sabato, novembre 19, 2005

La buona Ventura (dell'Isola dei famosi)



L’ISOLA DEI REDUCI
Maurizio Ferrini e Lory Del Santo ovvero Quelli della Notte e Drive In, però vent’anni dopo

È ufficiale: siamo invecchiati.
Tutti si sentano offesi nessuno si senta escluso.
Siamo vecchi, superati, relitti dei totalitarismi televisivi, nostalgici di un intrattenimento illusorio, reperti di un decennio mai veramente conclusasi – gli anni Ottanta.
Siamo invecchiati mercoledì, tra le undici e mezzanotte, quando l’inutile fatina è stata eliminata e la vittoria dell’Isola dei famosi edizione 2005 se la sono giocata Drive In e Quelli della Notte, ovvero i due programmi più rimpianti e più sopravvalutati della storia della televisione.
Siamo invecchiati quando la realtà ci ha messi di fronte all’evidenza delle nostre illusioni, a quanto fosse velleitario il nostro fare la morale a quel magma postmoderno che è il contemporaneo, ai reality show che producono personaggi televisivi che altra collocazione non hanno se non finire in altri reality show, alla televisione che cannibalizza la televisione.
Siamo invecchiati quando sono entrati Andy Luotto e Max Catalano e Silvia Annacchiaro, quando ci siamo dovuti arrendere e ammettere che sì: chiunque faccia la morale alla televisione nell’era dei reality ha evidentemente rimesso dalla propria coscienza le quantità di scorie tossiche prodotte dagli esperimenti di Arbore.
È accaduto quando sono rimasti in due, Lory Del Santo e Maurizio Ferrini, e Simona Ventura, in modalità “parole in libertà”, ha domandato retorica: “Chi sarà Zeus e chi sarà Ade?”. E a voler fare della sociologia spicciola si potrebbe dire che è molto umbertecchiana, nel parlare di cose che non conosce e nel farlo in un italiano comprensibile solo a lei e ad Alfonso Signorini, ma, lasciando da parte la sociologia, c’è solo da dire che la Ventura è perfetta, profondamente inserita nel suo tempo, sta alla televisione come Baricco alla letteratura e Muccino al cinema, e una macchina da guerra che non teme gap culturali né incertezze stilistiche, e funziona molto ma molto di più di quanto abbia funzionato Renzo Arbore, che gli aforismi a vanvera li lasciava dire alle macchiette di scena, e lui era sempre un gradino sopra, un po’ meglio; migliore almeno quanto lo era e lo è Ricci, che è talmente superiore che in scena ci manda gli altri, i fenomeni da baraccone, lui fa “l’autore”, una contraddizione in termini televisivi se mai ve n’è stata una (può televisivamente esistere ciò che non va in scena? Inadatti a fornire risposta, lasciamo il campo ad Antonella Boralevi, che dopo la fine del’Isola ha detto da Vespa “Ho fatto un discorso di semiologia” ed è quindi qualificata per il compito).

Ventura non è un po’ meglio di chi ospita, chi arringa, chi premia e chi punisce: è un po’ peggio, è lo è con tale fierezza che neppure infierisce sulle velleità di gloria della tv d’autore che fu, anzi col Ferrini di Quelli della Notte e con la Del Santo di Drive In è quasi affettuosa, così come lo si è con i bambini della portinaia a Natale.

Oggi non arriverebbero alla terza puntata

Il fatto che Drive In e Quelli della Notte, i programmi che hanno allietato le giovinezze dell’attuale classe dirigente italiana, quelli che li fecero sentire trasgressivi e innovatori e ganzi, oggi non arriverebbero alla terza puntata. E non perché la creatività televisiva è stata strozzata dal giogo dell’Auditel, come quelli che ritengono il pubblico un incomodo che impedisce al mezzo televisivo di trasmettere solo concerti da camera e documentari sulla riproduzione sulle libellule. Al contrario: perché la tv è migliorata. Moltissimo. In una maniera che ha fatto invecchiare i varietà comici degli anni Ottanta in un modo subitaneo e devastante.
Provate a riguardare le registrazione, e ve ne accorgerete: Studio Uno è molto ma molto più contemporaneo del programma in cui esordì Piersilvio o di quello che regalò all’Italia (che ancora ringrazia) Marisa Laurito.
Chi li rimpiange, Drive In e Quelli della Notte, rimpiange i vent’anni o poco più che aveva quando andavano in onda.

Chi li rimpiange non li ha rivisti in anni recenti. Altrimenti si accorgerebbe della voragine che c’è tra il Ferrini dell’Isola, quello che discetta senza rete di Maya e Babilonesi e “quando tu vuoi corrompere l’uomo gli dici che il tempo è denaro, ma il tempo è arte”, e il tristanzuolo venditore di pedalò che improvvisava per la gioia degli arboriani. A voler essere intellettualmente onesti, non si può non riconoscere che “Io non ho avuto fidanzati, ho avuto quasi solo mariti”, battuta estemporanea di Lory Del Santo, è nettamente superiore a tutte quelle che le scriveva Antonio Ricci, avendo individuato il di lei core business –l’oca giuliva- ma non sapendolo far risaltare come sa farlo solo un programma che non sarà reale, ma che è vivo, contemporaneamente: non modernariato già mentre va in onda.

(Il Foglio venerdì 18 novembre 2005)

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