domenica, agosto 19, 2007

Tristitia Christi /3

Ovvero: Voi dunque pregate così: "Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome; venga il tuo regno; sia fatta la tua volontà anche in terra come è fatta in cielo." (Mt, VI, 9-10)



I due Rabbini Capo di Israele, Yona Metzger e Shlomo Amar, a capo delle comunità ashkenazita e sefardita hanno scritto (a fine luglio?) una lettera a quattro mani indirizzata a Benedetto XVI per chiedergli di togliere dalle preghiere del Venerdì Santo dell messale tridentino (rimesso in onoro dal Motu Proprio "Summorum Pontificum") ogni riferimento alla conversione degli ebrei.

Il problema non è quindi -come ingenuamente pareva essere- la mera questione della presenza o meno dell'irritante espressione "perfidis judeis" nel Rito del Venerdì Santo ma la stessa esistenza di una preghiera che chieda a Dio- per Cristo nostro Signore, Amen- la conversione dei "fratelli ebrei" pur se nella versione emendata dal "Papa Buono" edita nel Messale del 1962.

A questo punto la prima domanda da porsi è come mai i leader ebraici quando Papa Giovanni XXIII tolse dalla preghiera "PRO CONVERSIONE JUDAEORUM" l'appellativo "perfidis" giubilarono soddisfatti senza pretendere ulteriori modifiche ai rituali cattolici?
Forse che quei rabbini ritenevano di non avere alcuna autorità e alcun diritto di intromettersi troppo nelle dottrine di una religione altra dalla propria, proprio come il Pontefice Romano non ha alcuna competenza per dire la propria sulle liturgie sinagogali?

Mezzo secolo dopo, forse proprio quale frutto del maggior (e miglior) dialogo tra ebrei e cristiani ecco che invece pare proprio che i leader ebrei ritengano di aver il pieno diritto di dire, e di dare il proprio parere favorevole o dissenziente sui riti e le pratiche devote precipue della Religione cattolica romana.
Riaffermo che questo parmi un progresso dovuto, nonostante i continui allarmismi di parte ebraica sui possibili rigurgiti di antisemitismo cattolico, alla maggior familiarità ed anzi ad un vero e proprio dialogo-teologico sulla ebraicità di Gesù. Anche se bisogna ammettere che il dialogo piace ai più quando è sinonimo di "mettersi d'accordo per non pestarsi i piedi a vicenda", poichè poi accade che a qualche cattolico non piace sentirsi dire che i concetti rivoluzionari predicati da Gesù non erano affatto farina del suo sacco ma erano secoli che i rabbini andavano predicando quelle cose. Così come a qualche ebreo non piace sentirsi dire che tante manifestazioni considerate tipiche del cristianesimo (quali ad esempio il "battesimo" o il "monachesimo") hanno origini genuinamente giudaiche e che l'ebraismo d'oggi è solo una porzione del variegato giudaismo precedente alla distruzione romana del Tempio di Gerusalemme (70 d.C).

Il "Vaticano" incute meno timori reverenziali e il papa è ormai un "personaggio televisivo"; non è più immaginato come un satrapo persiano che vive continuamente assiso su un alto trono e che è meglio imparare a temere, ma è ormai il simpatico vecchietto vestito di bianco che va in giro per il mondo per predicare "peace and love" per tutti. E la volta che si arrischiasse a dire in pubblico ciò che dovrebbe essere lapalissiano, cioè che, dal suo particolare quanto legittimo punto di vista, il prodotto che lui e la sua "ditta" sponsorizza è migliore di quello degli altri, ecco che quelli dell'altra "parrocchia" si offendono! C'è chi minaccia di non parlarti più e ti tiene il broncio per molto tempo; c'è chi si straccia le vesti, e purtroppo ci sono pure "quelli" che per vendetta bruciano le chiese e ti uccide il primo missionario cattolico che gli capiti nei paraggi.

Soffermiamoci ora su quelli che si stracciano le vesti:
“Preghiamo anche per gli Ebrei, affinché il Signore Dio nostro tolga il velo dai loro cuori, in modo che essi pure con noi riconoscano Gesù Cristo Nostro Signore.

Preghiamo: O Dio onnipotente ed eterno, che non rigetti dalla tua misericordia neppure gli Ebrei, esaudisci le suppliche che ti rivolgiamo per questo popolo accecato, affinché riconosciuto che Cristo è la luce della tua verità, esca così dalle tenebre”.



Non si può non comprendere che si può rimanere addirittura "feriti" nello scoprire che in quanto membro di una particolare religione sei considerato un "cieco" che vive nelle "tenebre" da chi professa una credo differente. Però si tratta di una cecità "spirituale" non di una "ottusità" intellettuale!
"La fede è un dono" - si continua a sentir dire da chi la fede non ce l'ha- che ti permette di "vedere" cose che chi non crede non riesce a vedere: i cristiani riescono a "vedere" in Gesù di Nazaret il Figlio di Dio e gli ebrei no. I cristiani vedono nell'Antico Testamento tantissime profezie che si sono pienamente avverate nella persona e nella biografia di Gesù, gli ebrei no.
La professione di fede è una cosa il dialogo un'altra, a meno che non si intenda per "dialogo tra le religioni" una specie di "bon ton" per la conversazione tra estranei che autorizzi a dire tante piccole innocue bugie al fine di complimentare gli intervenuti e così di risultare persone "cortesi" e "civili".
Ma il dialogo teologico è altra cosa: nessun timore di dire ciò in cui si crede, pur sapendo che ciò non è condiviso dall'esponente dell'altra religione (perchè se fossimo d'accordo saremmo membri della stessa religione).
Se ebrei e cattolici stessimo prendendo il thè delle cinque gli ebrei avrebbero tutto il diritto di indignarsi ( "Mi passi lo zucchero per favore?" "Dov'è la zuccheriera? Non la vedo!" "Che sei cieco? Stà lì, non la vedi?" "No, veramente no" " Aò! Ma stai cecato forte! Li mortacci tua e de tu nonno'n cariola!"); ma quì non stiamo parlando di offese gratuite ma stiamo parlando di una richiesta fatta a Dio l'Altissimo -e non quindi ai non cristiani!- affinché i non cristiani riescano a vedere ciò che per il cristiano è evidente: Gesù è il "Cristo" (cioè il Messia).

Ma andando oltre la metafora luce-tenebra (letterariamente efficace e che ha indubbiamente quali ispiratori molti passi neotestamentari) non si può rimanere meravigliati nel constatare che parrebbe quasi che ci sono fior di dotti rabbini che leggendo la preghiera del messale tridentino "per la conversione degli ebrei" sono venuti per la prima volta a conoscenza di quella "piccola" diatriba esistente da duemila anni circa, tra i seguaci di un certo Joshùa detto il Nazareno, un Rabbi della Galilea crocefisso dai romani, i cui discepoli hanno riconosciuto in lui il Messia profetizzato mentre invece la stragrande maggioranza degli ebrei non vi hanno creduto.

Non fingo di ignorare che per gli ebrei che si sono pronunciati sulla questione il problema non è se Gesù sia o non sia "Il Figlio di Dio" ma che la Chiesa Cattolica inviti i suoi fedeli a pregare affinché gli ebrei credano nella divinità di Gesù.
Forse che gli ebrei in questione hanno paura che Domine Iddio possa esaudire le preghiere dei cattolici?
Perché tante degnissime voci dell'ebraismo non manifestano la propria pubblica costernazione (se non indignazione almeno costernazione si!) per le strambe dottrine diffuse dai telepredicatori protestanti americani per i quali il fine del sostegno allo Stato di Israele è quello di provocare la fine del mondo e la conseguente seconda venuta di Gesù Cristo?

Sono tornato perciò a leggermi le dichiarazioni apparse sulla stampa nazionale subito dopo la liberalizzazione della messa di San Pio V (e pertanto della "liberalizzazione" anche della preghiera "pro conversione judeorum".

Maestosa nella sua sfacciata ovvietà la dichiarazione "a caldo" del Segretario della Congregazione della Dottrina della fede mons. Angelo Amato di fronte ai malumori di parte ebraica:
«Lo stesso Gesù nel Vangelo di san Marco afferma: "Convertitevi e credete al Vangelo", e i suoi primi interlocutori erano i suoi confratelli ebrei»

Illuminante nella sua mancanza di lucidità le dichiarazioni (L'Unità; 10/7/07) di Tullia Zevi :
«Sperare nella conversione è legittimo ed è nella natura del cattolicesimo. Ciò che non è accettabile è operare per la conversione. O si converte o si dialoga. Per questo sono preoccupata per il ripristino deciso da Benedetto XVI della preghiera per gli ebrei “da convertire”».

Bontà loro, si riconosce al Cattolicesimo il diritto di "sperare" nella conversione ma non di "operare" per raggiunge tale scopo. Ora, il fatto è che -a me pare, poi se sbaglio "mi corrigerete"- che il "pregare" appartenga più alla categoria dello "sperare" che dell'"operare".
A meno che non si confondano le preghiere che la Chiesa cattolica impone di recitare ai propri fedeli con le "prediche coatte" cui gli ebrei erano obbligati a d ascoltare ai tempi del "Papa Re". Non ci troviamo, pertanto, di fronte ad un reale problema che influirà in qualche modo nella vita concreta degli ebrei quanto invece ci si trova a dover constatare l'emergere di atavici timori.
Forse che quei cattolico del XXI secolo una volta usciti da una chiesa dopo aver assistito ai riti del Venerdì Santo celebrati in latino, possano precipitarsi ai citofoni delle case degli ebrei, sulla falsariga dei Testimoni di Geova, per invitarli alla conversione o peggio, per minacciarli di morete accusandoli di deicidio?

Ci vorrebbe una sfrenata fantasia per immaginarsi una simile prospettiva ma proprio questo spettacolo desolante emerge dalla lettura delle dichiarazioni di sconforto (Il Corriere della Sera, 10/07/2007) del rabbino Giuseppe Laras:
«Ci ho creduto e ci credo ancora, al dialogo. Ci mancherebbe. Però questo è un colpo forte, si torna indietro. Molto indietro. Il motu proprio del Papa, la piena cittadinanza al Messale con la preghiera per la "conversione" dei giudei suona assai pericolosa. Anche se è facoltativa, può alimentare e incoraggiare l’antisemitismo: se li si vuole fare uscire dall’" accecamento", come dice il testo, significa che gli ebrei sono fuori dalla luce. E da lì alla storia dei deicidi il passo è breve».
[...] «è un passo indietro rispetto a Paolo VI, che aveva cancellato quei passi, e un passo indietro nel dialogo, c’è poco da fare», sospira il rabbino. Il pericolo è duplice: «Da una parte i cristiani potrebbero sentirsi incoraggiati a covare sentimenti antisemiti. Dall’altra si favoriscono coloro che hanno sempre remato contro il dialogo sia fra i cattolici sia fra gli ebrei. Un dialogo che era già abbastanza delicato e fragile ». Laras, per parte sua, ne sa qualcosa: «Come fra i cristiani, anche nell’ambito dell’ebraismo ci sono componenti che non hanno mai creduto al confronto. Quelli che dicono: Da qui alla storia dei deicidi il passo è breve. Così si torna molto indietro è solo un artificio dei cattolici per attirare gli ebrei e convertirli. E ora arriva questo documento! Tanti sforzi, tanti anni a convincere le due parti ad avvicinarsi e adesso non si può più fare niente...».


Quindi col metro di valutazione attuale Giovanni XXIII sarebbe stato definito "Il Papa Buono, sì ma non abbastanza".

Però dal "rabbino capo di Israele" in giù tutte le personalità ebraiche hanno disapprovato la reintroduzione dell'orazione pre-conciliare additandola come un passo indietro rispetto alle aperture di Giovanni XXIII e del "suo" Concilio, ricordato al Papa Benedetto i contenuti della dichiarazione "Nostra Aetate" del Concilio Vaticano II. E la cosa avrebbe del ridicolo e del comico se non avesse invece molto di naiffe il voler insegnare al "teologo" Ratzinger cosa sia conforme alla dottrina cattolica e cosa invece non lo sia.

C'è di fondo un qui pro quo generalizzato che appunto. come dice Tullia Zevi: se i cattolici vogliono dialogare con gli ebrei non possono al contempo cercare di convertirli altrimenti, come lamentato da rav. Laras, il dialogo sarebbe una proselitismo mascherato (ignoravo però la denunciata "paura" degli ebrei di venir convertiti surrettiziamente).
L'errore dell'analisi della Zevi, ed affini, sta nel fatto che la sincera volontà di dialogo e di una mutua comprensione, fosse anche "dialogo teologico" si pone su di un piano diverso rispetto al dovere cristiano di testimoniare ciò in cui si crede. E se si crede che Gesù sia il Messia preannunziato dalle Sacre Scritture e se si desideri che tutti -nessuno escluso- abbraccino la medesima professione di fede, ciò non vuol dire che si sarà meno fedeli agli insegnamenti del Concilio Vaticano II che chiede ai cattolici di avere verso gli ebrei "mutua conoscenza e stima, che si ottengono soprattutto con gli studi biblici e teologici e con un fraterno dialogo".

Mi chiedo sempre se coloro che citano la Nostra Aetate l'abbiano mai veramente letta. E se sì, se abbiano capito che mentre il Cattolicesimo condanna solennemente la tradizionale accusa di "deicidio" (dato che la colpa per la crocifissione di Cristo "non può essere imputato né indistintamente a tutti gli Ebrei allora viventi, né agli Ebrei del nostro tempo"); mentre la Chiesa "deplora gli odi, le persecuzioni e tutte le manifestazioni dell'antisemitismo dirette contro gli Ebrei in ogni tempo e da chiunque"; e mentre si proclama che l'Antica Alleanza Tra Dio ed Israele non è stata revocata poichè "secondo l'Apostolo, gli Ebrei, in grazia dei padri, rimangono ancora carissimi a Dio, i cui doni e la cui vocazione sono senza pentimento", pur tuttavia la Chiesa Cattolica non ha fatto nessun passo indietro rispetto alle sue bimillenarie posizioni teologiche poichè:
"Come attesta la sacra Scrittura, Gerusalemme non ha conosciuto il tempo in cui è stata visitata";
la Chiesa attende il giorno, che solo Dio conosce, in cui tutti i popoli acclameranno il Signore con una sola voce e « lo serviranno sotto uno stesso giogo » (Sof 3,9)";
"la Chiesa è il nuovo popolo di Dio";
"Essa confessa che tutti i fedeli di Cristo, figli di Abramo secondo la fede, sono inclusi nella vocazione di questo patriarca e che la salvezza ecclesiale è misteriosamente prefigurata nell'esodo del popolo eletto dalla terra di schiavitù. Per questo non può dimenticare che ha ricevuto la rivelazione dell'Antico Testamento per mezzo di quel popolo con cui Dio, nella sua ineffabile misericordia, si è degnato di stringere l'Antica Alleanza, e che essa stessa si nutre dalla radice dell'ulivo buono su cui sono stati innestati i rami dell'ulivo selvatico che sono i gentili. La Chiesa crede, infatti, che Cristo, nostra pace, ha riconciliato gli Ebrei e i gentili per mezzo della sua croce e dei due ha fatto una sola cosa in se stesso. Inoltre la Chiesa ha sempre davanti agli occhi le parole dell'apostolo Paolo riguardo agli uomini della sua razza: « ai quali appartiene l'adozione a figli e la gloria e i patti di alleanza e la legge e il culto e le promesse, ai quali appartengono i Padri e dai quali è nato Cristo secondo la carne» (Rm 9,4-5), figlio di Maria vergine."

Tutte proposizioni contenute nel paragrafo della "Nostra Aetate" dedicato all'Ebraismo, e tutte proposizioni inaccettabili per l'Ebraismo partendo dall'ultima elencata: la verginità di Maria.

Non si può certo dare agli ebrei "la croce addosso" per il fatto che legittimamente tentino di ostacolare qualunque cosa possa loro apparire foriero di antisemitismo. C'è invece da prendersela con i grandi alfieri ecclesiali ed ecclesiastici del "dialogo" e dell'"ecumenismo" i quali con le loro dichiarazioni allarmistiche sul "ritorno" della messa "pre-conciliare" hanno fatto credere a chi cattolico non è che realmente ci fosse al vertice del Cattolicesimo il pericolo di un golpe restauratore e reazionario.
Queste grandi eminentissime voci "progressiste" del cattolicesimo mondiale, invece di cercare di smorzare i toni e di spiegare da par loro -con la loro somma autorevolezza- che anche dopo il Concilio Vaticano II per i cattolici pregare per le conversioni dei non cattolici non è "reato", e che così facendo non si tradisce nè "lo spirito" nè men che meno "la lettera" degli insegnamenti conciliari!
Invece tutti lì a dire che il messale di San Pio V non è immutabile e che l'orazione potrà essere modificata o bellamente sostituita dalla nuova orazione che si trova nel "Novus Ordo Missae".
Preghiera tanto lodata dagli esponenti ebraici proprio perchè non chiederebbe a Dio di convertire gli ebrei al cattolicesimo:
"Preghiamo per gli Ebrei: il Signore Dio nostro, che un tempo parlo ai loro padri, li aiuti a progredire sempre nell'amore del suo nome e nella fedeltà alla sua alleanza".


Io non sono profeta nè figlio di profeta ma prevedo che verrà il giono in cui Giuseppe Laras con tutto il suo consiglio rabbinico, e Tullia Zevi con tutti i presidenti delle comunità ebraiche, oltre che il latino impareranno a leggere anchè l'italiano, ed allora prenderanno in mano il nuovo messale approvato da Paolo VI e scopriranno che ciò che essi hanno lodata non è la vera e propria preghiera "per gli ebrei" ma è solo l'invito alla preghiera fatto dal "lettore" cui dopo un acconcio momento di silenzio così risponde il sacerdote cattolico "post-concilare" :
"Dio onnipotente ed eterno, che hai fatto le tue promesse ad Abramo e alla sua discendenza, ascolta benigno la preghiera della tua Chiesa, perché quello che un tempo fu il tuo popolo eletto possa giungere alla pienezza della redenzione. Per Cristo nostro Signore."

E' stupefacento come in sole due righe ci sia materiale a sufficienza affinchè i Gran Rabbini d'Israele chiedano al Pontefice di "mettere all'Indice" anche la messa di Paolo VI.

1 commento:

L'agliuto ha detto...

Colendissimo duca, salve
(che magari è metatesi per [your] slave).
Grazie per avermi fatto conoscere Claudio Chieffo.
Ho postillato questo vostro post, perché mi ha fatto pensare molto. Se avete tempo e voglia, trovate dette postille qui.
Ciao ("schiavottiello vuosto", in Vinegia). Ipo