martedì, ottobre 30, 2007

Breve ai Principi, IV

"Anche dopo il sacco visigoto del 410, Roma era rimasta una città con una popolazione di circa 200.000 abitanti. Era dieci volte più grande di Parigi. Ognuna delle sue primcipali basiliche era quattro volte più grande di qualsiasi cattedrale della Gallia.
Le memorie dei martiri romani, accuratamente coltivate, coprivano tutti i quattro secoli passati. Il clero romano costituiva un gruppo omogeneo, senza volti individuali, tenuto in piedi da una immensa fiducia corporativa nell'assoluta giustizia di tutto ciò che era romano. Il loro vescovo , tratto dai loro ranghi, era l'ultima persona al mondo che avrebbe potuto apprezzare forme sperimentali di leadership.
Il vescovo di Roma era un "papa" -un Grande Vecchio, che amava interpretare il ruolo del Vecchio Uomo di Stato per le Regioni meno esperte.
Per tutto il V secolo, il papa di Roma fu visto come colui su cui si poteva contare per ottenere autorevoli consigli, rassicuratamente fuori moda (e per ciò stesso largamente inapplicabili), su come dovesse funzionare una Chiesa ben governata: «Che la novità cessi di affliggere l'antichità, che le inquietudini cessino di scombussolare la pace della Chiesa»."

(Peter Brown, "La formazione dell'Europa cristiana"; Ed. Laterza )
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Dopo la Breccia di Porta Pia divenne consuetudine che il Papa concedesse udienza ai più disparati gruppi di fedeli venuti ad Limina Apostolorum per ricevere il privilegio di poter baciare la sacra pantofola. I papi erano soliti fare una breve divota esortazione ed accordare la paterna e propiziatrice triplice benedizione apostolica. Pio XII innovò preoccupandosi, nel ricere le più disparate categorie sociali, di proporre loro -nonchè ad universale ed imperituro ammonimento di tutti i cristiani- una sintesi il più esauriente possibile dei doveri morali e religiosi cui erano obbligati dal loro status di cristiano cattolico nonchè di buon cittadino.
Il Pastor Angelicus ricevendo attori e registi enunciava i canoni del film cattolico ideale così come ricevendo i giornalai li ammoniva a non vendere riviste immorali. I pontefici a venire, seppur con minor eccesso di perizia nel catalogare le problematiche socio-economiche di ogni corporazione, nel ricevere questi e quelli hanno sempre offerto loro un saggio della "sana dottrina" esortando ogni porzione del popolo santo di Dio alla fedeltà al Magistero. Però sui media italici destano sempre molto -ed immotivato- clamore le pubbliche allocuzioni del Romano Pontefice il quale nell'esortare a comportarsi da "buoni cristiani", in vero, non devia di una virgola dai precetti del catechismo, e forse proprio per questo provoca sconcerto ed irritazione.

Vasta eco ha goduto l'udienza concessa lunedì 29 ottobre 2007 dal Sedici volte Benedetto "ai partecipanti al 25° Congresso Interazionale dei Farmacisti cattolici"
Benedetto XVI non poteva far altro che rammentare ai farmacisti cattolici che: "hanno un ruolo educativo verso i pazienti per un uso corretto dell'assunzione dei farmaci e soprattutto per far conoscere le implicazioni etiche dell'utilizzazione di alcuni farmaci. In questo ambito, non è possibile anestetizzare le coscienze, ad esempio sugli effetti di molecole che hanno come fine quello di evitare l'annidamento di un embrione o di abbreviare la vita di una persona. Il farmacista deve invitare ognuno a un sussulto di umanità, affinché ogni essere sia tutelato dal suo concepimento fino alla sua morte naturale e i farmaci svolgano veramente il loro ruolo terapeutico [...] Nell'ambito morale, la vostra federazione è invitata ad affrontare la questione dell'obiezione di coscienza, che è un diritto che deve essere riconosciuto alla vostra professione, permettendovi di non collaborare, direttamente o indirettamente, alla fornitura di prodotti aventi come fine scelte chiaramente immorali, come ad esempio l'aborto e l'eutanasia."

Di fronte alle indignita ed allarmate dichiarazioni di chi paventa l'indizione di una crociata della Chiesa contro le libertà dei cittadini e contro la laicità dello Stato il gesuitico portavoce della Sala Stampa vaticana padre Lombardi ha tenuto a puntualizzare che: -niente di nuovo sotto il sole!- «L’obiezione di coscienza è un diritto e i farmacisti, proprio come i medici, sono chiamati esplicitamente a non collaborare a ciò che va contro la vita in modo diretto. Il Papa si è limitato ad esprimere un concetto classico».

venerdì, ottobre 26, 2007

Cardinali in vacanza (della Sede Apostolica) /3


Ovvero: Il Conclave dell'Aprile 2005 nelle "Memorie e digressioni di un italia­no cardinale " (Cantagalli, pp. 640, euro 23,90) dell'Eminentissimo -ac Reversendissimo!- Cardinale Giacomo Biffi:

"I giorni più faticosi per i cardinali sono quelli che precedono immediatamente il conclave. Il Sacro Collegio si raduna quotidianamente dalle ore 9,30 alle ore 13, in un’assemblea dove ciascuno dei presenti è libero di dire tutto ciò che crede. S’intuisce però che non si possa trattare pubblica mente l’argomento che più sta a cuore agli elettori del futuro vescovo di Roma: chi dobbiamo scegliere? E così va a finire che ogni cardinale è tentato di citare più che altro i suoi problemi e i suoi guai: o meglio, i problemi e i guai della sua cristianità, della sua nazione, del suo continente, del mondo intero. È senza dubbio molto utile questa generale, spontanea, incondizionata rassegna delle informazioni e dei giudizi. Ma senza dubbio il quadro che ne risulta non è fatto per incoraggiare.
Il mio intervento

Quale fosse nell’occasione il mio stato d’animo e quale la mia riflessione prevalente emerge dal l’intervento che dopo molte perplessità mi sono deciso a pronunciare il venerdì 15 aprile. Eccone il testo:

1. «Dopo aver ascoltato tutti gli interventi – giusti opportuni appassionati – che qui sono risonati, vorrei esprimere al futuro Papa (che mi sta ascoltando) tutta la mia solidarietà, la mia simpatia, la mia comprensione, e anche un po’ della mia fraterna compassione. Ma vorrei suggerirgli anche che non si preoccupi troppo di tutto quello che qui ha sentito e non si spaventi troppo. Il Signore Gesù non gli chiederà di risolvere tutti i problemi del mondo. Gli chiederà di voler gli bene con un amore straordinario: «Mi ami tu più di costoro?» (cfr. Gv 21,15).
In una 'striscia' e 'fumetto' che ci veniva dall’Argentina, quella di Mafalda, ho trovato diversi anni fa una frase che in questi giorni mi è venuta spesso alla mente: 'Ho capito – diceva quella terribile e acuta ragazzina –; il mondo è pieno di problemologi, ma scarseggiano i soluzionologi'».

2. «Vorrei dire al futuro Papa che faccia attenzione a tutti i problemi. Ma prima e più ancora si renda conto dello stato di confusione, di disorientamento, di smarrimento che affligge in questi anni il popolo di Dio, e soprattutto affligge i 'piccoli'».

3. «Qualche giorno fa ho ascoltato alla televisione una suora anziana e devota che così rispondeva all’intervistatore: 'Questo Papa, che è morto, è stato grande soprattutto perché ci ha insegnato che tutte le religioni sono uguali'. Non so se Giovanni Paolo II avrebbe molto gradito un elogio come questo».

4. «Infine vorrei segnalare al nuovo Papa la vicenda incredibile della Dominus Iesus: un documento esplicitamente condiviso e pubblicamente approvato da Giovanni Paolo II; un documento per il quale mi piace esprimere al cardinal Ratzinger la mia vibrante gratitudine. Che Gesù sia l’unico necessario Salvatore di tutti è una verità che in venti secoli – a partire dal discorso di Pietro dopo Pentecoste – non si era mai sentito la necessità di richiamare. Questa verità è, per così dire, il grado minimo della fede; è la certezza primordiale, è tra i credenti il dato semplice e più essenziale. In duemila anni non è stata mai posta in dubbio, neppure durante la crisi ariana e neppure in occasione del deragliamento della Riforma.
L’averla dovuta ricordare ai nostri giorni ci dà la misura della gravità della situazione odierna.
Eppure questo documento, che richiama la certezza primordiale, più semplice, più essenziale, è stato contestato. È stato contestato a tutti i livelli: a tutti i livelli dell’azione pastorale, dell’insegnamento teologico, della gerarchia».

5. «Mi è stato raccontato di un buon cattolico che ha proposto al suo parroco di fare una presentazione della Dominus Iesus alla comunità parrocchiale. Il parroco (un sacerdote peraltro eccellente e benintenzionato) gli ha risposto: 'Lascia perdere. Quello è un documento che divide'. 'Un documento che divide'. Bella scoperta! Gesù stesso ha detto: 'Io sono venuto a portare la divisione' (Lc 12,51: diamerismòn). Ma troppe parole di Gesù oggi risultano censurate dalla cristianità; almeno dalla cristianità nella sua pars loquacior ».
Il conclave

E’ stata un’esperienza esaltante di comunione ecclesiale. Percepivamo di essere come avvolti dall’intensa e appassionata preghiera della moltitudine di coloro che amavano sinceramente la Chiesa. Tutto nel conclave è organizzato e predisposto al servizio della speditezza e di un garantismo assoluto; e ogni cosa perciò è facilitata. I cardinali devono solo pensare a votare.
Siamo entrati in clausura nel pomeriggio di lunedì 18 aprile e col primo scrutinio pomeridiano di martedì 19 aprile il quorum è stato raggiunto. In meno di ventiquattro ore si è avuto il nuovo Papa nella persona di Joseph Ratzinger. La nostra gioia è stata grande, come è stata grande in tutta la cattolicità la gioia dei «piccoli».

Il nostro divertimento si è poi accresciuto con la lettura delle analisi e delle previsioni dei «sapienti» e degli «intelligenti» che, in virtù della scienza infusa della loro impavida «ecclesiolalìa», «sapevano» che noi eravamo irriducibilmente divisi e contrapposti. E non si sono ricreduti neppure dopo, neppure davanti all’evento indiscutibile di una elezione così rapida, conseguita nel rispetto di una normativa che ci imponeva di superare i due terzi dei votanti: hanno continuato a parlare di grande divisione tra i cardinali. L’ideologia non si arrende mai, quale che sia l’evidenza della realtà effettuale che la smentisce."

giovedì, ottobre 25, 2007

dei Sepolcri, XIX

Sabato 20 ottobre 2007 è morto a Roma l'ottantenne monsignor Mario Canciani che fu definito "il San Francesco dei nostri tempi". Noto al vasto pubblico come "il" parroco della chiesa romana di San Giovanni Battista dei Fiorentini in realtà non ne era più il parroco dal 1997 e viveva il suo pensionamento in un istituto della diocesi di Roma che ospita i sacerdoti anziani, ed ivi è morto.

Nato a Roma il 18 gennaio 1928, fu consacrato sacerdote nell'Arcibasilica Lateranense il 29 marzo 1952, divenne il primo parroco di Casal Bernocchi nella periferia di Roma Sud. La Parrocchia di San Pier Damiani fu "eretta" giuridicamente con decreto del Vicariato di Roma del 9 febbraio 1962 in un territorio il cui perimetro era delimitato dalle seguenti strade: Via di Ponte Ladrone, Via di Valle Porcina e Via di Malafede. Ma eretta la parrocchia bisognava ancora erigere la Chiesa parrocchiale inaugurata la Domenica delle Palme del 1970.
Di quel periodo in cui dovette celebrare negli androni delle palazzine ed in cui appoggiò le iniziative e le rivendicazioni sociali della "gente de borgata" ne scrisse con vivida soddisfazione nel suo libro "Vita da prete" (Mondadori) pubblicato nel 1991.
Nel 1974 venne premiato con la nomina ad assistente diocesano di Azione Cattolica e Rettore di S. Teodoro al Palatino (oscura basilichetta in pieno Foro Romano) per poi passare nel 1982 a parroco nella Basilica di S. Giovanni dei Fiorentini (a pochi centinaia di metri dal Vaticano).
San Giovanni dei Fiorentini divenne da allora in poi celeberrima a Roma ed oltre per la possibilità di poter partecipare alla santa messa in compagnia dei propri amici cani, gatti o altri animali domestici. Le cronache raccontano di animali che composti ed in religioso silenzio sembravano rendersi conto del privilegio tutto spirituale di cui venivano favoriti.
Nel 1997 Monsignor Canciani fu mandato in pensione col titolo onorifico di "Canonico della Patriarcale basilica di Santa Maria Maggiore".

Don Mario Canciani fu un biblista, un animalista ed un vegetariano riuscendo a trovare nella sua fede cristiana, della teologia cattolica e nello studio dei testi biblici delle "prove" delle sue profonde convinzioni animaliste.

Nel suo libro "Ultima cena dagli esseni" espone la tesi, ben fondata dai dati archeologici oltre che scritturistici, che l'"ultima cena" cioè la cena pasquale prima della Passione venne celebrata da Gesù e dai suoi apostoli in casa di esseni e quindi, di conseguenza, secondo il calendario esseno e col rito esseno nel quale era vietato cibarsi dell' agnello pasquale.
In nome del dettato evangelico perciò don Canciani si è sempre, costantemente, scagliato contro la barbara usanza della "cristiana" mattanza degli agnelli da latte in occasione delle solennità pasquali.

Quando negli anni '70 cominciò a dire che anche gli animali si meritavano di andare in Paradiso fu la pubblica benevolenza che alla sua tesi diede l'allora regnante Papa Paolo VI a salvarlo dal generale sberleffo ecclesiastico.

"Nell'Arca di Noè", un testo apologetico della sua teologia animalista, egli afferma che se nel passato la teologia cattolica è stata vittima del giuridicismo negando dignità spirituale agli animali proprio perchè privi di anima "razionale" ciò non può significare che la riflessione teologica sul fututo ultraterreno degli esseri "animali" debba considerarsi chiusa: non tutto è stato ancora approfondito e compreso sul destino della Creazione "nel mondo che verrà". Emblematicamente ancora oscura dopo duemila anni appare ai cristiani quell'espressione di San Paolo secondo il quale: tutta la creazione sospira e geme nell’attesa della resurrezione!

Scrisse che uno dei testi che più lo commuovevano era stato scritto del padre dell'evoluzionismo Charles Darwin che ne "I poteri mentali dell'uomo e quelli degli animali inferiori" afferma: «È noto l'amore del cane per il suo padrone: e tutti sanno che nell'agonia della morte egli accarezza il padrone; e ognuno può aver sentito dire che che il cane che soffre mentre viene sottoposto a qualche vivisezione e lecca la mano dell'operatore; e quest'uomo, a meno di avere un cuore di sasso, deve provare rimorso fino all'ultima ora della sua vita».
Per don Canciani pertanto nè la teologia, nè la filosofia, nè la deontologia medica sono giunte ancora a tributare ad ogni essere vivente che ama e che soffre il riconoscimento che la sua dignità travalica ogni contingente finalità strumentale. Monsignor Canciani fu perciò propugnatore della lotta anti-vivisezione: "Dobbiamo riconoscere che la morale cristiana non ha elaborato fin qui un pensiero coerente e sistematico sulla sperimentazione animale. È indubbio anzi che gli uomini di chiesa spesso hanno veicolato teorie caratterizzate da profonda insensibilità e indifferenza etica."

Dal 1987 prese inoltre l'iniziativa di benedire solennemente gli animali nella festa di san Francesco (e non in quella di Sant'Antonio Abate) proprio a significare la dignità spirituale delle bestie e la propria fiducia nell'infinito amore di Dio che vuole che tutte, proprio tutte, le sue creature -poichè tutte parimenti partecipi del "soffio divino"- abbiano diritto al Paradiso.
Fu per 16 anni il parroco ed il confessore di Giulio Andreotti.

martedì, ottobre 23, 2007

Nel nome di Allah, Clemente [Mastella] e Misericordioso /3


Il bianco elicottero con a bordo il Papa sedici volte Benedetto atterra alla Stazione Marittima di Napoli alle 9.15 in punto di una freddissima domenica 21 ottobre 2007.
Sotto le folate di un gelido vento e con sullo sfondo un Vesuvio innevato, Lo accolgono, oltre all'arcivescovo Cardinale Crescenzio Sepe, il premier Romano Prodi, il prefetto Alessandro Pansa, il sindaco Rosa Russo Iervolino il presidente della Provincia Dino Di Palma ed il governatore della Campania Antonio Bassolino, oltre alla massima incarnazione vivente della napolenitanità: il ministro Clemente Mastella, naturalmente.

E mentre Prodi ha optato per una "nordica" rapida stretta di mano, Mastella ha devotamente preso a far dondolare la pontificia destra serrata nella sua mentre gli manifestava i sensi della propria campana -e campanilistica- gioia per la visita pastorale alla plebe partenopea.
Clemente Mastella ha fatto poi sapere ai giornalisti che il Sommo Pontefice si sarebbe a lui rivolto dicendogli: «coraggio!».

In concomitanza con il partenopeo meeting in cui i leaders religiosi del mondo intero si erano raccolti per rinnovare l'appello a non sfruttare Dio e la religione a scopi grettamente politici, Mastella non poteva che trovare più che opportuno rimarcare di aver ottenuta una specie di benedizione papale proprio nel momento in cui si levavano dure critiche sulla moralità di decisioni da lui prese in qualità di Ministro della Giustizia!

Non sorprenda se per Papa Ratzinger Clemente Mastella non sia un emerito sconosciuto, dato che Mastella mai è stato relatore in simposii di Teologia. Ma da quel benedetto 19 aprile 2005 Mastella è stato non solo il primo politico italiano ad ottenere un'udienza privata per se e la propria famiglia, ma è stato attento a non perdere nessuna occasione per inguattarsi nelle sacre stanze al seguito di questa o di quella delegazione più o meno ufficiale, tanto che, forse unico caso al mondo, Clemente Mastella si è trovato a non saper più dove mettere tutti i rosari ricevuti in dono dal Santo Padre!
Dato che probabilmente a causa della sua frenetica attività politica Mastella non ha il tempo di recita molti rosari, il Clemente "pio", quasi vivente icona della Madonna di Pompei, ha cominciato a regalare le pontificie corone del rosario a parenti e amici, e perfino ad alcuni giornalisti che lo hanno intervistavano.


Salito sulla papamobile assieme al rubicondo Cardinale Arcivescovo, Papa Ratzinger ha raggiunto Piazza del Plebiscito dove oltre ventimila eroici napoletani "al freddo e al gelo" s'erano riuniti per assistere alla Santa Messa della XXIX Domenica "per annum". A loro Benedetto XVI ha dedicato un'omelia magistarale traboccante di soda pietà e dottrina.
Per la prima volta i giornalisti hanno -obtorto collo - difficoltà ad imputare al papa tedesco la mancanza di "calore" (nonstante il maltempo che flagellava la città non è mancato chi con sommo sprezzo del ridicolo ha invece parlato di freddezza dei fedeli nei confronti del papa)!


Presenti nelle prime file oltre alle autorità civili e militari anche anche i leaders delle religioni mondiali convenute a Napoli per il XXII Meeting per la pace tra le religioni.

Ai lati dell'alto podio al coperto davanti alla facciata della borbonica Chiesa di San Francesco di Paola erano i rappresentanti delle confessioni cristiane capeggiate dal Patriarca Ecumenico che per la prima volta partrecipava personalmente ad un meeting organizzato dalla Comunità di Sant'Egidio.
Appena il sedici volte Benedetto ha avanzato verso i venerabili delegati (tra cui il Patriarca di Cipro, il Catolicos di Cilicia degli Armeni e l'anglicano Arcivescovo di Canterbury) Bartolomeo I è andato vistosamente incontro al pontefice in modo che il loro abbraccio avesse anche coreograficamente un impatto ben diverso rispetto alla pontificia stretta di mano agli altri leaders cristiani. Poi durante la messa al momento del "segno di pace" Sua Santità Bartolomeo -unico non cattolico!- è andato ad abbracciare Benedetto XVI. Al seminario di Capodimonte, durante la breve allocuzione di saluto di Benedetto XVI a tutti i delegati -cristiani e non cristiani- del ventiduesimo Incontro "Uomini e religioni", mentre tutti (compresi i patriarchi ortodossi di Cipro e di Cilicia) stavano seduti davanti al papa, il Patriarca Ecumenico invece sedeva alla destra del papa e su di una sontuosa poltrona barocca ornata di ori e di damaschi purpurei che era esattamente eguale alla contigua poltrona su cui si è accomodato il Papa di Roma.



C'è da chiedersi per quale motivo Bartolomeo sia voluto venire a Napoli a fare la "prima donna" al fianco di Benedetto XVI? Per rinverdire i borbonici fasti di Ferdinando e Carolina, forse?

Avrebbero dovuto incontrarsi al simposio teologico di Ravenna ma il Patriarcato di Mosca ha lamentato che una tale visita congiunta dei vescovi della prima e della seconda Roma era una vera e propria ingerenza -se non altro psicologica- sui membri delle delegazioni ortodosse (poichè ogni Chiesa ortodossa è autonoma e indipendente). Mosca ha poco garbatamente tenuto a sottolineare che l'Arcivescovo di Costantinopoli è solo un "Primus inter pares", pertanto, non deve essere il Trono Ecumenico a dettare la linea ecumenica da seguire dagli altri Patriarchi ma al contrario dev'essere questi a fare propria la linea politico-teologica espressa dalla maggioranza delle Chiese Ortodosse.
Per non servire su un piatto d'argento alla Chiesa Russa la scusa per disertare il simposio teologico Bartolomeo ha diplomaticamente desistito dal recarsi a Ravenna prospettando essere più opportuno incontrare Benedetto XVI la settimana dopo a Napoli durante il meeting per la pace tra le religioni.
L'espediente diplomatico non è riuscito ad impedire che il Patriarcato della "terza Roma" trovasse un altro punto di attrito con il Patriarca della "seconda Roma": la delegazione russa ha abbandonare teatralmente il tavolo dei lavori a causa della presenza della delegazione della Chiesa Ortodossa Estone che Mosca considera a lei soggetta mentre Costantinopoli le ha riconosciuto l'autocefalìa ovvero l'indipendenza.

A Napoli non ci sono stati incontri teologici tra i massimi rappresentanti delle due Chiese cristiani, ma solo abbracci e baci e passerelle davanti a fotografi e telecamere. Neanche la possibilità di un franco scambio di vedute "sullo stato dell'unione" ma solo una -seppur prolungata- fraterna conversazione a tavola assieme ad altre otto persone tra cui due protestanti un ebreo e un mussulmano; il galateo vuole che a tavola si cerchino orgomenti di conversazione che coinvolga tutti: la teologia del Primato del papa non è uno di questi.

Sua Santità Bartolomeo ha comunque potuto nuovamente ribadito in faccia al mondo la propria somma autorità religiosa ed il proprio prestigio internazionale nonostante quel che contro il Trono Ecumenico possano dire o fare il Governo turco e la Chiesa di Mosca.
Mosca da parte sua ha preferito inviare a Napoli un rappresentanza di basso profilo e non -com'era da attendersi vista la presenza del pontefice- l'onnipotente Kiril: il capo delle "Relazioni estere" del patriarcato moscovita.
Non è da sottovalutare il fatto che Bartolomeo durante la messa cattolica sia andato a scambiare il segno di pace col papa. Certo non è la prima volta: è sempre accaduto durante le visite dei Patriarchi ("Ecumenici" e non) a Roma di scambiare il segno di pace durante la messa papale. Va notato però che nonostante vi fossero altri due patriarchi presenti solo Bartolomeo si è recato ad abbracciare il papa, non certo perche Chrisostomos di Cipro sia meno "ecumenico" di Bartolomeo! Solo ed unico tra tutti i leaders non cattolici il Patriarca Costantinopolitano si è speditamente diretto verso l'altare papale ad abbracciare il sedici volte Benedetto -si evince dal contesto- in rappresentanza di tutta l'ortodossia bizantina (con buona pace di Mosca).

Nonostante tutti i buoni propositi e le migliori intenzioni il cattolicesimo diventa, pertanto, il terreno utile ai non cattolici per combattere le loro piccole o grandi battaglie: ulteriore esempio è stata "la lite" mediorientale (in vero un breve diverbio di soli tre minuti in una conversazione di un'ora e mezza) alla tavola del Papa.
C'erano, oltre a Bartolomeo I: l'arcivescovo ortodosso di Cipro Chrysostomos II, il "Catholicos" Aram I di Cilicia degli Armeni, il rabbino capo di Israele Yona Mezger ed il mussulmano Ezzeddin Ibrahim Fondatore dell’Università degli Emirati Arabi Uniti. Non mancava il "padrone di casa" cardinal Crescenzio Sepee Andrea Riccardi il fondatore della Comunità di Sant'Egidio ed inotre l'arcivescovo di Canterbury Rowan Williams ed il il segretario generale del Consiglio Ecumenico delle Chiese di Ginevra Samuel Kobia.

Il mussulmano Ezzeddin Ibrahim (consigliere culturale del presidente degli Emirati Arabi Uniti) probabilmente assai gratificato e compiaciuto di rappresentare l'islam al tavolo dei sommi rappresentanti delle religioni mondiali ha osservato di trovarsi seduto al "tavolo del sorriso" poichè tutti i leaders religiosi gareggiavano virtuosamente nello scambiarsi "parole di pace", benedicendo "lo spirito di Assisi" e la buon'anima di Giovanni Paolo II. Si accodava il libanese patriarca armeno Aram I che però la mentava la crisi della pax religiosa nel suo Libano e di ciò imputava la colpa alla politica dello Stato d'Israele.
Il Rabbino capo d'Israele a quel punto non poteva che rimproverare al patriarca libanese di non considerare che i pericoli alla pace in mediooriente venivano non da Israele ma dall'Iran e dalla "violenza di tanti musulmani" che sono ben lontani dal sedere al "tavolo del sorriso" principiando proprio dagli sciiti libanesi.
E prima ancora che l'armeno e il mussulmano avessero il tempo di replicare Benedetto XVI è intervenuto: "Questo è tutto lavoro per Sant'Egidio".
A quel punto tutti si son messi a laudare Andrea Riccardi e la sua organizzazione qual autentico "angelo di pace". E così sia.

Sostenere come molti hanno fatto che Ratzinger si sia "convertito" allo "Spirito di Assisi" significa davvero non solo avere poco cuore ma soprattutto poco cervello.
Ciò che Joseph Ratzinger ha sempre sostenuto da cardinale e poi da papa è ben chiaro e lampante: bisogna dialogare per trovare punti concreti su cui i credenti di differenti religioni possano fattivamente impegnarssi per il bene comune e primariamente per il bene della pace nel mondo ma rifuggendo da supergiciali irenismi e sapendo "dove la discussione deve essere interrotta affinché non si trasformi in menzogna e dove deve iniziare la resistenza, allo scopo di salvaguardare la libertà".

Il riferimento del Papa al "lavoro" ultraventennale di Sant'Egidio non può che condurre la riflessione alla medesima conclusione ben espressa dal "Divinus" Magister : "ciò che questi incontri hanno prodotto in vent’anni è niente rispetto a ciò che ha fatto in brevissimo tempo la lezione di Benedetto XVI a Ratisbona"!

Nel pomeriggio (dopo aver compiuto il miracolo di non far sciogliere il sangue di San Gennaro) un papa Ratzinger sorridente e assai "ccioioso" alle 17.30 è nuovamente decollato alla volta del Vaticano. A salutarlo nuovamente anche Clemente Mastella.

venerdì, ottobre 19, 2007

segni della fine del Mondo /5




Ovvero:
"Ascoltate oggi la sua voce:
Non indurite il cuore, come a Meriba, come nel giorno di Massa nel deserto, dove mi tentarono i vostri padri: mi misero alla prova pur avendo visto le mie opere.
Per quarant`anni mi disgustai di quella generazione e dissi:
Sono un popolo dal cuore traviato, non conoscono le mie vie;
perciò ho giurato nel mio sdegno:
Non entreranno nel luogo del mio riposo". (Salmo 94)


Nel pomeriggio di venerdì 19 Ottobre 2007 a Roma qualcuno ha vuotato nella vasca della celeberrima Fontana di Trevi un secchio di colorante rosso per poi dileguarsi tra la folla dei turisti che, come ogni giorno, affollano la stretta piazzetta che abbraccia la monumentale "Mostra dell'Acqua Vergine".
Da alcuni volantini ritovati attorno a Piazza Trevi il gesto dimostrativo "dal vago sapore dannunziano" sarebbe stato ideato da "Azione Futurista 2007" per protestare contro i milioni di euro spesi dal Comune di Roma per la concomitante "Festa del Cinema" invece di impiegare tali risorse economiche per venire incontro alle problematiche di "precari, disoccupati, anziani, malati, studenti, lavoratori".

Si è consumato l'ennesimo atto vandalico a discapito del patrimonio artistico!
Ma ciò che più angustia ed addolora è il rendersi conto che chi si indigna per l'atto vandalico contro la Fontana di Trevi in realtà stia parlando di un oggetto assolutamente a lui sconosciuto!

Leggo sul Corriere online: che "Tutta l'acqua della fontana è rossa e anche l'acqua che scende dalle rocce sotto il Mosè e confluisce nel bacino, dove si è immersa Anita Ekberg nella famosa scena della Dolce vita è rosso fuoco."

Parimenti dal sito di Repubblica apprendo che: "Tutto è successo intorno alle 16:30. Un'ora dopo è stata chiusa l'erogazione dell'acqua e il liquido colorato ha quindi cessato di fluire dalle rocce sotto il Mosè."

Insomma, nella Nazioni dalle radici classiche e cristiane vi sono dei giornalisti, cioè dei laureati, cioè persone che dovrebbero essere mediamente colte, il cui lavoro è proprio quello di raccontare i fatti che però fanno delle indebite commistioni tra sacro e profano (e non solo quando riportano il verbo del Pontefice!) e che pertanto ci vengono a raccontare che quel personaggio barbuto dentro il nicchione centrale, della settecentesca fontana disegnata da Nicola Salvi, che stà assiso sopra un cocchio a forma di conchiglia trainato da due animali mitologici mezzi cavalli e mezzi pesci cioè "cavalli marini" (allegoria di quelli che comunemente si chiamano "cavalloni") a loro volta condotti da altri due personaggi mezzi uomini e mezzi pesci ovvero i mitologici Tritoni, ebbene quegli non sarebbe altri che il biblico Mosè!

Sarà stata forse la vasca tinta di tosso che ai giornalisti avrà fatto involontariamente pensare alle bibliche piaghe d'Egitto e alle acque del Nilo trasformate in sangue da Mosè per punire il Faraone che non voleva liberare gli ebrei dalla schiavitù. Oppure - e tremo solo al pensarci!- avranno pensato a Mosè che divide le acque del Mar "Rosso"?
Cotanto sfoggio di "scienza biblica" appare desolatamente del tutto fuori luogo!

le quote porpora /8

Ovvero: Oh Romeo, Romeo!
Perchè NON sei tu Romeo?

Anche al "profano" non è difficile prevedere i tempi opportuni alla convocazione di un Concistoro per la creazione di nuovi cardinali.

Paolo VI decretò -Motu proprio- che al compimento dell'ottantesimo anno di età i cardinali perdano il diritto di entrare in Conclave così come poi fissò a 120 il numero massimo dei cardinali elettori (tali norme furono confermate da Giovanni Paolo II nella Costituzione Apostolica "Universi dominici gregis") ragion per cui da un rapido calcolo dell'età anagrafica dei cardinali è tranquillamente ipotizzabile quando il Sommo Pontefice possa convenientemente procedere ad una "nuova infornata".
Solitamente le "creazioni" si rendono opportune quando i posti vacanti hanno superato la decina poichè si possa onorare della porpora degli ecclesiastici provenienti da tutto l'orbe cattolico al fine di visibilmente concretare e significare la sollecitudine del "Pastore Universale" verso i cattolici dei cinque continenti. E poiché al compimento degli ottant'anni del Cardinal Decano Angelo Sodano, in data 23 novembre 2007, il numero dei cardinali elettori sarebbe sceso a 103 era ben prevedibile al volgere dell'anno (o al più tardi nel febbraio 2008) il secondo Concistoro di Benedetto XVI.
Perciò ampiamente annunciato dai vaticanisti ecco che, senza cogliere di sorpresa proprio nessuno, il sedici volte Benedetto al termine dell'udienza generale di mercoledì 17 ottobre 2007 ha avuto la "ccioia" di annunciare la lista dei novelli eminentissimi prelati che il 24 novembre seguente -primi vespri della Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo- avrebbero ricevuto la berretta rossa.

Così come è umanamente possibile col solo uso del "lume razionale" (e senza pertanto il bisogno di una divina rivelazione) prevedere orientativamente le date di un Concistoro è altrettanto possibile stilare la lista dei "papabili" alla porpora. Innanzitutto per diventare cardinali bisogna essere cattolici -e questo dovrebbe aiuta di molto a restringere il campo d'indagine- poi (nonostante quel che ne possa dire qualche gesuita)bisognerebbe essere di sesso maschile ed aver ricevuto il sacramento dell'Ordine.
Ma poichè per consuetudine i Romani Pontefici si degnano di concedere la porpora ai capi degli organismi della burocrazia vaticana nonchè ai prelati di un centinaio di città al mondo che -per una antica o recente tradizione- solitamente sono anche cardinali, ecco che basta fare un raffronto tra il numero di posti liberi nel sacro collegio ed il numero di prelati cui per consuetudine dovrebbe spettare la nomina cardinalizia.

Per la sempre maggior volontà pontificia di rendere il Sacro Collegio espressione dell'episcopato mondiale; ed inoltre poichè i cardinali al compimento dei settantacinque anni, come tutti gli alti gerarchi, debbono presentare le dimissioni dal loro ufficio pastorale; il numero dei legittimi pretendenti risulta essere sempre maggiore dei posti disponibili! Accade, pertanto, che l'orrida schiatta dei vaticanisti dopo aver annunciato urbi et orbi l'ufficiosa lista dei possibili neo-porporati, quando invece si trova di fronte all'elenco ufficiale ecco che trasecola, e si angustia, e non si perita di estrinsecare all'universo mondo tutte le proprie ambascie per non esser riusciti infallibilmente a scrutare nella mente del Santo Padre!

Si danno come "quasi" certe le promozioni al cardinalato del tal monsignore e poi, quando invece quel monsignore non risulta essere stato "creato" ecco che si alza il polverone delle possibili segrete motivazioni per cui il Papa abbia voluto così platealmente punire il prelato col rifiutargli la promozione!
A seguito della seconda "infornata" di Benedetto XVI, oggetto principe dei pettegolezzi da cortile (di San Damaso) dei vaticanisti è stata proprio la (clamorosa?) mancata porpora per il neo Arcivescovo di Palermo Paolo Romeo.
Si è detto che il Papa nutre acredine verso monsignor Romeo perchè quando era Nunzio Apostolico in Italia promosse un sondaggio tra i vescovi per designare il successore di Ruini a guida della conferenza episcopale (e le preferenze dei vescovi italiani non andavano certo a Bagnasco!).
Poichè il Nunzio Romeo agì sotto le espresse direttive dell'allora Segretario di Stato Sodano sarebbe ben più logico che Papa Ratzinger imputasse lo sgarbo più al mandante che all'esecutore. E poi se realmente Benedetto XVI avesse voluto "punire" monsignor Romeo lo avrebbe potuto mandare a fare il Nunzio in Iraq o in qualche altro luogo del pianeta poco confortevole ( vedasi il caso di Monsignor Fitzgerald presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso sbattuto da Benedetto XVI a fare il Nunzio Apostolico in Egitto ad imitazione di Paolo VI che spedì Bugnini a Teheran)!

L'altro criterio assai in voga per spiegare la promozione o la non promozione al cardinalato parrebbe essere la disponibilità o meno dei prelati nell'applicazione del motu proprio "Summorum Pontificum" che liberalizza il (cosiddetto) messale pre-conciliare.
Monsignor Romeo nella settembrina riunione della Conferenza epicopale italiana si sarebbe schierato con quei vescovi che volevano mettere dei paletti alla liberazione della messa di San Pio V , provocando perciò il disgusto del piissimo Papa Benedetto.
Ma se l'accettazione "perinde ac cadaver" o meno del motu proprio "Summorum Pontificum" fosse veramente il discrimine con cui il sedici volte Benedetto ha decretato le diciotto creazioni cardinalizie non si spiegherebbero affatto l'elevazione alla porpora del "refrattario" arcivescovo di Parigi!
In una così rozza cornice "neo-integrista" la clemente e pia visione ecclesiale di Benedetto XVI appare davvero mortificata!

E' evidente che gli italiani in questo concistoro novembrino sono già troppi: 4 su un totale di 18! Ed anche se Benedetto XVI ha derogato di una unità al limite stabilito, sarebbe stata sicuramente spiacevole la percezione che si fosse derogato al solo fine di aumentare il club dei cardinali italiani! E nonostante che l'italiano Romeo non sia stato "creato" nulla vieta di pensare che la deroga sia stata già di per se stesso motivata dalla necessità di creare un ulteriore quarto neo cardinale italiano!
Romeo (probabilmente) sarà cardinale nel terzo concistoro benedettino e non è il primo caso in cui un monsignore cui spettava la berretta abbia dovuto saltare un turno: esempio ne è il neo cardinale Angelo Comastri che essendo già Arciprete della Basilica Vaticana all'epoca del concistoro del 2006 avrebbe dovuto già allora diventare cardinale poichè la carica di Arciprete di San Pietro è una carica cardinalizia.

Si potrebbe obbiettare che questa è la primissima volta in cui l'arcivescovo di una delle città italiane tradizionalmente sedi cardinalizie (Torino, Genova, Milano, Venezia, Bologna; Firenze, Napoli, Palermo) non viene elevato al cardinalato nel primo concistoro utile celebrato subito dopo la nomina del neo-arcivescovo!
Io risponderei che se noi andassimo a dare un'occhiata a quelle diocesi italiane che nell'Ottocento erano ritenute "tradizionalmente" sedi cardinalizie vi troveremmo città del calibro di : Montefiascone, Viterbo, Orvieto, Perugia, Ancona, Senigallia, Macerata, Forlì, Imola, Ravenna, Benevento, e tante altre italiche "metropoli" del tempo!

Palermo nei secoli ebbe il rango di capitale. Il Cardinale Arcivescovo di Palermo non solo era a capo della "conferenza episcopale" di una Regione del sud dell'Italia ma era il Primate di un vero e proprio "Regno" con propria storia, tradizione e lingua!
E se nei secoli andati il proliferare delle porpore sul suolo italico era giustificato dal fatto che il papa era "un prete italiano vestito di bianco" come lo disse Bismarck, Papa Benedetto, che di Bismarck è connazionale, si trova a pontificare nel XXI secolo sopra ad un cattolicesimo veramente globalizzato!
Ecco perciò che attorno al Papa di Roma quel ruolo preminente che prima svolgeva la Chiesa italiana dev'essere per forza di cose di molto ridimensionato ed inglobato armonicamente nel più generale beakground spirituale e culturale del cattolicesimo della "vecchia" Europa: non è forse questo il paradigma ideale che stà alla base della scelta di Papa Ratzinger di rifarsi idealmente al santo fondatore di quel monachesimo che cristianizzò l'Europa intera?
Si tenga presente che il neo porporato Angelo Bagnasco non è solo uno dei tanti cardinali residenziali d'Italia ma è soprattutto il Presidente (e perciò il rappresentante in Italia e all'estero) dell'episcopato italiano!

In questo nuovo dinamismo intelletuale e spirituale che Benedetto XVI auspica per il cattolicesimo del terzo millenio quale ruolo peculiare di preminenza universale può mai avere il cattolicesimo siculo?

La cattolica Sicilia non può certo vantare la piaga del malaffare malavitoso quale scusa per pretendere che debba essere proprio un Eminentissimo Principe della Chiesa Romana a dover stendere il proprio manto purpureo quale propriziatrice cura dei cronici mali della Sicilia stessa (quasi che invece lo sfoggio del solo viola prelatizio possa significare un vulnus all'azione evangelizzatrice e moralizzatrice dell'intera Chiesa siciliana)!

Se la vocazione precipua di un "Cardinale di Palermo" dev'essere quella di significare, in seno al supremo senato del cattolicesimo mondiale, le grida di dolore delle genti afflitte dalla disoccupazione, dalla corruzione e dalla criminalità organizzata, una tale vocazione - purtroppo!- potrebbe tranquillamente trovare tanti legittimi rappresentanti ne vescovi di tante disgraziate realtà del Mezzoggiorno (ad esempio: Catanzaro, Crotone, Bari) e principalmente nell'Arcivescovo di Napoli.
Sarà bene convenire che nel senato della Chiesa del XXI secolo a rappresentare il "Regno delle due Sicilie" un solo Cardinale basti e avanzi.

giovedì, ottobre 18, 2007

Santa Palazia [2]

Ovvero: successor del maggior Piero



"I tre Marini stanno lavorando in questi giorni di buona lena nei loro rispettivi uffici in Vaticano.

Marini I, ovvero l’ex cerimoniere papale monsignor Piero, ha da poco battezzato in grande stile il suo arrivo alla guida dei congressi eucaristici internazionali. A tagliare il nastro il giorno del suo ingresso nel pur piccolo e modesto ufficio c’era (misteri d’oltre Tevere) niente meno che il segretario di Stato Tarcisio Bertone. Una grande “intronizzazione”, dunque, nonostante il nuovo incarico non sia, almeno sulla carta, così impegnativo.
La lettera di Marini I

E sì che Marini I aveva già battezzato a dovere il suo nuovo compito: con una iniziativa inedita - e cioè con una lettera spedita via posta interna ai superiori maggiori dei dicasteri della curia romana - egli aveva enucleato tutti i successi raggiunti in questi venti anni di guida delle cerimonie papali, venti anni di strenuo difensore, in campo liturgico, della fedeltà allo “Spirito” del Vaticano II.
Marini II il successore
Da Marini I a Marini II il passo è immediato. Entrambi, infatti, ovvero monsignor Piero e il suo successore alla guida delle cerimonie papali, e cioè il genovese monsignor Guido, si incontreranno domenica prossima per un televisivo passaggio di consegne.
Entrambi saranno accanto al Papa (come una comparsa tra i due) in occasione della celebrazione eucaristica che egli terrà in piazza del Plebiscito a Napoli. Due cerimonieri, dunque, per un solo Pontefice.[...]
I graffi di Marini III
È in questi giorni, inoltre, che Marini III, ovvero monsignor Mario, segretario aggiunto della pontificia commissione Ecclesia Dei, sta raccogliendo dalle diocesi del mondo tutte le lettere di protesta di fedeli e sacerdoti in merito alla mancata applicazione del Motu Proprio Summorum Pontificum."

[epitome dell'articolo "Trinum non semper perfectum est" del vaticanista Paolo Rodari]

mercoledì, ottobre 17, 2007

Sacra Conversazione /12

Sive:“Sic respondes Pontifici?” (Jo. XVIII, 22)


136 autorità islamiche nell'anniversario della "Lectio Ratisbonensis" ed in concomitanza con la fine del Ramadan hanno inviato una lettera aperta a tutti i capi della cristianità dal Papa di Roma in giù evidenziando la fattibilità di un incontro fraterno e rispettoso tra cristiani e maomettani che si incardini sui due evangelici "Comandamenti dell'Amore": amare Dio sopra ogni cosa ed amare il prossimo come se stessi.

Il padre gesuita egiziano Samir Khalil Samir (massimo studioso cattolico di islam)intervistando al riguardo -dal "clerical chic" Foglio di martedì 16 ottobre 2007- ha elecato i motivi di per cui rallegrarsi per le dichiarazioni dei leaders maomettani poichè essi: "citano il Corano ma anche il Vangelo e l’Antico Testamento. E’ un riconoscere, non dichiarato ma implicito, del Nuovo Testamento come documento di rivelazione. Tutto è impiantato sull’amore per Dio e il prossimo.
La terminologia usata è cristiana, non musulmana, come un voler fare passi autentici verso il dialogo fra le fedi. Tutto il discorso è spirituale e permette un dialogo tra gli uomini più sereno dei testi precedenti.
La conclusione cita il versetto 5,48 del Corano, ‘se Dio avesse voluto avrebbe fatto di voi una sola comunità’, sanziona la diversità anche a livello religioso”
.

Epperò Padre Samir non può non sottolineare che:
“Restano fuori i problemi conflittuali, la violenza nell’islam, a causa di un residuo di quel tipico miscuglio fra politica e religione.
I saggi parlano di cristiani che non devono aggredire l’islam. Intendono gli Stati Uniti e le nazioni occidentali. Dobbiamo distinguere sempre fra stati e persone.
Hanno scelto brani positivi del Corano e della Bibbia. E’ bello ma ambiguo, un altro gruppo di studiosi potrebbe scegliere versetti che vanno in senso opposto”.

L'esperto non può fare a meno di sottolineare che il testo per quanto apprezzabile espressione di una volontà generale di personalità islamiche non rappresenta però un documento ufficiale della religione islamica:
“Il testo non ha autorità giuridica, ma morale perché rappresentativo di vari paesi e di tendenze sunnite, sciite e sufi. Ha un valore etico ma non dogmatico. Da questo documento i gruppi radicali terroristi non saranno mai toccati. Ma può aiutare gente di buona volontà ad avere una visione più aperta e più pacifica. Si tratterà di diffonderlo nel mondo islamico e non di farne solo un testo per l’esportazione verso il mondo occidentale. Del testo non hanno fatto versioni persiane, urdu e turche, le lingue dell’islam. E’ pensato per l’occidente supposto essere cristiano”.
E evidente che: "Chi ha scritto il testo non è militante, sono musulmani che sanno di dover trovare un accordo preservando le affermazioni islamiche positive.
I musulmani in Europa non scendono però per strada contro il terrorismo, dicono sempre ‘questo non è il vero islam’, non agiscono. L’effetto della lettera è dunque buono ma ridotto e lento”.



Nel medesimo Foglio Carlo Panella così esprimeva, in modo assai meno devoto, le proprie perplessità:
"E’ un falso ideologico, il dialogo passa dall’abrogazione dei versetti contro ebrei e cristiani"
"L’appello dei 138 musulmani ai cristiani non può non imbarazzare chi lo riceve. Al di là delle evidenti buone intenzioni, costituisce infatti un esempio scoraggiante di falso ideologico (per non usare un termine offensivo).
Innanzitutto, si apre con una inammissibile, discriminatoria esclusione degli ebrei quali destinatari dell’appello.
Un vulnus clamoroso, evidente, irritante.
Nella tradizione coranica i “popoli del Libro” o “popoli della scrittura” sono tre: prima gli ebrei, poi i cristiani, infine i musulmani.
E’ un unicum inscindibile nello schema coranico, come è inscindibile lo schema della Rivelazione, che considera appunto il profeta Maometto il sigillo dei profeti dell’ebraismo e del cristianesimo. Ma c’è una ragione, irriferibile, poco degna, molto opportunistica, per cui l’appello non si rivolge anche agli ebrei, come avrebbe dovuto: l’antigiudaismo che sfocia nell’antisemitismo che caratterizza tutto l’islam contemporaneo e che è anche all’origine del rifiuto araboislamico di Israele (e non viceversa).
Pure, in tutto il lungo documento, molteplici sono i riferimenti e le citazioni della Bibbia, a riprova, secondo gli estensori, dell’unicità di due momenti centrali: adorazione del Dio unico e amore per il prossimo.
Ma questi dotti musulmani non si appellano con parole di pace agli ebrei, non intendono rivolgere neanche la parola, oggi, agli ebrei, pretendono – e questa affermazione ha dello sbalorditivo, tanto è intrisa di egemonismo – che “il futuro del mondo dipenda dalla pace tra cristiani e musulmani”.
Una pace che non spiegano da chi sia infranta, da cui escludono la pace teologica e quindi storica tra musulmani e ebrei.

Si rivolgono dunque solo ai cristiani e lo fanno, peraltro, con una manipolazione sfrontata del testo coranico.
Si rimane attoniti, se solo si sia letto il Corano, dalla disinvoltura con cui gli estensori estrapolano versetti, omettendo di citare i precedenti e i successivi. Un vizio questo tipico della cultura islamica contemporanea, tanto avulsa dal dibattito teologico, dall’esegesi dei testi, quanto prigioniera di un universo citazionistico sterile, per di più ampiamente manipolato, oltre i limiti del rispetto dell’intelligenza dell’interlocutore (Tariq Ramadan non è il solo maestro della dissimulazione più sfrontata).

Valga per tutti l’esempio clamoroso di manipolazione del testo operato con la citazione dei soli versetti 113, 114 e 115, della terza sura, a riprova della affermazione centrale di questo documento, riportata con rilievo da tutti i media in questi giorni: “Come musulmani noi diciamo ai Cristiani che non siamo contro di loro e che l’islam non è contro di loro, a meno che non intraprendano la guerra contro i musulmani a causa della loro religione, li opprimano e li privino delle loro case”. I tre versetti citati lasciano intendere effettivamente una rivelazione coranica impregnata di ecumenismo: “Non sono tutti uguali. Tra la gente della Scrittura c’è una comunità che recita i segni di Allah durante la notte e si prosterna (...) Credono in Allah e nell’Ultimo Giorno, raccomandano le buone consuetudini e proibiscono ciò che è riprovevole e gareggiano in opere di bene. Questi sono i devoti (...) Tutto il bene che fanno non sarà loro disconosciuto, poiché Allah riconosce perfettamente i devoti”.

Ma il punto è che essi sono preceduti da tre versetti e seguiti da altri tre, in un tutto unico e inscindibile, che incitano all’avvilimento della gente della Scrittura “grazie a una corda d’Allah o a una corda d’uomo”, a prescindere assolutamente dal fatto che cristiani ed ebrei portino o meno guerra ai musulmani. Versetti chiarissimi: [...] O voi che credete, non sceglietevi confidenti al di fuori dei vostri, farebbero di tutto per farvi perdere. Desidererebbero la vostra rovina; l’odio esce dalle loro bocche, ma quel che i loro petti celano è ancora peggio. Ecco che vi manifestiamo i segni, se potete comprenderli (sura III, 116-118)”.

Il significato profondamente settario del messaggio non è equivocabile tanto che viene compendiato da Maometto, nel versetto 29 della nona sura: “Combattete coloro che non credono in Allah e nell’Ultimo Giorno, che non vietano quello che Allah e il Suo Messaggero hanno vietato, e quelli, tra la gente della Scrittura, che non scelgono la religione della verità, finché non versino umilmente il tributo, e siano soggiogati”.
Questo versetto è storicamente fondamentale, come sa chiunque abbia un minimo di conoscenza dell’islam. E’ infatti alla base del jihad (il “piccolo jihad” naturalmente) che storicamente i musulmani hanno sempre condotto, assieme al Profeta e poi per secoli dopo la sua morte, contro ebrei e cristiani.

Si potrebbe continuare a lungo nel rilevare le intollerabili omissioni che gli estensori dell’appello hanno operato nel loro testo.
La manipolazione è semplice, quanto evidente: si sottolineano i punti teologici di unitarietà, la comune ascendenza abramitica (inesistente, perché il Corano nega
espressamente che egli fosse “ ebreo o cristiano”), per non affrontare, per non mettere in discussione i dogmi islamici che rendono impossibile nei fatti il dialogo perché nelle società musulmane buona parte degli stessi firmatari conculca la libertà religiosa delle altre fedi.

Come è possibile scrivere un appello del genere senza minimamente prendere posizione sulla libertà di pensiero e di religione nell’islam, oggi?
Come è possibile che questo appello sia firmato da teologi di università saudite che impediscono con la violenza non solo di fondare chiese, ma che addirittura incarcerano i cristiani che esercitano la loro fede nel regno, o da ayatollah iraniani che non si sono mai espressi contro la persecuzione sanguinaria a cui sono sottoposti i Bahi nel loro paese?
Come è possibile che un documento come questo non prenda atto delle ribadite fatwe di tutti i più eminenti ulema dell’autorevolissima (e “moderata”) università coranica di al Azhar? Lì è stabilito che il musulmano il quale “dia pubblico scandalo” della sua conversione al cristianesimo deve essere condannato a morte dalla giustizia secolare.
E infine, sul piano teologico, come è possibile che gli estensori giochino con le parole e fingano che vi sia condivisione cristiana della definizione islamica di Dio “che non ha associati”?

Al di là della complessa definizione della Trinità, che può non essere contraria a questa definizione, tutti sanno che il culto dei Santi e della stessa Maria, nel cristianesimo vìola appieno questa rigida disposizione islamica. Nel cristianesimo Dio, Allah, ha appunto degli “associati”, degni di devozione e di culto e questo definisce appunto il shirk, il più grave e intollerabile peccato per l’islam. Proprio questa “associazione” è stata la base della ripulsa del cristianesimo come idolatra da parte di Ibn Taymiya, ed è la ragione della virulenza anticristiana di cui è intriso il wahabismo-salafismo non solo di al Qaida, ma anche dell’intollerante regno saudita.

Se gli estensori di questo appello hanno estrapolato solo le citazioni ecumeniche del Corano e hanno volutamente tralasciato quelle palesemente e incontestabilmente settarie, perché ritengono queste inefficaci, avrebbero una strada e una strada sola da percorrere dentro il mondo musulmano.
[...]
Questo fece invece uno straordinario teologo musulmano, che rispose con entusiasmo al dialogo interreligioso proposto dal Concilio Vaticano II, e che propose di esaltare il messaggio islamico delle sure “meccane”, le prime, quelle impregnate con evidenza dalla Rivelazione.
Di conseguenza, le sure medinensi (quasi tutte quelle settarie da noi qui citate sono medinensi), così evidentemente influenzate dall’esperienza storica e politica del Profeta, così ispirate dalle logiche della guerra e della spada, così umane (incluso lo sgozzamento dei 650 ebrei Banu Quraizah, inclusa la punizione degli ebrei trasformati in “porci e scimmie” da Allah), dovevano essere considerate per quel che erano e non veicolo di Rivelazione. Uno schema teologico eccellente, l’unico che apre ad una possibilità di dialogo interreligioso e che permette all’islam di percorrere quella strada dell’interpretazione e dell’esegesi che ha permesso all’ebraismo di superare le dure e oggi intollerabili prescrizioni del Levitico.
[...]
Quel teologo, Muhammed Taha, che molti considerano un vero e proprio Martin Lutero dell’islam contemporaneo, è stato impiccato a Khartum il 19 gennaio del 1985, quale apostata.
Sarebbe interessante sottoporre ai firmatari di quest’appello il quesito sulla correttezza o meno di quella condanna a morte."




Ancor più amaramente ironica -sul Foglio di mercoledì 17 ottobre- la disamina che della lettera sei 138 fà "l'orrido" Camillo Langone: "vedo che qualcuno ha preso sul serio la missiva. Quindi tocca parlarne.

Comincio dalla fine cioè dalle firme. Il fatto che siano 138 è la prova della debolezza del documento. E’ il tentativo di surrogare l’autorità col numero. Molti firmatari sono professori universitari, categoria sovrabbondante abituata a firmare appelli in ogni parte del globo su qualsivoglia argomento. Per fare massa vengono reclutati perfino degli “assistant professor” [...] Ma in fondo alla Lettera Aperta non ci sono soltanto accademici ininfluenti, ci sono anche guide religiose che almeno a livello locale dovrebbero guidare per davvero.

Il sultano di Sokoto, ad esempio, ovvero il capo spirituale dei musulmani nigeriani. Spirituale in senso maomettano, ovvio, visto che Saadu Abubakar ha fatto una bella carriera militare ed è diventato colonnello non certo grazie agli appelli pacifisti. Nei giorni scorsi, proprio mentre firmava la lettera in cui si inneggia all’amore fra i popoli accomunati dalla fede in Dio, nella sua Nigeria del nord nove cristiani sono stati uccisi (alcuni orrendamente mutilati), un sacerdote cattolico è stato ferito, chiese, scuole e negozi cristiani sono stati assaltati. La situazione è così tragica che le autorità civili stanno trasferendo (o deportando?) i cristiani in zone più sicure.
Quindi avevo ragione io: la lettera firmata dal sultano non era indirizzata al Papa bensì a quei connazionali che si ostinano a leggere non solo i versetti coranici amorosi (enfatizzati nel documento) ma anche e soprattutto i versetti bellicosi (accuratamente ignorati dallo stesso).

Un altro personaggio che ha problemi nella gestione dell’indirizzario è il rettore dell’università Al Azhar del Cairo. Sto parlando dello sceicco Al Tayeb.
Ci sarà pure un bidello, nel principale centro di insegnamento religioso dell’islam sunnita. Bastava che Al Tayeb gli dicesse di andare a chiamare la professoressa Soad Saleh, colei che, dovendo dare un parere giuridico sulla conversione di un musulmano egiziano al cristianesimo, ha risposto in punta di sharia: “Chi rinuncia all’islam è un apostata e merita di essere ucciso”.
Insomma, prima di spedire lettere in giro vedete di mettervi d’accordo fra di voi.
Potrei smontare le firme se non proprio una per una, nazione per nazione.
Ai firmatari sauditi vorrei mostrare l’inutilità di spiegare il Vangelo al Papa: sarebbe molto più utile sottoporre il Nuovo Testamento a re Abdullah, magari la pianterebbe di far lapidare le adultere."


Ma nonostante tutte le giuste critiche possibili, i cristiani però debbono ricordarsi di quel Gesù che ha comandato di amare il prossimo (come ora i leader mussulmani "amano" ricordare: "spiegare il Vangelo al Papa" dice "l'orrido" Langone!) e perciò debbono accogliere benevolmente le dichiarazioni di buone intenzioni (pur rammentando che la strada dell'Inferno ne è lastricata).
Gesù insegnò che bisogna rispondere mitemente a coloro che cercano di intavolare un "dialogo religioso" : "Se ho parlato male, mostrami dov'è l'errore, ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?".

Fu lo stesso Signore Gesù Cristo a dire: "Chi non è contro di noi è per noi". Pertanto appare sommamente opportuna la frase di San Eusebio di Vercelli con cui il sedici volte Benedetto (proprio il 17 ottobre 2007) ha concluso la catechesi del mercoledì :
"Mi rivolgo a tutti voi, miei fratelli e sante sorelle, figli e figlie, fedeli dei due sessi e di ogni età, perché vogliate... portare il nostro saluto anche a quelli che sono fuori dalla Chiesa, e che si degnano di nutrire per noi sentimenti d’amore" .

martedì, ottobre 16, 2007

SANTA PALAZIA


Ecco perché a Ravasi il Papa chiederà molto più di un “Consiglio”

Ovvero: da un articolo a firma di Maurizio Crippa sul divoto Foglio di sabato 6 ottobre 2007 intorno all'avvento di Monsignor Gianfranco Ravasi a Presidente del "Pontificio Consiglio della Cultura"


"Arriverà il 15 ottobre, nella nuova sede del Pontificio Consiglio della Cultura appena inaugurata all’inizio di via della Conciliazione, nel traffico di Roma che si infila nel cuore pulsante del Vaticano, infinitamente lontano dai ritmi sonnacchiosi della vecchia sede di piazza di San Callisto.

La sfida è grande, anche se in fondo si riconduce sempre a una frase che ama, quella della Lettera di San Pietro che sintetizza per la prima volta, e una volta per tutte, il senso della parola “cultura” per i cristiani: “Sappiate rispondere a chiunque domandi ragione della speranza che è in noi, con dolcezza, rispetto, retta coscienza” (I Pt., 3, 15-16). Ma la sfida resta grande lo stesso, di fronte al ritorno in armi dell’ateismo fideista e ideologizzato – sia nelle versioni pop dei Ken Follett sia in quelle sublimi e speculative del neoscientismo – che si propone come alternativa secca a ogni “dialogo di verità”, come invece piace a Benedetto XVI.

Cosa può succedere, adesso che un dotto biblista come Gianfranco Ravasi, un intellettuale enciclopedico dalla memoria prodigiosa, un conferenziere smagato con i mezzi della grande comunicazione, un organizzatore culturale che ha retto per anni, tirandola a lucido, la Biblioteca Ambrosiana di Milano, è stato scelto da Benedetto XVI per guidare quello che era un dicastero vaticano di seconda linea, e che potrebbe trasformarsi nel potente “ministero della Cultura” della Santa Sede?

Bisogna partire da un po’ più lontano. Da Parigi. Più precisamente dal discorso all’Unesco che Giovanni Paolo II tenne nel 1980, un intervento che ha segnato una svolta profonda nel rapporto tra la chiesa e il “fratello ateo, nobilmente pensoso”, per dirla con un verso di David Maria Turoldo assai caro al nuovo vescovo monsignor Ravasi.
In quel discorso, Giovanni Paolo II affermò che “l’uomo vive di una vita veramente umana grazie alla cultura”. Disse che se la chiesa aveva un posto di diritto in un’organizzazione umana come quella, non è per caso, o pro-forma, ma in ragione del “legame organico e costitutivo che esiste fra la religione in generale e il cristianesimo in particolare da una parte, e la cultura dall’altra”.
Senza mediazioni, senza timori reverenziali, Wojtyla indicava la cultura come il terreno “intrinseco”, il livello dell’umana ricerca che necessariamente non può escludere Dio. Non che l’idea fosse inedita, ma l’aggiustamento era anche storicamente importante.
Il Papa polacco raccoglieva l’eredità di Paolo VI e del Concilio. Dall’ecclesiologia a cerchi concentrici del Vaticano II erano nati nei decenni precendenti tre decisivi segretariati: quello per i cristiani separati, quello per i non cristiani, quello per i non credenti.
[...]
Giovanni Paolo II aveva creato, nel 1982, il Pontificio Consiglio per la Cultura. E fu più tardi una sua intuizione, con il Motu proprio Inde a Pontificatus del 1993, quella di fondere il Pontificio Consiglio per la Cultura con il Pontificio Consiglio per il Dialogo con i non credenti, che Montini aveva fondato nel 1965, e di formare un unico organismo, l’attuale Pontificio Consiglio della Cultura.
La cultura diventava dunque il terreno privilegiato del dialogo con chi non crede, con il “nobile fratello ateo”.

Fin qui l’intuizione, che consentì al Papa polacco quelle sue giocate d’anticipo sulla storia, quelle sue grandi aperture sulla scienza o la storia che contribuirono a spezzare il cerchio allora soffocante dell’ideologia atea (marxismo e non solo) e di rimettere nello scorcio del secolo il tema di Dio al centro del dibattito culturale.

[...]

Al grande solco tracciato venticinque anni prima all’Unesco dal suo predecessore, Benedetto XVI ha aggiunto due altre linee, in due direzioni precise.
Una è quella del discorso di Ratisbona, nel suo delineare un modo di intendere il rapporto tra la ragione e la fede, laicamente, senza paura, fino all’invito a prendere sul serio l’illuminismo: un’apertura paragonabile a quella che il primo cristianesimo ebbe per la cultura ellenistica, nel nome di un Logos comune a tutti. Poi, quasi come un’esemplificazione, anzi forse una personale testimonianza, il Papa ha affrontato il dialogo con Jürgen Habermas, filosofo laico.

In agenda: dal relativismo e dal suo esito nichilista fino allo scientismo che si pretende unica misura del mondo e del conoscere.
Fede, ragione e libertà sono i punti su cui ruota la battaglia culturale di Ratzinger al mondo contemporaneo.
* * *

Quale compiti svolge il ministero della Cultura del Papa?

Il profilo ufficiale del Consiglio ne elenca ben dodici, dal “promuovere l’incontro tra il messaggio salvifico del Vangelo e le culture del nostro tempo” al “dialogare con le conferenze episcopali”, i terminali locali della chiesa universale, dallo “stabilire il dialogo con coloro che non credono in Dio” ad “accogliere a Roma i rappresentanti della cultura”.
Sottotraccia, il suo compito è di essere docile interprete del pensiero della chiesa e del Papa.
Nei corridoi vaticani si mormora che non c’era molta soddisfazione per come il Consiglio ha operato fino ad oggi.

Forse anche a causa di una struttura esigua: con il presidente Poupard hanno lavorato una quindicina di persone [...]
Ma molti indizi lasciano intendere che cercasse anche una personalità dinamica, estranea a ritmi e meccanismi della curia, di lucido impianto mentale e dottrinale, che avesse in portafoglio pure una buona conoscenza del mondo dei media. Di certo, alcuni giudizi vagamente irridenti che hanno accompagnato la nomina di Ravasi, come quello di essere “una replica del cardinal Tonini”, un forte conversatore televisivo insomma, e poco più, oltre a essere dettati da (comprensibile) invidia curiale, hanno forse costituito agli occhi del Papa altrettanti motivi di validità.
* * *


[...] Ravasi vanta qualche somiglianza con Ratzinger, come quella di essere raffinato intellettuale. Ma è anche un bibliofilo che trasporterà a Roma qualche migliaio dei suoi volumi, mentre gli altri quindicimila o più rimarranno a Milano o depositati nella casa dei genitori, in Brianza.

Lombardo di Merate, nato nel 1942, seminarista solo dopo il ginnasio – anche se ad Andrea Tornielli del Giornale ha raccontato di essere stato colpito dal problema della Trascendenza a soli quattro anni, sentendosentendo in lontananza il fischio di un treno – è dotato di straordinaria memoria, dorme poche ore per notte e scrive i suoi dotti testi a mano, con una calligrafia ordinata che di solito non richiede successive correzioni.

Ottimo biblista, anche se suscita una certa invidia nei colleghi accademici, che storcono il naso davanti al suo talento di divulgatore, Ravasi è innanzitutto un sacerdote ambrosiano, che però non è mai stato parte dell’entourage martiniano e ha viceversa estimatori tra teologi esigenti come Inos Biffi per il suo solido profilo dottrinale, che non dev’essere mai dispiaciuto nemmeno a Ratzinger.

Per dieci anni, a partire dal 1985, è stato membro della Commissione teologica internazionale e ha lavorato col prefetto della Dottrina della fede, che nel 2002, a Milano, volle proprio Ravasi a presentare un suo importante libro sulla liturgia.

E’ stato prefetto della Biblioteca Ambrosiana – da cui Benedetto XVI ha chiamato anche Cesare Pasini come nuovo prefetto della Biblioteca Vaticana, l’altra grande istituzione culturale della cristianità – la stessa che ha dato alla chiesa anche un Papa umanista come Achille Ratti. C’è indubbiamente un’idea della cultura anche come patrimonio di tradizione, di bellezza da valorizzare, nella sua chiamata a Roma.
All’Ambrosiana ha svolto un lavoro eccellente anche sotto il profilo organizzativo, mescolando capacità di manager a un’intensa, per certi versi sbalorditiva, attività pubblicistica e di conferenziere. Non un conservatore, anzi una personalità con fama di apertura e attitudine al dialogo ampiamente riconosciuta nel mondo laico.

Ravasi è senza dubbio uno che comunica, aggiornato e con un tocco soavemente mondano; ma nemmeno disdegna la bacchettatura garbata e la polemica. Ma lo fa “apprezzando” i Dan Brown, i Follett, e sapendosi muovere, raro per un sacerdote, negli arcana della pop culture.
E’ anche uno che dice: “E’ ovvio che l’evoluzionismo esiste, non si possono ignorare i risultati della scienza”. Ma parla pure dei limiti ottocenteschi della scienza attuale, e usa circonvoluzioni come “ambiti molto più complessi, mutevoli e multiformi”, che mandano in visibilio l’interlocutore laico.

Secondo molti, comunque, è l’uomo che può essere adatto in questo momento difficile ma “propizio” del rapporto tra la chiesa e il mondo. Oggi che è soprattutto il mondo laico a mancare di maestri (il rottweiler Dawkins? l’ateista Odifreddi?). Ravasi è fra quelli che avvertono l’urgenza di non tacere di fronte a questa temperie ateista. Anche se non è uno che picchia duro: “Purtroppo oggi ci troviamo di fronte a una certa cultura laica che analizza il fenomeno cristiano con la categoria dello sberleffo”, ha detto in una recente intervista.
“Non ci si confronta più, viviamo in una specie di deserto. Il cristianesimo ha sempre bisogno di essere inculturato, di essere espressivo, di comunicarsi. E anche di confrontarsi con la cultura contemporanea, senza timori o subalternità. Il pensiero cristiano è straordinario: basta citare il concetto di persona e di libertà e paragonarlo al concetto di uomo di altre culture e religioni per rendersene conto”.
* * *

Cosa farà Ravasi?
Sono in molti a scommettere che, dopo un periodo di assestamento non brevissimo, ma normale per i ritmi dei Sacri Palazzi, metterà mano alla macchina ministeriale, dandole nuovo impulso. Si è sbilanciato pure a parlare di Internet e di blog.
[...]
“Cosa vuol dire fare cultura al servizio della chiesa?”, gli ha chiesto il vaticanista Aldo Maria Valli.
Risposta: “Da un lato riscoprire la molteplicità che sta al di fuori della chiesa cercando di stabilire un contatto, un dialogo, una comunicazione; dall’altro riuscire a essere anche profondamentemente capaci di trasmettere ciò che la visione cristiana, questo grande sistema di cultura e di pensiero che ha attraversato venti secoli, può dire ancora all’uomo di oggi”.
[...]
La vera domanda è quanto saprà incarnare il pensiero di Papa Benedetto.

Di certo, l’importanza del ruolo affidatogli è volutamente maggiore di quella del predecessore. Al compito del Consiglio della Cultura, Ravasi assommerà le competenze per l’archeologia sacra e per i Beni culturali. Insomma si delineano, per la prima volta, le competenze di un vero “ministero” della Cultura, dotato di autonomia, visibilità, ruolo, operatività.
Questa è una parte cruciale di ciò che Ratzinger intende ottenere all’interno della chiesa. E in questo, il problema di un buon ministro sarà essenzialmente quello di saper ben operare “ad intra”, in settori – anche solo quello archeologico, per esempio – lasciati finora dal Vaticano in secondo piano. E che invece sono, nella visione di Ratzinger, un aspetto essenziale per definire la cultura della chiesa: qualcosa che ha a che vedere con la Tradizione, con il rapporto con la storia, con le famose radici culturali dell’occidente.
* * *

Ma c’è l’altro aspetto, quello della comunicazione “ad extra”, che rappresenta forse la parte più interessante, da un punto di vista laico, di quello che il ministro del Papa sarà chiamato a fare. “Ho sempre avuto la percezione che il cristianesimo, oltre al suo dato teologico, sia anche uno straordinario ‘sistema’ culturale e rappresenti la possibilità di un orizzonte di risposta alle domande ultime anche per coloro che non professano la nostra fede”, ha risposto Ravasi in un’intervista.

Quello che secondo alcuni è da dissipare è il sospetto di un suo eccessivo “culturalismo”. Ama la parola pacata, preferisce parlare di “duetto” anziché dualismo, è garbato.
Riuscirà a interpretare le sfide che gli si pongono davanti, lui che alla parola sfida preferisce la parola “opportunità”?
Lui cui molti non perdonano un certo intellettualismo, come quando sul Sole 24 Ore spiegò che Gesù “non è risorto, si è innalzato” (“quello era il titolo, che non ho deciso io e che non riassumeva bene il testo”, ha però chiarito, un po’ irritato che non tutti colgano al volo le sue sottili elaborazioni: “Lì spiegavo che la resurrezione di Cristo non è stata la semplice rianimazione di un cadavere, ma qualcosa di più grande. Oltre al risorgere del corpo c’è stata la glorificazione, l’esaltazione, l’innalzamento: termini usati dall’evangelista Giovanni e da san Paolo per descrivere quel mistero diventato lo snodo centrale della storia umana”).

Per rispondere, bisogna tornare a scandagliare altre due linee molto precise del pontificato bavarese. Innanzitutto, una concezione della cultura non solo come “dialogo” e apertura, cerchio che si allarga alla ricerca dei “lontani”. Ma anche come “testimonianza” e “dialogo nella verità”.
Oggi la chiesa manca di testimoni, ha ripetuto spesso Ratzinger. E il martire è, propriamente colui che ricorda: uno che è attendibile.
Inoltre, c’è l’orizzonte amplissimo della missione della chiesa, che il Papa della vecchia Europa, il Papa delle radici giudaico cristiane, il Papa poco viaggiatore, il Papa della liberalità rispetto all’uso del rito latino, ha però fortemente presente. E basterebbe analizzare il peso specifico che hanno, negli interventi finora effettuati, la Lettera alla chiesa cinese o il viaggio in America latina. La scristianizzazione, la secolarizzazione – e soprattutto, oggi, la loro crisi ideologica – sono di certo un fatto interessante per l’occidente. Ma il Papa sa bene che in Asia, in Africa per certuni versi anche in America del nord la religione non se n’è mai andata dal panorama della vita degli uomini. Non c’è lì il problema del ritorno della religione. E in quei continenti – magna pars – il cattolicesimo gode di una stima crescente proprio grazie alla specificità della sua ragione, all’universale e particolare che nel cattolicesimo sono correlativi.

San Tommaso diceva: “Ogni verità, da chiunque sia detta, viene dallo Spirito Santo”. Per questo il Papa insiste su un dialogo che sia culturale e non teologico, “interreligioso”. E per questo il dicastero della Cultura diventa strategico, come potrebbe esserlo rimettere al centro del dibattito non il confronto tra fedi, ma la filosofia della religione. Comunicare questa visione sarà il gran compito di Ravasi. “Vorrei che, pur con tutto lo stile necessario per i testi di un dicastero vaticano, si cercasse di farsi capire di più”, ha detto lui: “La cultura è dialogo, ascolto, capacità di entrare in sintonia”. [...]"

domenica, ottobre 14, 2007

Diario di un Curato

Ovvero:Cento colpi sui tasti del computer prima di andare a celebrare la messa (a Telepace)


"E’ questo il Papa del mio sacerdozio.
27 anni da prete, con Lui;
guidato da lui
dai suoi insegnamenti;
incoraggiato dalla sua parola;
al suo servizio presso la Curia romana;
amato da Lui.

L’ho incontrato l’ultima volta
lo scorso mese di febbraio:
mi ha guardato,
mi ha accarezzato,
mi ha benedetto.
E’ stato la ricompensa più bella per il libro che ho scritto sul suo Magistero."


Queste, fra le altre, le devote rimembranze di un Monsignore del Vaticano scritte sul proprio "blog" in ricordo di Giovanni Paolo II. Poichè -ebbene si!- anche i monsignori del Vaticano navigano su internet!
Nel XXI secolo anche un Monsignore della Curia Romana può avere l'urgenza di condividere "urbi et orbi" il proprio verbo e, più ancora, trasmettere quello della "Autorità superiore" (e terrena e celeste).
Ancor più giustamente un Monsignore può gestire un blog se il Monsignore in questione è anche un cultore dei mezzi di comunicazione sociale e sull'etica dei mass media:

"L'impegno a comunicare in questo nuovo orizzonte culturale, rimanendo fedele ad un annuncio da consegnare all'uomo di oggi attraverso forme e modalità nuove, sollecita la comunità dei credenti a strutturarsi con più attenzione. Per rispondere coerentemente alle sollecitazioni del suo tempo, infatti, non sono sufficienti estemporanee e pioneristiche iniziative, ma si è nell'urgenza di delineare una pastorale della comunicazione sociale che, dopo tante sollecitazioni magisteriali, ha acquistato una precisa identità, oltre che a rappresentare un nuovo e più preciso obiettivo della Chiesa.
E' tutta la comunità ecclesiale, infatti, soggetto di una pastorale mass mediale, pur nella diversità di ruoli e delle competenze. E così i presbiteri, i religiosi, gli operatori pastorali, gli educatori sono chiamati a rileggere il proprio mandato nella consapevolezza del nuovo contesto culturale, per rendere possibile l'annuncio della fede sulle strade degli uomini."

"l'uso di mezzi di comunicazione così potenti, oggi a completa disposizione dell'uomo, richiede in tutti coloro che ne sono coinvolti un alto senso di responsabilità."

"Dal punto di vista cristiano, gli strumenti di comunicazione sono dei meravigliosi mezzi a disposizione dell'uomo per allacciare, con l'aiuto della Divina Provvidenza, rapporti sempre più stretti e costruttivi fra gli individui e nell'intera umanità".

"Tuttavia, se i media sono chiamati ad essere veicoli efficaci di amicizia e di autentica promozione dell'uomo, essi devono essere canali ed espressione di verità, di giustizia e pace, di buona volontà e carità fattiva, di mutuo aiuto, di amore e comunione. Se i media servano poi ad arricchire o ad impoverire la natura dell'uomo, questo dipende dalla visione morale e dalla responsabilità etica di coloro che sono coinvolti nel processo di comunicazione e di coloro che sono destinatari del messaggio dei media."

Così scrive il Monsignore!

E proprio perchè l'evangelizzazione è il suo mestiere ecco che il Monsignore in questione non solo ha costantemente riprodotto sul proprio blog i discorsi, omelie ed atti del magistero del proprio biancovestito datore di lavoro ma grazie alle sue indubbie capacità dialettiche ha avuto la possibilità di esprimere il frutto del proprio pensiero pernsato intorno a tutto lo scibile umano.
Ovviamente, il suo argomento principe è la spiritualità come ad esempio sabato 02 giugno 2007 quando scrive di star leggendo le opere ascetiche del prossimamente "beato" Antonio Rosmini: "ho voluto “aprire” il libretto delle Massime di Perfezione cristiana che hanno orientato la vita di Antonio Rosmini. Si tratta di sei proposizioni che costituiscono un vero piccolo "manuale del cosa fare per vivere felici in un mondo felice".
Le ho subito fatte mie e intendo condividerle con gli amici di Umanesimo cristiano. Eccole:
1. La Santità: Desiderare unicamente ed infinitamente di piacere a Dio; cioè di essere giusto.
2. La Chiesa: Rivolgere tutti i propri pensieri ed azioni all'incremento e alla gloria della Chiesa di Gesù Cristo.
3. La vocazione: Rimanere in perfetta tranquillità circa tutto ciò che avviene per la divina disposizione; non solo riguardo a sè, ma anche alla Chiesa di Cristo, operando a pro di essa dietro la divina chiamata.
4. La Provvidenza: Abbandonarsi totalmente alla divina Provvidenza.
5. L’Umiltà: Riconoscere intimamente il proprio nulla.
6. Il Discernimento: Disporre tutte le occupazioni della propria vita con spirito di intelligenza.
Niente male come suggerimenti, vero?"

Chiosa devotamente rapito il Monsignore.

Nella Festa dei Santi Pietro e Paolo 2007 si abbandonava alla seguente appassionata difesa d'ufficio:
"Della Chiesa, di solito, noi vediamo l’aspetto umano.
E in questi anni tale aspetto umano è criticato in maniera acerba.
Esso non è nella Chiesa sempre perfetto.
Ha dei difetti, dei limiti, dei caratteri non sempre simpatici, non sempre attraenti. Allora si diventa critici, contestatori, anticlericali, infedeli. L’aspetto umano e storico della Chiesa non attrae. Ci secolarizziamo.
Vogliamo vivere la vita del tempo e non altro.
Ma a bene guardare non è la fede ma la fantasia, forse ammantata di parvenze culturali, a causare questi giudizi.
Invece la realtà è diversa: la Chiesa, sì, è umana, ed ha quindi un suo aspetto sperimentale limitato, difettoso.
Esso può essere talvolta, purtroppo, anche non edificante.
Ma se la guardiamo bene, con gli occhi della sapienza, che il Signore dà ai suoi che hanno ricevuto il Battesimo e la Fede, sappiamo che dietro questa facciata umana c’è una realtà divina che a noi preme di penetrare al di là dei suoi limiti terreni.
La Chiesa è Cristo presente e vivente nella storia
Più che curarci dei suoi difetti visibili, dobbiamo cercare di penetrare nella sua realtà, di vederla trasfigurata, di vedere la sua luce che è splendente come il sole e candida come la neve.
Amate la Chiesa, anche per i suoi difetti, che sono i bisogni che la Chiesa ha."


Ribadisce il concetto in data 21 luglio 2007:
"Papa Benedetto XVI ha una passione segreta: i sacerdoti!
Sono i suoi figli prediletti; li segue con affetto, con trepidazione paterna; con sofferenza se sbagliano; gioisce per i loro traguardi pastorali. Ad essi si è rivolto e si rivolge con parole toccanti e speciali. Ovunque è andato, l’incontro con i “suoi” preti non è mai mancato."
E Poi: "Benedetto XVI conosce il cuore dei preti; sa che fare il prete non è facile. Conosce la fragilità del presbitero nel ministero; ha sempre condannato la caduta, ma ha sempre avuto parole di misericordia per la persona.
Sì: è la misericordia la cifra di questo pontificato! Misericordia che, comunque, mai è stata ed è disgiunta dalla correzione fraterna.
E’ stato ed è questo lo stile evangelico di Papa Benedetto:la misericordia; altro nome dell’amore."


Sull'"arte di amare" il nostro Monsignore, infatti, ne ha scritto ed ampli stralci ne pubblica in un post del 27 giugno 2007:
"Molto spesso si sta con, perché si è incapaci di stare senza.
Ovviamente questo modello di dipendenza non può aiutare le persone. La crescita sarebbe così bloccata. È indispensabile - nell'itinerario arduo e complesso del crescere - scoprire la propria sana autonomia che è capacità di essere pienamente se-stessi-sempre".

"È l'accettazione della persona come personale universo. Accogliere, cioè, quella persona come unica, come la sola a cui dare il proprio amore, la propria attenzione, la propria premura, il proprio rispetto. Ancora: a fronte di una responsabile scelta, occorre che vi sia la consapevolezza che non è possibile scegliere altri che quella persona per amarla e onorarla finché morte non separi e ad essa consegnarsi, donare, cioè, se stessi, la propria vita, la propria realtà più intima. Se non è scontata la capacità di darsi all'altro, non lo è neppure la disponibilità a ricevere l'altro.

Tra le modalità strumentali, nelle quali si concretizza l'intenzionalità di accettazione, di accoglienza e di comunione dei partner un valore del tutto speciale ha la comunicazione, al punto tale che la qualità della comunicazione e del dialogo rivela lo stato di salute di una coppia in relazione.
Non dovrebbe creare difficoltà accettare il fatto che per accogliersi davvero è indispensabile conoscersi. E per conoscersi è altrettanto indispensabile rivelarsi: parlare di sé, autorivelarsi, comunicare le proprie idee, i propri interessi; esprimere i valori in cui si crede, le proprie speranze, le proprie attese... Parlare delle proprie convinzioni, del proprio passato, dei propri progetti, dei propri modi di vedere le cose..."


Essendo oltre un catecheta, anche un pedagogo, ed uno fine psicologo, il Monsignore usa il proprio blog per donare al visitatore i suoi sapienti appunti sull'arte educativa come quando in data lunedì 28 maggio 2007 scrive che:
"Con una descrizione plastica si potrebbe dire che l'azione educativa non direttiva è paragonabile a un educatore che con pazienza e disponibilità cammina alle spalle dell'educando, con le braccia tese, senza imbrigliarlo e quasi senza farsene accorgere, pronto a sostenerlo in caso di inciampo o di caduta."

Il sabato 09 giugno 2007 il Monsignore urla il proprio salomonico "Non ci stò!" di fronte alla professoressa palermitana che ha punito un alunno omofobo:
"Credo che la professoressa si sarebbe potuta risparmiare un “metodo correttivo” che di correzione mi sembra non abbia proprio nulla. Di fronte alla gravita (se provata!) degli insulti, il cosiddetto bullo avrebbero meritato ben altro intervento più pedagogico, più persuasivo, più immediato, più coinvolgente la famiglia, il collegio dei docenti, il Capo di Istituto. Insomma un intervento educativo degno di questo nome, che avrebbe costretto tutti i componenti della comunità educante - scuola e famiglia - a farsi carico dei problemi irrisolti dell'alunno.... bullo.

Ma non mi pare che la famiglia del cosiddetto bullo si sia comportata in modo corretto. Denunciare l’insegnante? [...] Tutti possono errare: sbagliano i genitori e sbagliano i docenti!
Ricorrere alla denuncia?
Vuol dire perdere tempo e non intervenire tempestivamente nei confronti di chi ha bisogno di educazione, soprattutto se ha sbagliato gravemente!"


Monsignor Blogger è un appassionato di sondaggistica e di statistica: vivido interesse mostra, il martedì 16 gennaio 2007, verso l'inchiesta che "condotta da Fsp Master, il mensile del Master universitario toscano in giornalismo, ha voluto approfondire il rapporto con i temi del sesso e dell’affettività, degli studenti tra i 19 e i 25 anni. Il risultato è abbastanza sorprendente.
E' vero si tratta di statistiche, che spesso lasciano il tempo che trovano; ma tant'è! Almeno per curiosità vale la pena ... di allungare l'occhio."


Il Mercoledì, 24 gennaio 2007 se la prendeva con un sondaggio rivolto ad un campione 850 maggiorenni italiani sedicenti cattolici che deprecavano come ingerenza il pubblico richiamo della gerarchia cattolica a conformarsi alla morale cattolica:
"La prima riflessione che mi viene da fare è la seguente: sicuri che stiamo parlando di cattolici?
Forse di cattolici autodichiaratisi tali, ma lontani anni luce dalla sequela di Cristo e dell’accoglimento del Suo Vangelo come dovrebbe fare un cattolico.
Come è possibile che dei cattolici si dicano contrari al pronunciamento della Chiesa quando essa mette al centro la persona, l’etica, la morale?"


Lunedì, 30 aprile 2007 a seguito alle minacce di morte al presidente della CEI monsignor Baganco a seguito delle proprie dichiarazioni contro la legalizzazioni di unioni fuori dal vincolo matrimoniale così scriveva il Monsignore :
"Bagnasco è mio amico personale. E’ uomo mite, buono, colto; non senza alcuni tratti di fermezza determinata, soprattutto quando si tratta di difendere e diffondere le verità della fede nell’unico Dio, l’amore alla Chiesa e al Papa.
Mi dispiace per quello che ora sta sopportando.

Ma non posso non andare oltre il fatto.
Sono personalmente convinto che l’Arcivescovo di Genova in tutto questo non c’entra per nulla. Egli è un simbolo; egli è solo il referente; una volta si diceva il “capro espiatorio”.
Qui c’è bel altro!
Qui c’è tutta l’intenzione di far tacere la Chiesa o quanto meno confinarla entro il recinto del privato, del personale, dell’intimistico. Insomma: una fede senza riflessi nella vita personale, sociale e politica.

E tutto questo ha radici e cause ben precise.
Per carità non si vuole muovere accuse dirette a nessuno.
Tuttavia:
- quando da molto tempo, ormai, si continua a voler relegare la Chiesa al silenzio;
- quando si dichiara ovunque, a mezzo stampa e TV, che per parlare la Chiesa dovrebbe rinunciare all’8 per mille;
- quando si urla contro i cosiddetti (dove sono?) poteri forti della Chiesa;
- quando non si protesta contro il blocco delle strade per una manifestazione del gay pride, ma si mostra insofferenza contro l’intralcio del traffico per la processione del Corpus Domini.
- quando si dice che la Chiesa ingerisce nelle faccende dello Stato solo perché grida forte la fede nel suo Dio e invoca il rispetto dell’etica e della morale, ponendosi dalla parte dell’uomo e della difesa dei suoi fondamentali diritti"



Il monsignore non rifugge di trattare temi imbarazzanti come quando mercoledì 18 luglio 2007 tratta dei "preti pedofili" (continuando peraltro a mantenere una irritante posizione "salomonica") ma con un incipit decisamente infelice: "A qualcuno suonerà un po’ strano e ricorderà: l’“Excusatio non petita, accusatio manifesta!” (Un ascusa non chiesta è una accusa indiretta!).
Pur tuttavia lo desidero premettere: non voglio difendere la casta. Desidero esprimere il mio pensiero: sofferto e struggente."

"La Chiesa ha pronunciato la sua “tolleranza zero” nei confronti della pedofilia dei preti. Anzi il solo sospetto obbliga il Vescovo a estromettere ipso facto anche il presunto pedofilo dallo stato clericale. E i sacerdoti che si macchiano di questo delitto vengono giudicati dallo stesso tribunale ecclesiastico che giudica i crimini sacrileghi contro l’Eucaristia.
Quindi “tolleranza zero” nei confronti della pedofilia dei preti.

Sia, tuttavia concesso formulare alcune domande.
- C’è proprio certezza giuridica e morale che ogni atto eventuale compiuto da un presunto pedofilo diventato prete sia atto di pedofilia? E’ vero: il prete dovrebbe essere immacolato e santo al cospetto di Dio e dei fratelli.
- Pur condannabilissimo: è proprio vero che ogni atto molesto compiuto da un prete sia configurabile come atto di pedofilia?
- Pur condannabile sotto ogni punto di vista, è pedofilia una azione sessuale compiuta con un quindici/sedicenne?
- Il pubblico non sa che, comunque pur condannabilissimo da parte di un sacerdote, la maggioranza degli abusi sessuali riguardano ragazzi adolescenti configurando così l’atto come omosessuale (cosa che è sicuramente assai riprovevole moralmente, ma sempre meno disgustosa della pedofilia).

Ma c’è di più:
Esiste davvero l’atto pedofilico?
Buona parte delle denunce di pedofilia contro sacerdoti, dopo le indagini di rito, a volte anche il processo, sono risultate infondate.
Con la con sequenza che la vita del prete marchiato ingiustamente di pedofilia risulta per sempre devastata.
Per formulare un’accusa così infamante, occorre procedere con i piedi di piombo.

Al contrario sembra essere diventato un tiro al piccione accusare di pedofilia un prete:
- è sufficiente il desiderio di vendetta di un bambino diventato giovane/adulto
- è sufficiente l’atteggiamento iperprottettivo di una madre,
- è sufficiente l’approssimazione di qualche zelante psicologo….
- è sufficiente la volontà criminale di delegittimare la figura di un prete particolarmente impegnato nel sociale,
- è spesso sufficiente il desiderio di far denaro a qualunque costo
per mettere in piedi un’accusa infamante di pedofilia e mettere costruire un palco diffamatorio.

Ancora:
- Come si possono ricostruire in spirito e verità, obiettivamente e in modo circostanziato, come vorrebbe la giustizia vera, fati avvenuti 35, 40 e più anni prima?
- Come si possono accusare di pedofilia sacerdoti morti da 20/30 anni, che ovviamente non potranno mai esercitare la propria legittima difesa?

Per concludere:
Tolleranza zero nei confronti di tale aberrazione. La pedofilia è un crimine e quella dei preti lo è a un livello di gravità smisurata.

Conveniamo, tuttavia che il sacerdote che dovesse commettere tali aberrazioni è un pedofilo che non sarebbe dovuto mai diventare prete. Per cui è doveroso e legittimo sperare in una formazione seminaristica dei candidati al sacerdozio a 360 gradi.
Nell’incertezza si attenda!
Nella certezza si allontani!"



Dalla letura del suo blog si comprende che il Monsignore è un adamantino ricercatore della verità e pertanto un garantista a 360 gradi, che non può soffrire le gogne mediatiche, come si evince dall'appassionato recente post di mercoledì 19 settembre 2007:

"Lungi da me voler parteggiare per Tizio o per Caio!
Ma poniamo solo il caso che alla fine:
- che don Pierino Gelmini sia innocente, come egli va dichiarando in tutte le sedi;
- che il giovane Alberto Stasi di Garlasco, ora unico indagato per l'omicdio della fidanzata Chiara, sia innocente. Al momento non esiste un solo indizio contro di lui e il Procuratore capo di Vigevano avrebbe dichiarato nel corso di un programma TV che, al momento, il caso potrebbe addirittura essere archiviato.
- che i due preti dell’oratorio di Torino non abbiano non solo mai fatto quello che si attribuisce a loro, ma non abbiano mai conosciuto i detrattori;
- che il fidanzato di Simonetta Cesaroni sia stato ripescato 17 anni dopo solo per la necessità di iscrivere qualcuno nel registro degli indagati;
- che il Vescovo ausiliare di Firenze risulti addirittura estraneo ai fatti di cui risulta indagato e pertantyo sia vera la stima e la solidarietà che a partire dal Cardinale Arcivescovo gli sono tributate;
- che la Curia di Siena con il suo Arcivescovo non c’entri affatto con quello che un quotidiano ha scritto stamattina ….

E' possibile no? Al momento per nessuno vi sono certezze!
Ebbene: se tutto questo alla fine si rivelasse un palco accusatorio destituito di ogni certezza, a costoro la loro dignità chi gliela restituirà?

Ripeto; non conosco proprio alcuno di coloro di cui sto parlando, eppure mi sento di dire che il processo mediatico della stampa e della TV a loro carico è indegno!"



Concludo con un accenno alle -profetiche!- riflessioni augurali che il giorno di S.Silvestro il Monsignore blogger si poneva in vista dell'anno 2007 :

"Fa più rumore un albero che cade, che migliaia di alberi che crescono nella foresta.
Così un saggio proverbio.
Questi i semi di speranza per il 2007.
[...] Eppure c’è motivo di sperare; trovare ragioni di speranza per continuare a vivere e amare. Per questo c’è motivo di ringraziare.
Vi potrà essere chi ringrazia la propria buona stella,
chi ringrazia la sorte
chi ringrazia il “proprio dio” qualunque sia il suo nome.

Io ringrazio il mio Dio, Padre del Nato di Bethlem: Gesù Cristo.
Spero siano molti che si associano a me per dire grazie:

1°. Perché siamo oggetto dell’amore infinito di Dio. Anche se apparentemente Dio sembrasse assente, Lui c’è. Non tutto possiamo capire, anche perché – come ricorda S. Agostino - se potessimo comprendere Dio, Dio non esisterebbe. Certamente ciascuno ha scoperto l’amore del Padre nel corso di quest’anno che se ne va. Forse non avremmo voluto essere…. amati così, ma così Dio ci ha amati e l’amore l’abbiamo sentito.
[...]
Non posso non pensare – nel bilancio di un anno che se ne va – a ciò di cui mi sono vergognato e mi dolgo:

- l’egoismo
- il falso perbenismo
- la paura del diverso
- il vile, quieto vivere
- la mediocrità
- l’intimismo della mia fede anziché la chiara visibilità che avrei dovuto darne

Come sarà il 2007?
Ognuno faccia il proprio buon proposito."