domenica, agosto 26, 2007

Dialogo ebraico-cristiano /3

Ovvero: 26 Agosto. Memoria liturgica di Santa Teresa di Gesù "nella Trasverberazione del suo cuore"



"Poichè i battesimi dei neofiti costituivano uno spettacolo di grande richiamo per il pubblico, oltre ad essere un'occasione religiosa e un atto di vasta portata politico-ideologica, dei casi più straordinari o eccezionali venivano diffuse descrizioni e relazioni, anche a stampa [...]

Della cerimonia celebrata il 12 marzo 1704 da papa Clemente XI in S.Pietro ci resta una minuta relazione redatta da Francesco Posterla [...]
Ma per capire le ragioni della pubblicazione e del rilievo che, attraverso di essa,era dato all'evento bisogna prima chiarire il contesto più ampio da cui essa uscì.
L'11 marzo 1704, infatti, cioè il giorno antecedente a quello in cui fu celebrato il solenne battesimo fu pubblicata dal pontefice la bolla Propagandae per universum[...]

"L'Istorico Ragguaglio della solenne Funzione fatta nel darsi il Battesimo dalla Santità di Nostro Signore Papa Clemente XI a tre persone ebree alla nostra Santa Fede" iniziava, sulla falsariga del documento papale, con l'esaltazione dello zelo apostolico e evangelizzatore di papa Clemente XI esplicato sia nei confronti di eretico ed infedeli, attraveso le missioni spedite «fino nelle Regioni più barbare, e più remote», sia nei confronti del più vicino popolo ebreo [...]

L'Istorico Ragguaglio ricorda anche la nuova bolla papale emanata l'11 marzo -il giorno prima della cerimonia che si accingeva a descrivere- che aveva ribadito e soprattutto ampliato il decreto cinquecentesco di Paolo III relativo ai privilegi dei neofiti «quanto ai beni temporali», privilegi concessi per facilitare le conversioni «degl'Infedeli, e particolarmente degl'Ebrei». Risulta perciò ulteriormente confermato come il decreto pontificio mirasse proprio a questi ultimi che costituivano il vero nodo della tematica conversionistica.


La sacra liturgia del 12 marzo 1704 riguardava un facoltoso mercante ebreo di Livorno, Angelo Vesino, che si era convertito al cristianesimo insieme con la moglie Bianca e la figlia Anna di quattordici anni.
La relazione era scandita in due parti.
Nella prima, con andamento sapientemente narrativo e con forte uso di colpi di scena e di moduli retorici, si raccontava la storia dei tre neofiti e della "miracolosa" conversione.
Nella seconda parte, invece, lo svolgimento della lunga e complicata cerimonia del battesimo. Entrambe le sezioni della relazione obbedivano tanto alla funzione politico-religiosa di propaganda e di apologia svolti da tali racconti, quanto anche nella loro cifra narrativa di lettura godibile e, nello stesso tempo, edificante rivolta ad un vasto pubblico.
Era evidente, infatti che gli obbiettivi sia delle cerimonie che delle loro descrizioni a stampa erano non soltanto la comunità ebraica da «confondere» con gli esempi e gli incentivie, soprattutto, da convertire, ma anche l'intera comunità cristiana dei fedeli. essa andava consolidata e rafforzata nella fede attraverso il grandioso "teatro" del trionfo della vera religione.



La vicenda della «mirabile conversione» iniziava da Angelo che, si diceva, da molti anni aveva dimostrato forte inclinazione verso la religione cristiana fino a decidersi di convertirsi dopo le pressioni esercitate dal granduca di Toscana in persona, Cosimo III de'Medici, e di un parente del papa stesso. Tuttavia, la moglie e soprattutto la figlia, che «aveva col latte succhiata ogni Ebraica superstizione», si mostravano «ostinate» e rifiutavano di seguirlo nella scelta del battesimo: era così ribadita anche nel modulo narrativo la realtà della maggiore resistenza femminile alla conversione.
Inoltre a conferma dell'ulteriore diffuso e ben noto stereotipo cristiano della «ostinazione» degli ebrei in genere nell'errore e della loro «dura cervice», lo stesso rifiuto venne anche dall'anziano padre David: co lui «fu lo stesso che persuadere uno scoglio, e pregare un'Aspido sempre sordo alle voci, sempre duro all'incanto». Mentre Angelo si trasferiva a Roma ove, accolto con grandi feste e onore dallo stesso pontefice, ricevette la sua istruzione cristiana preso il noviziato dei gesuiti, le donne, pur restando «ostinate», accettarono però di raggiungerlo nell'Urbe per assistere al battesimo e poi tornarsene a Livorno: ma già questo cedimento fu interpretato dal mondo cristiano come un «un occulto lavoro della Divina provvidenza. che le chiamava nel Gran Capo del Mondo e nella Reggia della Cattolica Religione per farle rinascere a Dio».
Provviste per ordine del Granduca di abiti e di ogni cosa necessaria per il viaggio, «per maggiormente disporle ad abbacciare la Fede Cattolica», e dotate di due comode lettighe con accompagnatori, servitori ed altro seguito, le due donne partirono cariche di regali e gioielli. Nel corso del viaggio, mentre la madre accettava di convertirsi, la figli continuò a mostrarsi «pertinace, e costante nella Giudaica superstizione», non accettando neppure di nutrirsi con i cibi che le venivano offerti.

L'ingresso a Roma delle due donne, da Ponte Milvio, si configurò come una vera entrata trionfale, del tutto simile agli ingressi solenni nell'urbe di sovrani e ambasciatori.
La relazione racconta che, per ordine del papa, fu loro mandato incontro un esponente della nobiltà romana, il conte Filippo Rinaldi, maestro di camera del cardinale Sacripante, con carrozze e cavalli e che dunque le due ebree fecero la loro entrata, al tramonto, con un corteo di quattro lettighe, due carrozze, tre calessi, sette soldati e tre servitori. Attraversata in lungo la città, percorrendo l'asse del Corso, furono condotte, per esservi accolte e ospitate, al palazzo del duca Mattei, peraltro assai vicino al ghetto romano.
Restava però il problema della fanciulla «pertinace».


La giovane fu accompagnata in giro per Roma a visitare le chiese della città, «per procurare d'affezionare anche per questo mezzo alla nostra Santa Fede», e finalmente accade il "miracolo".
Infatti, proprio nel «memorabile» giorno anniversario della conversione di S.Paolo, fu condotta alla visita della chiesa di Santa Maria della Vittoria dove le fu innanzi tutto mostrata la miracolosa immagine mariana, detta "della Vittoria", che vi era conservata. L'immagine era quella che, dopo il trionfo della lega cattolica contro i riformati di Boemia e Palatinato nella battaglia della Montagna Bianca (1620), nel corso della guerra dei Trent'anni, era stata portata dalla Boemia a Roma come trofeo.

Successivamente, la giovane fu accompagnata davanti alla famosa statua di Gian Lorenzo Bernini che raffiguta santa Teresa in estasi e trafitta nel cuore dalla lancia dell'angelo, collocata nella cappella Cornaro; davanti ad essa, la ragazza venne esortata alla preghiera.

La giovane ebrea venne così a trovarsi di fronte al tema iconografico più celebre e noto relativo alla santa e che, peraltro, era stato anche raffigurato nello stendardo della canonizzazione del 1622.


Il ruolo delle due immagini per la conversione della fanciulla fu determinante, perchè - racconta l'autore del Ragguaglio- la fanciulla «dalla Vergine Santissima della Vittoria apprese a riportar Vittoria di se stessa, e da Santa Teresa a farsi piagare il Cuore da un santo amore innocente, che allora solamente sa godere quando ferisce».


La dimenzione retorica del racconto, con le sue palesi metafore simboliche, non nasconde però un fenomeno reale e costante nel tempo, fino ad oggi poco indagato, quale quello dell'importanza centrale delle immmagini e della iconografia in genere nelle conversioni.

Se per Teresa - la grande santa della Controriforma fondatrice dell'ordine riformato delle carmelitane scalze e di numerosi conventi femminili, oltre che grande scrittrice- la visione del Cristo sofferente aveva determinato la sanzione definitiva delle grazie mistiche ricevute, così era ora la visione di Teresa estatica e annichilita, sospera tra cielo e terra, tra gioia e sofferenza, ad essere rappresentata come una vera apparizione in grado di accendere la conversione della giovane ebrea."

( Marina Caffiero; Battesimi forzati; Viella)

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