonne di un settimanale su cui solitamente trionfano i pubblici peccatori?
Immagino che, Capovilla scegliendo la testata "Diva e Donna" abbia voluto fare un -da par suo, velato- invito al muliebre sesso a guardare con grande fiducia e non con timore e paura alle manifestazioni della Santa Vergine poichè come diceva Santa Teresina del Bambin Gesù: "Sappiamo bene che la Vergine santa è la Regina del cielo e della terra; ma ella è più Madre che Regina."
Insomma: la Madonna, più che "Diva" è "Donna".

Pro Missa Bene Cantata [4]

Ovvero: « Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte sancti Benedicti. »



A commentare il viaggio pastorale in terra Austriaca del Papa sedici volte Benedetto ci ha pensato magistralmente egli medesimo nella catechesi del mercoledì.
Non mi rimane pertanto che unirmi al generale plauso per la chiarezza e per la pregnanza delle sue austriache allocuzioni.

Rimane, ahimè, sempiterno il sacrosanto diritto di infuriarsi con l'orrida schiatta dei vaticanisti che nonostante l'appiglio "politico" conto eutanasia ed aborto del discorso del venerdì sera ha dovuto sudare sette camicie per portare a casa il compitino essendo schiettamente "spirituali" le mariali e cristologiche dissertazioni ratzngeriane offerte ai fedeli austriaci. Ci si è, perciò, lamentati dei pochi fedeli, del poco calore mostrato dagli austriaci, del -presunto- contrasto col l'accoglienza invece per lo passato mostrata al comunicativo Wojtyla, o giudicando la scelta di limitare le adunanze liturgiche in ambiti strettamente chiesastici è stata interpretata come una paura del confronto con un cattolicesimo "adulto" e non più incline pertanto alle tribali manifestazioni di mediterranea papolatria.

Encomio particolare merita il novello (e direi "novizio" dato l'argomento) vaticanista di Raitre che ha sostituito il mite ed umile di cuore Aldo Maria Valli (ormai gloriosamente assunto da Raiuno). Infatti, l'acconcio servizio televisivo del TG3 di domenica sera (9 settembre) principiava con l'immagine pomeridiana del pontefice che pronunciava il suo discorso ai monaci cistercensi dell'abbazia di Heiligenkreuz, in cui si sentiva il sonoro originale del discorso in tedesco in cui subito spiccava l'espressione latina "OPUS DEI" !
Solo allora si sentiva l'italica lingua del giornalista scandire in breve il sillabo degli ammonimenti pontifici nei tre giorni in Austria: contro il week-and e a favore della messa domenicale, sul rispetto per preti e suore dei voti religiosi e -triginta! triginta uno!!- sull'obbligo di anteporre il dovere della preghiera prima di qualunque altra attività. In fine il vaticanista ha citare un passo del discorso papale ai cistercensi: "Là dove, nelle riflessioni sulla liturgia, ci si chiede soltanto come renderla attraente, interessante e bella, la partita è già persa. O essa è opus Dei -e il giornalista ha ben marcato le due parole latine!- con Dio come specifico soggetto o non è".
Fine del servizio giornalistico.

Ora, io mi chiedo cosa abbia potuto capire il telespettatore medio sentendo che il Papa ha affermare che per lui l'Opus Dei deve stare al primo posto!
Nessuno ha spiegato che mille e cinquecento anni prima che nascesse Escrivà de Balaguer per la Regola di San Benedetto "opus Dei" voleva appunto significare che per il monaco pregare non è un diletto ma è "l'opera" cui deve dedicarsi: pregare è un "lavoro" tant'è vero che la regola monastica impone di pregare Domine Iddio otto ore al giorno! Però questo il vaticanista che per lavoro dovrebbe "tradurre" ciò che dice il papa non lo detto agli spettatori del Tg3.
Ma allora perchè sceglier proprio quella frase? Per ammonire gli avventori di Raitre che il papa è di estrema destra e perciò gli piace un'organizzazione "fascista" come l'Opus Dei? Ma di questo i "fedeli" del TG3 ne sono già convinti a priori.

L'immagine più bella di tutto il viaggio è stata quella dell' Angelus di domenica 9, quando ad un papa divertito per il vento che giocava col suo mantello rosso, è venuto in soccorso il beatissimo arcivescovo e cardinale Christoph Schönborn che ha devotamente retto la mantellina per impedire che svolazzasse davanti al volto del Successore di Pietro, quasi a riproporre l'immagine della berniniana Cathedra nell'abside della Basilica Vaticana dove i Santi Padri della Chiesa sorreggono il lieve peso del glorioso seggio del Principe degli Apostoli (immagine che spero sia bene augurante per il futuro dell'Eminentissimo pupillo di papa Ratzinger).


Ciò in cui hanno concordato il Santissimo e l'Eminentissimo nella progettazione del viaggio è stato quello di costringere i cattolici austriaci a puntare lo sguardo molto in alto. Qualcuno ha detto che i discorsi papali hanno viaggiato nell'iperuranio tralasciando di trattare delle concrete problematiche della Chiesa Austriaca. Notorio è che, nonostante la sua millenaria storia di devozione cattolica, l'Austria come tutto l'occidente è fortemente laicizzata e prova ne sono la quasi nulle nuove vocazioni. E che dopo gli scandali sessuali che travolsero il predecessore dell'angelico Schönborn è sorto un generale "anticlericalismo ecclesiale" di cui si è fatto portavoce l'organizzazione "Noi siamo Chiesa" i cui membri accolsero il passaggio della papamobile di Giovanni PaoloII sventolando palloncini neri in segno di protesta. Ma adesso il Wojtylaccio è morto e tutti stanno invece a sottolineare con quanto più calore venne accolto rispetto al teutonico Benedetto. Credo che sia, invece, accaduto esattamente il contrario di quanto i vaticanisti hanno raccontato.
Ratzinger ama visceralmente l'Austria (anche se con tutto l'aplomb teutonico del caso) e di questo gli austriaci non possono non avene avuto chiaro sentore; poi il Papa, anche se dice cose impopolari o non del tutto condivisibili agli stessi cattolici mitleuropei, almeno però viene ammirato e rispettato per il fatto di "parlar chiaro" e non scivolare nel politichese e senza irritanti dosi di politically correct.
A tal proposito, mirabile e stato nel discorso al corpo diplomatico il paragrafo "Il dialogo della ragione" come ha sintetizzato un anno di disquisizione scaturita dalla lectio di Ratisbona:
Fa parte dell’eredità europea, infine, una tradizione di pensiero, per la quale è essenziale una corrispondenza sostanziale tra fede, verità e ragione. Si tratta qui, in definitiva, della questione se la ragione stia al principio di tutte le cose e a loro fondamento o no. Si tratta della questione se la realtà abbia alla sua origine il caso e la necessità, se quindi la ragione sia un casuale prodotto secondario dell’irrazionale e nell’oceano dell’irrazionalità, in fin dei conti, sia anche senza un senso, o se invece resti vero ciò che costituisce la convinzione di fondo della fede cristiana: In principio erat Verbum – In principio era il Verbo – all’origine di tutte le cose c’è la Ragione creatrice di Dio che ha deciso di parteciparsi a noi esseri umani.
Permettetemi di citare in questo contesto Jürgen Habermas, un filosofo quindi che non aderisce alla fede cristiana. Egli afferma: “Per l’autocoscienza normativa del tempo moderno il cristianesimo non è stato soltanto un catalizzatore. L’universalismo ugualitario, dal quale sono scaturite le idee di libertà e di convivenza solidale, è un’eredità immediata della giustizia giudaica e dell’etica cristiana dell’amore. Immutata nella sostanza, questa eredità è stata sempre di nuovo fatta propria in modo critico e nuovamente interpretata. A ciò fino ad oggi non esiste alternativa” .
E Amen!


Per quanto riguarda, poi, le proteste ecclesiali ormai "Noi simo Chiesa" non riempie più gli stadi e la forza propulsiva dovuta ad una reale e giusta indignazione momentanea però non può non diventare snervante ed inconcludente stando dietro ai "tempi della Chiesa" soprattutto se debbono essere madri e padri di famiglia a protestare contro il celibato per chiedere che i preti si possano sposare e che le suore possano dire messa. In vero anche da molto settori del basso clero ci sono state vibrate proteste contro i metodi poco democratici da parte della Santa Madre Chiesa Gerarchica, epperò cura dell'eminentissimo Schönborn è stato cercare di far capire che nella struttura della Chiesa già ci sono le strutture finalizzate a cercare e trovare il dialogo tra i fedeli della Chiesa cattolica , cioè il "Consiglio pastorale parrocchiale" ed il "Sinodo diocesano", senza bisogno di inventarsi continui parlamenti e parlamentini in cui adunare gli Stati Generali della Chiesa.

Il Papa nei suoi discorsi al clero austriaco non ha fatto sconti, invitandoli a "pregare, pregare, pregare" dicendo chiaramente ciò che a loro dovrebbe essere ben chiaro non solo per averlo studiato nei manuali di Teologia cattolica ma anche nei vecchi catechismi dei bimbi: che la "Grazia" è un dono gratuito di Dio e che la preghiera è necessaria per ottenerla ed ancor più per conservarla poichè è dottrina ufficiale della Chiesa cattolica che è assolutamente impossibile con uno solo sforzo della volontà umana il non commettere peccato ma che invece il permanere nello "stato di Grazia" sarebbe impossibile senza un intervento divino. Se questa è la dottrina della Chiesa cattolica è perciò inutile che il papa di fronte alle "cadute del clero" si metta a fare solo degli sterili esercizi di sociologismo.

E se la preghiera principale del clero è la messa, la messa domenicale è il principale appuntamento della fede del cristiano perciò di fronte ai cattolici dalla secolarizzata Austria in cui si discute di declassare la domenica a giornata lavorativa il Pontefice interviene a gamba tesa citando i martiri di Abitene: Sine Dominicum non possumus!: "Senza la domenica non possiamo vivere".
Il "ccioiosamente" regnante Benedetto ha perciò invitando con i gesti più che con le parole ad apprezzare il millenario patrimonio spirituale tipico dell'Austria qual è, per esempio, l'amore per la musica che ha prodotto "musica sacra" di grande solennità e bellezza e che può ancora essere un validissimo strumento catechetico. Infatti non in uno stadio da calcio si è svolta la messa domenicale ma nell'austero e glorioso duomo di Vienna in cui Benedetto XVI ha tributato il suo omaggio alla tradizione viennese di accompagnare ogni domenica il pontificale episcopale con musiche di cappella. Per l'occasione è stata eseguita la "Mariazeller Messe" (per i fan del ritorno del latino: "Missa Cellensis") composta nel 1782 l'austriaco Franz Joseph Haydn, per coro, soli e orchestra.
Una "Missa" che come da molti è stato lamentato (tra l'altro dal "divinus" Magister)è stata mortificata dai commentatori televisivi che hanno creduto bene poter impunemente coprire con il loro secolare chiacchiericcio le note e -soprattutto- le parole del "Sanctus", "Gloria", "Credo", "Agnus Dei": cioè di parti proprie e principali, e non certo accessorie e secondarie, del rito della messa cattolica che si stava trasmettendo!

Se il fine della riforma liturgica voluta dal Concilio Vaticano II fu quella di una maggior comprensione e, conseguente, partecipazione dei fedeli cattolici ai "sacri misteri", consentendo una maggior flessibilità dei riti e delle formule, perciò questa opera di "inculturazione" nei paesi di millenaria tradizione cattolica non può tradursi solo in un furore iconoclastico per tutto ciò che è il frutto della fede, della ragione e del sentimento dei cattolici dei secoli precedenti!

Trovo sia proprio questo il messaggio esemplare della messa nel duomo di Santo Stefano che parmi ben espresso dalle parole stesse di Joseph Ratzinger nel suo saggio Introduzione allo Spirito della Liturgia:
"L'arte barocca, successiva al Rinascimento, presenta aspetti molteplici e si realizza in modio differenti. Nella sua forma migliore essa si fonda sui principi della riforma inaugurata dal Concilio di Trento che- ancora una volta sulla sia della tradizione occidentale- metteva particolarmente in rilievo il carattere didattico pedagogico dell'arte, ma, come principio di un rinnovamento dall'interno.
La pala d'altare è come una finestra attraverso la quale il mondo di Dio si fa strada verso di noi; il velo della temporalità viene sollevato e noi possiamo dare uno sguardo nella profondità del mondo di Dio. Quest'arte vuole coinvolgere nuovamente nella liturgia celeste, tanto che ancora oggi noi possiamo percepire una chiesa barocca come un'unica, fortissima , tonalità di gioia, come un alleluia che è diventato immagine: la gioia del Signore è la nostra forza - questo detto veterotestamentario (2Esdra 8,10) esprime il sentimento ultimo di cui vive tale iconografia.

L'Illuminismo ha poi sospinto la fede in una sorta di ghetto intellettuale e sociale; la cultura contemporanea si è poi allontanata da essa e ha percorso un altro cammino, così che la fede si è rifugiata nello storicismo -nell'imitazione del passato- o ha cercato di adattarsi o si è persa nella rassegnazione e nell'astinenza culturale, cosa che poi ha portato a un nuovo iconoclasmo, che talvolta è stato anzi visto come un compito del Concilio Vaticano II"