Alcuni (pochi ma autorevoli) miei affezionati interlocutori (memori di un -a quanto capisco- memorabile post osannante il di lei à plomb), privatamente mi hanno maliziosamente sollecitato a commentare “
quel gesto” scurrile della
onorevole Daniela Santanchè che tanto ha fatto scalpore. Forse un peccato veniale se quell’eloquente gesticolazione fosse stata espressa dalla mano dell’uomo qualunque, si è detto, ma ignominioso per un rappresentante del popolo italiano e vieppiù infangante della sacralità del laticlavio parlamentare.
Penso che sia vero totalmente il contrario.

Trovo che il gesto sia banalmente volgare se agito dal comune cittadino ma, nella concreta occasione immortalata dai mas media, Daniela Santanchè nell’ostendere il dito medio verso i manifestanti che la insultavano all’uscita di Montecitorio, abbia, con quel gesto, simbolicamente manifestato in sommo grado la difesa della sacralità della carica parlamentare vilipesa dai giovani manifestati!

A questa conclusione, che di primo acchito parrebbe assai bislacca, son giunto grazie all’enfatica notizia che lady Camilla Parker Bowls ormai Duchessa di Cornovaglia e consorte legittima del futuro re d’Inghilterra, ha indossato per la prima volta un diadema reale, prestatole dalla suocera Elisabetta II. Così incoronata, con la preziosa tiara esibita per la prima volta dalla regina Mary a Delhi per l’incoronazione di Giorgio V ad imperatore delle Indie, Lady Camilla ha presenziato, al fianco del re Harald di Norvegia, al suo primo pranzo ufficiale a Buckingham Palace offerto dalla regina Elisabetta in onore dei monarchi scandinavi.
Or bene,l’esercizio del potere politico nell’età Contemporanea ha imparato a fare a meno di un simbolismo del potere che avesse troppo il sapore del sacro e dell’atavico per assumere una veste più pragnaticamente borghese.
Non solo i regimi repubblicani ma le stesse monarchie dell’Occidente (compreso il Papato che democratico non è) hanno assunto una veste alto borghese. Da quando nel 1978 i papi non vengono più incoronati con la tiara ornata dalle triplici corone solo il monarca britannico sale al trono rivestito di tutti i simboli del potere (questo è il fondamentale motivo per cui se la consorte dell’erede al trono inglese indossa o meno un diadema regale si tratta di notizia di rilievo).
Certo: non solo il copricapo è simbolo di potere, ma anche il globo, la spada e lo scettro sono simboli di un Ancien Regim, più arcaico di quanto si possa immaginare, che a fatica si è potuto mandare in pensione. Ne è prova l’iconografia imperiale napoleonica che, nonostante debba esaltare “il buon governo” dei Lumi, idealmente in contrasto col dispotismo “medievale” dell’Ancien Regim, ha avuto comunque necessità del
"fasto" per cui è stata sommata sia la simbologia dell’Impero romano sia di quello carolingio e medievale.
La Santanchè, orba di corone e di scettri ha rettamente palesato il suo potere istituzionale con un gesto che antropologicamente ha la medesima consistenza simbolica dello scettro!
Il dito medio indirizzato contro qualcuno con volontà prevaricatoria, proprio in quanto simbolo fallico è una variazione dell’archetipo primordiale del potere. Tutto ciò che si erge per virtù propria indica è simboleggia il senso di "elevazione". Anche la corona regale pur essendo essenzialmente un anello è soggetta allo stesso paradigma simbolico. Corona infatti ha la stessa origine semantica di “corno”; di “Kronos” (il romano Saturno, dio che presiede al settimo cielo, che regnò nell’età dell’oro, la più “elevata” che con “Tempo” si è irrimediabilmente degrada); (sempre in greco) “keraunos” significa “fulmine”: attributo simbolico scagliato da Zeus, dio del cielo; in arabo e in ebraico corno si declina rispettivamente con i termini: qarn e kâran. Nell’antico Egitto le corna erano gli attributi di Ammone, così come il cobra (e non ci vuole Donatella Rettore!) per il suo “potere” di sollevarsi verso l’alto era distintivo aristocratico che troneggiava sui copricapi (a punta!) dei faraoni. Per i persiani i copricapo a punta detti “mitra" erano simboli di divinità quindi utilizzati dai re e dai sacerdoti cosi come nell’immaginario, a punta sono i cappelli di maghi e streghe. Addirittura “bicornis” sono le mitre dei vescovi proprio a simboleggiare una pienezza di poteri, così come a forma di corno era il copricapo (il “camauro”)del Doge veneziano.
Anche presso i popoli dove la corona ha una forma circolare viene decorato da terminazioni appuntite che svettano verso l’esterno ad imitazione dei raggi solari, indicando per analogia la potenza (creatrice/distruttrice) del sovrano.
Anche nella simbologia biblica il corno è simbolo del potere (il drago con dieci corna descritto al capitolo 12 dell’Apocalisse sta a simboleggiare un potentissimo potere avverso).
“Cairn” è il termine con cui i popoli celtici chiamavano i sacri cumuli di pietre eretti in onore delle divinità celesti, così come lo stessa simbologia è alla base del culto degli alberi sacri: le querce che reggono la volta celeste per i Sassoni, così come il mitologico albero dalle mele d’oro nel giardino delle Esperidi o il biblico albero della Vita del giardino dell’Eden, difeso dai Cherubini. Immagini di quel cardine attorno a cui gira il mondo che è lo stessa simbologia racchiusa nello scettro.
Lo scettro in fondo non è altro che un bastone, in cui si riverberano tutte le significanze dell’albero.

Il bastone ha il potere di sostenere, sovvenire ad una mancanza di forza, può essere quindi una stampella nella debolezza ma può essere anche un’arma: il bastone, guidato dalla mano, ha il potere di moltiplicare la forza muscolare del braccio, e di colpire con una potenza che da sola la mano non potrebbe avere. Segno della duplice natura del potere: condurre e costringere, guidare e punire.
Simbologia che investe il pastorale episcopale allo stesso modo del manganello del poliziotto. Qualunque sia la forma e la dimensione, dal corto bastone tinto di rosso che nella Grecia classica impugnavano i maestri che insegnavano l’Iliade, alle mazze delle majorettes, dalle bacchette magiche alle bacchette dei direttori d’orchestra, tutta la simbologia, l’etnologia, l’antropologia, l’iconologia, proclama la profondità di significati e la legittimità simbolica del volgare gesto della Santanchè contro quei giovinastri facinorosi, che si sono azzardati a dare della “puttana” ad una rappresentante del Popolo italiano, solo perché non appartenente alla propria parte politica.
Daniela Santanchè ha in tal guisa, mirabilmente e perentoriamente illustrato la dignità di deputato della Repubblica, e di questo dovremmo esserle tutti un po’ grati. Le và riconosciuto di aver reagito con una comprensione della propria dignità non dissimile dalla nobiltà d’animo con cui i re di Francia impugnavano, nei secoli antichi,
“la mano di Giustizia”!