martedì, febbraio 28, 2006

Visioni private / 8



Il Duca de Gandìa protesta "coram populo" che tra tutte le sue remore e le sue inibizioni non possiede quella che impedisce di recarsi al Cinema da solo.
Il Duca si dice conscio che questa è rivelazione assai scabrosa per coloro che reputano assai bislacco recarsi in una sala cinematografica senza alcun corteggio, additando tale pratica qual vilissimo esempo di misantropia.
La Sua Altezza Ducale, invero, comprende le sequele di telefonate, sms ed e-mail al fine di cooptare un congruo numero d'esponenti dell'umano genere e farli, finalmemte, sedere sulle poltrone del prescelto Cinema, e loda tutti quegli immani sforzi quali segni efficaci dei vividi sentimenti di fratellanza, libertà di associazione (diritto sancito dalla Costituzione!), e di uguaglianza di tutti i cittadini di fronte allo schermo cinematografico.

Epperò, le contingenze storiche in cui dipanano le vite mortali rendono alle volte vani i tentativi di cooptazione: da ciò deduciamo che la solitaria visione di un film è una ultima ratio che non può e non deve esser bollata quale espressione di scarso spirito filantropico.

Per amor di verità, il Duca protesta candidamente la sua segreta ambizione di poter avere un giorno, si spera non lontano, la ventura d'esser l'unico e solitario despota d'una intera sala di un qualunque Cinema. Costringere i gestori del Cinema a proiettare la pellicola per un solingo spettatore pagante, similmente a ciò che accade in Giappone quando un parente della famiglia imperiale prenota un tavolo in un ristorante e gli avventori, avvertiti dell'incombente arrivo del lontano parente del Figlio del Sole, spontaneamente abbandonano il locale pieni di sacro rispetto.
La Sua Altezza Ducale stava quasi per coronare un tale traguardo, mercè il film "Donnie Darko", ma (oh, disdatta!) dopo cinque minuti buoni dall'inizio del film, nel buio della sala penetrò furtivamente sgattaiolando tra le vuote poltrone, un secondo avventore!

Nella scelta cerchia che onora il Duca de Gandìa, con immeritata stima, è davvero arduo reperire alcuno cui aggradino quei film ch'egli gradirebbe vedere. Ovviamente ci sono rare eccezioni per cui accade che qualche esimio messere lo abbia rimbrottato in modo non meno che signorile: ragion per cui, per non far sì che i post, quasi epitaffio alla visione d'un film, possano essere interpretati quali manifestazioni di poca stima ed affetto, il Duca negli ultimi mesi ha evitato diligentemente di far segno, mercè il di lui blog, di visioni filmiche.
Il medesimo Duca -sempre sia lodato!- avendone avuto universale diniego di corteggio non avrà alcuna remora a pubblicizzare d'aver avuta la piacevole visione di "Brokeback Montain" .
Come dichiarò nel settembre ultimo scorso, il Duca trova opportuno dare un personale giudizio su ciò che la settima arte propone.

Motivo principe, in vero, è stata la curisità di vedere la novella interpretazione del protagonista del sunnominato Donnie Darko, che il Duca ricordava anche interprete del piacevole film "Moonlight Mile". Il Duca, infatti, si chiedeva se negli ultimi anni Jake Gyllenhaal avesse preso qualche lezione di recitazione. Grande è stata la sorpresa ed il giubilo constatando che Heath Ledger possiede più d'una espressione facciale! Durante tutto il fluire del film riesce persino con la mimica facciale a manifestare tanti stati d'animo quanti se ne possono contare sulle dita di una mano offesa dallo scoppio di una granata; una tale espressività attoriale è cosa -a memoria d'uomo- mai vista in sue interpretazioni precedenti, ed in ciò si spera che perseveri.

La trama del film è universalmente nota, ciò è cosa apprezzabile: cosicchè lo spettatore non sottostarà alle forche caudine cui lo sottopone la Comencini con i siparietti lesbici di Stefania Rocca e (la povera!) Angela Finocchiaro nel film "La bestia nel cuore" .

Il film di Ang Lee è godibile grazie ad una superba regia e ad una trama ben studiata per riuscire strappalacrime.
Uscendo dal Cinema il Duca, si mostrava pensieroso, chiedendosi perchè mai se, puta caso, un finale simile avesse riguardato una coppia eterosessuale sarebbe stata sicuramente definita come storia d'amore "tragica", mentre trattandosi di amore omosessuale è stata definita storia assai "romantica"?
In breve, il Duca si domandava quale fosse il "topos" che faceva scattare la molla della trappola dei buoni sentimenti.
Per meglio fissare alcuni concetti al riguardo, il Duca de Gandìa non trovò di meglio che recarsi nella vicina Cripta dei Cappuccini dove, passeggiando tra la sala dei teschi, quella delle tibie e quella delle ossa del bacino, è pervenuto ad alcune semplici conclusione.
Ovverosia che: nella poetica della rappresentazione artistica dell'amore omosessuale, solo "Sorella Morte" riesce a dare alla "rappresentazione del poetico" il necessario senso di grave solennità. Per far trionfare il sentimento dei due cawboy, il loro amore dev'essere cristallizzato, eternizzato, cioè mummificato. E' solo sottostando alla "Poetica della disincarnazione" che può compiersi quell'apoteosi del "vero amore". Di tale "topos" estetico, ad esempio: "La finestra di fronte" di Ferzan Ozpetek ne è sublime espressione.

Dopo aver ringraziato i teschi dei frati cappuccini per aver ascoltato, con cortese ed impassibile soppotazione, il suo intimo ergomentare, il Duca è uscito dalla buia cripta ripromettendosi di poter, in un non lontano futuro, esporre tali concetti ed exempla con più ampia e degna forma.

le quote porpora /2

"...Papa Ratzinger, per rispettare il tetto dei 120 cardinali votanti, era “obbligato” a nominare non più di dodici cardinali con meno di ottantanni. E così ha fatto.
Eppure, ai tanti esclusi, il boccone è andato giù parecchio amaro. Sia il polacco monsignor Stanislao Rylko, presidente del Pontificio Consiglio per i Laici, che il tedesco Paul Josef Cordes, presidente del Pontificio Consiglio “Cor Unum”, hanno appreso la notizia della loro esclusione dalla rosa dei neo porporati [...], grazie ad una telegrafica telefonata pervenuta dalla Segreteria di Stato ventiquattro ore prima che Benedetto XVI comunicasse durante l’udienza generale l’indizione del suo primo concistoro da tenersi il prossimo 24 marzo.
Un’esclusione, che né Rylko nè Cordes si aspettavano.
Rylko, in particolare, c’è rimasto male a tal punto che [...]non se l’è sentita - era atteso - di partecipare assieme al cardinale Camillo Ruini alla messa per il primo anniversario della morte di don Luigi Giussani che Comunione e liberazione aveva organizzato a Roma nella basilica di Santa Maria Maggiore ..."

lunedì, febbraio 27, 2006

Sacra Conversazione /2

«Punire e conquistare l'Occidente senza Dio» di Magdi Allam
sul Corriere della Sera di lunedì 27 febbraio 2006

"In qualche modo hanno ragione coloro che negano o esorcizzano lo scontro di civiltà tra l'Occidente e l'islam. Ma non per le nobili motivazioni che animano i fedeli a oltranza della bontà dell'animo umano. Più semplicemente perché gli altri, per la precisione i militanti islamici, ritengono che l'Occidente non sia affatto una civiltà. O non lo sia più. Per loro si è trasformato in una terra di «senza Dio» da redimere con la spiritualità dell'islam.
E' quanto si afferra nel dialogo intercorso tra eminenti islamologi e semplici ascoltatori, tra cui due dall'Italia, intervenuti nella trasmissione «Layalina» (Le nostre notti), andata in onda il 17 febbraio sulla Esc ( Egyptian satellite channel). Tra i primi a parlare è stato Ahmed Abu Laban, l'imam di una moschea di Copenaghen che ha fatto esplodere la violenza nei Paesi musulmani istigando i governi e le autorità islamiche a ribellarsi per la pubblicazione delle vignette su Mohammad (Maometto). In collegamento telefonico ha detto: «C'è ancora da fare perché siamo in un vicolo cieco.

Il giornale non vuole scusarsi, dicono di essere rammaricati ma non si scusano. Il governo non si scusa perché crede nella libertà di stampa. Vorrei rilevare che la situazione della religione in Europa è caratterizzata dalla laicità. Non si tratta del cristianesimo che combatte l'islam. Nella regione scandinava solo il 5% della popolazione si riconosce nella Chiesa. Siamo di fronte a una situazione di a-religiosità alle prese con fatti religiosi. Non è sufficiente che i musulmani protestino nei Paesi musulmani, mentre gli europei vivono nella paura per l'infiltrazione islamica. Bisogna agire. Noi vogliamo impiegare la ribellione esplosa nel mondo islamico per farci rispettare e riconoscerci una condivisione di responsabilità».
Secco il commento di Ahmad Omar Hashem, ex rettore dell'università islamica di Al Azhar: «La civiltà occidentale è incivile, atea. Non sono sufficienti le scuse. Prima o dopo devono essere puniti. Solo così si spegneranno le fiamme divampate negli animi della gente. Loro non sanno del nostro amore per il profeta, non sanno che siamo pronti a sacrificare la vita per il profeta. Il mondo islamico non si calmerà se non ci sarà la punizione decisiva e immediata».

Zaaglul al-Naggar, professore di geologia, ex direttore del Markfield Institute of Higher Education, un centro di formazione islamica in Gran Bretagna, ha le idee chiare: «Dobbiamo inviare delegazioni in Danimarca per spiegare loro l'islam, perché questa gente non solo non conosce nulla dell'islam ma non conosce nulla della religione». Ma avverte: «Il dialogo non va fatto con i religiosi cristiani. Ognuno di loro difende il proprio potere e il proprio interesse. Non serve a nulla discutere con loro. Per Dio vi dico che non tutti gli occidentali sono dei demoni. E' vero che c'è la perversione, la corruzione e che sono dei senza Dio, ma tra loro c'è gente che cerca una soluzione. Noi dobbiamo andar lì e rivolgerci alle masse. Non è mai successo che rivolgendoci a un occidentale nel modo appropriato abbia rifiutato l'islam».

Interviene telefonicamente Said Abdel Azim Bassiuni, dall'Italia: «Noi vogliamo che l'islam trionfi, la nostra vita è al servizio del profeta di Dio».

Dalla provincia di Milano chiama Salah: «Non ci lasciate soli, vi supplico nel nome di Dio. I nostri figli sono nelle loro mani. Perché non mandate delle delegazioni che promuovano l'islam?».

E' vero che Giovanni Paolo II parlò della necessità primaria di ricristianizzare l'Occidente, denunciando il dilagare della cultura laicista, consumistica, relativistica. Ma mentre la Chiesa vuole salvare le proprie «pecorelle smarrite», gli integralisti islamici, dentro e fuori casa nostra, sognano di conquistare un territorio altrui, il nostro Occidente percepito come una nazione senza anima e priva di valori. Coloro che tra noi disdegnano i valori di Occidente, identità e radici cristiane, che almeno sappiano che proprio questo vuoto alimenta l'appetito dei militanti della Guerra santa islamica mondiale."

"Siamo in tempi troppo calamitosi che la pietà si è raffreddata al sommo ed è cresciuto tanto il libertinaggio, che se Dio non provvede, non sò che sarà;
parmi però di vedere che Sua Divina Maestà voglia fare lui una gran missione con metter mano ai flagelli, e già se ne vede l'apparecchio"

San Paolo della Croce

domenica, febbraio 26, 2006

Sacra Conversazione


Ovvero: Il grido di dolore di Paolo Flores D'Arcais:
"Zapatero, mio Zapatero -ti supplico!- dimmi qualcosa di anticlericale"

"Presidente Zapatero, lei crede in Dio? Presidente Zapatero, la chiesa cattolica è compatibile con la democrazia? Ah sì? Ne è proprio sicuro?
Presidente Zapatero, le rifaccio la domanda: non ci sono pulsioni antidemocratiche da parte della chiesa? No? Presidente Zapatero, la prego, non crede che se la chiesa cattolica prendesse il potere farebbe dei suoi dogmi morali la legge dello stato? Presidente Zapatero, insisto, dica qualcosa di anticlericale.
Paolo Flores d’Arcais, alla fine, ma molto alla fine dell’intervista sull’ultimo numero di Micromega, si è rassegnato. José Luis Rodríguez Zapatero, presidente pop star, simbolo della modernità, della libertà, della laicità, del mondo a colori forti di Almódovar, non ha detto niente contro la chiesa cattolica, niente contro
le posizioni che Flores d’Arcais definisce “preconciliari”, niente contro le manifestazioni dei vescovi che il direttore di Micromega vorrebbe, in nome della democrazia, vietare, abolire, punire.
“No, sinceramente no… Hanno diritto di manifestare la propriapropria opinione. Un totale diritto”, ha risposto seccamente Zapatero, il dio delle minoranze, l’idolo delle lesbiche, il re delle provette. E ha aggiunto: l’idea della dottrina cattolica, di una legge naturale al di sopra delle leggi che si danno gli uomini, è “un’idea rispettabile”, come sono rispettabili coloro che decidono di esternare o addirittura di fare bandiera delle proprie convinzioni religiose personali.
Era un dialogo sulla laicità, Flores d’Arcais sperava di ricavarci una dichiarazione di guerra alla chiesa, o almeno il lamento scandalizzato per le ingerenze del pensiero cattolico nel mondo dei vivi. Non è andata così, nonostante le sterminate e insistite domande, nonostante la fantasmagorica immagine offerta da Micromega di un improvviso golpe chiesastico che imporrà un giorno la propria “sharia”."
Così commentava compiaciuto Giuliano Ferrara in un suo editoriale sul FOGLIO di sabato 25 febbraio 2006


Zapatero non è stato certo folgorato sulla via di Damasco, ma forse sulla via di Valencia, si.
Sono già iniziati, infatti i preparativi per il raduno mondiale delle famiglie cattoliche che si terrà a Luglio in Spagna e che vedrà per l'occasione il Sommo Pontefice "ccioiosamente" regnante mettere piede, ma soprattutto "mettere bocca" a Zapaterolandia.

Giunto nel mezzo del cammin del suo Governo, Luìs Rodriguez Zapatero dopo aver promosso quelle leggi "modernizzatrici" contenute nel suo programma elettorale, forse è stanco di giocare a fare il dissacratore di Dio, della Patria e della famiglia, e, per non perdere quote di quell'elettorato un poco perplesso per qualche arditezza, non ci tiene proprio acchè la pioggia di fuoco e zolfo che in lingua castigliana (!) Papa Ratzinger invocherà contro gli stupratori del concetto di famiglia naturale, colpisca pure lui.

Trovo assai ingenuo che persone che si considerino intellettuali di chiara fama non capiscano che un politico, anche il più anticlericale, non può dichiarare "papale-papale" di essere contrario alle pubbliche manifestazioni degli ecclesiastici e dei fedeli cattolici per protestare contro l'operato del Governo.
Se Zapatero manifestasse (troppa) durezza contro le proteste cattoliche potrebbe apparire uno che cerca di imporre il pensiero di una minoranza imbavagliando la maggioranza del paese. Invece Zapatero vuol presentarsi, dopo aver fatto quello che ha fatto, come il servitore della volontà del Popolo spagnolo (come si suol dir: "vox populi vox Dei"), e che le libere, democratiche e civilissime proteste dei preti e dei baciapile nulla hanno potuto perchè la Chiesa cattolica in Spagna è ormai una (assai folkloristica) minoranza.

Zapatero comprende forse che alla lunga non paga apparire quale paladino di una fazione ma che è bene ritagliarsi il santino di Presidente del Consiglio "super partes" che ha solamente dato ciò che gli spagnoli chiedevano a gran voce. Zapatero tenta, perciò, di attribuire al proprio operato politico una bislacca interpretazione di quel motto "unicuque suum" che al Vaticano tanto agrada, al fine di lavarsi le mani prima che, durante il V Incontro Internazionale delle Famiglie, Papa Ratzinger cerchi di buttargli la croce addosso.

Aurora della "nouvelle vague" della politica ecclesiastica di Zapatero è stata venerdì, 17 febbraio 2006 la visita del Ministro degli Esteri spagnolo, Miguel Ángel Moratinos, al Cardinale Angelo Sodano, Segretario di Stato.

“Nel corso del cordiale incontro sono stati passati in rassegna diversi argomenti riguardanti i rapporti bilaterali ed altri problemi attinenti la vita della Chiesa in Spagna nell’attuale situazione”,ha spiegato il comunicato ufficiale.

La visita, si aggiunge “ha permesso uno scambio di vedute sulla situazione internazionale, particolarmente su Medio Oriente ed America Latina”.

“Il Signor Ministro ha assicurato la più ampia disponibilità del Governo di Spagna ad accogliere il Santo Padre nella sua visita a Valencia, nel prossimo mese di luglio, in occasione del V Incontro Internazionale delle Famiglie”.
Moratinos ha invitato “la Santa Sede ad appoggiare l’iniziativa del Governo spagnolo per Una Alianza de Civilizaciones entre el mundo occidental y el mundo árabe y musulmán”.

Il signor ministro Moratinos si è dimostrato assai possibilista sulla conciliazione delle diatribe economico-giuridiche che angustiano, a causa delle proposte di legge del Governo Zapatero, i rapporti Stato-Chiesa; ma il ministro fà intravedere una rosea soluzione ed incoraggia tra le parti “uno spirito costruttivo”.

Per quanto riguarda la nuova Legge sull’Istruzione promossa dal Governo socialista, il Ministro degli Esteri ha dichiarato che i rappresentanti della Santa Sede, “hanno apprezzato gli sforzi del Governo per giungere ad un accordo con la Chiesa”, ma “mi hanno detto che ci sono molti punti di divergenza che devono essere migliorati”.
Ha anche rivelato che il nuovo Statuto del Cooperante elaborato dal Governo socialista “riconoscerà l’opera dei religiosi e delle religiose” che hanno svolto e svolgono il loro lavoro in tema di immigrazione.
Secondo il Ministro: la Chiesa ha cooperato nella creazione del tessuto sociale della Spagna [Ma dai!?Non lo avrei mai sospettato!], in riferimento alle varie opere sociali svolte dalle organizzazioni cattoliche e dalle congregazioni religiose.

Il Governo spagnolo ha fissato un altro incontro per dopo la Settimana Santa della vicepresidente Teresa Fernández de la Vega con rappresentanti vaticani per continuare nel percorso che Moratinos ha definito “una nuova direzione in uno spirito di volontà di dialogo e di lavoro insieme”.

Miguel Ángel Moratinos ha riassunto la nuova direzione del Governo Zapatero nei confronti della Chiesa che prevede l'intensificazione dei contatti (che quindi si auspicano il più cordiali possibili) in duplice prospettiva "ad intra" e "ad extra": cioè avere un rapporto frequente tra Stato spagnolo e Santa Sede e “mantenere e intensificare” i rapporti con la Conferenza Episcopale Spagnola.

Che dire a "consolamentum" di Flores D'Arcais?
Se son rose nel pugno...sfioriranno

sabato, febbraio 25, 2006

Pacco, contropacco e contropaccotto /3


"Mosca. Un’alleanza “tattica” degli ortodossi russi con il Vaticano, per arginare il liberalismo che scuote le fondamenta del cristianesimo tradizionale: è la proposta, anzi, l’invito lanciato da un alto esponente del Patriarcato di Mosca. Secondo il vescovo Illarion (Alfeev), rappresentante del patriarca Alessio II presso le organizzazioni europee, le chiese cristiane tradizionali – cioè l’ortodossia d’oriente e il cattolicesimo – sono sempre più minacciate, nell’ordine, “dal laicismo
militante, dall’islam militante e dal liberalismo militante rappresentato dal protestantesimo”.
Dunque, Roma e Mosca devono accantonare le divergenze per una “alleanza strategica”, che non ha tratti “dogmatici”. Un patto difensivo da firmare senza indugi, perché, dice Illarion, “tra vent’anni potrebbe essere troppo tardi”.
L’intesa dovrebbe essere suggellata da un incontro tra Benedetto XVI e Alessio II, non ancora avvenuto “non perché gli ortodossi non lo vogliano, ma perché non vorremmo ridurlo a una circostanza protocollare”. Mai invito è stato più esplicito, anche se, con l’inizio del pontificato di Ratzinger, Mosca ha lanciato diversi segnali di distensione a Roma, dopo che i rapporti tra le due chiese si erano quasi interrotti negli ultimi anni di Wojtyla.
I segnali che partono dal monastero di San Daniele vengono ricevuti chiaramente al Vaticano, come dimostra la lettera di auguri che Benedetto XVI ha appena inviato al Patriarca di tutte le Russie per il suo onomastico, e nella quale si parla di “rinnovata fratellanza tra i pastori del gregge di Dio”. Un messaggio affidato al cardinale Roger Etchegaray, ricevuto da Alessio II nella sua dacia alle porte di Mosca: un altro segnale che in diplomazia ha, direbbe Illarion, un significato tutt’altro che “protocollare”.
Forse è una svolta. Kommersant titola: “Putin ha invitato a Mosca il Papa di Roma”. Quell’invito che Gorbaciov ed Eltsin avevano fatto a Wojtyla e che zar Vladimir non ha mai rinnovato, pur dichiarandosi favorevole alla visita del Papa.
Con il cambio della guardia a San Pietro, e la scomparsa di quel Papa polacco che, tra rancori storici vecchi di 500 anni e quelli più recenti e “politici” del crollo dell’impero comunista, era considerato a Mosca un nemico, anche il veto del Patriarcato non sembra più così rigido. Un’occasione buona si presenta il 4 luglio, quando a Mosca si aprirà il summit mondiale dei leader religiosi. L’evento è patrocinato dal Cremlino e, anche se gli organizzatori negano di aver mandato un invito a Benedetto XVI, è evidente che il presidente russo sognerebbe di abbinare al suo trionfo della presidenza del G8 a Pietroburgo una visita del Papa a Mosca dieci giorni prima.

Il cambiamento dopo l’elezione di Ratzinger è stato sintetizzato dal metropolita Filarete come “un’opportunità che non era possibile con un Papa slavo, il tramonto del ‘romanticismo’ a favore del ‘costruttivismo’.
“Il ghiaccio si sta sciogliendo”, ha fatto eco il cardinale Kasper, mentre monsignor Lajolo, dopo un’intensa visita a Mosca, ha detto che il Papa sarebbe felice di accogliere Alessio: “E’ possibile? Preghiamo perché succeda”.
Piccoli nodi nelle relazioni tra le due chiese si sono sciolti: la commissione mista di teologi ha fissato il suo primo incontro dal 2002; emissari del Patriarcato hanno partecipato alla consacrazione di una chiesa cattolica; è stato raggiunto un compromesso sull’educazione religiosa degli orfani accuditi da cattolici. La tattica dei “piccoli passi”, come l’ha definita Kasper, ha portato infine all’apertura di Illarion, affidata non a un pope qualunque, ma a un alto diplomatico del Sinodo e in una sede internazionale come il Consiglio mondiale delle chiese in Brasile.

Le tensioni rimangono.
Il Patriarca ha ripreso le critiche ai cattolici per “proselitismo” in terre ortodosse, e per il problema dei greco-cattolici ucraini che hanno spostato la loro sede da Leopoli a Kiev, nel luogoluogo dove, narra la leggenda, l’apostolo Andrea comunicò il verbo di Cristo a quella che sarebbe diventata la Russia. Padre Vsevolod Chaplin, viceresponsabile delle Relazioni esterne del Patriarcato, in quella circostanza aveva dato dell’“aggressore” al Vaticano e il diacono Andrei Kuraev, teologo nazionalista soft vicino al Cremlino, aveva organizzato comizi “in difesa del Natale ortodosso” davanti alle chiese cattoliche il 24 dicembre.
Il cuore del gregge di Alessio rimane diffidente verso i “papisti” come ai tempi dei “Fratelli Karamazov”.
Quella di Mosca è una chiesa conservatrice, che per 70 anni di comunismo non ha avuto bisogno di misurarsi con la modernità e oggi, incontrandola in ritardo, reagisce appellandosi al sentimento nazionale e nazionalista, in una simbiosi con il potere secolare che imita quella dell’epoca zarista.

Il conflitto di civiltà con i musulmani è, per il Sinodo, teorico: il docile islam istituzionale accetta una subordinazione alla “religione tradizionale” numero uno e l’integralismo caucasico è circoscritto e sotto pressione poliziesca. Il vescovo Illarion, in Brasile, si è dilungato sul problema del liberalismo e della rottura con i protestanti, definendo “impossibile” un dialogo con gli anglicani a causa del sacerdozio femminile e del matrimonio gay."

(da Il Foglio di giovedì 24 febbraio 2006)

venerdì, febbraio 24, 2006

le quote porpora /1

Dominus Carolus Cardinalis Caffarra
Archiepiscopus Bononiaensis

Santa anche subito! 4


Che l’inevitabile seconda edizione del libro di Daniela Santanchè, “La donna negata” (Marsilio), contenga quell’unica riga che l’autrice si è dimenticata di scrivere. Che
per il resto non manca niente:
1) le storie di donne che hanno avuto la disgrazia di nascere sotto il tallone di Maometto;
2) l’impegno coraggioso di una parlamentare che non vuole passare alla storia esclusivamente come socia di Briatore;
3) prefazioni e postfazioni che fanno a pugni col testo e con la realtà (cosa normalissima se si pensa che sono firmate da Umberto Veronesi e Omar Camiletti).
Il libro denuncia l’infibulazione, la poligamia e tutta la vasta gamma delle violenze inflitte alle donne a causa del Corano. La denuncia è forte, e pure rischiosa, peccato che la soluzione prospettata sia debole e incompleta. Non è colpa della Santanchè bensì dell’amnesia che l’ha colpita. Si è dimenticata una riga, una sola riga cruciale, rintracciabile in un testo del primo secolo, composto da un certo Marco, che proibisce qualsiasi forma di violenza, contro le donne e contro chiunque. Dandogli ascolto, infibulazione e poligamia e lapidazione sparirebbero come neve al sole.
La riga mancante è questa: “Convertitevi e credete al vangelo”.

( "PREGHIERA" dell'orrido Camillo Langone sul FOGLIO di giovedì 23 febbraio 2006)

mercoledì, febbraio 22, 2006

"questo, d'ignoto amante inno ricevi" (2)

In Festo Cathedra Beati Petri Apostoli


E' difficile per quelli che non hanno mai conosciuto persecuzione,
E che non hanno mai conosciuto cristiano,
Credere a questi racconti di persecuzione cristiana.
E' difficile per coloro che vivono presso una Banca
Dubitare della sicurezza del proprio denaro.
E' difficile per coloro che vivono presso il Commissariato
Credere nel trionfo della violenza
Pensate che la Fede abbia già conquistato il mondo
E che i leoni non abbiano più bisogno di guardiani?
Avete bisogno che vi si dica che qualunque cosa sia stata, può essere ancora?
Avete bisogno che vi si dica che persino le modeste cognizioni
Che vi permettono d'essere orgogliosi di una società educata
Difficilmente sopravviveranno alla Fede a cui devono il loro significato?
Uomini! pulitevi i denti quando vi alzate e quando andate a letto;
Donne! pulitevi le unghie.
Voi pulite il dente del cane e il tallone del gatto.
Perchè gli uomini dovrebbero amare la Chiesa? Perchè dovrebbero amare le sue leggi?
Essa ricorda loro la Vita e la Morte, e tutto ciò che vorrebbero scordare.
E' gentile dove essi sarebbero duri, e dura dove essi vorrebbero essere teneri.
Ricorda loro il Male e il Peccato, e altri fatti spiacevoli.
Essi cercano sempre d'evadere
Dal buio esterno e interiore
Sognano sistemi talmente perfetti che più nessuno avrebbe bisogno di essere buono.
Ma l'uomo che è adombrerà
L'uomo che vorrebbe essere.
E il Figlio dell'Uomo non fu crocifisso una volta per tutte:
Ma il Figlio dell'Uomo è sempre crocifisso
E ci saranno sempre Martiri e Santi.
E se il sangue dei Martiri deve scorrere sui gradini
Dobbiamo prima costruire i gradini;
E se il Tempio dev'essere abbattuto
Dobbiamo prima costruire il Tempio.




T.S.Eliot.

"Coruses from the Rock"

(Cori da "la Rocca" )



[DIVO ALOYSIO GIUSSANEO DICATUM]

martedì, febbraio 21, 2006

dei Sepolcri, VII

Ovvero:
Apparato funebre in morte di Monsignor Paul Marcinkus.
Presidente emerito della Pontificia commissione per lo Stato della Città del Vaticano e presidente emerito dello I.O.R.

Perdere la trebisonda 3

Vite Parallele /5

Nell'estate del 1963 due giovanissimi cawboy si recano in Wayoming alla ricerca di un lavoro.
Vengono ingaggiati per portare in alta montagna le greggi.
Uno di loro due deve passare la notte con le pecore per evitare che vengano sbranate o rubate, ma poichè ciò è contrario alle leggi, non può accendere il fuoco per scaldarsi, e tutte le mattine deve smontare la tenda per non essere scoperto dalla Guardia forestale.
La mattina, poi, può scendere più a valle, dove si trova l'altro cawboy il quale si occupa delle vettovaglie, ma deve tornare ai pascoli prima che faccia buio.
Una sera, avendo fatto tardi il cawboy è costretto rimanere a valle.
A questo punto l'altro mandriano gli propose di dormire nella stessa tenda poichè stando vicini avrebbero sopportato meglio il gelo.
Lo sventurato rispose.

Dopo quella notte fu più facile trovare scuse per non tornare la sera a dormire ai pascoli, cosicchè a causa di un temporale notturno le pecore, lasciate senza guida, si dettero alla fuga andandosi a mischiare con altri armenti. Il mattino dopo i due mandriani ebbero la fastidiosa incombenza di riuscire a recuperare nel mucchio indistinto le pecore che avrebbero dovuto sorvegliare.

Il padrone delle pecore, intuisce che i due cawboy avevano escogitato un modo tutto loro per "ammazzare il tempo" in montagna, e dà ordine di terminare la transumanza un mese in anticipo (e perciò facendo perdere ai due un mese di stipendio).
Il proprietario si accorge, inoltre, che molte delle pecore tornate a valle non sono quelle
che erano partite mesi prima per Brokeback Montain e (intuendo cosa era avvenuto) rimprovera i due giovani mandriani di non aver avuto, nella confusione generale, nemmeno l'abilità e la furbizia ad arraffare qualche pecora in più.


"In verità, in verità vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore per la porta, ma vi sale da un'altra parte, è un ladro e un brigante.
Chi invece entra per la porta, è il pastore delle pecore.
Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore una per una e le conduce fuori. E quando ha condotto fuori tutte le sue pecore, cammina innanzi a loro, e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce.
Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei".
Questa similitudine disse loro Gesù; ma essi non capirono che cosa significava ciò che diceva loro."
(Gv 10,1-6)

lunedì, febbraio 20, 2006

dei Sepolcri, VI

Prima ancora che nel 1948, per speciale indulto pontificio, lasciasse la congregazione delle suore Dorotee per abbraccare la clausura nel Carmelo di Coimbra, suor Lucia Dos Santos aveva già dato l'assenso al desiderio di monsignor Correira da Silva, vescovo di Leiria-Fatima, di tumulare tutti e tre i pastorelli, che nel 1917 ebbero le apparizioni della Santa Vergine, all'interno del Santuario di Nostra Signora del Rosario di Fatima. Suor Lucia del Cuore Immacolato espresse solo la richiesta che la propria tomba fosse accanto a quella della tanto amata cuginetta Giacinta.

Così più di cinquant'anni prima della sua morte era pronta la tomba della più longeva dei tre veggenti. Tomba che la stessa suor Lucia ha avuto più volte occasione di poter vedere personalmente recandosi a Fatima, per speciale deroga dalla clausura monastica, in occasioni delle visite dei pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II al santuario portoghese.
Nel transetto di destra si trova la tomba di Francesco Marto, di fronte , dall'altro lato dell'altare maggiore, la tomba della sorellina Giacinta Marto ed accanto una tomba gemella ma la cui lapide è rimasta per decenni senza alcuna iscrizione.

La novantasettenne monaca carmelitana, che lucida quasi fino alla fine dichiarò di offrire le proprie sofferenze e la vita stessa secondo le intenzioni del papa Giovanni Paolo II gravemente infermo e ricoverato al Policlinico Gemelli, morì il 13 febbraio 2005.
Le consorelle chieserò di poter tenere almeno per un anno le spoglie di suor Lucia presso il monastero S.Teresa di Coimbra. Così è stato, ed un anno e sei giorni dopo il feretro della veggente, portato a spalla, e sotto l'imperversare della pioggia e della grandine, ha fatto solennemente ingresso nella vasta piazza del santuario di Fatima.

Sulla pietra tumulare, che pesa circa 400 chili, si potrà d'ora innanzi leggere:
“Suor Maria Lucia di Gesù e del Cuore Immacolato. A cui è apparsa Nostra Signora. 22 marzo 1907 – 13 febbraio 2005. Traslata in questa Basilica il 19 febbraio 2006”. Sulla lapide di Giacinta e Francesco c’è un’altra iscrizione: “Beatificato(a) il 13 maggio 2000”.

Giacinta sepolta accanto a suor Lucia morì il 20 febbraio 1920. Il motivo per cui la traslazione è avvenuta il 19 febbraio è per avere al santuario le reliquie di suor Lucia il 20 febbraio che è la data scelta per la festa liturgica dei due beati pastorelli Francesco e Giacinta.
La Beata Giacinta aveva più volte confidato alla cugina Lucia di aver ricevuto ancora visite dalla Madonna, nelle quali la Signora le prediceva grandi sofferenze, ma le assicurava la ricompensa del Paradiso.
Anche la lapide di suor Lucia che ammise di aver rivisto altre volte la Santa Vergine dopo il 1917, aspetta che anche qui venga incisa la data della beatificazione.



San Josè Maria Escrivà de Balaguer non aveva una eccelsa considerazione per le suore, diceva spesso alle numerarie dell'Opus Dei: "Figlie mie, non mi diventate sciocche com le suore"; solo per "suor Lucia del Portogallo" aveva una speciale considerazione e la andava a trovare sovente."Non perchè ha visto la Madonna ma perchè ci ama molto", spiegava ai membri dell'Opera. Comunque suor Lucia, pur avendo stima per l'apostolato dell'Opus Dei: "E' un pò sciocchina ma è una brava donna" rimarcava "el fundadòr".
Una volta l'umile carmelitana gli disse:
"Don Josè Maria, lei con tutte le sue cose ed io con tutte le mie, potremmo finire anche noi all'inferno".

domenica, febbraio 19, 2006

giovedì, febbraio 16, 2006

Croce e delizia



"Al riguardo, più volte la Corte costituzionale ha riconosciuto nella laicità un principio supremo del nostro ordinamento costituzionale, idoneo a risolvere talune questioni di legittimità costituzionale (ad esempio, tra le tante pronunce, quelle riguardanti norme sull’obbligatorietà dell’insegnamento religioso nella scuola, o sulla competenza giurisdizionale per le cause concernenti la validità del vincolo matrimoniale contratto canonicamente e trascritto nei registri dello stato civile).
Trattasi di un principio non proclamato expressis verbis dalla nostra Carta fondamentale; un principio che, ricco di assonanze ideologiche e di una storia controversa, assume però rilevanza giuridica potendo evincersi dalle norme fondamentali del nostro ordinamento. In realtà la Corte lo trae specificamente dagli artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 Cost.
Il principio utilizza un simbolo linguistico (“laicità”) che indica in forma abbreviata profili significativi di quanto disposto dalle anzidette norme, i cui contenuti individuano le condizioni di uso secondo le quali esso va inteso ed opera. D’altra parte, senza l’individuazione di tali specifiche condizioni d’uso, il principio di “laicità” resterebbe confinato nelle dispute ideologiche e sarebbe difficilmente utilizzabile in sede giuridica.
In questa sede, le condizioni di uso vanno certo determinate con riferimento alla tradizione culturale, ai costumi di vita, di ciascun popolo, in quanto però tale tradizione e tali costumi si siano riversati nei loro ordinamenti giuridici. E questi mutano da nazione a nazione.
Così non v’è dubbio che in un modo vada inteso ed opera quel principio nell’ordinamento inglese, laico, benché strettamente avvinto alla chiesa anglicana, nel quale è consentito al legislatore secolare dettare norme in materie interne alla chiesa stessa (esempio relativamente recente è dato dalla legge sul sacerdozio femminile); in altro modo nell’ordinamento francese, per il quale la laicità, costituzionalmente sancita (art. 2 Cost. del 1958), rappresenta una finalità che lo Stato potrà perseguire, e di fatto ha perseguito, anche con mortificazione dell’autonomia organizzativa delle confessioni (lois Combes) e della libera espressione individuale della fede religiosa (legge sull’ostensione dei simboli religiosi); in altro modo ancora nell’ordinamento federale degli Stati Uniti d’America, nel quale la pur rigorosa separazione fra lo Stato e le confessioni religiose, imposta dal I emendamento alla Costituzione federale, non impedisce un diffuso pietismo nella società civile, ispirato alla tradizione religiosa dei Padri pellegrini, che si esplica in molteplici forme anche istituzionali (da un’esplicita attestazione di fede religiosa contenuta nella carta moneta - in God we trust -, al largo sostegno tributario assicurato agli aiuti economici elargiti alle strutture confessionali ed alle loro attività assistenziali, sociali, educative, nell’orizzonte liberal privatistico tipico della società americana); in altro modo, infine, nell’ordinamento italiano, in cui quel simbolo linguistico serve ad indicare reciproca autonomia fra ordine temporale e ordine spirituale e conseguente interdizione per lo Stato di entrare nelle faccende interne delle confessioni religiose
(artt. 7 e 8 Cost.); tutela dei diritti fondamentali della persona (art. 2), indipendentemente da quanto disposto dalla religione di appartenenza; uguaglianza giuridica fra tutti i cittadini, irrilevante essendo a tal fine la loro diversa fede religiosa (art. 3); rispetto della libertà delle confessioni di organizzarsi autonomamente secondo i propri statuti purché non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano (art. 8, 2° co.), e per tutti, e non solo per i cittadini, tutela della libertà in materia religiosa, e cioè di credere, non credere, di manifestare in pubblico o in privato la loro fede, di esercitarne il culto (art. 19); divieto, infine, di discriminare gli enti confessionali a motivo della loro ecclesiasticità e del fine di religione o di culto perseguito (art. 20).

(...)Ne deriva che la laicità, benché presupponga e richieda ovunque la distinzione fra la dimensione temporale e la dimensione spirituale e fra gli ordini e le società cui tali dimensioni sono proprie, non si realizza in termini costanti nel tempo e uniformi nei diversi Paesi, ma, pur all’interno di una medesima “civiltà” , è relativa alla specifica organizzazione istituzionale di ciascuno Stato, e quindi essenzialmente storica, legata com’è al divenire di questa organizzazione
(in modo diverso, ad esempio, dovendo essere intesa la laicità in Italia con riferimento allo Stato risorgimentale, ove, nonostante la confessionalità di principio dello stesso, proclamata dallo Statuto fondamentale del Regno, furono consentite discriminazioni restrittive in danno degli enti ecclesiastici, e con riferimento allo Stato odierno, sorto dalla Costituzione repubblicana, ed ormai non più confessionale, ove però quelle discriminazioni non potrebbero aversi).

Quale poi dei sistemi giuridici ora ricordati, o di altri ancora qui non considerati, sia meglio rispondente ad un’idea astratta di laicità, che alla fine coincide con quella che ciascuno trova più consona con i suoi postulati ideologici, è questione antica; una questione che però va lasciata alle dispute dottrinarie.
In questa sede giurisdizionale, per il problema innanzi ad essa sollevato della legittimità della esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche, disposto dalle autorità competenti in esecuzione di norme regolamentari, si tratta in concreto e più semplicemente di verificare se tale imposizione sia lesiva dei contenuti delle norme fondamentali del nostro ordinamento costituzionale, che danno forma e sostanza al principio di “laicità” che connota oggi lo Stato italiano, ed al quale ha fatto più volte riferimento il supremo giudice delle leggi.
È evidente che il crocifisso è esso stesso un simbolo che può assumere diversi significati e servire per intenti diversi; innanzitutto per il luogo ove è posto
In un luogo di culto il crocifisso è propriamente ed esclusivamente un “simbolo religioso”, in quanto mira a sollecitare l’adesione riverente verso il fondatore della religione cristiana.
In una sede non religiosa, come la scuola, destinata all’educazione dei giovani, il crocifisso potrà ancora rivestire per i credenti i suaccennati valori religiosi, ma per credenti e non credenti la sua esposizione sarà giustificata ed assumerà un significato non discriminatorio sotto il profilo religioso, se esso è in grado di rappresentare e di richiamare in forma sintetica immediatamente percepibile ed intuibile (al pari di ogni simbolo) valori civilmente rilevanti, e segnatamente quei valori che soggiacciono ed ispirano il nostro ordine costituzionale, fondamento del nostro convivere civile. In tal senso il crocifisso potrà svolgere, anche in un orizzonte “laico”, diverso da quello religioso che gli è proprio, una funzione simbolica altamente educativa, a prescindere dalla religione professata dagli alunni.
Ora è evidente che in Italia, il crocifisso è atto ad esprimere, appunto in chiave simbolica ma in modo adeguato, l’origine religiosa dei valori di tolleranza, di rispetto reciproco, di valorizzazione della persona, di affermazione dei suoi diritti, di riguardo alla sua libertà, di autonomia della coscienza morale nei confronti dell’autorità, di solidarietà umana, di rifiuto di ogni discriminazione, che connotano la civiltà italiana. Questi valori, che hanno impregnato di sé tradizioni, modo di vivere, cultura del popolo italiano, soggiacciono ed emergono dalle norme fondamentali della nostra Carta costituzionale, accolte tra i “Principi fondamentali” e la Parte I della stessa, e, specificamente, da quelle richiamate dalla Corte costituzionale, delineanti la laicità propria dello Stato italiano.

Il richiamo, attraverso il crocifisso, dell’origine religiosa di tali valori e della loro piena e radicale consonanza con gli insegnamenti cristiani, serve dunque a porre in evidenza la loro trascendente fondazione, senza mettere in discussione, anzi ribadendo, l’autonomia (non la contrapposizione, sottesa a una interpretazione ideologica della laicità che non trova riscontro alcuno nella nostra Carta fondamentale) dell’ordine temporale rispetto all’ordine spirituale, e senza sminuire la loro specifica “laicità”, confacente al contesto culturale fatto proprio e manifestato dall’ordinamento fondamentale dello Stato italiano.
Essi, pertanto, andranno vissuti nella società civile in modo autonomo (di fatto non contraddittorio) rispetto alla società religiosa, sicché possono essere “laicamente” sanciti per tutti, indipendentemente dall’appartenenza alla religione che li ha ispirati e propugnati.
Come ad ogni simbolo, anche al crocifisso possono essere imposti o attribuiti significati diversi e contrastanti, oppure ne può venire negato il valore simbolico per trasformarlo in suppellettile, che può al massimo presentare un valore artistico. Non si può però pensare al crocifisso esposto nelle aule scolastiche come ad una suppellettile, oggetto di arredo, e neppure come ad un oggetto di culto; si deve pensare piuttosto come ad un simbolo idoneo ad esprimere l’elevato fondamento dei valori civili sopra richiamati, che sono poi i valori che delineano la laicità nell’attuale ordinamento dello Stato.
Nel contesto culturale italiano, appare difficile trovare un altro simbolo, in verità, che si presti, più di esso, a farlo;
e l’appellante del resto auspica (e rivendica) una parete bianca, la sola che alla stessa appare particolarmente consona con il valore della laicità dello Stato.
La decisione delle autorità scolastiche, in esecuzione di norme regolamentari, di esporre il crocifisso nelle aule scolastiche, non appare pertanto censurabile con riferimento al principio di laicità proprio dello Stato italiano.
La pretesa che lo Stato si astenga dal presentare e propugnare in un luogo educativo, attraverso un simbolo (il crocifisso), reputato idoneo allo scopo, i valori certamente laici, quantunque di origine religiosa, di cui è pervasa la società italiana e che connotano la sua Carta fondamentale, può semmai essere sostenuta nelle sedi (politiche, culturali) giudicate più appropriate, ma non in quella giurisdizionale.
In questa sede non può, quindi, trovare accoglimento la richiesta dell’appellante che lo Stato e i suoi organi si astengano dal fare ricorso agli strumenti educativi considerati più efficaci per esprimere i valori su cui lo Stato stesso si fonda e che lo connotano, raccolti ed espressi dalla Carta costituzionale, quando il ricorso a tali strumenti non solo non lede alcuno dei principi custoditi dalla medesima Costituzione o altre norme del suo ordinamento giuridico, ma mira ad affermarli in un modo che sottolinea il loro alto significato.(...)


Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2006 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) nella Camera di Consiglio"

martedì, febbraio 14, 2006

Visioni private /7


Ovvero: come, di fronte alla provocazione dell'infido filosofo Gianni Vattimo, risponda il mite filosofo Buttiglione.

"Rocco Buttiglione - Cosa direbbe Ratzinger del film “Brokeback Mountain”? Provo a rispondere, a partire proprio dall’enciclica e dal Simposio di Platone. Socrate è attratto da Alcibiade, vuole essere suo amico, e anche Alcibiade è attratto da lui, tanto da offrirgli un rapporto omosessuale. Tra di loro c’è eros. Ma Socrate risponde che l’oggetto del suo amore non è il corpo dell’amico ma la sua anima. L’enciclica parla dell’eros (omosessuale o eterosessuale, non ha importanza) come di un dato di partenza che ha bisogno di essere purificato e illuminato dalla preoccupazione per il vero bene della persona amata. Il tema della legge qui non è centrale ed è importante che non lo sia. Si parla dell’essenza dell’amore, che ha una forte componente egoistica (“voglio l’altro per me”) e che può diventare “voglio essere io per lui”: sono pronto a sacrificare, a offrire me stesso perché si compia il suo destino, il suo bene. Si realizza così il passaggio da eros ad agape. L’amore per se stessi diventa l’amore come offerta di se stessi. Le due cose non si lasciano tagliare con il coltello né dividere nettamente. In ogni eros vero c’è un momento di agape e in ogni agape c’è sempre un momento di eros.
Il bene dell’altro à riconosciuto anche come il mio bene. Questa struttura si applica anche a “Brokeback Mountain”. L’amore è sempre positivo, ma in che modo si purifica e diventa vero, in che modo eros diventa agape? Le questioni della morale sessuale arrivano dopo. La Chiesa non vuole la svalutazione dell’eros, vuole il compimento dell’eros, che diventa possibile perché in ogni eros vero c’è un movimento che lo porta a trasformarsi in agape. L’esperienza umana è però quella del fallimento, delumano.l’insufficienza, del fatto che quel passaggio di norma fallisce. La stessa saggezza popolare suggerisce che chi ama di più soffre di più, ci dice di non credere nell’amore.
Attenti, allora, a dire che se non ci fossero i preti tutti sarebbero cristiani. Il passaggio all’agape è un passaggio di dolore, è la croce, e senza croce quel passaggio non è possibile.
Oltre a Platone, sullo sfondo dell’enciclica c’è poi Pascal. “Amerai il prossimo tuo come te stesso” è qualcosa che appare contraddittorio in se stesso: l’amore non si può realizzare con un atto di volontà, a comando. E’ reso però possibile da un amore vincitore che mi ama per primo: è l’amore di Dio che offre suo Figlio, fino alla morte sulla croce, perché l’uomo possa credere nell’amore. E’ questo il perno di tutta l’enciclica. Eros e agape così come sono concepiti nel mondo classico non bastano. Sono lo sfondo sul quale si proietta un avvenimento unico e irripetibile: c’è un uomo, Gesù Cristo, che ci ama fino in fondo e dà a noi, come risposta al suo amore, la capacità dell’amore vero."

( da "DEUS CARITAS SET.Chiacchiere umanistiche su eros, agape e Brokeback Mountain" sul Foglio di sabato 28 gennaio 2006)

visioni private /6

Ovvero:
come la professoressa di Storia Moderna, Lucetta Scaraffia (sempre più in odore di santità) continui ad andare al cinema ed a comparare la contemporanea rapprentazione filmica dell'amore umano con il "de amore cristiano" esposto dall'enciclica ratzingeriana.




"A riguardo dell’amore c’è un termine cattolico che la modernità non riesce a capire: sacramento

Leggere la “Deus caritas est” dopo avere visto “Match point” o “I segreti di Brokeback Mountain”, significa rendersi conto che Benedetto XVI ha risposto con chiare parole al male del nostro secolo, la contraffazione del concetto di amore.
I due film costituiscono infatti una perfetta sintesi del modo in cui oggi, nell’occidente che si propone come modello al mondo intero, vissuto l’amore: da una parte, la spietata analisi del rapporto di coppia, dove l’eros, divenuto strumento, si alterna con la manipolazione egoistica di un altro essere umano ai propri fini di piacere; dall’altra, l’esaltazione del vero amore, che ormai sembra possa essere vissuto soltanto dagli omosessuali, in apparenza gli unici rimasti ad aspirare con entusiasmo al matrimonio.
In questo il contesto culturale, il Papa ricorda il senso profondo dell’innovazione che il cristianesimo ha portato nel matrimonio, in un mondo pagano che per molti aspetti lo viveva con modalità simili alle nostre.
Benedetto XVI affronta nella prima parte dell’enciclica il tema che oggi è oggetto di una delle più gravi fratture fra il pensiero cattolico e la modernità, cioè il rapporto amoroso fra un uomo e una donna. Secondo critiche ormai radicate in un modo di pensare molto diffuso, la Chiesa appare infatti come una istituzione che dice sempre no alle aperture proposte dalla società laica – dall’uso di anticoncezionali artificiali all’aborto, dal libero amore al divorzio e all’accettazione dell’omosessualità come normalità – ma che non ha poi molto da proporre in cambio di questi rifiuti. Un’istituzione composta per di più da uomini celibi, che si permettono di parlare di qualcosa che non conoscono, di entrare in un campo, quello della vita sessuale fra donne e uomini, dal quale dovrebbero tenersi fuori.
Il Papa invece, con le sue parole nette e pacate, ricorda che nella tradizione cristiana la sessualità viene individuata non solo come un aspetto della natura umana, ma come il nodo fondamentale della vita, il punto in cui corpo e spirito si intrecciano e sul quale, quindi, si può e si deve agire per procedere nel cammino spirituale.
[...] E’ nell’esperienza dell’amore, del quale fa parte anche la passione sessuale, che l’individuo acquisisce un sapere essenziale, quello del sacrificio e del dono di sé.

Il mistero del matrimonio

Solo staccandosi da sé, rinunciando a sé, rimettendo il proprio destino nelle mani di un altro, il soggetto può dare un senso all’esistenza.
Il rapporto di coppia si trasforma, con il cristianesimo, da evento naturale e sociale in legame sacro, per il quale viene utilizzato il termine greco “mystèrion”, che in latino verrà tradotto con “sacramentum”.
Il “segreto” del matrimonio sta nel sacramento, cioè nel dono di una grazia che trasforma nell’intimo. Per questo nella tradizione latina – diversamente dagli altri sacramenti nei quali ministro è il sacerdote o il vescovo – nel matrimonio i ministri sono gli sposi stessi, trasformati dall’intervento di Dio. Lo scrive con limpidezza Romano Guardini: “Il matrimonio non è meramente l’adempimento dell’amore nella sua immediatezza, che porta uomo e donna a unirsi, ma la loro lenta trasformazione che si compie nello sperimentare la realtà”. Una trasformazione del modo di concepire l’atto sessuale ben spiegata da quelli che i teologi medievali avevano identificato come i fini del matrimonio: costituire una famiglia rivolta al futuro attraverso la procreazione; la fedeltà reciproca, che significa anche potersi fidare l’uno dell’altro nelle traversie della vita; infine il sacramento come presenza di Dio che aiuta i coniugi a realizzare quanto di buono può venire dal rapporto d’amore fra una donna e un uomo, imperfetti e deboli come tutti gli esseri umani.
L’idea che liberare gli esseri umani da ogni proibizione nel comportamento sessuale avrebbe aperto le porte alla felicità alla concordia è un’utopia smentita dall’aumento del numero dei divorzi, dai problemi delle famiglie spezzate e del destino dei figli: lo sperimentiamo quotidianamente nella nostra società disperata e disperante, senza vie d’uscita, perché la libertà individuale non viene mai messa in discussione come valore supremo a cui aspirare e uniformarsi. Si è cercato di togliere dal matrimonio tutto ciò che costituiva rinuncia e sacrificio, quanto sembrava incompatibile con il progetto di realizzazione individuale, e lo si è svuotato del suo vero significato.

Benedetto XVI ci ricorda il nucleo centrale dell’insegnamento cristiano, cioè che eros e agape non solo devono stare insieme, ma anche aprirsi all’amore di Dio, alla carità. E ce lo dice senza ideologia, senza contrapporre una interpretazione a un’altra, ma ricordando che l’amore è un’esperienza concreta che si vive e si riconosce, che quasi si tocca con mano, non un’idea come un’altra da provare e magari criticare, non un’esperimento sociale, non un’utopia."

(da il Foglio di sabato 4 febbraio 2006)

domenica, febbraio 12, 2006

Ciao Darwin

Ovvero: "Fatti non foste a viver come bruti"

Il 12 febbraio del 1809 nasceva a Shrewsbury (Shropshire) in Inghilterra Charles Robert Darwin.
[...]il 197° anniversario della sua nascita [...] sarà celebrato con commossa memoria il Darwin’s Day, in Italia e nel mondo.
Perché tanta solennità e tanta fretta nel glorificare il grande naturalista inglese? Si potevano aspettare quei tre anni mancanti, per una commemorazione più tonda.
E poi perché un “Day” per Darwin e non per Galileo o Newton o Einstein? Gli organizzatori ritengono evidentemente che i tempi incalzino, che il grande naturalista inglese sia minacciato e bisogni correre alle difese, mentre Galileo, Newton e Einstein possano dormire in pace. Chi minaccia Darwin? I creazionisti americani? Forse l’Intelligent Design di Seattle?
O preoccupano di più le parole di Papa Ratzinger a Piazza San Pietro: “Non siamo il prodotto casuale e senza senso dell’evoluzione”?. Già nel quarto secolo, ricorda il Papa, San Basilio Magno rimproverava ai seguaci di Ario che essi: “…immaginavano l’universo privo di guida e di ordine, come in balìa del Caso.” [...]

La mia ipotesi è che il darwinismo stia cedendo dal suo interno.
Ogni successo o scoperta della biologia è ormai da tempo accreditata a Darwin, e ciò è comprensibile se la biologia è sempre più intesa come “nota in calce” alla teoria dell’evoluzione. (Dawkins). Quello che si sta dissolvendo è l’impianto teorico della dottrina, che per il vero è sempre stato travagliato.

Mezzo secolo fa, nel centenario dell’uscita de “L’Origine delle Specie” di Darwin (1859), il biologo canadese W.H. Thompson, incaricato di stendere una prefazione alla riedizione, lamentava: “Questa situazione, dove uomini si riuniscono in difesa di una dottrina che non sono capaci di definire scientificamente e ancor meno di dimostrare con rigore scientifico… è anomala e indesiderabile nella scienza.”
Bisogna riconoscere a Darwin il gran merito storico di aver svincolato le epoche della vita dalla teologia. Non ritenne tuttavia, e questo va ancora a suo merito, che la sua teoria fosse incrollabile. Anzi scrisse: “Se potesse essere dimostrato che esistesse qualche organo complesso che non avrebbe potuto essere formato attraverso leggere modifiche, numerose e successive, la mia teoria crollerebbe definitivamente.”[...]
Col passare dei decenni, “tutte” le sue proposte [di Darwin] sono state contraddette, non dai creazionisti, ma dai darwinisti stessi. La trasmissione dei caratteri acquisiti (teorizzata nella teoria della Pangenesi), l’onnipotenza della selezione naturale, il gradualismo delle trasformazioni, le forme intermedie, la tendenza al progresso, la discesa dell’uomo dalla scimmia… tutte queste cose giacciono nei polverosi musei della scienza, sostituite da nozioni che col Darwin storico non hanno più alcuna relazione.
E come allora si sostiene la Grande Teoria?
Contrapponendosi all’ingenuità di un Creazionismo letterale, che sbriga la creazione del cosmo, della vita e dell’uomo in sei giorni e misura la durata dell’universo in poco più di quattromila anni. Per tenersi in piedi, il darwinismo preferisce andare a cercare i suoi antagonisti in sinagoga o in sagrestia, piuttosto che nei laboratori dei ricercatori innovativi. E intanto elargisce premi e celebra giornate di gloria. A parte la disperazione che il darwinismo ha prodotto nei fedeli, privati del loro Dio, della loro anima, della loro fede, dell’aldilà, di tutte le loro virtù (tra cui quella di non opprimere i deboli), rimasti senza bellezza, speranza e significato, a parte tutto questo, nessuno si è curato della legittimazione che il darwinismo offriva al razzismo, alla sopraffazione, all’egoismo.
Scrisse Darwin, nel suo “Descent of Man”, e lo ripeterò sino alla noia: “Tra tutti gli uomini ci deve essere lotta aperta (e), tra qualche tempo a venire, è quasi certo che le razze umane più civili stermineranno e si sostituiranno in tutto il mondo a quelle selvagge”, e così l’uomo sarà innalzato, perché la sua superiorità non si misurerà dalla differenza tra il negro e lo scimpanzé, ma tra quella tra il bianco caucasico e il babbuino (oltre al negro, anche le scimmie antropomorfe saranno state eliminate). Anche in questa previsione Darwin ha sbagliato. Queste frasi vanno tuttavia fatte presenti a coloro che hanno richiesto che Darwin fosse insegnato ai bambini delle scuole elementari.

Voglio ricordare ai celebratori del darwinismo quel che accadeva in Inghilterra e in America cent’anni fa, nel 1906. Nelle vicinanze della cittadina di Piltdown si cominciavano a scoprire i resti del teschio di una specie nuova, l’uomo-scimmia di Piltdown o ‘Eoanthropus dawsoni’, che ebbe l’onore di quarant’anni di esposizione al
Museo di Storia Naturale di Londra, di menzione su tutti i libri di testo, finché nel 1953 si scoprì essere un volgare falso, un montaggio della volta cranica di un aborigeno australiano con la mandibola di un orango del Borneo, in cui era incastonato un dente manipolato.

Nello zoo del Bronx, a New York, era intanto esposto nudo al pubblico, in una gabbia insieme a un orango e uno scimpanzé, un pigmeo del Congo, come esempio di anello intermedio tra la scimmia e l’uomo, con il beneplacito della Società Zoologica Americana. Si chiamava Ota Benga e morì suicida.

Darwin ha fatto il suo tempo, e non ha portato né la soluzione dei problemi delle origini, né la probità nella biologia, né la pietà nel mondo.
Il mio modesto consiglio è quello di dare alla sua tomba le debite onoranze… e di dimenticarlo.
Giuseppe Sermonti

(il Foglio, sabato 11 febbraio 2006)

venerdì, febbraio 10, 2006

Sonetos Fùnebres V



Termino ricordando con commozione le parole pronunciate da sua madre, Maria Polselli vedova Santoro: “La mamma di Don Andrea perdona con tutto il cuore la persona che si è armata per uccidere il figlio e prova una grande pena per lui essendo anche lui un figlio dell’unico Dio che è amore”.
(Camillo Card. Ruini omelia nella messa esequiale di don Andrea Santoro, basilica di San Giovanni in Laterano, 10 febbraio 2006)

giovedì, febbraio 09, 2006

Benedictus benedicat III



"Colpisce innanzitutto la prontezza con cui la diplomazia vaticana, sia pure nell’impossibilità di avere un peso politico di qualche rilievo nel quadro di una guerra già scoppiata, colse le dimensioni della tragedia che si stava abbattendo sugli armeni. Le deportazioni ebbero inizio il 24 aprile 1915, e nonostante le comunicazioni fossero precarie e difficili, Benedetto XV, che aveva molto a cuore l’Oriente cristiano – fu lui a dare vita al Pontificio Istituto orientale di Roma –, fece il suo primo intervento pubblico sulla questione il 6 dicembre, al Concistoro dei cardinali, pronunciando una frase che è quasi una definizione ante litteram del termine genocidio: «Miserrima armenorum gens ad interitum prope ducitur»
L’infelicissimo popolo armeno è condotto alla soglia dell’annientamento»).
La lettera che indirizzò al sultano
è un capolavoro di delicata abilità diplomatica, benché fosse chiaro che il sovrano era ormai un fantoccio nelle mani di altri. E non va dimenticato neppure il contributo dato da Pio XI al ricovero di tanti orfani armeni dopo la guerra, per i quali aprì la villa di Castel Gandolfo. A un prelato che gli faceva osservare che stava dando ospitalità a “figli di eretici”, il Papa rispose, battendo energicamente il pugno sul tavolo, che si trattava piuttosto di figli di martiri..."


(30 Giorni, giugno 2005)

perdere la trebisonda 2

Forse sarà una leggenda, forse sarà una esagerazione, ma alcuni sostengono che all'arrivo degli Ottomani invasori nella regione anatolica con capitale la città di Trebisonda, essendo popolata da cristiani, i Turchi vollero convertire all'Islam gli abitanti con le buone o con le cattive maniere.
A Trebisonda, si dice per paura, il vescovo e i dignitari si fecero musulmani, seguiti da tutta la popolazione. Per premio il vescovo venne eletto Pascià.
Dallo straniamento provocato dalla vicenda nascerebbe il detto "perdere la trebisonda"

perdere la trebisonda 1

"In lingua italiana il nome, sostantivato, della città viene utilizzato nella frase "perdere la trebisonda" con utilizzo e significato analogo a quello di "perdere la bussola" (o "la tramontana"): essere disorientati o confusi e con il significato aggiuntivo di perdere il controllo, inquietarsi. Ciò deriva dal fatto che, anticamente, la città di Trebisonda costituiva un importantissimo punto di riferimento visivo per le navi che percorrevano quelle rotte: se mancato, spesso si verificavano tragici naufragi lungo le coste circostanti."

(Wikipedia)

mercoledì, febbraio 08, 2006

Vite Parallele 4

Ovvero: LO SFREGIO ALLA SACRA ICONA



Il 30 settembre 2005 il giornale danese Jyllands-Posten pubblicò 12 vignette caricaturali sulla religione islamica col titolo: "I volti di Maometto". Come segno di solidarietà per le continue proteste di piccoli gruppi mussulmani domiciliati in Danimarca , i cugini norvegesi, giornalisti del "Magazinet", il 10 gennaio 2006 hanno ripublicato le vignette, acuendo così le proteste islamiche.
Sarà la prossimità del Carnevale, ma dal primo febbraio 2006 le varie redazioni giornalistiche europee han tirato fuori il costume da Giovanna d'Arco e, brandendo lo stendardo della libertà d'espressione, hanno ripubblicato le vignette per solidarietà con i colleghi scandinavi.
Soprattutto in quel Nord-Europa dove spesso capita che le chiese vengano demolite perchè non ci son più fedeli che le frequenti, è parso assurdo che cisiano "ancora" persone in grado di protestare pubblicamente per un'offesa del proprio sentimento religioso (che in Occidente, tra tutti i sentimenti è considerato il più intimo e privato).
Immediatamente, al dilagare delle vignette -e delle proteste- il Presidente afgano Hamid Kazai, interprete dei sentimenti nazionali ha affermato che: "ogni insulto al Profeta, la pace sia con lui, è un'insulto ad oltre un miliardo di persone e un'azione come questa non dovrebbe ripetersi".
Il Presidente egiziano Mubarak ha ammonito l'Occidente di non continuare a difendere la legittimità della publicazione delle vignette in nome della libertà d'espressione, perchè "così si darà un'ottima scusa a estremisti e terroristi" che , come puntualmente è avvenuto, avrebbero fomentato l'odio antioccidentale delle masse islamiche.
Il premier turco Erdogan si è prontamente ploclamato scioccato per la pubblicazione delle immagini "blasfeme", sostenendo che questo episodio era un lampante esempio che: "ci dovrebbe essere un limite alla libertà di stampa".
Queste le prime reazioni di alcuni leader politici islamici che in Occidente sono consideati tra i più moderati, i quali, però, si sono ben guardati dallo spiegare ai loro sudditi - pardòn: concittadini- che in regime di democrazia esiste una netta distinzione tra il Pubblico ed il privato; che una cosa è il "reato" commesso da un privato cittadino di uno Stato altra invece la responsabilità politica del Governo dello Stato stesso. Tale dottrina il capo del governo danese, Rasmussen, si è subito prodigato di chiarificare ai Mass Media arabi: il primo Ministro danese s'è dichiarato personalmente dispiaciuto e comprensivo dei sentimenti islamici ma quale capo del Governo non può assumersi alcuna responabilità dei fatti ne tantomeno - Codice di Procedura Penale alla mano- ha alcuna autorità per punire i giornalisti blesfemi.
Il povero Rasmussen è apparso agli interlocutori arabi come un pazzo delirante: che capo del Governo sei se non hai l'autorità sovrana di sbattere in galera chi più ti aggrada e per quale motivo più ti piace?
O peggio, Rasmussen è stato visto dai telespettatori islamici come un presuntuoso crociato - e se qualcuno ha qualche dubbio si guardi la bandiara danese - che nasconde dietro la scusa della Democrazia il suo disprezzo anti-islamico.
Nel frattempo, e nei giorni a seguire, c'è stato un continuo rimbalzare sui Media delle notizie di manifestazioni di protesta nel Vicino e nell'Estremo Oriente sfociate in atti di violenza alle rappresentanze diplomatiche europee e danesi in particolare.
E mentre centinaia di studenti pachistani ed indonesiani urlavano di essere pronti a partire per la guerra santa, si faceva assordante la reticenza dei mussulmani residenti nelle Nazioni democratiche e liberali dell'Europa. A questi ultimi gli intellettuali ed i politici rivolgono l'ammonimento che la libertà di cui godono in Occidente ha un prezzo. La libertà non è gratis! Ed il prezzo da pagare è la tolleranza delle opinioni altrui.


Erano le 14:30 di domenica 29 gennaio quando Simona Ventura conduttrice della trasmissione televisiva "Quelli che il calcio", in onda su raidue, si è collegata con la signora Rosa Berlusconi.
L'anziana signora, ben cotonata, in elegante abito scuro, con una collana di perle, sprofondata in un'enorme poltrona blu ed oro che parla con un pesante accento milanese non è in realtà la novantacinquenne madre di Silvio Berlusconi ma l'attrice comica Lucia Ocone.
Al pari di Max Giusti, Lucia Ocone interagisce nel programma calcistico di Simona Ventura con delle parodie di personsggi famosi, e così, dopo la parodia di Eva Henger, di Madonna e di Anna Moroni ecco che la giovane attrice romana impersona la nonagenaria matriarca della famiglia Berlusconi.

L'idea della parodia non nasce dal nulla ma segue una settimana di articoli giornalistici -molti i faceti- sulle indiscrezioni che vorrebbero "mamma Rosa" lamentare la mancanza di riconoscenza di molti uomini pubblici che devono la loro carriera al suo figliolo Silvio che quando era imprenditore tanto li aveva beneficati.
La signora Rosa esordisce dicenso che in Italia economicamente si stà bene e che lei con la sua pensione minima arriva tranquillamente alla fine del mese.
« Fu mi tus cos! Faccio tutto io! Conto l’argenteria, spolvero il televisore Luigi XVI che mi ha regalato il Paolino... è originale, sa? Vu al mercà a fa’ la spesa... e sto attenta ai prezzi, sa? ». Ironizzando sul fatto che i l presidente del Consiglio ha più volte suggerito alle casalinghe di fare il giro dei mercati per risparmiare, confida Rosa: «L’ortolano el me vureva fa’ pagà un chilo di mele 2 euro... Ué ma schersum ? Sono d’oro? Allora ho fatto il giro dei mercati con l’aereo di mio figlio e in Francia ho trovato le mele a 2 euro al chilo».
Poi si mostra preoccupata per il cumulo di lavoro che pesa sul suo povero Silvio:
«C’ha intorno più servi lui che la Regina Madre, ma alla fine è sempre lui che deve fare tutto! Emilio corri di qui, Paolino gira di là, Vittorio fa minga inscì , ma niente! Alla fine Silvio deve scrivere le notizie, fare i programmi, fare le leggi».

L'esilerante parodia ha fatto infuriare molti berlusconiani di cui s'è fatto interprete il vicecoordinatore di Forza Italia, Fabrizio Cicchitto, che ha parlato di "satira politica a senso unico che ha fatto un ulteriore salto sul terreno dell’inciviltà" dissacrando il profondo legame madre-figlio, seppur di un personaggio pubblico.

Cicchitto ha ribadito che "mai era avvenuto che fossero presi di mira parenti di leader politici. Tutto ciò non ha nulla a che fare con la satira politica ma solo con la stupidità, un’infinita faziosità e uno straordinario cattivo gusto".
I dirigenti Rai hanno convenuto che sia stata una satira di basso livello quella di Lucia Ocone che ha impunemente ridicolizzato le ambasce di una mamma novantacinquenne per il suo bambino settantenne.
Gli autori del programma di Simona Ventura hanno assicurato che la parodia non sarebbe stata mai più riporoposta.

martedì, febbraio 07, 2006

C'è del marcio in Danimarca

OVVERO: L'INVENZIONE DELLA VERA ICONA

"Chi è Abu Laban, imam a Copenaghen
E’ tutto partito da un uomo solo. L’imam palestinese Abu Laban, a Copenhagen da ormai dodici anni, è per i danesi la faccia più familiare dell’islam. Negli anni si è saputo costruire l’immagine di religioso moderato e fino a qualche giorno fa era invitato regolarmente nei salotti televisivi e nei meeting ufficiali con alti rappresentanti del governo. Nonostante il danese stentato, Abu Laban era il cocco dell’intelligenzia locale; era l’uomo-ponte tra le due culture. A settembre, quando uscirono le fatidiche vignette, Laban fu pronto a organizzare manifestazioni di protesta, ma il governo e i media danesi, presi dalle elezioni locali, lo ignorarono. L’imam della moschea danese – un qaidista in sonno, pronto ad accendere il fuoco un pericoloso jihad culturale – aveva ben chiara la sequenza delle mosse successive da intraprendere.
Dopo aver contattato gli ambasciatori a Copenaghen di vari paesi islamici, a dicembre Abu Laban ha formato una delegazione che si è recata in medio oriente
per pubblicizzare la vicenda. I musulmani danesi hanno incontrato i dirigenti della Lega araba e dell’università al Azhar al Cairo, l’antico cuore degli studi dell’islam, per poi proseguire per l’Arabia Saudita e il Qatar, dove sono stati ricevuti dallo sceicco Yusuf al Qaradawi, eminenza grigiadei Fratelli musulmani e star di uno show su al Jazeera in cui dispensa verdetti religiosi.
A tutti mostrano i disegni. Furbescamente ne aggiungono altri tre – studiati ad arte per essere massimamente insultanti – con cui Jylland Posten non ha nulla a che fare. Un profeta con la faccia suina, un profeta avvinghiato a un cane e un profeta con la scritta “demone pedofilo”.
Il passato di Abu Laban è nero. Documenti d’intelligence mostrati ieri sera alla tv danese rivelano che è stato per anni in contatto con gruppi terroristi, in particolare con l’egiziana Jamaat Islamiya. Agli inizi degli anni 90 il gruppo spostò parte della sua leadership in Europa, e a Copenaghen s’insediarono Ayman al Zawahiri, oggi vice di bin Laden, e Talat Fuad Kassem, uno dei suoi massimi esponenti. Dalla capitale scandinava i due pubblicavano al Murabitun, la rivista ufficiale dell’organizzazione.
Abu Laban divenne traduttore e distributore del mensile, che glorificava l’uccisione di turisti in Egitto, come avvenne a Luxor nel 1997, e incitava allo sterminio degli ebrei in Palestina."
( da Il Foglio di venerdì 3 febbraio 2006)

giovedì, febbraio 02, 2006

La Niña Santa /5

Ovvero: Piccolo trattato Della Maestà del Sacramento
(PARTE TERZA)


Padrini dell'Infanta Leonòr sono stati i nonni paterni, "los Reyes".
E' infatti tradizione della Real Casa spagnola che siano i nonni o comunque venerandi membri della Famiglia Reale a tenere a Battesimo gli infanti.
Non si può sottovalutare il fatto che per la Chiesa cattolica: "I padrini contraggono una parentela spirituale col battezzato e coi suoi genitori, la quale cagiona impedimentodi matrimonio coi medesimi" [CMSPX n.576], ragion per cui la tradizione nasce dalla necessità delle monarchie nel passato di non creare ulteriori impedimenti al matrimonio tra regali parenti, dato che i promessi sposi andavano obbligatoriamente scelti in una ristretta cerchia di Case principesche tutte imparentate tra loro.
A Roma, nel 1938 alla presenza di Sua Maestà Elena di Montenegro Regina d'Italia e del Re di Spagna in esilio Alfonso XIII, la di lui consorte regina Victoria Eugenia - nonna paterna - fece da madrina a Juan Carlos, mente il padrino fu il nonno materno l'infante Don Carlos di Borbone "delle Due Sicilie".
L'infanta Elena, primogenita di Re Juan Carlos, fu battezzata il 27 dicembre 1963 essendo padrini la nonna paterna donna María de las Mercedes di Borbone e dall'infante Don Alfonso de Orleáns y Borbón.
La secondogenita Cristina fu battezzata il 20 giugno 1965, la Infanta María Cristina de Borbón y Battenberg, contessa di Marone, zia del Re, e Alfonso de Borbón Dampierre, fratello di Juan Carlos, ne sono stati i padrini
Il Príncipe "de Asturias", battezzato l'8 febbraio 1968, ebbe come madrina la bisnonna paterna: la Regina Victoria Eugenia, che trent'anni prima era stata anche la madrina di Juan Carlos e che per il lieto evento ritonava in Ispagna per la prima volta dal 1931. Padrino di Felipe fu il figlio della Regina Victoria Eugenia e padre di Juan Carlos: il conte di Barcellona Don Juan de Borbón y Battenberg.
"I padrini e le madrine sono obbligati a procurare che i loro figli spirituali siano istruiti nella vera fede e vivano da buoni cristiani edificandoli col buon esempio" [CMSPX n.575]
Pertanto la Madre Chiesa ammonisce che: "Si debbono eleggere a padrini e madrine persone cattoliche, di buoni costumi e ossequienti alle leggi della Chiesa" [CMSPX n.574]

Chiediamoci: chi, dunque, più di una "Maestà cattolica" è degna di tale ritratto?
Chi più dei membri della Casa reale dei Re "Cattolicissimi" può dare maggior esempio di devozione per "Nuestro Padre el Señòr Jesùs Cristo" e per ciò che la santa Chiesa cattolica ci propone a credere?


Da una tale considerazione prende vita un'altra tradizione della famiglia reale spagnola: le Altezze Reali ricevono il Battesimo nello stesso fonte battesimale in cui fu battezzato lo spagnolissimo San Domenico di Guzman.
Il fonte battesimale si trovava originariamente nella chiesa del castello di Caleruega, "pueblos" della Vecchia Castiglia poco distante dall'altro villaggio di Guzman di cui era originario il padre di san Domenico.
Probabilmente nel 1173 il terzogenito di Felice di Guzman e di Giovanna d'Aza fu battezzato in quella pila di pietra bianca il santo fondatore dell'Ordine dei Padri predicatori universalmente noti come "Domenicani".

Nel XVII secolo il Re di Spagna Filippo III diede ordine di trasportare la vasca di pietra a Valladolid per il battesimo del fururo Filippo IV dopodichè fu trasferita a Madrid nel convento di "Santo Domingo el Real" dove, impreziosita da un rivestimento d'argento d'orato, la vasca attende d'uscire per il battesimo dei novelli infanti di Spagna, previa annotazione su di un apposito registro.
I cugini di Leonòr, non essendo altezze reali non hanno avuto un tale privilegio dovendosi accontentare di un fonte battesimale in argento dei primi dell'Ottocento, opera della "Real Fabrica de Platerìa".

Ma perchè San Domenico?
Perchè a causa di una infelice leggenda si vuole che San Domenico sia stato l'inventore dell'Inquisizione.
Leggenda: perchè quando Papa Gregorio IX istituì i tribunali dell'Inquisizione san Domenico era santamente spirato da undici anni. E dico infelice leggenda poichè furono i domenicani stessi, incaricati dal pontefice a presiedere quei tribunali dell'eresia, ad inventare la fama di "grande inquisitore" al loro fondatore, quando invece San Domenico aveva fondato i "Predicatori", appunto, per combattere l'eresia catara per mezzo della predicazione per estirpare anzitutto l'ignoranza del messaggio cristiano.
Nel 1478 Ferdinando d'Aragona e Isabella di Castiglia, nell'ottica della "Reconquista", chiesero a papa Sisto IV il potere di creare nei loro regni un'organizzazione inquisitoriale autonoma : la famigerata Inquisizione spagnola. Questa si differenziava proprio perchè vero tribunale "statale" cioè dipendente unicamente dalla Corona di Spagna senza possibilità di intervento esterno compreso quello pontificio.
I Re cattolici misero a capo della loro personale Inquisizione solo i padri domenicani (e domenicani spagnoli!)
Detto ciò è facile intuire il movente simbolico per cui Filippo III scelse, per battezzare -"cristianàr": si dice eloquentemente in lingua castigliana!- il proprio erede, proprio il fonte di san Domenico.
Oggidì, ormai scrostate dall'immgine storica di Domenico di Guzman le posticce patine inquisitoriali, gioiamo comunque (e se possibile maggiormente che per il passato) per la felice ventira della piccola Leonòr di poter aver avuto, al momento in cui per mezzo del Battesimo faceva ingresso nel seno della Madre Chiesa, la benedizione d'un padrino celeste così amante della Fede cattolica!
Poichè chi chiede il Battesimo chiede di aderire alla Fede -tutta intera- professata dalla Chiesa.
"In tutti i battezzati, bambini o adulti, la fede deve crescere dopo il Battesimo. Per questo ogni anno, nella notte di Pasqua, la Chiesa celebra la rinnovazione delle promesse battesimali. La preparazione al Battesimo conduce soltanto alla soglia della vita nuova. Il Battesimo è la sorgente della vita nuova in Cristo, dalla quale fluisce l'intera vita cristiana." [CCC n.1254]
"Il Battesimo è il sacramento della fede. La fede però ha bisogno della comunità dei credenti. E' soltanto nella fede della Chiesa che ogni fedele può credere. La fede richiesta per il Battesimo non è una fede perfetta e matura, ma un inizio, che deve svilupparsi. Al catecumeno o al suo padrino viene domandato: “Che cosa chiedi alla Chiesa di Dio?”. Ed egli risponde: “La fede!”. [CCC n.1253]"

mercoledì, febbraio 01, 2006

La Niña Santa /4

Ovvero: Piccolo trattato Della Maestà del Sacramento
(PARTE SECONDA)


"I credenti che rispondono alla Parola di Dio e diventano membra del Corpo di Cristo, vengono strettamente uniti a Cristo: “in quel Corpo la vita di Cristo si diffonde nei credenti che attraverso i sacramenti vengono uniti in modo arcano ma reale a Cristo che ha sofferto ed è stato glorificato”. Ciò è particolarmente vero del Battesimo, in virtù del quale siamo uniti alla Morte e alla Risurrezione di Cristo, e dell'Eucaristia, mediante la quale “partecipando realmente al Corpo del Signore” “siamo elevati alla comunione con lui e tra di noi” [CCC n.790]."
"Ciò accade per la potenza dello Spirito Santo poichè: “Quello che il nostro spirito, ossia la nostra anima, è per le nostre membra, lo stesso è lo Spirito Santo per le membra di Cristo, per il Corpo di Cristo, che è la Chiesa”. “Bisogna attribuire allo Spirito di Cristo, come ad un principio nascosto, il fatto che tutte le parti del Corpo siano unite tanto fra loro quanto col loro sommo Capo, poiché egli risiede tutto intero nel Capo, tutto intero nel Corpo, tutto intero in ciascuna delle sue membra”. Lo Spirito Santo fa della Chiesa “il tempio del Dio vivente” [CCC n.797 ]."
"Infine lo Spirito Santo è il Maestro della preghiera." [cCCC n.146]
I fedeli pregano il Signore Gesù Cristo ed al contempo professano la fede in lui nelle celebrazioni liturgiche.
"L'assemblea che celebra è la comunità dei battezzati i quali, “per la rigenerazione e l'unzione dello Spirito Santo, vengono consacrati a formare una dimora spirituale e un sacerdozio santo, e poter così offrire in un sacrificio spirituale tutte le attività umane del cristiano”. Questo “sacerdozio comune” è quello di Cristo, unico Sacerdote, partecipato da tutte le sue membra"[CCC n.1141].


Erano circa ottanta persone presenti alla liturgia battesimale della Infanta Leonor di Borbone.
In prima fila, a lato del fonte battesimale: "los Reyes"; il Principe e la Principessa delle Asturie, la quale teneva fra le braccia la loro primogenita;
la Infanta Elena ed il marito Jaime de Marichalar, Duchi di Lugo con i loro due figli Felipe Juan Froilán e Victoria Federica; la Infanta Cristina ed Iñaki Urdangarin, Duchi di Palma di Mallorca, con i loro quattro figli: Juan Valentín, Pablo Nicolás, Miguel e Irene.
Tranne quest'ultima, nata da poco più d'un anno e per ciò durante la cerimonia rimasta docilmente in braccio alla madre, gli altri cuginetti dell'Infanta Leonor non hanno resistito alla tentazione di scorrazzare attorno al fonte battesimale.

In seconda fila, poi,le due sorelle del Re, "las Infantas" Pilar e Margarita con le loro rispettive famiglie; la famiglia della Regina Sofia, la Casa Reale greca, il fratello ed ex Re Constantino di Grecia e la consorte Anna María, la sorella della Regina di Spagna, principesse Irene, e i loro figli e le loro famiglie.
Di fronte, dall'altro lato del fonte battesimale posto al centro del "vestibulo", stavano i nonni materni, don Jesús Ortiz Alvarez e donna Anna Togores con tutti i parenti della Principessa delle Asturie.
Oltre poi alla presenza di alcuni scelti amici dei Principi delle Asturie.

Dietro al fonte battesimale, presenziavano al sacro rito "el Presidente del Gobierno" Josè Luis Rodríguez Zapatero e la gentile consorte Sonsoles Espinosa, così come 36 anni prima, nello stesso luogo, il Generalissimo Francisco Franco e "la Señora" Carmen Polo, avevano presenziato al battesimo del Principe Felipe.
Erano presenti inoltre: il Ministro della Giustizia Juan Fernando López Aguilar, il Presidente del "Congreso de los Diputados" Manuel Marín; il presidente del Senato Javier Rojo; del "Tribunal Constitucional" María Emilia Casas Bahamonde; del "Tribunal Supremo" Francisco José Hernando; della "Comunidad de Madrid" Esperanza Aguirre ed il Sindaco di Madrid Alberto Ruiz-Gallardón; in fine, il Conte di Elda: "Decano de la Diputación Permanente y Consejo de la Grandeza"; tutti accompagnati dal rispettivo coniuge.

La partecipazione delle autorità della Cosa Pubblica al battesimo della Infanta Leonòr deve ammonirci sul significato universale e non privato di ogni celebrazione sacramentale!
" Nella Liturgia agisce "Cristo tutto intero" (Christus Totus), Capo e Corpo. Quale sommo sacerdote, egli celebra con il Corpo, che è la Chiesa celeste e terrestre" [cCCC n.233]

"E' tutta la Comunità, il Corpo di Cristo unito al suo Capo, che celebra. “Le azioni liturgiche non sono azioni private, ma celebrazioni della Chiesa, che è "sacramento di unità", cioè popolo santo radunato e ordinato sotto la guida dei vescovi." [CCC n.1140].
E' stato infatti un Vescovo, il Cardinale Antonio María Rouco Varela Arcivescovo di Madrid, ad amministrare il sacramento all'Infanta perchè, anche se in caso di necessità, chiunque può battezzare, dato che: "Quando uno battezza è Cristo stesso che battezza"[CCC n.1088], essendo il Vescovo capo visibile della Chiesa locale, egli è perfetta "icona" di Cristo, Capo mistico della Chiesa Universale.
Sua Eminenza Antonio María Rouco Varela è stato assistito nel rito da Monsignor Francisco Pérez González, Arcivescovo Castrense (ossia Ordinario militare)di Spagna. Hanno concelebrato inoltre: Monsignor Manuel Monteiro de Castro Nunzio Apostólico della Santa Sede; Monsignor Fidel Herraez vescovo ausiliare di Madrid; Monsignor José Manuel Estepa Llaurens Ordinario militare emerito; Monsignor Serafín Sedano Gutiérrez cappellano di Sua Maestà e dal Maestro di Ceremonie Don Andrés Pardo.
Si è così rinnovata la felice tradizione che vede i rampolli della Real Casa spagnola ricevere il Santo Battesimo per mano di un esponente dell'Ordine episcopale.
Juan Carlos ,nato a Roma il 5 gennaio 1938 fu battezzato il giorno 26 seguente nel palazzo del Gran Maestro del Sovrano Militare Ordine di Malta (in via Condotti) dal Cardinale Eugenio Pacelli che l'anno appreso sarebbe stato assunto al Pontificato col nome di PioXII.
Alla Zarzuela, il Battesimo dell'infanta Elena fu officiato dal Nunzio Apostolico monsignor Riberi. La seconda figli di Juan Carlos, Cristina, come poi l'erede al trono Felipe, furono invece battezati da sua Eccellenza Casimiro Morcillo, Arcivescovo di Madrid-Alcalà.
Lo stesso Cardinale Rouco Varela ha inoltre battezzato tutti i nipoti del Re di Spagna.
Il "rito essenziale" del Battesimo è stato preceduto dalla lettura delle Sacre Scritture ed il padre di Leonor, Principe Felipe ha letto la prima lettura tratta dal profeta Ezechiele (cap 36, 24-28):
"Vi prenderò dalle genti, vi radunerò da ogni terra e vi condurrò sul vostro suolo.
Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati; io vi purificherò da tutte le vostre sozzure e da tutti i vostri idoli; vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo i miei statuti e vi farò osservare e mettere in pratica le mie leggi. Abiterete nella terra che io diedi ai vostri padri; voi sarete il mio popolo e io sarò il vostro Dio."

La Liturgia della Parola è parte integrante delle celebrazioni sacramentali[CCC n.1154].
Inseparabili in quanto segni e insegnamento, la parola e l'azione liturgiche lo sono anche in quanto realizzano ciò che significano. Lo Spirito Santo non si limita a dare l'intelligenza della Parola di Dio suscitando la fede; attraverso i sacramenti egli realizza anche le “meraviglie” di Dio annunziate dalla Parola; rende presente e comunica l'opera del Padre compiuta dal Figlio diletto. [CCC n.1155]


Come per i battesimi degli altri nipoti de "los Reyes" la celebrazione è stata animata dal coro delle religiose Figlie di Santa María del Cuore de Gesù di Galapagar, località nei pressi di Madrid.

“La tradizione musicale di tutta la Chiesa costituisce un tesoro di inestimabile valore, che eccelle tra le altre espressioni dell'arte, specialmente per il fatto che il canto sacro, unito alle parole, è parte necessaria ed integrale della Liturgia solenne” [CCC n.1156].
"Il canto e la musica svolgono la loro funzione di segni in una maniera tanto più significativa quanto più sono strettamente uniti all'azione liturgica, secondo tre criteri principali: la bellezza espressiva della preghiera, l'unanime partecipazione dell'assemblea nei momenti previsti e il carattere solenne della celebrazione. In questo modo essi partecipano alla finalità delle parole e delle azioni liturgiche: la gloria di Dio e la santificazione dei fedeli"[CCC n.1157]