giovedì, novembre 26, 2009
Ecclesia Dei afflicta, IV
Sive: PRO MISSA BENE CANTATA
Piero Marini persevera nell'errore.
In data 25 novembre 2009 l'Osservatore Romano pubblica l'articolo (dal titolo quanto mai comicamente inappropriato) "La liturgia al tempo di Benedetto XVI" a firma dello stesso emerito curatore delle liturgie papali prima che il Benedetto sommo liturgo lo promuovesse a responsabile dell'organizzazione dei Congressi Eucaristici internazionali.
L'articolo altro non è che un veloce excursus incensatorio dell'opera plasmatrice di Monsignor Maestro sulle liturgie pontificie all'alba del pontificato ratzingeriano. Il testo, pubblicato dal foglio vaticano, denuncia d'essere un estratto dalla Lectio Magistralis pronunciata dall'emerito cerimonie pontificio in occasione nella sua propria incoronazione con le apollinee fronde, tributatagli dalla Facoltà Teologica della Università di Friburgo, quale solenne atto di riconoscimento e di riconoscenza "per il contributo decisivo dato all'attuazione della riforma liturgica del concilio Vaticano II nel corso del suo servizio di responsabile delle celebrazioni liturgiche papali".
Piero Marini persevera nell'errore, scientemente e contro ogni evidenza storico critica: ne aveva già dato testimonianza nel suo anglico libello "A challenging Reform" per i tipi della Liturgical Press pubblicato nel 2007 sostenendo che i padri conciliari approvando prima di ogni altro documento la costituzione liturgica "Sacrosantum Concilium" per la semplice ragione che da quei venerabili padri «la riforma liturgica non era intesa o applicata solo come riforma di alcuni riti» ma era «la base e l’ispirazione degli obiettivi per cui il Concilio era stato convocato»!
Lo ripete pertinacemente ricevendo la laurea honoris causa in teologia: «La riforma liturgica è il fondamento delle altre riforme. La riforma della Chiesa, l'ecumenismo, la missione, il dialogo con il mondo contemporaneo dipendono cioè dalla riforma liturgica. Si può dunque a ragione affermare che la Sacrosanctum concilium è stata la prima costituzione conciliare non solo in senso temporale ma anche come fons e matrice delle altre costituzioni e di tutte le riforme promosse dal concilio».
Quindi per il Monsignore, qualunque passo avanti nelle buone relazioni con ebrei, buddisti o scintoisti deve necessariamenre essere il frutto di una riforma liturgica, ed al contempo deve generare ulteriori riforme litugiche. Ecco quindi che il "Summorum Pontificum" sarebbe un "tornare indietro" un "volgere le spalle" non solo al dialogo ecumenico ma ad interessarsi delle problematiche planetarie quali la pace, la povertà e la fame dei popoli.
Or bene, siccome il prete che celebra in vernacolo rivolto verso il popolo, quale immagine di un cattolicesimo dialogante ed amico del mondo contemporaneo, continua imperterrito a ripetere gli stessi no (al divirzio, all'aborto, al sacerdozio alle donne etc) del prete preconciliare volgente le spalle al popolo: bisogna dedurne che una tale teoria sia inconciliabile con la realtà sia della lettera e sia dello spirito dei padri conciliari e tanto più dei padri post-conciliari.
Qualunque storia seppur sommaria del Concilio Vaticano II deve ammettere che non ci furono affatto motivazioni ideologiche che spinsero a trattare per primo l'argomento liturgico, quasi che sulla creazione di nuove norme liturgiche avrebbe dovuto poggiare tutta l'architettura dottrinaria a seguire. Lo schema sulla liturgia fu il primo ad essere trattato proprio perchè era quello che creava meno spaccature ideologiche: "Che, poi, questo testo sia stato il primo a essere esaminato dal Concilio non dipese per nulla da un accresciuto interesse per la questione liturgica da parte della maggioranza dei Padri, ma dal fatto che qui non si prevedevano grosse polemiche e che il tutto veniva in qualche modo considerato come oggetto di un’esercitazione, in cui si potevano apprendere e sperimentare i metodi di lavoro del Concilio." (Joseph Ratzinger "LA MIA VITA - Ricordi")
Insomma: come poteva l'episcopato essere contrario alle riforme liturgiche? Se ne ereno sempre fatte: l'appena concluso pontificato pacelliano era stato zeppo riforme liturgiche! E sotto il pontificato roncalliano il lavorìo dei liturgisti vaticani non era venuto certo meno: producendo prima la semplificazione delle rubriche del messale tridentino e poi la nuova edizione del medesimo messale.
Lo schema sulla liturgia fu pertanto l'unico redatto da una commissione preparatoria della Curia Romana a non subire la bocciatura dall'Assise Ecumenica: tutti erano daccordo sulla necessità che la Santa Sede proseguisse nell'opera già intrapresa della revisione dei libri liturgici.
I venerabili padri si accalorarono soltanto intorno al maggior o monore uso delle lingue volgari nei riti.
Nelle proprie memorie Joseph Ratzinger, "perito" al Concilio, porta lo stesso Papa della riforma liturgica post-conciliare a testimonio del fatto che (a differenza di ciò che vuol far credere Piero Marini!) nessun vescovo presente al Vaticano II era lucidamente convinto di essere giunto a Roma per approvare quella capitale riforma liturgica che avrebbe generato niente di meno che la palingenesi del Cattolicesimo stesso: "Per la maggioranza dei padri conciliari la riforma proposta dal movimento liturgico non costituiva una priorità, anzi per molti di loro essa non era nemmeno un tema da trattare. Per esempio, il cardinale Montini, che poi come Paolo VI sarebbe divenuto il vero papa del Concilio, presentando una sua sintesi tematica all’inizio dei lavori conciliari aveva detto con chiarezza di non riuscire a trovare qui alcun compito essenziale per il Concilio"!
Monsignor Marini Senior prosegue nella recita del suo mantra: "La riforma liturgica è il fondamento delle altre riforme". Persevera nel recitare la propria professione di fede in una riforma bugniniana teogona! Ecco la blasfemia per cui la rifoma liturgica post-conciliare avrebbe generato il Cattolicesimo stesso! Ma diradatisi, ormai, le cortine d'incenso dell'ideologia bugniniana (di cui monsignor Marini senior è l'epigono) appare, con raccapriccio, il parto della fantasia post-conciliare al potere: una vero e proprio mostro mitologico nutrito e carezzato per un quarantennio da tutta la compagine del mondo ecclesiale.
Ben tenuta al guinzaglio dal monsignor Piero, la fantastica chimera pretende ancora di scorrazzare da padrone nella vigna del Signore, colpevolmente incurante della presenza del Benedetto vignaiolo.
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1 commento:
Non deve stupire che per lungo tempo la questione liturgica non fosse così rilevante.
Di quel tipo di esperienza non era necessario parlare, almeno sino a quando il culto ed il rito sono stati la manifestazione spontanea e tradizionale della fede.
Finché culto e rito sono stati momento ovvio e scontato non necessitava sostenere quanto fossero teologicamente fondanti, tanto che la liturgia poteva essere definita al massimo un “locus theologicus” e certo non un “locus theologiae” o una “theologia prima”.
Per cominciare a parlarne deve essere intervenuta la consapevolezza, la percezione dolorosa di un deficit culturale e rituale che stava intervenendo: deficit che manifestava non l’ovvio scontato della tradizione, ma l’instaurazione di una irrilevanza.
Da ciò è nato il Movimento Liturgico, il cui punto più alto si è realizzato con la Mediator Dei e la Sacrosanctum Concilium.
Quando però si è passati all’opera non ci è resi conto subito che non solo quella spontanea, ingenua tradizionale ovvietà della dimensione religiosa, del culto e del rito si era eclissata, ma che era diventata sospetta, indice di in autenticità farisea, inutile e/o dannosa per il pensare teologico e per l’agire etico-politico.
La riforma liturgica è stata così gestita, nel centro e nella periferia, da soggetti in cui, volenti o nolenti, operava un pregiudizio antirituale, antisacrale, antisacramentale, antisacrificale (epigono dell’eresia antiliturgica denunciata dal Guéranger),.
Per questo pregiudizio poteva in realtà essere “fonte e culmine” solo una liturgia continuamente soggetta ad interventi di restrizione dell’ambito di significatività del religioso: in altri termini, una non-liturgia.
Emblematici di questa involuzione sono due interventi, pubblicati sull’ultimo numero della Rivista di Pastorale Liturgica (n. 6/2009), dove all’articolo del Falsini (risalente al 1981) fa da pendant quello odierno della Perroni: se le “premesse” sono le teorie desacralizzanti del Falsini, le “promesse” risultano dalle ipotesi di lavoro della Perroni.
In sostanza, si cade fatalmente dalla “secolarizzazione della liturgia” alla “liturgia della secolarizzazione”.
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