venerdì, dicembre 03, 2004

pacco contropacco e contropaccotto/2

In principio fu Paolo VI, anzi Atenagora.

Imposto sul trono patriarcale per espresso volere di Truman -convincendo il governo turco che fosse l’uomo giusto per contrastare la strategia del Soviet supremo di sfruttare a fini politici la volontà di egemonia del patriarcato di Mosca-, “Athenagoras il Grande” nel 1949 –dopo essere stato eletto nel ’48 (mi si perdoni l’espressione) in contumacia- sbarca, dal “number one” presidenziale, all’aeroporto di Istanbul, dopo un ventennio negli Stati Uniti.

Nato in un villaggetto sperduto sui monti a nord della Grecia, li dove si confondeva l’identità greca, albanese, macedone e bulgara, stando negli USA, non prese parte alla stagione dell’odio etnico che caratterizzo il crollo dell’impero turco, ma apprezzò moltissimo il pluralismo culturale americano che gli ricordava sorprendentemente, in versione democratica, l’impero ottomano della sua giovinezza.
La lezione americana – per cui si viveva a stretto contatto con cattolici e protestanti- faceva di Atenagora, uno dei pochissimi vescovi ortodossi che non avesse terrore di tutto ciò che fosse occidentale, soprattutto non aveva la paura degli eretici, tipica invece della -ancor oggi- perdurante mentalità“bizantina” di considerarsi perennemente sotto assedio.

Convinto, come poi Giovanni XXIII, che più che i dibattiti teologici, servissero gli incontri fraterni; pur in una situazione disastrosa per il patriarcato a causa della politica antigreca di Ankara; Atenagora intraprese negli anni ’50 una serie di incontri e dialoghi, sia con gli altri capi ortodossi; e quindi anche con quelle Chiese ortodosse non bizantine( armeni, copti, siriaci etc), che gli altri patriarchi greco-ortodossi consideravano Chiese ortodosse di serieB, se non addirittura mezze eretiche; sia con le altre confessioni cristiane, in primis con quella Anglicana.

Il patriarcato costantinopolitano entra quindi nel “Consiglio Mondiale delle Chiese”, seguito a ruota da tutte le altre Chiese ortodosse (che andavano alla ricerca di quella visibilità che il Comunismo negava a casa loro), dando cosi statura veramente ecumenica ad una istituzione che prima raccoglieva solo protestanti.
Atenagora cercò di organizzare un Concilio delle chiese ortodosse, progetto che, ripreso più volte dai due successori (Demetrio I e Bartolomeo I), non si riesce ancora a realizzare; cercò di convincere Pio XII ad organizzare un incontro di tutti i cristiani e per breve tempo si illuse che il concilio indetto da Giovanni XXIII fosse la risposta alla sua idea.

Era convinto che l’ecumenismo fosse, non un mezzo per ottenere visibilità al suo “Trono Ecumenico”, meschino pensarlo, ma, un grande progetto d’unione pancristiano che dovesse legittimamente stare a cuore a (leggi: essere “cavalcato da”) una antica autorità religiosa come il suo patriarcato costantinopolitano che a differenza delle altre Chiese ortodosse, non ha un carattere nazionale, etnico, ma ha una storia imperiale, in questa accezione va letto l’appellativo di “Patriarca Ecumenico”cioè sovranazionale, quindi di portata mondiale. Un titolo altisonante che stride con la realtà di vescovo di una striminzita diocesi turca, con non più di duemila fedeli, e senza alcun potere di coercizione sugli altri capi ortodossi.

Nell’Epifania del 1964 Paolo VI incontra Atenagora a Gerusalemme: dulcis in fundo anche il papa di Roma si era convertito alla politica degli abbracci. Quelle immagini che fecero il giro del mondo, resero Atenagora familiare a milioni di persone che ignoravano l’esistenza stessa di Costantinopoli e degli ortodossi. Fino al ’72 (anno della morte di Atenagora) il Trono Ecumenico godette di una esposizione mediatica, di una popolarità e di una autorità -mediatica- insperata. Grandi speranze e grande simpatie si nutriva verso quello che da noi occidentali veniva visto come una specie di papa degli ortodossi, mentre alla stregua del persecutorio governo turco, molti capi ortodossi con in testa l’arcivescovo di Atene e il patriarca di Mosca, non avrebbero versato molte lacrime per il definitivo tracollo della sede costantinopolitana.


Il 7 dicembre 1965, vigilia della definitiva chiusura del Concilio Vaticano II, Paolo VI nella basilica di san Pietro in Vaticano e Atenagora I nella cattedrale di san Giorgio al Fanàr, procedettero alla cancellazione delle scomuniche lanciate l’una contro l’altra chiesa a partire dal 1054.
Sembrava cadere un muro di incomprensioni vecchio di mille anni.
Quale pegno della sospirata unità Paolo VI aveva autonomamente deciso la “restituzione” del cranio dell’apostolo Andrea: evangelizzatore dell’Ellade e quindi presunto (e preteso) fondatore della comunità cristiana della città di Bisanzio (futura Costantinopoli) –sant’Andrea era fratello di san Pietro: importante ricordarlo ai fini della voluta simbologia- ; reliquia portata in occidente dalla famiglia imperiale bizantina in esilio, dopo la conquista ottomana del 1453, e donata a papa Pio II Piccolomini che diede asilo al santissimo cimelio in Vaticano, a pochi metri dalla tomba dell’altrettanto santo fratello.

Comunque è da notare che la reliquia non tornò da dove era venuta: cioè a Costantinopoli (che ritiene Sant’Andrea suo primo vescovo) ma (archeologicamente più correttamente) all’arcivescovo ortodosso di Patrasso:città del Peloponneso (quindi Grecia), luogo del martirio.
In Grecia la Chiesa ortodossa è “Autocefala” cioè indipendente da Costantinopoli e decisamente poco ecumenica: ciò evidenzia ancor di più la strategia diplomatica di papa Montini.

La sottolineatura del fraterno rapporto tra cattolicesimo e ortodossia fu rimarcato da altri due incontri -mediaticamente sensazionali come quello di Gerusalemme- tra i vescovi delle due capitali dell’impero romano: a Istanbul nel luglio ’67 e a Roma nell’ottobre dello stesso anno. Quest’ultimo culminò con l’ingresso solenne in S.Pietro dei due sommi gerarchi mano nella mano.

“L’incontro di Istanbul è tuttavia in un certo senso più significativo, soprattutto per mettere in evidenza l’ardimento ecumenico di Paolo VI, anche se di fatto, nonostante il colore con cui venne truccato, fu senz’altro il meno ecumenico dei tre. L’obbiettivo perseguito da papa Montini col suo inatteso viaggio in Turchia non fu infatti l’incontro col patriarca ortodosso, allo scopo di accelerare le trattative di riunione tra le due Chiese, bensì quello con gli uomini politici del Paese per perorare presso le autorità turche la salvezza del patriarcato costantinopolitano minacciato da esse in modo ultimativo. Ciò avrebbe dovuto essere evidente a degli osservatori meno superficiali, tanto più che il papa non fu affatto ospite del patriarcato del ‘piccolo Vaticano’ del Fanar, bensì del governo e che all’aeroporto non fu accolto da Atenagora, ma dalle autorità governative. D’altra parte è un fatto che il suo viaggio non era stato ipotizzato nemmeno da Atenagora, il quale non aveva chiesto a Paolo VI un intervento personale sul posto – anche perché non riteneva che il papa accettasse, per ragioni di prestigio, di muovere il primo passo verso di lui- ma semplicemente di effettuare dei passi diplomatici più pressanti ed incisivi di quelli fatti in passato. Fu merito di papa Montini di aver intuito l’eccezionalità dell’occasione che gli si porgeva di presentarsi agli ortodossi (quando ciò avrebbe potuto esser noto) come il salvatore del più famoso patriarcato e come colui che aveva preso per primo l’iniziativa dell’incontro recandosi a Costantinopoli, anziché pretendere prima la visita di Atenagora a Roma, dimostrando così alle Chiese separate quanto fosse infondato il pregiudizio che addebita al papa una rivendicazione sterilmente orgogliosa del proprio prestigio primaziale.”( Carlo Falconi 1968)

Indubbiamente il dialogo ecumenico cattolico ha notevolmente sollevato il ruolo del “Trono Ecumenico” ,visto che lo scisma fu uno scontro teologico e forse ancor più personale tra i vescovi della antica e della nuova Roma; per cui ogni sforzo della sede petrina per cercare una possibile unione con le Chiese ortodosse (ognuna indipendente e sovrana) deve obbligatoriamente avere come interlocutore il massimo rappresentante dell’ortodossia,ciò per il compiacimento dell’arcivescovo di Costantinopoli ma che provoca la stizzita reazione degli altri patriarchi che ci tengono a far presente di essere altrettanto pii, fedeli e ortodossi, e di essere a capo di Chiese nazionali che contano milioni di fedeli, rivendicando un peso geo-politico, oltre che teologico.

Così il gesto “profetico” (come direbbero quelli che parlano bene) di consegnare la testa di sant’Andrea agli ortodossi, fu la scusa per una serie di continue rivendicazioni di restituzionie di 'corpi santi', e che quindi fallì nello scopo di suscitare negli ortodossi la fiducia nei confronti dei papisti, come dimostrò nel 1969, l’increscioso fatto della distruzione del prezioso reliquiario del capo di sant’Andrea, da parte di un giovane monaco greco, allo scopo di costatarne il contenuto,convintosi che Paolo VI -come si suol dire- avesse fatto “il pacco”.

Il fatto che Atenagora “andasse arabescando devote fantasie, colorando sogni, vaticinando rosei futuri di unità, imponendo abbracci e baci di pace persino ai più scettici dei suoi intervistatori, e che poi non muovesse un sol passo, se non turistico, verso la meta del suo cuore, non prova nulla contro la sua sincerità. Era doppiamente prigioniero: del governo turco – che però sarebbe stato entusiasta di poterlo rimettere in libertà oltre confine – (ed era la prigionia più sopportabile) e dell’immobilismo dei suoi confratelli vescovi, del suo clero e dei suoi fedeli, mai così fieri come di essere se stessi e solo se stessi: << l’ortodossia >> (certamente più opprimente)." (C. Falconi1973)

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