martedì, agosto 26, 2008

Historia Ecclesiastica Anglorum, IX

Sive: EX UMBRIS ET IMAGINIBUS IN VERITATEM


"Questa la storia: giorno dopo giorno vanno e vengono per la Hagley Road carrozze, omnibus, carri e veicoli; sul marciapiedi si aggirano avanti e indietro i pedoni; proprio a fianco del marciapiede si scorgono un giorno le fondamenta appena gettate di un edificio piuttosto grande. Studiata la cosa, si viene a sapere che si vuole erigere un edificio cattolico, anzi un monastero. Ne nascono grandi e accalorate discussioni, specialmente quando sulla superficie cominciano ad apparire i mattoni.

Nel frattempo l'architetto, che non sospetta di nulla, prende le misure e si rende conto che il terreno è tutt'altro che piano. Poi, siccome i cattolici preferiscono che i vari piani siano in orizzontale, decide che i mattoni del seminterrato dovranno elevarsi al di sopra del livello del terreno più da un lato dell'edificio che dall'altro. Infatti, volere o no, sul lato in questione c'è una specie di volta o cantina, cosa non del tutto fuori luogo visto che quella parte dell'edificio dovrà ospitare la cucina. Perciò, facendo di necessità virtù, fa scavare alcuni piedi di terra e crea diverse stanze adatte a vari scopi, sia sopra che sotto il livello del terreno.

Mentre l'architetto è intento al proprio lavoro sono occupatissimi anche i perdigiorno, i pettegoli, gli allarmisti. Girano intorno all'edificio, osservano i muri di mattoni del seminterrato, interessandosi specialmente degli scarichi. Intanto sputano sentenze sul papismo e sulla sua diffusione. Alla fine penetrano nello spazio riservato agli addetti ai lavori, scendono ad esaminare lo scheletro incompiuto, vedono quello che c'è da vedere e quello che non c'è se lo immaginano.

Ogni casa è costruita secondo un'idea; una residenza non la si costruisce come se fosse un ufficio pubblico, nè un palazzo come una prigione, una fabbrica come un capanno da caccia, nè una chiesa come un granaio. Analogamente le case religiose hanno una idea tutta loro; possiedono alcune peculiarità nella forma e nella sistemazione interna che sono indispensabili.
Certo, l'idea stessa di un oratorio* doveva essere alquanto imbarazzante per la mentalità protestante giacchè non si conciliava affatto con i principii protestanti della comodità e dell'utilità.
Perchè mai una stanza così grande qui? E una così piccola là?
Perchè un corridoio così lungo e largo?
E perchè un muro così lungo senza finestre?
Persino le dimenzioni della casa vanno spiegate.

Coloro che avevano avuto modo di esercitare la loro facoltà di giudizio intorno all'impegnativo argomento della gerarchia cattolica e della sua necessità non ebbero difficoltà ad emettere sentenze su stanze da letto e ripostigli.
Troppe cose davano adito a sospetti e spingevano l'intruso a dubitare di aver raggiunto il fondo.

Alla fine gli balenò nella mente una domanda: cosa c'entrava questo edificio con gli scantinati?
Scantinati e monaci, qual è il loro rapporto reciproco?
I monaci quale uso fanno mai di fosse, buche, angoli, di dipendenze e tettoie?
Si creò uno scandalo che attirò altri curiosi.
Lo scandalo si allargò, diventò un'impressione, una convinzione; la verità era lì nuda e cruda; era nata una tradizione, fu ricavato un fatto che da allora in poi ebbe molti testimoni: gli scantinati erano celle.
Una volta che lo si era detto suonava così evidente! E tutti coloro che entravano nell'edificio o passavano da quelle parti diventavano in qualche modo testimoni oculari di ciò che si era letto nei libri ma che per molte generazioni l'Inghilterra non aveva, per sua fortuna, conosciuto: di carcerazioni, torture, di vittime lasciate morire di fame, immurate, assassinate; tutte cose quanto mai appropriate per un edificio monastico.

Ora sono tentato di fermarmi un po', per migliorare (come dicono i pulpiti evangelici) questa sensazionale scoperta. Perciò la analizzarò brevemente nei suoi vari capi: 1. L'ACCUSA; 2. I SUOI FONDAMENTI; 3. GLI ACCUSATORI; e 4. L'ACCUSATO.

L'ACCUSA. Eccola, che i cattolici, impegnati a costruire la casa in questione, perpetrano abitualmente omicidi.
Che questa fosse precisamente l'accusa è provato dal fatto che, se la tribuna scelta per lanciarla fosse stata diversa da quella che conosciamo, l'oratore avrebbe potuto essere incriminato per diffamazione. Queste le sue parole: Il coroner di solito non conduceva l'inchiesta se non là dove circolava la voce che un'inchiesta fosse necessaria; e come faceva la voce ad uscire dalle celle sotterranee dei conventi?
Proprio così, ripeteva, celle sotterranee: e lui aveva qualcosa da dire a proposito di questi luoghi. Proprio in quel momento, nella parrocchia di Edgbaston, nel distretto di Birmingham, stavano costruendo una specie di convento molto grande con sotterranei pieni di celle; e quelle celle a che cosa servivano?

I FONDAMENTI DELL'ACCUSA. Sono semplicissimi. Guardateli: 1.che l'edificio è orizzontale; 2.che il lotto di terreno su cui è costruito è più alto su un lato che sull'altro.

GLI ACCUSATORI. Anche questo getta luce sul carattere della tradizione protestante. Non solo gente debole e ignorante, non gente di secondo piano ma uomini istruiti, gentiluomini con ottimi contatti e di rango, uomini d'affari, uomini di carattere, componenti del corpo legislativo, uominio che conoscono benissimo il luogo, uomini che conoscono gli accusati per nome: questi sono gli uomini che deliberatamente, ripetutamente, anche dopo che sono stati sbugiardati, accusano certe persone di abbandonarsi a pratiche selvagge e barbare, di piacchiare, imprigionare, far morire di fame e ammazzare chi è a loro soggetto.

L'ACCUSATO. Provo un senso di vergogna, fratelli miei, apresentare davanti a voi il mio caso quando altri migliori di me hanno dovuto sopportare accuse più infamanti; ma ascoltatemi con pazienza.
Dunque l'accusato sono io .
E un gentiluomo irreprensibile, membro della contea, con i cui parenti prossimi ho rapporti di amicizia quasi fraterni da un quarto di secolo, che mi conosce di fama più e meglio (credo) di quanto non mi conosca chi si trova in questa stanza (a parte i miei amici personali): bene, costui accusa me -e altri con me- di deliziarmi del sangue, di godere delle grida e dei gemiti di dolore e disperazione, di sedere al posto d'onore in banchetti in cui si servono membra strappate, muscoli tremanti e facce impazzite per il terrore.
Ah, che mondo è mai questo!
Avrebbe potuto guardarci negli occhi e affermare una cosa simile? Avrebbe avuto il coraggio di dirlo se si fosse reso conto di chi stava parlando? Perchè chi siamo noi? Siamo vissuti in un angolo? Siamo usciti alla luce sbucando all'improvviso da sotto terra?

Per la maggior parte della nostra vita siamo stati nutriti al seno delle grandi scuole e università dell'Inghilterra protestante. Siamo stati figli adottivi dei vari Edoardo ed Enrico, dei Wykeham* e dei Wolsey* dei quali gli inglesi sono soliti menar vanto.
Siamo cresciuti tra centinaia di coetanei, ora sparsi per tutto il Paese, proprio in quelle classi sociali nelle quali entrano solo coloro che fanno parte del corpo legislativo.
Il nostro nome è noto alle classi colte del Paese più di qualsiasi altra persona non pubblica.
Inoltre, se ci sono al mondo uomini di cui si può dire che vivono in publico questi sono i membri dei college: la tavola comune, persino le sedie, i letti e la biancheria, le tazze e i piatti, il secchio per il carbone e le scope, tutto è proprietà comune, e appartiene ai loro vicini. Questo è il loro stilre di vita: qui nulla si può nascondere; ogni tratto caratteriale o stranezza di condotta diventa di domino comune.
Questa è stata la mia vita per un quarto di secolo sotto gli occhi di numerosissimi testimoni ben noti ai miei accusatori. E più o meno questa è la vita che noi tutti conduciamo fin da quando ci troviamo a Birmingham, dove la nostra casa è aperta a tutti e dove noi stessi siamo disponibili, per così dire, a tutte le ore.

Stando così le cose, considerando l'accusa e le prove, e l'accusatore, e l'accusato, quale illustrazione più eloquente possiamo noi cattolici augurarci di trovare di come si è formata e di quanto vale una tradizione protestante?

Lo dico a beneficio dei tempi che verranno; «se non per un'altra ragione -come dice un grande autore- almeno per questa: perchè i posteri sappiano che non abbiamo consentito col silenzio che certe cose svanissero come in un sogno, quanto segue dovrà rimanere a futura memoria».
In genere queste cose si dimenticano, perchè doverle ricordare è fastidioso e scomodo; e allora si consenta che dei molti esempi, che sono stati lasciati perire, su come è nata la tradizione anticattolica rimanga almeno quest'ultimo.

Certamente la favola è fallita sul nascere [...] ma avrebbe potuto prosperare: è morta perchè non è stata cresciuta bene. Avrebbe dovuto essere curata mentre si trovava in quegli scantinati sotterranei dove trasse il primo respiro finchè fosse stata in grado di sopportare la luce, finchè avesse sviluppato le membra e rinforzato la voce e finchè noi, a cui essa si riferiva, fossimo morti e ci fossimo presentati al giudizio. A quel punto avrebbe potuto alzare la testa senza paura e senza biasimo e avrebbe potuto asserire col suo magistero ciò che nessuno poteva negare.

Ma gli uomini sono tutti creature delle circostanze, sono trascinati verso una rovina che pure vedono ma non possono evitare: questo è quel che è successo alla tradizione di Edgbaston. Fu gridata dai tetti quando avrebbe dovuto essere sussurrata nei salotti, e lo sforzo le fu fatale.

Eppure, non dobbiamo dimenticarlo, avrebbe potuto avere un destino migliore. Avrebbe potuto ardere sommessa nella cenere e diffondersi fra una parte della gente di Birmingham. Avrebbe potuto sedimentarsi sul fondo oscuro dei loro ricordi e risalire di tanto in tanto fino a piosarsi sulla loro lingua. Avrebbero potuto esserci rapidi cenni, timori, dicerie, voci, pronte a ribadire che nei nostri sotterranei si rinnovavano di tanto in tanto gli orrori dell'Inquisizione."

JOHN HENRY NEWMAN; "Lectures on the Present Position of Catholics in England"; (traduzione italiana: "Discorsi sul Pregiudizio"; Ed. Jaka Book)

sabato, agosto 23, 2008

Historia Ecclesiastica Anglorum, VIII


EX UMBRIS ET IMAGINIBUS IN VERITATEM

Ovvero: dalle conferenze del cardinale John Henry Newman
"Sulla presente condizione dei Cattolici in Inghilterra"


"Vi leggerò il resoconto della benedizione col SS. Sacramento alla quale un protestante andò ad assistere nella cappella dei padri dell'Oratorio a Londra.

Cito le sue parole da una pubblicazione di quell'importante istituzione che è la British Reformation Society, fondata nel 1827 e sostenuta, credo, da molte persone eminenti, nobili, gentiluomini, e ministri di varie sette religiose. Il periodico di cui parlo si chiama The British Protestant, or Jurnal of the Religius Principles of the Reformation. Pare che sia una delle pubblicazioni ufficiali dell'Associazione perchè ne porta lo stemma sulla copertina. Nel numero 62, del febbraio 1850, ci vengono offerti gli «Extracts from the Jurnal of a Protestant Scripture Reader».

Questo gentiluomo, nel corso delle sue visite missionarie in varie zone di Londra, entro, martedì 8 gennaio , nella cappella cattolica di King William Street che -così inizia il suo racconto- «con quelle grosse rose di tutti i colori e con l'alloro», «assomigliava più ai negozi di fiori sul bancone principale di Covent Garden che a un luogo di culto».
Bene, aveva naturalmente il diritto, come qualunque altra persona, di dire quello che ne pensava; e non sarò certamente io a contestarglielo. E non dirò nulla neppure del suo resoconto sulla predica, che riguardava uno sei santi del mese di gennaio e sulla quale trova da ridire perchè non veniva mai nominato Gesù e non conteneva neppure una parola scritturale, non immaginando che subito dopo ci sarebbe stato un rito dove non solo noi ci inchiniamo davanti al Suo nome ma adoriamo la Presenza reale e sostanziale di Nostro Signore.

Non devo certo ricordare a voi, cari fratelli, che la benedizione col SS. Sacramento è uno dei riti più semplici della Chiesa.
I preti entrano e s'inginocchiano; uno di loro apre il Tabernacolo, prende il SS. Sacramento, lo mette in posizione verticale in un Ostensorio di metallo prezioso e lo colloca in alto sopra l'altare fra tante luci e candele, perchè tutti lo vedano. I fedeli danno inizio al canto; nel frattempo il prete incensa due volte il Re del Cielo, davanti al quale è inginocchiato.
Poi prende in mano l'Ostensorio e volgendosi verso i fedeli li benedice col Santissimo, facendo il segno della croce, mentre un accolito richiama l'attenzione di tutti suonando un campanello.
E' la solenne benedizione che Nostro Signore impartisce ai suoi fedeli come quando stendeva le manio sui bambini o quando benedisse i discepoli prima di salire al cielo dal Monte degli Ulivi.
[...]
Fra i riti della Chiesa è uno dei più belli, naturali e consolanti. Ma non per il nostro giovane biblista protestante al quale ora ritorno.

Questo biblista protestante, come egli ama definirsi, entra dunque nella cappella convinto naturalmente di sapere tutto di tutto. Egli è la misura di tutto, o almeno di tutto quello che è papista.
Il papismo lo conosce alla perfezione, nella sostanza, nello spirito, nell'orientamento, nei risultati; sa interpretarne tutti i particolari non appena gli si presentano davanti, in base alla sua conoscenza previa ossia -per usare un termine teologico- «infusa».
Sa bene, e lo sa fin da bambino, che il papismo è un sistema di impostura, anzi un'impostura così sfacciata che è un prodigio anzi un miracolo che qualcuno possa venirne catturato -un miracolo, s'intende, di satana: senza la suggestione del maligno, infatti, è impossibile che anche una sola anima possa credere a quello che il biblista protestante chiama «frode così manifesta».

Biblista qual è, conosce benissimo il versetto undici del capitolo due della Seconda Lettera ai Tessalonicesi: «Perciò, qunque, Dio manda a questa gente una forza di inganno in modo che essi credano alla menzogna» e lo applica alla scena che si svolge davanti ai suoi occhi.
Sa che l'unico compito del prete è quello di imbrogliare la gente, e sa che la gente è così incredibilmente rozza che non c'è trucco per assurdo e grossolano con la quale non la si possa raggirare. Se il prete innalzasse uno spaventapasseri loro scapperebbero via come stupidi volatili, scambiando lo spaventapasseri per un uomo; basta che metta mano alle sue palline o alle sue carte e ci giochi con destrezza, e loro lo scambiano per un dio. Anzi, lo sappiamo tutti, darà a credere che è un dio per davvero, che può fare quello che vuole, ed è peccato dubitarne.

E la cosa più straordinaria e incredibile di questo papismo è che benchè il Parlamento sia impegnatissimo ad approvare delle leggi che lo combattano, come se fosse il tifo o il colera, è sempre la anzi si espande. Ma si sa, satana è il padre della menzogna e tanto basta.
Con questo grande principio impresso nella mente entra nella cappella, ben sapendo che vi troverà qualche trucco perciò la scena che si svolge davanti ai suoi occhi non lo sorprende affatto.
Osserva con calma, mentre i cattolici si inchinano e cantano e il prete incensa, e intanto stende il suo rapporto che suona così.

Dopo la predica, ci dice (cito direttamente dal diario), «fece il suo ingresso un altro giovane prete con in mano una bacchetta lunga che aveva in cima uno spegnitoio e una candelina e cominciò ad accenderne delle altre».
«Un altro giovane prete»; ovviamente pensa che nasciamo tutti preti; i «preti» sono una sorta di razza, degli animali in riproduzione, come i buoi o le pecore, e ci sono i preti giovani e i preti vecchi, preti bianchi e preti neri, e forse preti uomini e preti donne.
E dunque fece il suo ingresso questo «altro prete giovane» con una bacchetta. «Con una bacchetta»: evidentemente pensa che questo accenditoio e spegnitoio abbia qualcosa di religioso; è la bacchetta magica del prestigiatore; capirete subito che ho ragione a dire così.

«Poi la scena presenta quattro preti che si avvicinano all'altare» (come già detto sono tutti preti), «quattro preti e in mezzo a loro Gordon».
Qui si sbaglia e mostra un'imperdonabile maleducazione nell'usare il nome di uno dei padri dell'Oratorio di Londra, il mio caro confratello e amico il rev.do Philip Gordon: infatti non si trattava di lui e comunque lui non era prete. Ometterei volentieri il nome se non fosse che esso rende il tutto più efficace.

«Uno di loro», prosegue, «prese da un armadietto sull'altare» cioè il Tabernacolo, «una stella d'oro» -è la raggera dell'Ostensorio, dove si ripone il SS. Sacramento- «e la avvitò in cima ad un candeliere» cioè la base dell'Ostensorio, «e lo colloco in cima all'altare, sotto una specie di alveare sostenuto da quattro colonnine», cioè sotto il baldacchino.

Lui la raggera la chiama stella perchè è un cerchio circondato da raggi e pare che in qualche modo la colleghi alla stagione dell'anno, l'Epifania, quando la stella apparve ai Re Magi.
«La stella», continua, «sfavilava come un diamante, perchè aveva nel mezzo una lampada circolare». Suppongo si riferisca al vetro che protegge il SS. Sacramento e che riflette la luce. Vedrete chiaramente nel proseguo del racconto che secondo lui i fedeli adoravano proprio questa stella con la lampada.

«La stella sfavillava come un diamante, perchè aveva nel mezzo una lampada circolare; quando venne collocata sotto l'alveare i quattro preti si misero a bruciare incenso e intanto facevano oscillare una specie di grossa lanterna» (il turibolo) «in direzione della stella e s'inchinavano a baciare la base dell'altare davanti alla stella».

Ora, cari fratelli, non biasimo questa persona perchè non conosce un rito cattolico, che d'altra parte non ha modo di conoscere, ma perchè pensa di conoscerlo quando non lo conosce affatto, e perchè entra nella cappella con l'idea quanto mai bizzarra che il papismo sia una ridicola pagliacciata che un protestante con un po' di sale in zucca capisce subito, e perchè non si sorprende che quattro preti, un giovane prete con una bacchetta e un'assemble di fedeli adorino una stella d'oro sfavillante come un diamante con una lampada al centro!
Questo è quello che voglio dire quando utilizzo il termine pregiudizio.

Forse vi sarà difficile ammettere che io lo abbia interpretato in modo corretto; dunque consentitemi di continuare:
«Nella scena succesiva uno di loro andò a tirare giù la stella e a deporla sull'altare; intanto un'altro mise attorno alle spalle di Gordon una specie di scialle bianco».
Vero, si riferisce al velo che viene messo attorno alle spalle del prete prima che si volti col SS. Sacramento in mano.
«A questo punto Gordon afferra la stella con un lembo dello scialle attorno al candeliere mentre gli altri due preti, uno da una parte e uno dall'altra, tengono steso lo scialle: proprio una bella esibizione di magia».


Quello che rende il tutto assai divertente per il cattolico e che i gesti del prete sono descritti con accuratezza. E' la descrizione di uno che tiene gli occhi aperti e li usa molto bene ma che, mentre procede, ricoppre quello che vede con i suoi commenti assurdi. Osservate, parla di «magia»; vediamo dunque dov'è la magia e che cosa succede della stella, della lampada, e del candeliere con intorno lo scialle.

«Allorchè sollevò la stella, voltando le spalle a tutte le candele accese, Gordon rivelò con chiarezza il trucco papista: dentro il candeliere c'era un campanello».
Qui per la prima volta viene meno gravemente quanto ai fatti.
Non poteva guardare in due direzioni diverse nello stesso tempo: sentiva il campanello, che l'accolito suonava da una parte, ma non lo vedeva. Dove poteva essere? Il suo genio prontissimo, il genio cioè di questo straordinario pregiudizio nei nostri confronti, gli disse subito dove si trovava. Con la loro tradizionale astuzia, i preti l'avevano nascosto dentro la base del candeliere.
Ascoltate:
«Allorchè sollevò la stella, voltando le spalle a tutte le candele accese, Gordon rivelò con chiarezza il trucco papista: dentro al candeliere c'era un campanello che suonò tre volte per conto suo, per ingannare ancora di più quei poveri ciechi; e la luce che trapassava lo scialle era di così tanti colori mentre padre Gordon si muoveva; il campanello che suonava non potevano vederlo perchè il candeliere era coperto da un lembo dello scialle magico, sotto il quale lo manovrava il dito di Gordon».
Questo dunque il resoconto del rito della benedizione.

La sua ignoranza di tutto quello che ci riguarda è così crassa, e così assoluta la fiducia in quello che sa, che non si perita di far stampare la seguente rubrica per la celebrazione del rito in questione:

Innanzitutto, un prete giovane innalza una stella dorata, simile a diamante, contenente una lampada e la colloca in cima ad un candeliere, poi accende cinquanta candele per mezzo di una bacchetta che ha alla sua estremità uno spegnitoio e una candela di cera; poi quattro preti si inchinano, bruciano incenso e fanno oscillare una lanterna davantri alla stella; poi uno dei preti, avendo cura di tener nascosto quello che fa, con un grande scialle che gli ricopre le mani insieme alla base del candeliere solleva detto candeliere con la lampada e la stella d'oro che sfavilla come un diamante, e in segreto comincia a far tintinnare col dito un campanello nascosto dentro la base; al che l'assemblea dei fedeli si stupisce e adora smodatamente stella, lampada e candeliere.

Termina con la seguente perorazione: «Questo è il potere dei preti, sono i migliori attori di questa città. Sarei felice che questo mio resoconto venisse pubblicato perchè lo porterei da padre Gordon per vedere se gli riesce di contraddire soltanto una parola».
Sarebbe più giusto dire che questo è il potere del pregiudizio, per buona sorte scritto e consegnato al mondo come modello di ciò che, non documentato, avviene nella mente di parecchie migliaia di persone.
Proprio la sicurezza con cui si appella all'accuratezza della sua testimonianza mostra come il pregiudizio riesca a creare e a colorare anche là dove i fatti sono innocui o perfettamente naturali. Esso è superiore ai fatti, e vive in un mondo tutto suo.

E nel nostro caso non serve obbiettare che, anche se avesse conosciuto il vero significato del rito lo avrebbe comunque, anzi ancor di più, liquidato come manifestazione di idolatria.
La questione non è che penserebbe lui dei nostri riti se li comprendesse appieno, dal momento che non credo che il suo giudizio abbia un qualche valore, o che noi non possiamo avere ragione quanto ce l'averrebbe un biblista.
La questione non è come potrebbe giudicare ma che cosa abbia effettivamente pensato e come sia giunto a pensare così.

Il suo pregiudizio ha interpretato le nostre azioni."

giovedì, agosto 21, 2008

Historia Ecclesiastica Anglorum, VII

Ovvero: da «La Montagna dalle Sette Balze»,
l'autobiografia spirituale di Thomas Merton.


"Studiavamo Cicerone e storia d'Europa, storia del secolo diciannovesimo, riversando su Pio Nono una certa misura di freddo disprezzo. Nei corsi d'inglese leggevamo La Tempesta, Il Racconto della Priora e Il Racconto del Penitenziere.
Buggy Jerwood il cappellano tentava di insegnarci la trigonometria. Con me non ebbe successo.
A volte tentava di insegnare anche un po' di religione, ma neppure qui aveva successo.
In ogni modo il suo insegnamento religioso consisteva in genere in osservazioni morali più o meno vaghe, in un'oscura mescolanza di buona educazione britannica e delle sue idee preferite in fatto di igiene personale. Tutti sapevano che la sua lezione sarebbe terminata con una dimostrazione pratica di qualche particolarità del canottaggio, egli si sarebbe seduto sulla cattedra per mostrarci come si maneggia un remo.
Non si faceva canottaggio a Oakham dato che non vi erano corsi d'acqua, ma ai suoi tempi, il cappellano era stato uno degli «azzurri» di Cambridge. Era un uomo alto, forte e di bell'aspetto, con i capelli appena un pò brizzolati sulle tempie, una larga mascella britannica e una vasta fronte liscia e frasi quali «Io sto per il gioco leale e per il vero spirito sportivo.»

Il suo sermone più noto era quello sul capo tredicesimo della Prima Lettera ai Corinti, che è in realtà un passo meraviglioso. Ma la sua esegesi era un po' strana, tipica però di lui e in un certo senso di tutta la sua Chiesa.
L'interpretazione di «Buggy» della parola «Carità» in questo brano (e anche in tutta la Bibbia) era che essa significasse semplicemente: «tutto ciò che s'intende quando si chiama qualcuno "gentleman"». In altre parole, la "carità" significava vero spirito sportivo, cricket, cose pulite, l'indossare abiti adatti, il non essere volgare nè maleducato.
Eccolo, ritto sul pulpito disadorno, levare il mento sopra quelle file di ragazzi in giacca nera e dire: «Si potrebbe rileggere questo capitolo di san Paolo e sostituire addirittura la parola "gentleman" ogni volta che si trova "carità".
Anche se parlassi con tutte le lingue degli uomini e degli angeli, se non sono un "gentleman", non sarei che un bronzo sonante e un tamburo squillante... Il "gentleman" è paziente e gentile;
il "gentleman" non invidia, non agisce con perversità, non è vano...
il "gentleman" non si smentisce mai... » E così via.
Non voglio ora accusarlo di terminare il capitolo con l'osservazione: «Rimangono ora la fede, la speranza e la "gentlemanliness", la "gentlemanliness" è la maggiore... »; sebbene questa fosse la conclusione logica del suo ragionamento.
I ragazzi ascoltavano con tolleranza simili teorie.
Ma credo che San Pietro e i dodici Apostoli sarebbero stati piuttosto sorpresi nell'apprendere che Cristo era stato flagellato e percosso dai soldati, insultato e incoronato di spine, sottoposto a indicibili umiliazioni e finalmente inchiodato alla Croce e lasciato là morire dissanguato perchè noi tutti potessimo diventare «gentleman».

sabato, agosto 16, 2008

LASCIA CH'IO PIANGA... [5]

Sive: MIRABILIA URBIS ROMAE


Apprendo con ritardo e pubblicamente esprimo la più sentita compartecipazione al cordoglio per l'irreparabile dipartita della storica gelateria romana di Piazza Cola di Rienzo.
Pertanto, faccio mie le doglianze ed i plorati così bene espressi nell'esequiale post estivo di quel veramente "Autorevole Guru informatico" che nel 2005 fu nominato (dal 'Sole 24 ore') quale "Camerlengo della Blogosfera" (ignoriamo se attualmente l'Illustrissimo -ac Reverendissimus- goda del medesimo titolo o nel frattempo sia stato fatto segno di qualche promozione, ut amoveatur):
IN MORTE DELLA GELATERIA PELLACCHIA

"La notizia è arrivata così, come un fulmine a ciel sereno. E me l'ha data una persona di origine polacca, anche lei frequentatrice di quella gelateria.

All'inizio, non volevo crederci.
Continuavo a dire a me stesso, "Non può essere, sicuramente si sbaglia". Forse ha capito male.
"No no, è tutto vero purtroppo. Hanno venduto a Damiani, il gioielliere. Ha chiuso", assicura.

La Gelateria Pellacchia a Via Cola di Rienzo. The best gelato. Dal 1900. Anzi, dal 1890, quand'era una latteria.

Nessun altro a Roma sapeva fare il gelato così: nemmeno S.Calisto, forse ecco giusto il cioccolato poteva rivaleggiare ma per il resto, nessun paragone; neppure Fassi ha mai avuto la stessa morbidezza e gusto, anche se ottimo; neanche Giolitti, sebbene ci si sia avvicinato molto, è mai riuscito ad uguagliarne la freschezza e la leggerezza.

Era un gelato da palato sopraffino, senz'altro, ma tutti riuscivano comunque a capire che era particolare. Bastava prendere la panna. Montata a mano, servita da un grande contenitore in acciaio, superbamente buona. O il pistacchio, divino. Qualsiasi gusto alla frutta corrispondeva ad un momento di felicità. Leggerezza e bontà in un connubio unico: chiunque era in grado di digerirlo, anche per questo era frequentato da persone di ogni età, dalla borghesia bene di Prati e da chi voleva assaporare QUELLO specifico impasto e non altri e si fermava proprio lì, mettendo regolarmente la macchina in doppia fila e rischiando multe e improperi per poter avere quell'attimo di beatitudine.

Quando qualche persona veniva da fuori ospite da noi, io avevo l'onore di portarla a via Cola di Rienzo. Ricordo ancora mia cugina, e tanti amici e parenti, e persone care [...]

I proprietari, senza figli, non hanno voluto continuare la tradizione, e non apriranno altre gelaterie.
Nessuno erediterà la ricetta, a quanto pare, e questa, tra le tante, è senz'altro la più triste delle notizie."

martedì, agosto 05, 2008

Rosa Mystica [2]


MARIA NEL FOLCLORE ARABO-PALESTINESE

(di EUGENIO PIO ZOLLI; "Da Eva a Maria", 1953)



Della flora purpurea palestinese fa parte l'elicriso sanguigno, di cui Virgilio si adornava per sfuggire alle male arti altrui. Questo fiore viene chiamato dagli arabi "Sangue di gazzella": nell'Oriente, come pure nel Cantico dei Cantici, la gazzella è legata alla simbologia dell'amore.

La correlazione tra le divinità e i fiori è quanto mai antica e diffusa. Ed è così che si spiega il rapporto tra tra la Vergine "el-Adra" (el àsdra, s dolce) e le rose.
La rosa richiama alla mente la "Rosa mystica".

Anche altri fiori, tra cui la Salvia trilobata, sono legati a Maria. Tale fiore viene detto, nelle province meridionali della Palestina, "Mirpmije". Tale pianta è dotata di qualità mediche.

A Gerusalemme si celebra il 15 del mese di 'Ab (Agosto) la festa del "transito della Nostra Signora Maria".
Ecco come si svolge la celebrazione.
Nella notte del dodici, alle ore tre, dopo un digiuno di 14 giorni, la Sacra Immagine viene trasportata al Convento di Maria alla Sua tomba nella valle del Cedron, dove rimane fino alle ore nove mattutine del 13.
Un catafalco con baldacchino viene posto tra la tomba e l'altare. Su di esso viene posta l'Immagine che si riflette in due placche di latta lucida poste ai fianchi di essa. I visitataori, uomini donne e bambini, baciano l'Immagine da una parte e poi, dopo esser passati curvi sotto di essa, rinnovano il loro omaggio dall'altra parte, vicino all'Immagine.

Il patriarca greco celebra il mattino del 14 il funerale.
Nel giorno precedente vengono erette delle tende per il patriarca, l'orchestra militare e per i visitatori. La calca di gente si muove alla luce dei lampionio accesi. I cibi che vengono consumati sono modesti e constano per lo più di sostanze vegetali.
La festa gaia viene celebrata il 15 del mese.
In tale giorno si usa presso gli Armeni di portare in chiesa uova e fichi per la benedizione, frutta che era matura già da una quindicina di giorni ma che viene ammessa alla tavola soltanto dalla festa in poi.
Il Dalman * trova un nesso tra l'antica festa ebraica del 15 di 'Ab con le danze nelle vigne, a cui si davano le vergini di Gerusalemme in quella occasione. Nelle vigne e nei giardini fruttiferi danzavano le vergini biancovestite cantando:
"Oh, giovane, alza gli occhi e guarda a quanto stati per scegliere! Non tenere conto della bellezza, guarda se la famiglia è buona! l'avvenenza inganna, un attimo dura la bellezza, una donna che teme Iddio è degna di lode! "
Si tratta quindi di una festa di vergini, di frutte fragranti, d'amore. Tutto ciò in unione alla Festa in onore di Maria.

Tornano alla mente le rime di Guittone d'Arezzo:
Ora vegna a la danza,
e con baldanza - danzi a tutte l'ore
che spera in voi, Amore
e di cui lo cor meo disia amanza.

Oh, quanto è dilettoso esto danzare
in voi laudare, - Beata Maria!