lunedì, gennaio 30, 2006

La Niña Santa /3

Ovvero: Piccolo trattato Della Maestà del Sacramento
(PARTE PRIMA)


Il 14 gennaio dell'anno di grazia 2006, ventiseiesimo del regno di Sua Maestà Cattolica Don Juan Carlos I di Borbone,alle ore 12:30 nel palazzo della Zarzuela i principi delle Asturie hanno portato al lavacro battesimale la loro figlia primogenita, l'Infanta Eleonora di Borbone (seconda nella linea di successione al trono di Spagna); dopo due mesi e mezzo dal felice parto - cesareo - della principessa donna Letizia, avvenuto nella notte del 31 ottobre nella Clinica Ruber Internacional di Madrid.


L'usanza di battezzare i bambini è una tradizione della Chiesa da tempo immemorabile. Essa è esplicitamente attestata fin dal secondo secolo. E' tuttavia probabile che, fin dagli inizi della predicazione apostolica, quando “famiglie” intere hanno ricevuto il Battesimo, [At 16,15; At 16,33;At 18,8;1Cor 1,16 ] siano stati battezzati anche i bambini.[CCC n.1252]

Poiché nascono con una natura umana decaduta e contaminata dal peccato originale, anche i bambini hanno bisogno della nuova nascita nel Battesimo per essere liberati dal potere delle tenebre e trasferiti nel regno della libertà dei figli di Dio, alla quale tutti gli uomini sono chiamati. La pura gratuità della grazia della salvezza si manifesta in modo tutto particolare nel Battesimo dei bambini. La Chiesa e i genitori priverebbero quindi il bambino della grazia inestimabile di diventare figlio di Dio se non gli conferissero il Battesimo poco dopo la nascita [CCC n.1250]

La santa Chiesa cattolica proclamando ciò non compie alcun atto di superbia ma afferma una verità innanzitutto storica! Il fulcro della lieta novella (KERIGMA) è la risurrezione di Gesù Cristo dai morti. Fu unicamente questo, infatti, l'argomento del primo discorso di san Pietro alle folle di Gerusalemme, dopo aver ricevuto lo Spirito Santo il giorno di Pentecoste.
"Sappia dunque con certezza tutta la casa di Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso!".
All'udir tutto questo si sentirono trafiggere il cuore e dissero a Pietro e agli altri apostoli: "Che cosa dobbiamo fare, fratelli?".
E Pietro disse: "Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito."(At 2, 36-38)

Quindi: "Dal giorno di Pentecoste la Chiesa amministra il Battesimo a chi crede in Gesù Cristo" [cCCC n.255] poichè lo stesso "Gesù Cristo [...]dopo la sua Risurrezione affida agli Apostoli questa missione: "Andate e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo" [cCCC n.254]

Compito della Chiesa una santa cattolica ed apostolica è annunziare che Dio s'è fatto uomo, ed un uomo storicamente individualizzabile: Gesù di Nazaret. Essendo Dio dall'eternità si è volontariamente limitato nel tempo e nello spazio vivendo la condizione umana fino in fondo, compresa la sofferenza e la morte! Ma al contempo, essendo Dio, ha misteriosamente santificato i vari aspetti dell'esistenza umana.
Risorgendo dai morti, ha dato compimento a quest'opera di redenzione della natura umana, creando "di fatto" il precedente di un essere umano che ha sconfitto il comune destino di tutta la specie umana: la morte. Risorgendo con il suo vero corpo, Gesù ha, inoltre, trasfigurato ed unito eternamente l'umanità a Dio stesso.
Avendo assunto in Dio la nostra umanità Gesù Cristo é perciò "il capo" del genere umano e , per sua grazia,vuole attrarre a sè tutti gli altri uomini che essendo fratelli dell'uomo Gesù sono al contempo fratelli del Figlio eterno di Dio Padre.

Questo frutto dell'opera di redenzione dell'uomo è un dono gratuito di Dio, per cui è detta dai teologi: GRAZIA.
La grazia di Cristo è il dono gratuito che Dio ci fa della sua vita, infusa nella nostra anima dallo Spirito Santo per guarirla dal peccato e santificarla. E' la grazia santificante o deificante, ricevuta nel Battesimo. Essa è in noi la sorgente dell'opera di santificazione:
Quindi se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove. Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo. [CCC n.1999]
La grazia è una partecipazione alla vita di Dio; ci introduce nell'intimità della vita trinitaria. Mediante il Battesimo il cristiano partecipa alla grazia di Cristo, Capo del suo Corpo. Come “figlio adottivo”, egli può ora chiamare Dio “Padre”, in unione con il Figlio unigenito. Riceve la vita dello Spirito che infonde in lui la carità e forma la Chiesa[CCC n.1997]

Ovviamente la Chiesa proclama che Il Signore Gesù Cristo essendo l'unico Salvatore del mondo può in infiniti modi concedere la grazia giustificante e santificante agli uomini, ma al contempo:
"La Chiesa non conosce altro mezzo all'infuori del Battesimo per assicurare l'ingresso nella beatitudine eterna; perciò si guarda dal trascurare la missione ricevuta dal Signore di far rinascere “dall'acqua e dallo Spirito” tutti coloro che possono essere battezzati. Dio ha legato la salvezza al sacramento del Battesimo, tuttavia Egli non è legato ai suoi sacramenti." [CCC n.1257]


Dopo questo preambolo che vuol facilitare un clima di ecumenico ed universale compiacimento per il battesimo dell'Infanta Leonor, anche tra coloro che non sono ascrivibili tra i "Grandes de España" passo a soffermarmi sullla celebrazione del sacramento.
“Attenendoci alla dottrina delle Sacre Scritture, alle tradizioni apostoliche e all'unanime pensiero. . . dei Padri”, noi professiamo “che i sacramenti della nuova Legge sono stati istituiti tutti da Gesù Cristo nostro Signore” [CCC n.1114].

"Chiamo i sacramenti segni sensibili ed efficaci della grazia perchè tutti i sacramenti significano, per mezzo di cose sensibili, la grazia divina che essi producono nell'anima nostra."[CMSPX n.519]

Come , infatti, come durante la sua vita terrena il Signore Gesù per mezzo della sua umanità, e tramite le cose sensibili manifestò il suo potere e la sua autorità divina, così dopo la sua resurrezione essendo il suo corpo glorioso ormai libero dai limiti spaziotemporali, continua ad operare misteriosamente, ma sensibilmente ed oggettivamente nella Chiesa (suo corpo mistico).Sintetizzando, quindi:
"I misteri della vita di Cristo, costituiscono il fondamento di ciò che adesso Cristo, mediante i ministri della Chiesa, dispensa nei sacramenti: "Ciò che era visibile nel nostro Salvatore è passato nei suoi sacramenti" (San Leone Magno)" [cCCC n.225]

Or bene, dato che: "La grazia di Dio è un dono interiore" [CMSPX n.526] che si comunica all'anima tramite umili segni, essa sfugge allo sguardo delle menti carnali, ma allorchè "i santi misteri" sono celebrati da coloro che sono rivestiti da un prestigio mondano, come nel caso della Casa reale spagnola, possono essere, per tutti e per ognuno, valida occasione didascalica intorno alla maestà della vita spirituale cristiana.

Il battesimo della settima nipote delle Loro Maestà "los Reyes", come già detto, è stato celebrato nella residenza reale della Zarzuela, nella località madrilena "monte de el Pardo", che Juan Carlos di Borbone e Sofia di Grecia abitano dal 1962 anno del loro matrimonio, e dove sono stati battezzatianche i loro tre figli: le "Infantas" Elena e Cristina e il principe Felipe, così come i sei figli delle due "Infantas": i cuginetti di Leonor.
Questa concomitanza porta per analogia a considerare le grandezze del matrimonio cristiano poichè: “Il patto matrimoniale [...]tra i battezzati è stato elevato da Cristo Signore alla dignità di sacramento” [CCC n.1601]. Ciò è mirabilmente evidenziato dal rito bizantino che chiama la celebrazione del Matrimonio "Incoronazione" (da notare che anche con questo suggestivo rito si sposarono Juan Carlos di Spagna e Sofia di Grecia) dato che il celebrante (vescovi o presbiteri) ascoltato il reciproco consenso scambiato tra gli sposi pone le corone sulla loro testa per evidenziare la loro nuova dignità in seno alla Chiesa.
"La fecondità dell'amore coniugale si estende ai frutti della vita morale, spirituale e soprannaturale che i genitori trasmettono ai loro figli attraverso l'educazione. I genitori sono i primi e principali educatori dei loro figli" [CCC n.1653].
Essendo la sollecitudine spirituale per la propia prole compito dato da Dio stesso tramite la grazia del sacramento del Martrimonio: " E' per questo motivo che il Concilio Vaticano II, usando un'antica espressione, chiama la famiglia “Ecclesia domestica” Chiesa domestica . E' in seno alla famiglia che “i genitori devono essere per i loro figli, con la parola e con l'esempio, i primi annunciatori della fede, e secondare la vocazione propria di ognuno, e quella sacra in modo speciale” [CCC n.1656].

Tale dimensione spirituale della famiglia cristiana è stata plasticamente espressa dai Reali nonni Juan Carlos e Sofia che hanno trasformato l'ingresso della loro regale residenza - "il vestibolo" - in battistero.
Il vestibolo è stato, infatti, adornato con drappi ed arazzi, ornato di rose e gigli (omaggio della città di Valencia).
Che il battesimo sia stato celebrato nella stanza d'ingresso della dimora di Sua Maestà non può non far riecheggiare la metafora usata dalla spagnolissima Santa Teresa d'Avila che parla della vita interiore come di un castello spirituale con molte stanze abitate da Sua Maestà (cioè Dio) in cui è possibile accedervi (cioè fuor di metafora, l'anima può entra in sè stessa) solo se in stato di grazia . Perciò molto appropriatamente la Chiesa definidce il Battesimo:
"IL VESTIBOLO d'ingresso alla vita nello Spirito (“vitae spiritualis ianua”), e la porta che apre l'accesso agli altri sacramenti. Mediante il Battesimo siamo liberati dal peccato e rigenerati come figli di Dio, diventiamo membra di Cristo; siamo incorporati alla Chiesa e resi partecipi della sua missione"[CCC n.1213].



"Se ci pensiamo bene, che cos'è l'anima del giusto se non un paradiso, dove il Signore dice di prendere le sue delizie?
E allora come sarà la stanza in cui si diletta un Re così potente, così saggio, così puro, così pieno di ricchezze? No, non vi è nulla che possa paragonarsi alla grande bellezza di un'anima e alla sua immensa capacità!
Il nostro intelletto, per acuto che sia, non arriverà mai a comprenderla, come non potrà mai comprendere Iddio, alla cui immagine e somiglianza noi siamo stati creati. [...] Che confusione e pietà non potere, per nostra colpa, intendere noi stessi e conoscere chi siamo!
Non sarebbe grande ignoranza, figliuole mie, se uno, interrogato chi fosse, non sapesse rispondere, né dare indicazioni di suo padre, di sua madre, né del suo paese di origine?
Se ciò è indizio di grande ottusità, assai più grande è senza dubbio la nostra se non procuriamo di sapere chi siamo, per fermarci solo ai nostri corpi.
Sì, sappiamo di avere un'anima, perché l'abbiamo sentito e perché ce l'insegna la fede, ma così all'ingrosso, tanto vero che ben poche volte pensiamo alle ricchezze che sono in lei, alla sua grande eccellenza e a Colui che in essa abita.
E ciò spiega la nostra grande negligenza nel procurare di conservarne la bellezza. Le nostre preoccupazioni si fermano tutte alla rozzezza del castone, alle mura del castello, ossia a questi nostri corpi.
Come ho detto, questo castello risulta di molte stanze" (S.Teresa)

giovedì, gennaio 26, 2006

about a boy /12

- Ormai il tuo blog ha preso una piega pericolosamente monotematica: Ratzinger, Ratzinger e Ratzinger; dovresti cambiare il titolo in "Ratzinger fan club" o "Viva Ratzinger". Ci sono solo foto di Papa Ratzinger, immagini di papi morti, immagini di papi antichi, foto di Ratzinger da giovane, foto di Ratzinger col cappello di Babbo Natale...

- Scusa? Ma tu guardi solo le figure?

- Beh, no. Però i tuoi post parlano solo di Papa Ratzinger, papi morti, papi di una volta, Ratzinger da giovane, Ratzinger col cappello da Babbo Natale...

- Ok, ok, mi hai convinto: tu guardi solo le figure.

mercoledì, gennaio 25, 2006

Il Vicario di Dante

Ovvero: la divina commediola di un Papa costretto per più di una settimana a commentare pubblicamente la sua prima ed attesissima lettera enciclica "Deus caritas est", la cui pubblicazione ha difettato a causa del poliglotto staff di traduttori che, come sostiene il "divinus" Magister, avrebbe "remato contro".
Quasi novelli Caronte che rifiutino di assecondare il cammino dell'illustre pellegrino oltremondano, o come - più appropriatamente - angeli che rifiutino di lasciar salpare dalle rive del Tevere, la barca con le benedette anime del Purgatorio.



"L'escursione cosmica, in cui Dante nella sua "Divina Commedia" vuole coinvolgere il lettore, finisce davanti alla Luce perenne che è Dio stesso, davanti a quella Luce che al contempo è "l'amor che move il sole e l'altre stelle" (Par. XXXIII, v. 145). Luce e amore sono una sola cosa. Sono la primordiale potenza creatrice che muove l'universo. Se queste parole del Paradiso di Dante lasciano trasparire il pensiero di Aristotele, che vedeva nell'eros la potenza che muove il mondo, lo sguardo di Dante tuttavia scorge una cosa totalmente nuova ed inimmaginabile per il filosofo greco. Non soltanto che la Luce eterna si presenta in tre cerchi ai quali egli si rivolge con quei densi versi che conosciamo: "O luce etterna che sola in te sidi, / sola t'intendi, e da te intelletta / e intendente te ami a arridi!" (Par., XXXIII, vv. 124-126).
In realtà, ancora più sconvolgente di questa rivelazione di Dio come cerchio trinitario di conoscenza e amore è la percezione di un volto umano - il volto di Gesù Cristo - che a Dante appare nel cerchio centrale della Luce. Dio, Luce infinita il cui mistero incommensurabile il filosofo greco aveva intuito, questo Dio ha un volto umano e - possiamo aggiungere - un cuore umano.
In questa visione di Dante si mostra, da una parte, la continuità tra la fede cristiana in Dio e la ricerca sviluppata dalla ragione e dal mondo delle religioni; al contempo, però, appare anche la novità che supera ogni ricerca umana - la novità che solo Dio stesso poteva rivelarci: la novità di un amore che ha spinto Dio ad assumere un volto umano, anzi ad assumere carne e sangue, l'intero essere umano. L'eros di Dio non è soltanto una forza cosmica primordiale; è amore che ha creato l'uomo e si china verso di lui, come si è chinato il buon Samaritano verso l'uomo ferito e derubato, giacente al margine della strada che scendeva da Gerusalemme a Gerico.

La parola "amore" oggi è così sciupata, così consumata e abusata che quasi si teme di lasciarla affiorare sulle proprie labbra. Eppure è una parola primordiale, espressione della realtà primordiale; noi non possiamo semplicemente abbandonarla, ma dobbiamo riprenderla, purificarla e riportarla al suo splendore originario, perché possa illuminare la nostra vita e portarla sulla retta via.
È stata questa consapevolezza che mi ha indotto a scegliere l'amore come tema della mia prima Enciclica. Volevo tentare di esprimere per il nostro tempo e per la nostra esistenza qualcosa di quello che Dante nella sua visione ha ricapitolato in modo audace.
Egli narra di una "vista" che "s'avvalorava" mentre egli guardava e lo mutava interiormente (cfr Par., XXXIII, vv. 112-114). Si tratta proprio di questo: che la fede diventi una visione-comprensione che ci trasforma.
Era mio desiderio di dare risalto alla centralità della fede in Dio - in quel Dio che ha assunto un volto umano e un cuore umano. La fede non è una teoria che si può far propria o anche accantonare. È una cosa molto concreta: è il criterio che decide del nostro stile di vita. In un'epoca nella quale l'ostilità e l'avidità sono diventate superpotenze, un'epoca nella quale assistiamo all'abuso della religione fino all'apoteosi dell'odio, la sola razionalità neutra non è in grado di proteggerci. Abbiamo bisogno del Dio vivente, che ci ha amati fino alla morte..."

martedì, gennaio 24, 2006

Letterature comparate /3


Propongo il (molto) lungo articolo di Andrea Monda, apparso sul Foglio del 30 dicembre 2005, in cui vengono sottolineate alcune analogie tra il pensiero dello scrittore C.S.Lewis ed il teologo Ratzinger.
Propongo l'articolo - ahivoi!- assai cospicuo, conscio di contravvenire alla regola aurea dei blog.
Lo dedico a Monsieur de Lapalisse che, con'egli protesta, non legge i giornali e non guarda la tv ma si informa tramite i novelli mezzi telematici.
Per tutti coloro che invece non possiedono in grado eroico la virtù della perseveranza, segnalo un post della impeccabile PESCEVIVO che dell'articolo ne ha fatta degna epitome.


"Un modo originale, ma non sbagliato, di avvicinarsi alla lettura della prima enciclica, “Deus Caritas est”, che Benedetto XVI ha firmato il giorno di Natale, è forse proprio la visione del film “Le cronache di Narnia”, tratto dall’omonima saga letteraria di C.S. Lewis, che sta mietendo in questi giorni successi in tutto il mondo.
Il teologo e poi cardinale Ratzinger infatti, a suo tempo fu lettore di Lewis e non è stato neanche il solo cattolico illustre a rendere omaggio al geniale scrittore anglicano, come dimostrano la corrispondenza epistolare tra quest’ultimo e il prete veronese (poi proclamato santo) Giovanni Calabria, gli elogi di Urs von Balthasar (che definì “Il grande divorzio” un vero capolavoro) o le più recenti citazioni del cardinale Christoph Shoenborn nei suoi testi a commento del catechismo della Chiesa Cattolica o, per finire, l’elogio indiretto che Giovanni Paolo II rivolse al segretario dello scrittore inglese, Hopper(...).
Anche Ratzinger, dunque, fa parte dei lettori di Lewis, del quale ha apprezzato la grande intelligenza, lo humour e, come avrebbe scritto Borges (altro acuto estimatore di Lewis) “l’infinita onestà di quell’immaginazione”. Come Chesterton, anche Lewis fu un geniale convertito d’Inghilterra capace di trattare argomenti sommi con somma levità, animato da un’imponente forza dialettica, un gusto del paradosso che non diventa mai sarcasmo ma sempre stimolo per una riflessione ulteriore e uno sguardo più aperto e franco su quel mistero chiamato uomo. Autore molto prolifico, Lewis è oggi famoso in tutto il mondo come maestro del genere fantastico ma forse i saggi sulla fede cristiana rappresentano le sue pagine più belle e vitali, come nel caso de “I quattro amori”, “Il cristianesimo così com’è” e “L’abolizione dell’uomo”. Quet’ultimo libro fu elogiato esplicitamente da Ratzinger, così come un altro best seller di Lewis, “Le Lettere di Berlicche”, in cui lo scrittore “osa” mescolare teologia e sbrigliata immaginazione. Di questo libro, l’allora cardinale Ratzinger nel 1999 disse: “Quanto sia oggi antimoderno
interrogarsi sulla verità lo ha genialmente esposto lo scrittore e filosofo inglese
C.S. Lewis”.

Lo scrittore anglicano e il teologo bavarese

Esistono altre tracce rivelatrici di questa relazione tra il teologo bavarese e lo scrittore anglicano. Ecco un brano di “Miracles”, scritto da Lewis nel 1947: “Per dirla con franchezza, non ci piace per niente l’idea di ‘un popolo scelto’. Democratici per nascita e per educazione, preferiremo pensare che tutte le nazioni e tutti gli individuipartano alla ricerca di Dio da una posizione uguale per tutti, o addirittura che tutte le religioni siano vere. Ma, come si deve subito ammettere, il cristianesimo non fa nessuna concessione a questa ipotesi. Non parla affatto di una umana ricerca di Dio, ma di qualche cosa fatta da Dio per l’uomo, sull’uomo e riguardo all’uomo. E il modo in cui è stato fatto è selettivo al più alto grado, non democratico. Dopo che la conoscenza di Dio si era universalmente perduta o oscurata,
viene individuato un uomo fra tutti gli uomini della terra (Abramo); egli viene separato (e, possiamo supporre, in modo abbastanza penoso) dal suo ambiente naturale,
viene mandato in un paese straniero, e fatto l’antenato di una nazione destinata a tramandare la conoscenza del vero Dio. All’interno di questa nazione vi sono altre selezioni – alcuni muoiono nel deserto, alcuni rimangono in Babilonia – e poi altre selezioni ancora. Il processo va avanti restringendo sempre più il suo campo, alla fine si concentra su un piccolo punto luminoso simile alla punta di una spada.
E’ una ragazza ebrea assorta in preghiera. Tutta l’umanità (per quel che concerne la sua redenzione) si è ristretta a tanto.
Un tale processo è molto diverso da quanto vorrebbe la sensibilità moderna; ma, sorprendentemente, è proprio quello che si produce abitualmente nella Natura, il cui metodo è la selezione, e con essa (dobbiamo ammetterlo) uno spreco enorme.
Di tutto l’enorme spazio solo una parte piccolissima è occupata dalla materia.
Di tutte le stelle solo pochissime hanno dei pianeti, forse solamente una. Di tutti
i pianeti del nostro sistema, probabilmente solo uno tollera la vita organica. Nella trasmissione della vita organica, sono emessi innumerevoli semi e spermatozoi, dei quali solo alcuni sono selezionati e assegnati all’onore della fertilità. Tra le specie, solo una è razionale. Nell’ambito di questa specie solo pochi si elevano all’eccellenza della bellezza, della forza o dell’intelligenza”.
E’ notevole in questa pagina, tra le altre cose, specie per un anglicano (per quanto vicino al cattolicesimo come Lewis), l’accento su Maria, paragonata a “un piccolo punto luminoso simile alla punta di una spada”.

Venti anni dopo (Lewis intanto era morto nel 1963), nella sua ormai classica “Introduzione al cattolicesimo”, il professore di Tubinga Joseph Ratzinger, parlando della “ragionevolezza della fede”, osserva come la fede cristiana non possa venire in alcun modo neutralizzata o sterilizzata, sopprimendo lo scandalo che l’accompagna. Vale a dire che il senso che fonda l’essere e la storia si immerge esso stesso nella storia divenendo un evento, una figura particolare di questa storia. E si chiede se poi i cristiani abbianoil diritto “di abbandonarsi a un’unica figura collocando così la salvezza dell’uomo e del mondo come sulla punta d’ago di quest’unico punto d’incidenza.”
E continua: “Noi restiamo quasi ammutoliti di fronte a questa Rivelazione cristiana, domandandoci, specialmente qualora la confrontiamo con la religiosità dell’Asia, se in fin dei conti non sarebbe stato per noi assai più facile credere nell’Eterno, pensando a lui, anelando a lui e confidando in lui. Ci chiediamo se non sarebbe stato quasi meglio che Dio ci avesse lasciati a una distanza infinita come prima; se effettivamente non sarebbe stato assai più agevole, trascendendo ogni realtà mondana, cercare di cogliere attraverso una tranquilla contemplazione il mistero eternamente inafferrabile … Questo Dio ristretto a un unico punto non deve forse morire definitivamente, nel quadro di un mondo che ridimensiona inesorabilmente l’uomo e la sua storia riducendoli a un infinitesimale granello di polvere sperso nel tutto, e solo nell’ingenuità dei suoi anni di fanciullezza aveva permesso all’uomo di considerarsi come il centro dell’universo?
Questo stesso uomo, però, al momento attuale che segna il suo risveglio dai sogni
d’infanzia, non dovrebbe finalmente avere il coraggio di destarsi del tutto tergendosi gli occhi scuotendosi da quella pazzesca illusione, pur bella che fosse, inquadrandosi senza indugi in quel poderoso complesso di cui la nostra minuscola vita non è che una microscopica cellula, la quale dovrebbe ritrovare un senso proprio così, nell’ammettere la sua esiguità?”.

Lo scandalo del cristianesimo

Lo scandalo del cristianesimo è una punta di spada che spezza in due la storia umana, è nella “selezione” così “scorretta” con cui Dio, nell’Incarnazione come nella Natura, incide nella vicenda umana. Ma la riflessione dei due teologi, lo scrittore e ilprofessore, continua in parallelo, nella
stessa direzione.
Scrive Lewis: “Quando analizziamo la selezione dai cristiani attribuita a Dio, non troviamo in essa niente di quel ‘favoritismo’ da noi temuto. Il popolo ‘scelto’ non è scelto nell’interesse suo proprio (certamente non per il suo onore o il suo piacere), ma nell’interesse di chi non è scelto. Ad Abramo viene detto che ‘nel suo
seme’ (la nazione scelta) ‘tutte le nazioni saranno benedette’.
Quella nazione fu scelta per portare un pesante fardello. Le sue sofferenze furono grandi, ma, come riconobbe Isaia, furono sofferenze che guariscono altri.
Alla Donna scelta per ultima è riservato il profondo abisso dell’angoscia materna.
Suo Figlio, l’Iddio Incarnato, è ‘un uomo dei dolori’; l’unico Uomo nel quale sia discesa la Divinità, l’unico Uomo che possa essere legittimamente adorato, eccelle per la sofferenza”.

Gli fa eco Ratzinger in un altro brano, tratto dal suo testo fondamentale di ecclesiologia, “Nuovo popolo di Dio”, del 1969:
Si diventa cristiani non per sé, ma per gli altri; o piuttosto lo si è per se soltanto quando lo si è per gli altri”. Questo è il motivo, per il teologo, per cui il servizio della Chiesa è grande: non perché la Chiesa venga salvata e gli altri rifiutati, ma perché tramite essa anche gli altri vengono salvati, secondo il principio che caratterizza tutta la storia della salvezza, quello della Pars pro toto della “minoranza a servizio della maggioranza”, della “rappresentanza”.
“Alla nostra ottica” osserva Ratzinger, “il fenomeno Chiesa diventa sempre più minuscolo nel tutto del cosmo. Se si comprende la Chiesa alla luce di quanto si è detto, non c’è più bisogno di sorprendersi per questa sua piccolezza nel mondo… Per poter essere la salvezza di tutti non è necessario che la Chiesa si identifichi anche esternamente con tutti. La sua essenza è piuttosto radicata nella sequela di quell’uno che ha preso l’umanità intera sulle sue spalle; la sua essenza consiste nell’essere la schiera dei pochi, tramite quelli Dio vuole salvare tutti. La Chiesa non è tutto ma esiste per tutti. Essa è l’espressione del fatto che Dio edifica la storia nella reciprocità degli uomini alla luce di Cristo”.
L’esiguità della Chiesa è la sua forza, è la solitudine del seme che sopravvive alla selezione, è il “resto di Israele”, sono i Giusti di cui parlava Borges nell’omonima poesia, persone che, senza saperlo, “stanno salvando il mondo”.
E’, infine, la paradossalità la cifra della riflessione filosofica e letteraria di Lewis, una cifra che senz’altro troveremo nella prima, programmatica, attesa enciclica di Benedetto XVI, “Deus Caritas est”.

Andrea Monda

lunedì, gennaio 23, 2006

La prima enciclica di Romano Prodi



Ovvero: Francesco Agnoli, sul Foglio del 19 gennaio 2006, recensisce “INSIEME”: "un libro per cattolici(di quelli molto clericali)"

"Ai cattolici che sanno quanto sia difficile essere coerenti, rispetto a un modello come quello di Cristo, dovrebbe piacere la figura di san Tommaso Moro, il cancelliere di Enrico VIII. La sua vita non sembra certo brillare per coerenza.
Un suo celebre libello, l’Utopia, è infatti esempio eminente del tentativo dell’uomo di emanciparsi da Dio(...)Eppure Tommaso era, nella sua vita morale, e nella sua attività di magistrato, un uomo retto e sincero: per questo, di fronte a una scelta obbligata, fra il tradire la propria fede e la condanna a morte, rifiutò ogni compromesso. Per lui il bene aveva un’attrattiva tale da spingerlo a sacrificare, per esso, la vita, gli onori, l’amicizia con un re potente, che in fondo si sarebbe limitato a violare il sacramento del matrimonio in un solo caso, il suo.
Oggi ai politici cattolici, di cui Tommaso dovrebbe essere il protettore, nessuno osa chiedere più gesti simili. Del resto non ne sono capaci, se è vero che si firmò, da parte cattolica, una legge che si riteneva iniqua, solo per non perdere un governicchio, di quegli anni, poi, quando tutto durava lo spazio di un mattino.

Queste e altre riflessioni mi sovvengono leggendo il libro di Romano Prodi e di sua moglie, Flavia, intitolato, molto romanticamente, “Insieme” (San Paolo).
Si tratta di un testo fresco fresco, pre-elettorale, stampato ad hoc per un pubblico di cattolici. Nessuno infatti, che non avesse una fede di ferro, potrebbe leggerlo, senza provare crisi di rigetto anticlericale: è tutto un inno alla “assidua frequenza religiosa” dei protagonisti, alle loro vacanze familiari, organizzate come un “campo scuola”, con cappella e messa quotidiana; tutto un brulicare di don Ciotti e don Ruini, don Dossetti e don Milani, più il Concilio e i pellegrinaggi a Santiago (da san Giacomo, quello che chiede opere e non parole).
Poi, per cambiare, appaiono i figli della coppia esemplare, esemplari anch’essi come “educatori e catechisti”, e volontari, con i loro matrimoni con “liturgie curate nei canti e nelle letture insieme agli amici”, e tanto altro ancora.
Dopo un po’ di economia, ci sono un intero capitolo intitolato “Parrocchia e dintorni”, e un paragrafo dedicato agli “incontri con Giovanni Paolo II” (il tema è bissato più avanti)… si giunge così, faticosamente, al penultimo capitolo: “Radici cristiane e laicità”.


Provetta, pacs e radici cristiane
Qui, da un cattolico che sbandiera la sua appartenenza, e che si candida a governare,
ci si potrebbe aspettare qualcosa di concreto, almeno dopo i finanziamenti concessi dalla Commissione europea, di cui era presidente, ad associazioni accusate di praticare la sterilizzazione e gli aborti forzati in Cina.
Qualcosa di concreto potrebbe far dimenticare all’elettorato cattolico anche le dichiarazioni fatte a suo tempo sul referendum, e sui Pacs. Che venivano sistematicamente ritrattate, in parte e in modo confuso, ma solo presso un certo pubblico: cioè con delle lettere indirizzate non al Corriere o a Repubblica,
ma a Famiglia Cristiana. Ebbene, cosa dice nel suo libro il cattolicissimo Prodi alludendo a fecondazione artificiale, eugenetica, eutanasia, clonazione, e quant’altro?
Divaga e tergiversa: “Connesse con questo ampliamento del campo della scienza vi sono enormi speranze che riguardano il prolungamento della vita umana e il miglioramento della sua qualità, ma anche enormi preoccupazioni soprattutto sulle implicazioni a lungo termine delle nuove conoscenze scientifiche”.
Cosa dire, infine, dell’esclusione delle “radici cristiane” dalla Costituzione europea?
Anche qui, pur avendo letto l’intero libro, non è dato capire. O meglio: le radici cristiane non sono menzionate nella Costituzione, ma ciò non significherebbe alcun rifiuto delle stesse. Anzi, nella linea dell’evangelico “date a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio”, si può ben dire che l’omissione “in qualche modo è stato un ulteriore contributo del cristianesimo alla costruzione dello Stato moderno”.
Mirabili acrobazie, di un parrocchiano devoto".

Francesco Agnoli

dei Sepolcri, IV

Ovvero: i settecento anni di estenuante peregrinazione delle spoglie di Jacopo da Varagine.

"La venerata salma del beato Giacomo da Varazze, dopo il suo felice transito, nel 1299 venne tumulata, come lui stesso aveva disposto, nella chiesa di San Domenico in Genova, “dentro un’arca di marmo posta in choro, a sinistra dell’altare maggiore” (Piò).
Da questo sepolcro le venerate spoglie, in gran parte ridotte in cenere, vennero esumate, raccolte in cassa di legno e lastre di ardesia e quindi provvisoriamente custodite per un paio d’anni nella sacrestia di detta chiesa.
Nel 1616, con solenne cerimonia, vennero collocate sotto la mensa dell’altar maggiore.
Nel 1713, essendosi costruito un più ricco altar maggiore, le sacre spoglie del B. Giacomo vennero estratte da quello demolito e, dopo accurati esami e ricognizione da parte del delegato del Card. Arcivescovo Lorenzo Fieschi, vennero nuovamente ricollocate sotto la mensa di detto altare dentro cassa di piombo.
Nel 1798, in occasione della vandalica spoliazione e demolizione della chiesa e del Convento di San Domenico, i Padri Domenicani piamente trasportarono, quale sacro tesoro, le reliquie del B. Giacomo nell’altra chiesa genovese del loro Ordine che è S. Maria di Castello, collocandole nell’altare di San Paolo.
Finalmente nel 1885, nel tentativo di incrementare la devozione dei fedeli, i sacri resti furono, in parte, collocati sotto la mensa dell’altare di Santa Rosa, accanto ad un simulacro giacente del Beato e, in parte, divisi in varie borse di velluto rosso, furono rinchiusi in urna di cristallo. Questa venne trasferita a Varazze nel 1948, ma poi nuovamente restituita ad istanza della Curia Arcivescovile di Genova.
In data 2 ottobre 1974, (…) l’Arcivescovo di Genova ha ottenuto il rescritto (…) per la traslazione delle Sante reliquie del beato Giacomo da Santa Maria di Castello a Varazze. Pertanto (…) il giorno 6 dicembre 1974 alle ore 15 (…) rotti i sigilli e aperta la cassa, procedetti ad estrarre da essa i pacchi dei santi resti e tosto li passai nella nuova cassa in legno, foderata di metallo inossidabile e fasciata all’esterno di lamiere d’argento con scritte, ornati e fregi artistici. Vi ho pure rinchiuso il presente verbale firmato dalle persone in esso citate e autenticato dal sigillo Arcivescovile.
(Seguono le firme)
Genova, dalla Curia Arcivescovile, il 6 dicembre 1974".

(Tratto da B.T.Delfino, Varazze, 1983, cit. in G. Airaldi, Jacopo da Varagine tra santi e mercanti, Camunia, pp. 147 e ss.)

domenica, gennaio 22, 2006

Benedictus benedicat II



Dopo il 19 aprile 2005 qualcosa è cambiato nello sguardo di chi si aggira per la città dei Papi.
I pellegrini che visitano la Basilica di San Pietro sono ormai molto più interessati dal monumento di Pietro Canonica alla memoria di Benedetto XV (1914-'22),precedentemente tra i più negletti, così come il turista che arriva davanti a fontana di Trevi fa subito caso all'iscrizione "BENEDICTUS XIV PERFECIT" che troneggia sul monumento.
Anch'io aggirandomi per librerie credo di soffrire dello stesso tic, che mi fa notare in bella esposizione volumi, in tempi passati difficilmente appetibili ad un largo pubblico. Tipico esempio è questa bella ed un pò esosa opera storica sul Cardinale Lambertini.


Roberto Colombo.
Sacerdote, scienziato e docente dell’Università Cattolica.
Non di rado ha fatto sentire la sua voce nel dibattito attorno ai temi bioetici. Per rubare– ribaltandola – la battuta a Romano Prodi, un vero “cattolico adulto”.

“Anzitutto occorre chiarire che cosa s’intende per adulto’ e per ‘cattolico’”, dice. “L’adulto è chi si assume la responsabilità che la vita personale e sociale implica, mettendo in gioco la sua risorsa più importante: la libertà.
Non ogni maggiorenne è un adulto.
Ma la nostra libertà non è assoluta, indipendente da qualunque fattore. Un simile concetto di libertà è astratto. C’è sempre qualcosa o qualcuno da cui dipendo. La magna quaestio della vita è allora: nell’avventura personale e sociale, da chi accetto di dipendere?
C’è una sola dipendenza che rende liberi in ogni circostanza: la dipendenza da Dio. Lo ha riconosciuto con lucidità Sant’Ambrogio: ‘Guardate quanti padroni finiscono per avere quelli che non riconoscono un unico Signore!’ O, come dice il Vangelo, se non si serve Dio, si serve mammona, cioè il potere, la lussuria o il denaro”.
Ma il cattolico deve fare i conti anche con la Chiesa e la sua gerarchia, che fa sentire sempre più spesso il suo richiamo, anche in politica. Assistiamo a un ritorno di laicismo che critica pesantemente questo rapporto tra
i cittadini cattolici e la gerarchia…
La Chiesa ha una vocazione educativa, non politica.
Anche quando, nella sua storia passata, ha avuto un ruolo politico sul territorio italiano, lo ha vissuto in funzione della sua missione educativa: richiamare l’uomo alla realtà della sua dipendenza da Dio, che ci ama e ha dato la sua vita per ciascuno di noi.
Nell’ascoltare la voce del successore di Pietro e dei vescovi, il cattolico è più libero del laico, perché è difeso da quell’isolamento culturale e sociale in cui si può così facilmente venire strumentalizzati. L’uomo assolutamente libero è solo quello che dipende dall’Assoluto.
L’invadenza e la strumentalizzazione ecclesiastica può essere limitata solo da una cattolicità autentica, che educa la persona a valorizzare ogni accento di verità, ovunque essa si manifesti, perché riconosce in Cristo la verità di tutto ciò che esiste”.
Su alcuni temi, però, i cristiani non sono disposti a scendere a patti in politica: la bioetica, la famiglia, la scuola, l’immigrazione, la pace. Sono questioni non negoziabili?
“Ciò che noi abbiamo più a cuore di affermare è difendere la libertà religiosa, cioè la libertà di vivere e di aiutare la vita di ogni uomo secondo il disegno di Dio e non in funzione del potere economico, sociale o politico di qualsivoglia soggetto individuale o collettivo. Per questo la Chiesa non può rinunciare a far sentire la propria voce quando si decidono le sorti del nascere e del morire, del rapporto tra donna e uomo e tra genitori e figli, della scuola, della cura della salute, del lavoro, dell’accoglienza dei bisognosi, o della difesa della pace. Se tacesse, verrebbe meno all’unica ragione per cui esiste da duemila anni: l’educazione continua ad accogliere la ‘buona notizia’ del Vangelo e a vivere in funzione del Regno di Dio la vita personale e sociale”.
In questa prospettiva, le pare che vi siano differenze significative tra gli schieramenti politici?
“Quello che osservo anzitutto non sono delle differenze sulla questione fondamentale della vita e della libertà dell’uomo, ma un’astrattezza rispetto a essa.
In questa stagione, la politica difetta di realismo, a destra come al centro e a sinistra. Così, nella vita pubblica, si è sostituita la moralità dell’uomo (reale) con il moralismo sociale (ideologico), ovvero il conformismo dettato dal costume prevalente o dal potere dei media.
Occorre spegnere l’ideologia.
Ma per farlo serve un’educazione, cioè una apertura alla realtà che aiuti a non censurare il cuore dell’uomo.
L’educazione non è un affare privato, ma la questione sociale per eccellenza, da cui ripartire. E subito”.

(IL FOGLIO, giovedì 19 gennaio 2006)

venerdì, gennaio 20, 2006

Benedictus benedicat


Un freddo mattino del gennaio 1922 si diffuse la, inattesa e per questo ancor più dolorosa, notizia della morte del sessantasettenne Papa Benedetto XV.

Il cardinale Mercier, primate del Belgio, dichiarò ad un giornalista:
"Benedetto XV è stato falciato prima di poter dare la sua messe. Leone XIII, morendo, poteva guardare al suo Pontificato come ad un'opera compiuta.
Pio X, salito al trono col proposito di istaurare tutto in Cristo, si può dire che l'abbia condotto a termine.Ma Benedetto XV è stato falciato prima del tempo.
Mi sembra che egli possa paragonarsi ad un artista rapito da morte mentre stava ancora intento all'opera sua.
Tutti hanno sentito questo e voi vi spiegate così come da ogni parte sono giunti a Roma telegrammi di cordoglio."

Tra gli indubbi meriti del papa meno famoso del XX secolo, c'è anche quello d'esser stato il talent scout dei suoi quattro successori.
Scelse Eugenio Pacelli per la Nunziatura di Monaco di Baviera e quale atto di personalissima stima lo volle personalmente consacrare vescovo nella Cappella Sistina, il 13 maggio 1917 (esattamente nell'ora in cui a Fatima la Madonna appariva a tre pastorelli; la qual coincidenza -è facile immaginarselo!- non potè non impressionare il futuro Pio XII). Monsignor Roncalli (futuro Giovanni XXIII) fu scelto per il delicato incarico di Nunzio Apostolico in Bulgaria, mentre l'immediato successore Achille Ratti (Pio XI) fu mandato quale Nunzio nella risorta Nazione polacca, portandosi dietro per segretario un giovanissimo "don Battista" Montini (futuro Paolo VI).
Proprio l'allora ventiquattrenne Giovanni Battista Montini, nelle lettere inviate ai familiari così racconta della morte del Papa:
"Carissimi,
questa mattina verso le nove la salma del S. Padre, dalla sala del Trono, che sta al secondo piano delle Logge, dove era stata trasportata ieri alle 15 […] su una portantina sorretta dai Sediari è stata portata in S. Pietro, accompagnata solo da dignitari della Curia e da alcuni prelati.
La sfilata che discendeva lenta e grave cantando il Miserere a verso a verso dev’essere stata solenne d’un misterioso cordoglio.
Poi in S. Pietro immenso fra canti d’infinita dolcezza, così mi dicono, il corteo ha deposto le spoglie del Papa nella Cappella del Santissimo.
I cancelli sono chiusi, e il popolo comincia a sfilare.
Piove, come piove a Roma, ma quest’oggi, alle due, tutti si va a S. Pietro. Non è manco possibile pensare a prendere un tram. La piazza è un esercito d’ombrelli, gregge nero accalcato, ammonticchiato contro i cordoni della truppa che divide in sezioni la Piazza perché la ressa sia meno disordinata.
Si è fermati alla gradinata e si sta sotto la pioggia che sembra singhiozzi da un cielo crucciato e implacabile. La folla curiosa, ciarliera, impaziente non cede.
C’è tra la gente qualche viso pacato di forestiero, qualche velo sdruscito di monaca; il resto è popolo, è Roma, popolo che sembra creato apposta per riflettere nel suo animo le emozioni di lutto oggi, di gioia domani che dal mondo confluiscono qua; popolo che nell’incalzante pressione verso le soglie del grande cenacolo dell’umanità, sembra alle spalle premuto da popoli lontani, oltre l’agro oltre le Alpi, oltre l’Oceano.
I soldati tengono a stento la fila anche nel tempio, che qualcuno desidererebbe fosse, per amor delle proprie costole, un pochino, solo un pochino più vasto. Poi finalmente si sfila; un’improvvisa impressione d’oltretomba passa sui visi, la curiosità si risolve in un indefinito senso di tristezza.
Il Papa, eccolo!


Dietro le sbarre chiuse della Cappella, sollevato all’altezza d’un uomo, in posizione obliqua, vestito cogli abiti pontificali rossi, e la mitra d’oro giace: un’unica maestà è rimasta, quella della morte.
La fisionomia, pallida, angolosa, smunta, conserva i suoi tratti caratteristici; i capelli nerissimi che appaiono sulle tempia dànno un risalto notevole al volto bianco, cereo.
E’ morto, e la mano, stanca di benedire, riposa sul petto augusto, inerte.
Si ha la percezione inconsapevole d’essere dinanzi a una morte simbolica. Perché il più grande enigma umano, la morte, viene finalmente a coprire anche Pietro che si dice vincitore della morte e padrone, testimonio dell’al di là.

Tutta questa folla che passa e contempla e non si sazia
pare voglia spiare attraverso le palpebre chiuse un qualche raggio nascosto dell’alba eterna; guarda e pensa lontano; e neppure prega, perché crede che la preghiera sia già consumata in un trionfo; e passa e non parla più, quasi per non
svegliare, il Dormente.
Pietro, perché dormi?
Ma donde mai questa certezza di saperlo vegliante e orante?
Eppure è morto anche Lui, ed era il Papa.
Già, qui sotto la cupola michelangiolesca anche S. Pietro è morto ed è sepolto, andiamo a pregare alla Confessione.
E finalmente colla fronte appoggiata sul marmo gelato si prega, e vien sulle labbra il Credo; il Credo, sulla tomba dell’Apostolo che piantò la Croce, il polo della umanità, dei secoli, della storia, qui dove egli morendo visse la verità della Fede.
O sublime dramma della vita e della morte qui avrai la catastrofe? […]
E lo si guarda ancora fra la penombra; con un ultimo slancio di tenerezza. Che tu sia Benedetto!

E poi si ritorna dall’ultima udienza; mentre piove; e si dominano collo sguardo le migliaia di persone che affluiscono ancora tra le braccia distese del colonnato, come per abbracciare il mondo.

Don Battista - Roma, 23 gennaio 1922"

(“Lettere ai familiari 1919-1943”.
A cura di Nello Vian.
Premessa di Carlo Manziana,
Brescia, Istituto Paolo VI, 1986)

mercoledì, gennaio 18, 2006

Gran Rabbi nato /2

Ricevendo - lunedì 16 gennaio - in privata udienza il dottor Riccardo Di Segni, Rabbino Capo di Roma, il Sommo Pontefice "ccioiosamente regnante" ha tenuto una breve ma quanto mai intenza allocuzione che nei media è passata come un "volemose bbene" politically correct; in realtà si è trattato di un discorso epocale!
La linearità, la brevita, ma al contempo la profondità sono, infatti, i grandi pregi dell'oratoria ratzingeriana.
"E' stato un discorso religioso": è stato l'universale commento. E non capisco perchè avrebbe dovuto essere un discorso politico dato che l'illustre ospite non era un ambasciatore di uno Stato o un ministro ma un leader religioso.Il Papa non ha quindi nominato lo Stato d'Israele (cosa che invece ha fatto Di Segni), nè "intifada", nè la politica mediorientale, rendendo perciò quel bellissimo -breve- discorso poco appetibile alla pubblica opinione.
Invece la pubblica opinione dovrebbe scolpirsi a caratteri d'oro nelle propria cervella le elevatissime espressioni usate da Benedetto XVI, ad in questo son certo che il dottor Di Segni ne converrebbe.

Benedetto XVI ha improntato il suo indirizzo di saluto ai rappresentanti della comunità israelitica romana su un livello, squisitamente ed elevatamente religioso.

Forse questo potrebbe anche infastidire un poco qualche cattolico e qualche ebreo. C'è chi,infatti, auspicherebbe che dopo quasi due millenni in cui la "giudeofobia" è stata giustificata ed argomentata dai teologi cristiani, si vorrebbe che il "mea culpa" nei confronti dell'antisemitismo partisse da una "laica" presa d'atto del male arrecato, e che "solo" da ciò scaturisse "la ragione" di un nuovo atteggiamento improntato ad una "civile" concordia e collaborazione, abbandonando per sempre inutili e dannose controversie teologiche: "Non c’è più la gara per dimostrare chi è più potente magicamente, o chi è vero e chi è falso, chi vale ancora e chi è scaduto; ma ben venga una gara di dimostrazione di virtù al servizio degli altri, dei valori condivisi da testimoniare e applicare nella realtà quotidiana, ciascuno seconda la propria identità".
Questa tesi che a prima vista parrebbe legittima, la più ragionevole e sensata, non prende in considerazione invece che:
a) La propensione culturale di un Occidente che avalla le legittime rivendicazioni ebraiche (e dello Stato d'Israele in particolare) non scaturisce solo in base a considerazioni astrattamente razionali ma anche in nome di un sentimento di vergogna e di condanna (ed in un certo modo, quindi, di postumo risarcimento) per gli abomini compiuti contro gli ebrei dagli avi degli attuali popoli libertari e democratici dell'Occidente, obbrobri culminati nella follia antisemita del terzo Reich.
Bisogna cominciare a prendere coscenza che gli ebrei non potranno in eterno invocare la Shoà per provocare nel cristiano il senso di colpa per l'epilogo hitleriano di millenovecento anni di antigiudaismo cristiano, trovandosi a che fare con le nuove generazioni che non hanno il benchè minimo senso (tantomeno il culto!) della memoria storica.
Ed inoltre mi permetto la considerazione che il "senso di colpa" non è certamente il sentimento più sano sulla base del quale intessere una serena relazione col prossimo. Su questo l'ebreo Sigmund Freud avrebbe senzaltro qualcosa da dire.
b)Ogni decisione della Chiesa Cattolica deve avere fondamenti teologici. Ogni consuetudine tipica del cristiano, fosse anche annaffiare i fiori sul balcone di casa propria, rinvia ineludibilmente ad una valutazione teologica dell'identità ontologica della Chiesa e del suo sacramentale rapporto con il suo Divino fondatore Gesù Cristo.
Che vuol dire?
Vuol dire che se il disprezzo cristiano per il Popolo ebraico ha avuto delle legittimazioni teologiche basate sull'interpretazione della Bibbia, allo stesso modo la condanna da parte della Chiesa cattolica di ogni forma di antisemitismo e la proclamazione addirittura di uno speciale amore che la Chiesa nutre per gli ebrei deve necessariamente avere a fondamento e a legittimazione la stessa Parola di Dio. Questo Benedetto XVI lo sà perfettamente! Per questo nel suo interloquire con il rabbino Di Segni Benedetto XVI non ha parlato della necessità di una "civile" convivenza ma si è attenuto ad un linguaggio di livello ostentatamente teologico.

Non è sufficiente perciò alla Chiesa ammetter che quelle interpretazioni delle parole del Vangelo,che hanno nei secoli giustificato l'odio e la violenza contro gli ebrei, erano interpretazioni sbagliate?
Si, ma questa è appunto una operazione teologica.

Il Concilio Vaticano II, nella Dichiarazione "Nostra Aetate" ha voluto condannare una interpretazione pregiudizialmente antisemita dell'espressione: "il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli" contenuta nel vangelo di Matteo (Mt 27,25).

"Perchè si vuole oggi chiamarli innocenti di questo crimine? Si è fatto portare alla Chiesa fino ad oggi la responsabilità delle colpe commesse in altri tempi da alcuni suoi uomini (gli abusi dell'Inquisizione, la strage di San Bartolomeo, gli albigesi...); si fa portare a dei popoli la responsabilità delle colpe commesse in altri tempi dai loro avi o da alcuni loro capi. Perchè si vuole che gli ebrei non portino la responsabilità morale di un crimine commesso dai loro avi e dai capi della loro Nazione? E' forse per impedire che siano perseguitati? Ma non è per questo crimine che alcuni popoli li respingono oggi, è per ragioni sociali, raziali, economiche, politiche ecc... Oggi che il papa stesso sente il bisogno e la convenienza di non chiamare innocenti dalle colpe del passato gli uomini di Chiesa, perchè ci si tiene a chiamare ufficialmente gli ebrei innocenti del sangue di Gesù che hanno crocifisso?
Perchè ci si tiene a questa dichiarazione ufficiale della loro innocenza quando essi stessi per bocca dei loro avi, hanno detto nel vangelo: "Che il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli?" (la nostra posterità)?"

Queste sono le perplessità di una delle personalità più eminenti (ed incisive)parecipanti al Vaticano II: Sua Beatitudine Maximos IV patriarca greco-cattolico di Antiochia.

Perchè,si chiedeva il "leone del Concilio", proclamare solennemente che:"se autorità ebraiche con i propri seguaci si sono adoperate per la morte di Cristo, tuttavia quanto è stato commesso durante la sua passione, non può essere imputato né indistintamente a tutti gli Ebrei allora viventi, né agli Ebrei del nostro tempo"?

Perchè la costernazione e la condanna più totale della criminale e mostruosa ecatombe che è stata la Shoà non è in grado di smuovere di un millimetro una dottrina teologica!
Anzi! Se un cristiano è convinto che anche sugli ebrei a lui contemporanei si riversi la punizione del Padre Eterno per aver, i loro avi, fatto uccidere "il Figlio di Dio", allora, il fatto che non sono più i sovrani cristianissimi e cattolicissimi a perseguitare gli ebrei ma un regime che si dichiara anticristiano, questa potrebbe essere considerata la prova del nove di un'effettiva maledizione divina.
Questo non significa che un cristiano con una tale forma mentis possa giustificare la persecuzione hitleriana. Egli potrebbe benissimo essere un accanito antinazista e condannare ed agire contro ciò che ai suoi occhi è omicidio e sterminio inaccettabili, ma questo non implica che pur condannando il fenomeno storico egli non possa tranquillamente accettare l'idea che la causa ontologica e remota sia una divina maledizione.

Il terrificante orrore della Shoà non è allora sufficiente per provocare esso solo, nel cristiano, una riconsiderazione profonda dei rapporti tra Ebraismo e Cristianesimo?
Umanamente, si. Sociologicamente, si.
Spiritualmente, no.
Perchè tra quei cristiani che effettivamente salvarono la vita a migliaia di ebrei, a rischio della propria vita, sicuramente il pensiero dominante era: "Dio, non è giusto che tu continui a punirli così!": è questa la grande aberrazione - tutta teologica - che il Concilio Vaticano II ed il successivo Magistero pontificio hanno inteso guarire.
E quest'opera di purificazione può attuarsi solo ad un livello teologico e spirituale di cui l'istituzione della giornata del diaologo ebraico-cristiano è espressione.
Dialogo che se vuol essere incisivo deve essere innanzitutto spirituale! Fondato perciò sulla meditazione della comune Parola di Dio, e sul riconoscimento da parte cristiana, del legame del profondo che lega il Nuovo Testamento all'Antico che non si è ormai concluso, non ha perso di senso con l'avvento di Cristo ma come ammonisce San Paolo, la fede ebraica è la radice del Cristianesimo e se quindi la radice perisse perirebbero anche i rami:
"Se le primizie sono sante, lo sarà anche tutta la pasta; se è santa la radice, lo saranno anche i rami. Se però alcuni rami sono stati tagliati e tu, essendo oleastro, sei stato innestato al loro posto, diventando così partecipe della radice e della linfa dell'olivo, non menar tanto vanto contro i rami! Se ti vuoi proprio vantare, sappi che non sei tu che porti la radice, ma è la radice che porta te.(Rm 11,16-18)

martedì, gennaio 17, 2006

Gran Rabbi nato

Ovvero: Il saluto del Rabbino Capo di Roma Riccardo Di Segni alla Santità di Papa Benedetto XVI nell'occasione dell'udienza accordatagli dal Sommo Pontefice "ccioiosamente regnante"
addì 16 Gennaio
dell'anno 2006 del Signore Nostro Gesù Cristo


"A pochi mesi dalla Sua elezione al soglio pontificio la Comunità ebraica di Roma ha desiderato questo incontro, che ci riporta nelle sale dove tre anni fa fummo ricevuti dal Suo predecessore, papa Giovanni Paolo II, il Papa che più di ogni altro ha dato un contributo decisivo al miglioramento dei rapporti tra Cristiani ed Ebrei. Ma noi sappiamo anche quale ruolo determinante abbia avuto, negli anni del precedente pontificato, il Suo pensiero, come guida e solido sostegno teologico dei più importanti momenti di definizione della dottrina. Per questo motivo, fin dai primi momenti del nuovo pontificato, è stata forte la convinzione che non solo non ci sarebbero stati passi indietro nel cammino intrapreso, ma che la strada segnata sarebbe continuata linearmente.

Questa nostra convinzione trova conferma nei Suoi atti già numerosi, nelle dichiarazioni, nella sensibilità dimostrata nella denuncia dell’antisemitismo passato e presente, nella condanna del terrorismo fondamentalista, nell’attenzione allo Stato d’Israele, che per tutto il popolo ebraico è un riferimento essenziale e centrale. La preghiera per Sion risuona tutti i giorni nelle nostre Sinagoghe.

La Comunità ebraica precede di quasi 180 anni l’arrivo dei primi Cristiani a Roma, all’inizio in gran parte essi stessi ebrei della terra d’Israele che venivano a predicare il messaggio cristiano proprio nelle Sinagoghe di questa città. Da allora e fino ad oggi, per un destino eccezionale e per noi non privo di significato provvidenziale, Ebrei e Cristiani sono rimasti qui insieme senza interruzioni.
Non è stata però una storia serena e il peso di secoli di umiliazioni e sofferenze
si fa ancora sentire. Eppure c’è stata sempre una speciale comunicazione, un modo di porsi verso l’altro consolidato da una tradizione, anche nella cornice di un rapporto non paritario. E un rapporto speciale esisteva anche tra sacerdoti e rabbini e in particolare tra il Vescovo di Roma e il Rabbino della città.

L’Oratorio di S. Silvestro della chiesa dei SS. Quattro Coronati a Roma mostra in una affresco la gara tra Papa Silvestro e un certo Rabbino Zamberi davanti all’imperatore Costantino, incerto nella scelta di una fede; la gara doveva dimostrare chi dei due fosse più potente nell’uso dei nomi divini.

A 17 secoli di distanza siamo ancora qui a confrontarci davanti al mondo.
Che da noi non si aspetta di sapere chi dei due è il rappresentante della vera fede, ma vuole sapere in che modo ognuno di noi sia coerente nell’impegno sacro che la sua tradizione gli impone davanti agli uomini.

Non c’è più la gara per dimostrare chi è più potente magicamente, o chi è vero e chi è falso, chi vale ancora e chi è scaduto; ma ben venga una gara di dimostrazione di virtù al servizio degli altri, dei valori condivisi da testimoniare e applicare nella realtà quotidiana, ciascuno seconda la propria identità.

La Roma ebraica e la Roma cristiana che si incontrano, si rispettano, convivono in pace, collaborano ma rimangono ciascuna fedele a sè stessa sono un esempio per il mondo travagliato da conflitti, spesso sostenuti da visioni religiose esasperate. Il passato di sofferenze e talora di orrori subiti, anche in questa città, non ci ha mai fatto perdere la fiducia, radicata nella nostra tradizione, nelle capacità e nel valore di ogni essere vivente: “L’hai reso di poco inferiore a Dio, coronato di gloria e splendore” perché possa dichiarare “Iddio nostro Signore, quant’è grande il Tuo nome in tutta la terra” (salmo 8 vv. 6,10).

Questo è un anno di importanti anniversari.
Sono stati ricordati da poco i 40 anni della Nostra Aetate.
Tra poco, ad Aprile, saranno compiuti venti anni dalla storica visita del Suo predecessore alla Sinagoga di Roma; un evento unico, ma nulla impedisce che sia ripetuto dal nuovo Papa, che è sempre il benvenuto.

Che il Signore continui a darLe forza e saggezza nell’esercizio della Sua ardua missione."

domenica, gennaio 15, 2006

In morte di Giorgio Spini



"Puo sembrare un paradosso che lo Stato assoluto, tra un protestantesimo, il quale è privo di un'autorità supernazionale visibile e quindi può consentire alla formazione di una chiesa di Stato, ed un cattolicesimo, il quale esalta l'autorità supernazionale del papato, a scapito magari dello Stato e del suo egoismo, faccia una simile scelta. Ma non è più un paradosso, se ci sforziamo di ragionare con la mente dei nostri antenati di quattro secoli fa.

Noi moderni siamo nutriti tutti di filologia, di scienza naturale, di sperimentalismo, di storia; i nostri avi, al contrario, avevano una mente formata sulla logica dell'Organon di Aristotele, sulla logica del diritto romano, sulla logica della sintassi latina. Noi siamo involontariamente degli inguaribili empiristi: essi erano degli stupendi ragionatori, avvezzi ad afferrare al volo tutte le conseguenze implicite in un'affermazione di principio. Se in quel tempo una questione di etichetta bastava per far sguanare le spade, o ad un cavillo giurisdizionalistico tra Stato e Chiesa bastava a fare spandere fiumi di inchiostro, non era perchè gli uomini avesero del tempo da perdere in sciocchezze. Era soltanto perchè erano dei logici e sapevano che se autorizzavano il conte A o l'arcivescovo B ad avere la precedenza in un corteggio, venivano implicitamente a riconoscergli dei diritti per l'avenire. Tanto valeva perciò mettere subito mano alla spada od alla penna, senza aspettare le conseguenze necessarie della premessa.

Orbene, se parto dal concetto cattolico dei rapporti tra Natura e Grazia, io ammetto che la Natura, benchè inferma, non è totalmente malvagia. Anche le differenze «naturali» tra ricchi e poveri, tra nobili e plebei, tra governanti e governati, non sono in sè un male e rappresentano degli ordinamenti «naturali», che possono essere conservati, se volti a fini di bene. Si capisce che la sovrannaturale verità cristiana mi insegnerà a correggere e migliorare questi dati della natura e quindi ad esortare il ricco ad essere caritatevole ed il povero ad essere pasiente. Ma non verrò per questo a scrollare i fondamenti «naturali» della società.

Se parto invece dal pessimismo calvinista, dichiaro che la Natura di per sè è malvagia e che la Grazia è assolutamente libera. Chi oggi è l'umile Davide, dunque, per Grazia divina può essere domani re al posto di Saul: il contadino potrebbedomani invocare la Grazia per sostituirsi al nobile. Il migliore dei regimi politici, anzi, sarà quello che meglio consente alla libera azione della Grazia di manifestarsi, cioè quello che pone minori inciampi all'ascesa dei predestinati.

Se affermo coi Riformatori che ogni professione è sacerdozio, debbo smettere di divider gli uomini in laici e clero e di ricordare ai primi di non presumer troppo di se perchè Iddio può fare di un artigiano il proprio profeta, e quindi - idealmente almeno - il ciabattino vale quanto un marchese od un arcivescovo.

Stando così le cose, è meglio bruciare subito il predicatore calvinista, che aspettar che si producano le conseguenze implicite nella sua predicazione. Ed è meglio affrettarsi ad accogliere il gesuita, il quale - se non altro - lascia ancora al re, al nobile od all'arcivescovo il loro «naturale» potere, apatto che si lascino guidare dal papa.

Ciò non vuol dire, ovviamente, che conflitti non possano sorger tra Stato e Chiesa, tra corona e papato, tra oliarchie aristocratiche e direttiva religiosa della Controriforma. dal punto di vista cattolico, anzi, se l'egoismo nazionale vuole opporre i suoi calcoliterreni ai suoi doveri verso il papato, è necessario calpestarlo e se il re si fa protettore di eretici, è legittimo invocare la sua deposizione e sciogliere i sudditi dai loro obblighi di fedeltà. La Controriforma, in più casi, non esiterà nemmeno davanti al tirannicidio, pur di sbarazzarsi del principe nemico della fede.
Nel complesso, tuttavia, il compromesso tra corona e papato, tra naturalismo dello Stato rinascimentale e supernaturalismo cattolico, sarà sempre incomparabilmente più agevole che tra repubblicanesimo calvinista od egualitarismo della Grazia, da una parte, e società gerarchica e dispotismo monarchico dall'altra."

(GIORGIO SPINI; Storia dell'età moderna, volume primo)

sabato, gennaio 14, 2006

Panoramica ratzingeriana 2

"Da cardinale passeggiava con il suo basco nero intorno al Vaticano, rispondendo al saluto dei passanti.
Oggi è divenuto quasi inaccessibile"
"Protestano gli artisti che si sono esibiti nel tradizionale concerto di Natale in Vaticano, perché Joseph Ratzinger non ha voluto riceverli"
"Si lamentano i nunzi"
"Spariti gli inviti per partecipare alla messa nella cappella privata alle 7 del mattino. Anche a pranzo e a cena Benedetto XVI preferisce non avere commensali.
Delusi i parroci romani quando hanno appreso che Ratzinger non avrebbe intenzione di visitare più di due parrocchie l'anno"

"«Sobrietà» è la parola chiave per descrivere il pontificato di Benedetto XVI"
"Basta guardare come sono cambiate le udienze generali del mercoledì...Dopo la benedizione, sono ammessi al baciamano solo pochi, selezionati ecclesiastici.
Tutti gli altri, autorità civili comprese, restano seduti al proprio posto. Uscendo, il Papa saluta gli ammalati e qualche gruppo di pellegrini nelle prime file. Nient'altro. Giovanni Paolo II lasciava invece che centinaia di persone si mettessero in coda per baciargli la mano e farsi fotografare con lui dopo l'udienza.

Eppure, il Ratzinger-style seduce anche i cattolici progressisti, come il giornalista Giancarlo Zizola, autore di un recente libro su Benedetto XVI: un «pudore quasi monastico» ha preso il posto del «trionfalismo papolatrico» di Wojtyla, commenta compiaciuto."
( Ignazio Ingrao)

Panoramica ratzingeriana 1


"Ratzinger ha iniziato a essere riconosciuto come il maestro di tutti" ha scritto Filippo Di Giacomo:
"Quanto i grandi temi del pontificato wojtylano fossero stati pensati dal cardinale Ratzinger appare sempre più chiaro man mano che Benedetto XVI ha modo di entrare nei settori dove la parola del papa è legge e magistero.
Ma dopo l'eruzione comunicativa e carismatica di Giovanni Paolo II, dopo l'epoca in cui i messaggi sono stati straordinariamente coperti dalle immagini e dai gesti, nella basilica vaticana la parola è tornata regina.
E forse questo è il primo, e anche il più facilmente avvertibile, segnale di discontinuità tra l'attuale e il precedente pontefice.

Uscito dal cono d'ombra nel quale ha vissuto durante i 24 anni di collaborazione con Papa Wojtyla, Benedetto XVI ha iniziato subito a manifestare quella specie di efficacissimo minimalismo comunicativo che continuiamo a seguire durante le sue omelie.

Sarà difficile ormai aggiungere l'icona del pontefice come plusvalore, quasi fosse una «guest star», ad avvenimenti presentati e gestiti con le stesse categorie dell'intrattenimento, diritti Siae compresi..."


Per Pietrangelo Buttafuoco: "i «compagni di strada» della sinistra di ieri sono diventati i compagni di processione di oggi...
Non ci sono più i mangiapreti di una volta perché questa volta il prete è fatto di una pasta elaborata, sofisticata, perfino ambita al punto di essere diventato un gioco di società «l'aver fatto un convegno col Papa»... dai Cacciari, dai Severino, dai Mieli, da Paolo Flores d'Arcais persino, il laico dell'eccellenza laicista, primo per virtù della sua prestigiosa rivista, Micromega, ad aver avuto confidenza con l'allora capo della Sacra congregazione per la fede.

Tutti amici del Papa per virtù intellettuale, alcuni gratificati dalla confidenza del darsi del tu. «Mi sento percorrere da brividi di commozione all'idea che Ratzinger possa diventare papa»: così diceva un altro amico dell'intelletto, ossia Marcello Pera"


Papa Ratzinger non solo sui temi teologici ed ecclesiali "ad intra", ma anche negli argomenti morali che coinvolgono la riflessione filosofica,l'etica laica e la vita politica, interviene con parsimonia ma con una chiarezza ed una fermezza che, colpiscono come stilettate gli uomini politici (poco abituati all'evangelico "Si si, no no"); gli intellettuali, seppur in dissenzo col pontefice "ccioiosamente regnante", gli riconoscono le "lettres de noblesse" di "professorone" e perciò, nei loro editoriali, lo trattano da "collega".
E questo non può non colpire positivamente la classe politica sempre alla ricerca dell'accaparramento dei voti dei moderati.

Alberto Melloni definisce «paradossale» l'effetto politico "della discrezione e del riserbo di Benedetto XVI:
«Fino a tempi recenti, i vescovi parlavano altrettanto ma la loro voce era, per così dire, riassorbita da quella del pontefice. Ora, mentre Benedetto XVI centellina i suoi interventi, sulla scena pubblica arriva solo l'effetto paradossale della sua discrezione, la voce dei vescovi sembra più rumorosa e la Chiesa italiana viene percepita come una specie di forte e agguerrita agenzia politica».
E, anche in questo, il modello agostiniano della spiritualità ratzingeriana conta, eccome. Spiega Melloni: «Abituato a guardare le cose politiche con gli occhi della sua sensibilità bavarese, Papa Ratzinger manifesta, non solo formalmente, anche per i politici italiani un grande rispetto. Convinto della caratura intellettuale e morale dei politici tedeschi, crede ancora che anche in Italia siano sempre e solo i primi della classe a fare politica».
Un buon motivo per non cercare di fargli cambiare idea."

Tolkien e Lewis

Stando al suo biografo Humphrey Carpenter, Tolkien, cattolico praticante, ebbe una parte non trascurabile nella conversione di Lewis al cristianesimo. Diversi nel carattere, negli atteggiamenti, i due scrittori e animatori del circolo degli Inklings lo furono anche negli esiti umani e letterari, e finirono col tempo per dividersi. Quel cenacolo di studiosi fu però anche un luogo di dibattito e di confronto sui temi della fede, cui gli interlocutori contribuivano partendo da esperienze diverse, alcune di esse, come avvertì a un certo punto lo stesso Tolkien, irriducibili e inconciliabili tra loro.
...


SIMONELLI: La posizione inequivocabilmente cattolica di Tolkien è tutta nella percezione del sacramento come una cosa reale, nel suo confessarsi tutte le volte che si accostava alla comunione. Nelle lettere al figlio Christopher durante la Seconda guerra mondiale, mentre questi era al fronte, ripete sempre: mi raccomando, frequenta i sacramenti, recita almeno un’Ave Maria al giorno, e quando puoi, vai in una chiesa francese; non importa se non capisci quello che dicono, se trovi confusione, preti che tirano su col naso e bambini che strillano, ma frequenta il sacramento. E non bisogna dimenticare che Tolkien si è accostato al cattolicesimo grazie alla testimonianza della madre. Ha visto le sue sofferenze, il ripudio da parte dei parenti per la sua conversione. Non ha avuto cioè un approccio “spiritualeggiante” alla fede, mentre per Lewis, per quanto possa essere stata reale la sua conversione, il cristianesimo resta una metafora intellettuale.

Tolkien rimprovera a Lewis questo approccio?

SIMONELLI: Non esplicitamente. Ma nelle loro discussioni c’è sempre un punto in cui i due opposti atteggiamenti confliggono. Una sera, ad esempio, durante uno degli incontri degli Inklings venne fuori il tema della cremazione. Il fratello di Lewis, non capendo perché la Chiesa cattolica fosse contraria, pone la questione a Tolkien. Tolkien risponde che il corpo è tempio dello Spirito Santo e per questo non può essere distrutto.
«Ma devi ammettere che è un tempio abbandonato» gli replica Lewis.
«Ma questo significa forse che è giusto distruggerlo? Se una chiesa deve essere abbandonata per un qualunque motivo, tu non la farai saltare immediatamente in aria e neppure la raderai al suolo appiccandole fuoco».
«Lo faresti» risponde Lewis «per impedire che venisse usata, diciamo, dai comunisti? In quel caso preferiresti vederla distrutta?».

Qual è il punto di conflitto fra i due atteggiamenti?

SIMONELLI: Quello di Lewis è un ragionamento perfettamente plausibile dal punto di vista intellettuale. Se la chiesa è un simbolo, tanto vale che sia tu stesso a distruggerla per evitare che, cadendo nelle mani del nemico, diventi un simbolo negativo.
Ma Tolkien risponde: «No, non lo preferirei».
«E perché no?» domanda il fratello di Lewis.
Tolkien allora porta un altro esempio: «Se tu sapessi che un calice sta per essere usato da uno stregone, come in quella storia di Williams, per questo considereresti tuo dovere distruggerlo?».
Lewis dice: «Penso di sì».
E Tolkien: «Allora saresti mentalmente colpevole se lo facessi. Il tuo compito è soltanto quello di riverirlo». Perché questa risposta? Perché, comunque, per Tolkien, il calice rimane qualcosa in cui c’è stato il sangue di Cristo, vero, reale, e nessun uomo può distruggerlo. Invece, per chi ha un approccio più che altro simbolico-intellettuale, occorre impedire che qualcun altro usi quel simbolo.
Per Tolkien, tu devi fare il tuo dovere di cristiano, che è onorare quel calice. Il resto non sta a te. ...


mercoledì, gennaio 11, 2006

VOS ET IPSAM INTERNET BENEDICIMUS

"In secoli passati gli scambi culturali tra giudaismo ed ellenismo, tra mondo romano e mondo germanico e mondo slavo, come anche tra mondo arabo e mondo europeo, hanno fecondato la cultura e favorito le scienze e le civiltà. Così oggi dovrebbe essere di nuovo, ed in maggior misura, essendo di fatto le possibilità di scambio e di reciproca comprensione assai più favorevoli. Per questo ciò che oggi si richiede è, anzitutto, che si tolga ogni ostacolo all’accesso all’informazione a mezzo della stampa e dei moderni mezzi informatici"
BENEDETTO XVI

L'allodola di Frisinga /6


"...nel Battesimo ciascun bambino viene inserito in una compagnia di amici che non lo abbandonerà mai nella vita e nella morte, perché questa compagnia di amici è la famiglia di Dio, che porta in sé la promessa dell'eternità. Questa compagnia di amici, questa famiglia di Dio, nella quale adesso il bambino viene inserito, lo accompagnerà sempre anche nei giorni della sofferenza, nelle notti oscure della vita; gli darà consolazione, conforto, luce.Questa compagnia, questa famiglia gli darà parole di vita eterna. Parole di luce che rispondono alle grandi sfide della vita e danno l'indicazione giusta circa la strada da prendere. Questa compagnia offre al bambino consolazione e conforto, l'amore di Dio anche sulla soglia della morte, nella valle oscura della morte. Gli darà amicizia, gli darà vita. E questa compagnia, assolutamente affidabile, non scomparirà mai. Nessuno di noi sa che cosa succederà nel nostro pianeta, nella nostra Europa, nei prossimi cinquanta, sessanta, settanta anni. Ma, su un punto siamo sicuri: la famiglia di Dio sarà sempre presente e chi appartiene a questa famiglia non sarà mai solo, avrà sempre l'amicizia sicura di Colui che è la vita."

martedì, gennaio 10, 2006

Legenda /4

Ovvero:
"Paolo Guzzanti, il Lupo Grigio e gli scheletri nell'armadio"



( Il Giornale lunedì 9 gennaio 2006)

dei Sepolcri, III

"Guy, non avevi ancora 17 anni e te ne sei già andato.
Domenica sera ci hai fatto ridere e ora noi facciamo ridere te.
"



("Pronto chi è morto?"; Il Giornale, venerdì 6 gennaio 2006)

lunedì, gennaio 09, 2006

Gesù visto da Oriente


...
"La difficoltà
Per un musulmano, richiamarsi alla figura di Gesù è motivo di una duplice difficoltà. Da una parte, si tratta di presentare una visione “altra”, “diversa” di un argomento che, per alcuni, è l’essenza stessa della loro fede e, quindi, della loro vita. (...) La difficoltà sta nel fatto di dover parlare di questa verità in maniera diversa. È questo il primo aspetto del problema.
D’altra parte, parlare di Gesù, per un musulmano che vive la sua fede in maniera critica, comporta una rilettura dell’interpretazione musulmana dei versetti coranici dedicati a Cristo. Il patrimonio musulmano, nel suo stato attuale, è, a mio giudizio, incapace di parlare dell’altro in maniera coerente, tanto più, quindi, è in grado di avviare un dialogo islamo-cristiano che cancelli l’esclusivismo e l’isolamento.
Ecco perché alla domanda: “Chi è per voi Gesù?”, si impone una duplice risposta. Da una parte bisogna esporre come Gesù si presenta nel Corano, ma bisogna anche situarlo al centro della principale problematica islamica, e cioè della questione dell’altro e della differenza nel pensiero monoteista.
Così Gesù, per un musulmano impegnato nel dialogo interreligioso, è nel contempo l’altro, il differente, ma è anche l’altro non eliminabile, perché parte integrante della sua identità religiosa. Gesù dunque è “altro che è mio”.
...

(Hmida Ennaïfer professore di Teologia dogmatica musulmana all’Università di Tunisi)



La figura di Cristo nell’islam...

"...Va anche precisato che un cristiano e un musulmano, con il termine “rivelazione” non intendono la medesima cosa.
Per noi [mussulmani]la rivelazione è il messaggio inviato da Dio altissimo a sua maestà Maometto. In stato di estasi, il nostro profeta esprimeva la Parola proveniente da Dio altissimo così che queste parole formano il nostro Libro sacro. Orbene, la rivelazione cristiana non è la medesima cosa. I detti e gli atti di Gesù Cristo furono redatti più tardi e quindi trasformati in libro dagli autori dei Vangeli (il Nuovo Testamento).
In questo senso, quello che noi chiamiamo “hadit” e “sunna”, cioè l’insieme delle parole e degli atti del profeta, sono considerati dai cristiani come “rivelazione”. Gesù Cristo non aveva al suo fianco scribi che trascrivessero all’istante la rivelazione che egli riceveva. Erano invece apostoli, evangelisti, coloro che più tardi misero per iscritto quanto avevano visto o sentito. Si capisce, perciò, perché si abbiano diversi Vangeli, il cui contenuto essenziale è senz’altro il medesimo, ma formulato in maniera differente dagli autori, per quanto tutti fedeli all’essenziale. Ispirati da Gesù Cristo, questi autori hanno tuttavia fatto delle aggiunte. Lo stesso san Paolo, che non aveva mai visto Gesù Cristo, ha contribuito alla redazione del Nuovo Testamento.
In altri termini, il concetto cristiano di rivelazione non si fonda sull’estasi di Gesù mentre entra in comunicazione con il divino e detta, di conseguenza, la parola divina agli scribi, dei quali invece non vi è neppure traccia nei testi tradizionali islamici. Il santo Corano, invece, parla esplicitamente di apostoli.
Sarebbe quindi improprio dire che la “sunna” e la “hadit” musulmane equivalgono a ciò che la religione cristiana chiama rivelazione. ... "

(professor Niyazi Oktem, Università di Istambul)

Le cronache del segretario di C.S. Lewis

"...Lei era anglicano ed è diventato cattolico. Come è avvenuta la sua conversione? Lewis, che era anglicano, l’ha aiutata in questo passaggio? È curioso il fatto che anche Thomas Howard (tra i massimi esperti di Lewis) abbia abbandonato la Chiesa evangelica per approdare al cattolicesimo.
C’è forse qualcosa di cattolico in Lewis?


Passai alla Chiesa cattolica nel 1988, dopo decenni di lungo travaglio. Convertirsi dall’anglicanesimo al cattolicesimo, in terra anglosassone, ti crea un sacco di problemi. Infatti persi tutti gli amici. Saggiamente il Vescovo a cui mi ero rivolto mi è aveva consigliato di farlo negli Stati Uniti, dove il clima culturale era diverso. E così feci. Finalmente mi sentii felice, accolto. La solitudine che da sempre avvertivo cominciava a dissolversi.
Dopo anni di tentativi di salvare la Chiesa d’Inghilterra, avevo deciso di permettere che la Chiesa cattolica salvasse me. Sì, perché nella Chiesa anglicana di quegli anni vedevo una grande confusione: negli anni 60 c’era stato il Sinodo dove veniva messa ai voti la dottrina della Chiesa (e in questo modo si voleva affrontare anche l’ordinazione delle donne). Il clero stesso aveva perso la sua fede dogmatica, e questo è diventato evidente quando un paio di anni fa la rivista Spectator ha intervistato molti vescovi: non ce n’è stato uno che ha dichiarato di credere nella resurrezione.
Lewis, nel saggio Il cristianesimo così com’è, descriveva il cuore della fede, senza porre l’accento sulle varie differenze, ma valorizzando il patrimonio comune. Ma mi rendevo sempre più conto che gli unici a credere e a capire ciò che Lewis dice in questo libro erano i cattolici. Le cose avevano raggiunto uno stadio tale che quasi tutto ciò che Lewis difendeva lo si poteva trovare soltanto nella Chiesa di Roma.

Per Lewis Cristo era un fatto: «Cristo è sì un mito, ma un mito realmente accaduto» afferma in una lettera. Per lui l’incarnazione, la resurrezione, i miracoli, gli angeli, il diavolo, l’inferno e il paradiso erano veri, realmente esistenti. Mi ricordo una volta, mentre ero a casa con lui, mi disse. «Povero Lazzaro, è dovuto morire due volte!». Io pensavo che parlasse di un parente, o di un vicino di casa, poi ho chiesto: «Ma stai parlando del Lazzaro della Bibbia?». «Certo! Ma guarda che lui non sapeva di essere biblico!».

Lewis aveva una confidenza, una certezza rispetto ai contenuti della fede esattamente come quella degli apostoli. Anche l’accusa di Lewis al relativismo in campo etico è qualcosa che sento fortemente nella Chiesa cattolica. In Il veleno del soggettivismo scrive: «Se non viene posto uno standard immutabile il progresso è impossibile, se il bene è un punto fisso almeno è possibile avvicinarci sempre più ad esso, ma se il terminale è tanto mobile quanto il treno, come è possibile che il treno possa avvicinarsi sempre più a questo punto terminale?»...."

domenica, gennaio 08, 2006

La Croce di un piccolo blog.

L'antiateo devoto

Ovvero: il Tractatus giocosus teologicus

Bernardo "il (blog) Venerabile" si diletta, e ci diletta, con un trattatello in due tomi ( di cui questo ne è il 1° e più frizzante; questo il 2° che più si sofferma su temi teologici) sbertucciando, per mezzo della sana dottrina filosofica, le tesi degli atei militanti.
Come, infatti, sapientemente egli afferma: "Si tenga presente innanzitutto che l’ateo, in presenza di un fedele, è sempre convinto della propria superiorità intellettuale: nella sua mente obnubilata il credente gli appare sempre come uno sprovveduto coi calli alle ginocchia e un’opaca vita sessuale.
Tale opinione non dev’essere smentita troppo presto al fine di rendere l’effetto sorpresa più devastante. Giocate, dunque, col vostro ateo, assecondandone all’inizio il pregiudizio."