lunedì, settembre 18, 2006

Novissima Verba /2

Ovvero: "Lettere dalla Turchia"


In Turchia, un libercolo di fantapolitica scritto dal giornalista turco Yücel Kayaha, pubblicato a fine agosto sta avento uno straordinario successo di vendite.
Il titolo del best-seller?
Attentato al papa. Chi ucciderà Benedetto XVI a Istanbul?”.

2 commenti:

Duque de Gandìa ha detto...

Consiglio la -prudente!- lettura di un - come sempre apocalittico-articolo "a caldo" scritto da Maurizio Blondet il 15/09/2006 subito dopo il discorso ratisbonense:"Il Papa e i suoi boia" http://www.effedieffe.com/interventizeta.php?id=1431¶metro=%20religione

"...Ho letto il suo discorso di Ratisbona ed ho scoperto, con sorpresa, che esso è una polemica dottissima contro i protestanti, non in primo luogo contro i musulmani.
E' una difesa altissima, e a cui ogni cattolico tradizionale non può che aderire, dell'«ellenismo» nel messaggio cristiano.
E' un discorso contro i tanti che, anche nella Chiesa (neo)cattolica - penso a Martini ad esempio - vogliono separare «Atene» da «Gerusalemme», con la scusa di recuperare il «semplice e integrale messaggio di Cristo», che sarebbe solo «ebreo», e la cui grecità sarebbe un'aggiunta culturale posteriore, e accidentale.



A costoro il Papa dice testualmente: «L'incontro tra il messaggio biblico e il pensiero greco non è un semplice caso».
«Il patrimonio greco è una parte integrante della fede cristiana».
C'è «una necessità intrinseca di avvicinamento tra la fede biblica e l'interrogarsi greco».
Dice anche: la pretesa luterana di «sola Scriptura» fu l'inizio della «dis-ellenizzazione», la ricerca «della forma primordiale della fede come è presente originariamente nella parola biblica».
Ma questa dis-ellenizzazione rende Dio un fatto irrazionale, inindagabile.
«Dio non diventa più divino per il fatto che lo spingiamo lontano da noi in un volontarismo in un volontarismo puro e impenetrabile».
La fede disellenizzata diventa fondamentalismo, rifiuto della cultura-incontro che «ha creato l'Europa e rimane il fondamento di ciò che si può chiamare Europa».
Ha detto che il cristianesimo non può inculturarsi in culture non-greche; che non è possibile fabbricare un cattolicesimo su basi indù o taoiste.
Per essere cattolici, si deve essere «greci».
Atene non è in contrasto con Gerusalemme, è ciò che rende ragionevole la nostra fede: anche ai cinesi, la possiamo spiegare (rendere ragione della fede) solo sulle basi greche.

La Bibbia greca «dei Settanta», dice il Papa, «è più di una semplice traduzione del testo ebraico»; è l'innesto storico della Rivelazione nella cultura greca, «del pensiero ellenistico fuso con la fede» che è «l'intima natura della fede cristiana», le nozze indissolubili tra «fede e ragione».
E qui il Papa avrebbe potuto dire di più.
Ricordare come l'ebraismo, dopo Cristo e a causa del successo cristiano, ha abbandonato la Bibbia greca ...
...Poteva ricordare che anche nell'ebraismo moderno è stato rifiutato esplicitamente l'ellenismo («alessandrino», di Filone l'Ebreo) per «la scuola abramica», il ritorno alle «origini» presunte di una fede irrazionale, cieca, volontaristica, non filtrata da una cultura ritenuta estranea...


Insomma, quello di Ratzinger è stato un discorso tutto interno al mondo cristiano, e cristiano d'occidente: luterano, cattolico e neo-cattolico giudaizzante.
E' a tutti costoro che il Papa ha citato la frase di Manuele Paelologo, imperatore bizantino, sull'Islam: per ricordare ai Martini e ai luterani e ai variegati giudaizzanti «cristiani» che la strada in cui si sono messi li porta all'integralismo islamico, al «sola fide», all'idea che Dio «non sarebbe legato neanche alla sua stessa parola»; e al suicidio della cultura europea.

Tutto bello e giusto.
Ma lo ha fatto - da impolitico tedesco all'ennesima potenza - senza alcuna sensibilità del contesto storico-politico in corso.
...

Ratzinger va a ripetere la frase di Manuele II, anno 1341: «Mostrami pure ciò che Maometto ha detto di nuovo e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede».
E nemmeno lo diceva ai musulmani: lo diceva ai «suoi» luterani tedeschi.
A loro, ai giudaizzanti, ha inteso le parole di Manuele Paleologo: «La fede è frutto dell'anima [cultura] e non del corpo [bibbia]. Chi quindi vuol condurre qualcuno alla fede ha bisogno della capacità di ragionare correttamente, non della violenza e della minaccia»… frase che avrebbe potuto rivolgere, esplicitamente, ai «cristiani rinati» americani che tifano per l'Armageddon, ed esultano dell'avvicinarsi dell'Apocalisse, convinti di assoggettare i musulmani con la pura violenza.

Tanta cultura.
E tanta cecità politica da non capire che i giornalisti, che del suo discorso complesso e coltissimo non capiranno nulla, avrebbero colto solo quella specifica frase, in funzione «guerra di civiltà».
E insensibile, ingenuamente, all'aspetto profondamente offensivo che quella frase risuona per i musulmani.

Anzitutto, offensivo che un non-islamico citi il Corano (il loro Verbo, il loro Logos, Dio sotto forma di parola) mettendone in rilievo le contraddizioni, e relativizzandole storicisticamente....

Post scriptum: Mentre scrivevo questo articolo, un amico mi segnala la seguente notizia apparsa su Il Giornale.
Come si vede, lo scenario è già stato preparato, ben prima degli «insulti all'Islam».
«Un best seller turco mette in scena l'omicidio di Ratzinger», di Marta Ottavini.
«Il Papa che viene assassinato durante la sua visita a Istanbul. Un giornalista che si trasforma in omicida. Un intrigo internazionale che comprende Opus Dei, P2 e servizi segreti turchi. Sono gli ingredienti del romanzo Papa? 'ya suikast' (Attentato al Papa, ndr)».
Sottotitolo: «Chi ucciderà Benedetto XVI ad Istanbul?».
Il libro, di Yücel Kaya, semisconosciuto autore di gialli, è uscito in Turchia da appena 10 giorni e sta già scalando la classifica dei titoli più venduti su internet.
In poco più di trecento pagine lo scrittore racconta le manovre e gli intrighi che si celano dietro l'assassinio del Pontefice durante la sua prima visita pastorale in Turchia.
Una trama inquietante, se si pensa che, nella vita reale, l'evento avverrà fra poco più di due mesi, dal 28 novembre al primo dicembre prossimi.
E che nel Paese della Mezzaluna, negli ultimi sei mesi, sono stati aggrediti tre preti, primo fra tutti don Andrea Santoro, ucciso per mano di un giovane fanatico lo scorso 5 febbraio a Trebisonda. Qualcuno, dopo aver letto il romanzo di Kaya, potrebbe mettersi strane idee in testa.
Al centro della trama c'è il giornalista Oriano Ciroella, legato all' Opus Dei, che si trasformerà nel killer di Benedetto XVI.
Alle sue spalle un oscuro cardinale, membro dell'Opus Dei e della P2, che vuole uccidere il Pontefice per prendere il suo posto.
Dall'altra parte, invece, opera il MIT, il servizio segreto turco, storicamente legato agli ambienti della destra islamica, che vede nella visita del Papa in Turchia una pericolosa opportunità per l'unione delle chiese cattolica ed ortodossa.
Prudente la reazione della Chiesa cattolica in Turchia.
«Dobbiamo collocare questo episodio per quello che rappresenta - ha detto il Nunzio Apostolico Antonio Lucibello -. Si tratta di finzione letteraria e come tale dobbiamo prenderla. Ci manteniamo prudenti e fiduciosi. Il governo turco si sta adoperando perché la visita del Papa venga organizzata nei minimi particolari».

Maurizio Blondet

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Duque de Gandìa ha detto...

Manuele II il Paleologo, il bizantino filoccidentale
SILVIA RONCHEY CI GUIDA NELLE TRAPPOLE DELLA TEOLOGIA E ALLA SCOPERTA DELL’IMPERATORE CITATO DA BENEDETTO
Manuele II Paleologo fu un grande riorganizzatore dell’impero. Fu
un laico e un realpolitiker. Lanciò una politica filoccidentale perché venisse organizzata la crociata antiturca che poi fallì tragicamente a Varna nel 1444, col tradimento degli alleati. I sei figli che ebbe dalla serba Elena Dragas furono tutti personaggi di spicco.
Il primogenito, Giovanni VIII, per il quale abdicò ritirandosi a vita monastica, fu il promotore del Concilio di Firenze che nel 1439 in funzione antiturca sancì l’Unione delle chiese, latina e d’oriente, tant’è che nella “Flagellazione” di
Piero della Francesca (rimasto a lungo un enigma prima che la Ronchey lo risolvesse in un magnifico studio, Rizzoli 2006) figura seduto sul trono, mentre
il fratello Tommaso è il biondo principe che si staglia sullo sfondo. “Da un punto di vista filologico, però, le cose sono più complicate”, spiega Silvia Ronchey.

“Quello citato da Benedetto XVI è solo il settimo di ventisei dialoghi, pubblicati in versione integrale dal tedesco Trapp nel 1966, mentre il Papa cita l’edizione parziale del francese Khoury, “Entretiens avec un musulman”.
Ora è certo che i dialoghi siano realmente avvenuti nel 1391 in Ankara, “città che una volta era ricca e non lo è più, e non lo è nemmeno di empietà” come si legge nel testo.

L’interlocutore del basileus era il direttore di una madrassa, tal Mouterizes, equivalente all’arabo Mutarrif, un vecchio che “non si compiaceva della discordia” e viene definito “eugnomon” cioè non solo saggio, ma di retta opinione come i suoi due figli “dotati di senno e saggezza” che assistono all’incontro.
I due discutono su un piano di parità, tant’è che il musulmano sostiene persino che vorrebbe capire il culto cristiano, “ma non si trovano maestri in grado di spiegargli.”
L’imperatore invece sembra meno sensibile all’idillio.
“E’ vero che espone una confutazione abbastanza secca e forte dell’islam. Eppure, gli studiosi a questo proposito danno per certo che Manuele II non abbia fatto ricorso alla tradizione teologica greca, alla dottrina bizantina, ma abbia al contrario citato testualmente la traduzione greca, offertagli in dono da Demetrio Cidone, di un trattato latino, il ‘Contra legem Sarracenorum’ scritto alla fine del XIII secolo dal domenicano fiorentino Ricoldo da Montecroce”.

Sta dicendo dunque che il colto imperatore di Bisanzio del XIV secolo, citato da Papa Benedetto XVI agli inizi del XXI , in realtà non faceva che tradurre il trattato di un domenicano fiorentino contemporaneo di Dante?

“Filologicamente, lo ripeto, non c’è nulla di strano. Manuele II, e gli studiosi ne sono convinti, sfrutta questo testo. Ma non lo cita in modo esplicito per non essere tacciato di latinofronismo”.

In altri termini, da imperatore d’oriente non vuole venir accusato di essere papista?

“Sì. Diciamo che sono tesi che provengono da ambienti domenicani e che Manuele II le fa sue, ma sul piano teologico non rientrano nella tradizione bizantina”.

Vuol dire forse che sono tesi più estreme rispetto a quelle dei teologi bizantini?

“Guardi la teologia è una giungla boscosa, impenetrabile e piena di trabocchetti.
Bisogna muoversi con circospezione e riconoscere le fonti. La dottrina dei teologi bizantini sull’islam è inaugurata da Giovanni Damasceno, che fu un grande padre della chiesa nato nel Califfato dopo la Conquista avvenuta alla fine del VII secolo, che visse e operò nel monastero di San Saba, in pieno territorio islamico, e in un regime di piena tolleranza per i cristiani.
E se uno proprio volesse insistere sulla filologia, dovrebbe chiedersi come mai un sommo esperto di patristica qual è Benedetto XVI non abbia citato un teologo come Damasceno, e abbia invece preferito riproporre le parole di una grande mente politica del XV secolo.

Manuele II Paleologo fu l’espressione di una minoranza che seppe superare i rancori ancora vivi contro la latinità, emersi nel 1204, quando furono i Crociati a dichiarare la guerra santa, mettendo Costantinopoli a ferro e fuoco, e spingendo il clero e la popolazione bizantina dalla parte dei turchi.
A fronte di tutto questo, e in un’epoca di completo sincretismo, dove il neoplatonico Giorgio Gemisto Pletone poteva passare per il Secondo Maometto, Manuele II volle scommettere su Roma.
Divenne l’eroe del filoccidentalismo e l’ultimo genio politico di una civiltà martirizzata dall’islam”.

Articolo di Marina Valensise
Il Foglio; mercoledì 13 settembre 2006