mercoledì, gennaio 16, 2008

L'allodola di Frisinga /8

Sive: "Initium Sapientiae Timor Domini"


"Il pericolo del mondo occidentale — per parlare solo di questo — è oggi che l'uomo, proprio in considerazione della grandezza del suo sapere e potere, si arrenda davanti alla questione della verità. E ciò significa allo stesso tempo che la ragione, alla fine, si piega davanti alla pressione degli interessi e all'attrattiva dell'utilità, costretta a riconoscerla come criterio ultimo.

Detto dal punto di vista della struttura dell'università: esiste il pericolo che la filosofia, non sentendosi più capace del suo vero compito, si degradi in positivismo; che la teologia col suo messaggio rivolto alla ragione, venga confinata nella sfera privata di un gruppo più o meno grande. Se però la ragione — sollecita della sua presunta purezza — diventa sorda al grande messaggio che le viene dalla fede cristiana e dalla sua sapienza, inaridisce come un albero le cui radici non raggiungono più le acque che gli danno vita. Perde il coraggio per la verità e così non diventa più grande, ma più piccola. Applicato alla nostra cultura europea ciò significa: se essa vuole solo autocostruirsi in base al cerchio delle proprie argomentazioni e a ciò che al momento la convince e — preoccupata della sua laicità — si distacca dalle radici delle quali vive, allora non diventa più ragionevole e più pura, ma si scompone e si frantuma.
Con ciò ritorno al punto di partenza.
Che cosa ha da fare o da dire il Papa nell'università?

Sicuramente non deve cercare di imporre ad altri in modo autoritario la fede, che può essere solo donata in libertà.

Al di là del suo ministero di Pastore nella Chiesa e in base alla natura intrinseca di questo ministero pastorale è suo compito mantenere desta la sensibilità per la verità; invitare sempre di nuovo la ragione a mettersi alla ricerca del vero, del bene, di Dio e, su questo cammino, sollecitarla a scorgere le utili luci sorte lungo la storia della fede cristiana e a percepire così Gesù Cristo come la Luce che illumina la storia ed aiuta a trovare la via verso il futuro."

3 commenti:

Duque de Gandìa ha detto...

"Roma Il professor Andrea Riccardi, docente di storia all'Università di Roma Tre e fondatore della Comunità di Sant'Egidio, è amareggiato e osserva:

«Il mio Vescovo non può percorrere le strade di Roma, la sua città, la sua diocesi. È una cosa drammatica che deve fare riflettere noi cattolici e anche la politica».

...

Perché parla di precedente gravissimo?

«L'università e il Paese non sono più in grado di garantire il libero dibattito culturale. Può accadere che anche la mia lezione di domani venga bloccata e impedita solo perché qualche studente e qualche professore non la pensano come me. Inoltre è una limitazione all'attività pastorale del Papa e del Vescovo di Roma. Può accadere per qualsiasi altro vescovo. Una cosa del genere non era mai accaduta nemmeno negli anni duri della contestazione».

Teme per altre visite del Papa?

«Eccome. Si innescherà pericolosamente un processo, per cui gruppi di sbandati individueranno nelle visite del Papa un motivo per trovare unità nella contestazione. Il Papa non potrà andare nelle parrocchie della sua città o in altre città d'Italia, perché qualcuno lo contesta».

Fatto più grave delle contestazioni dopo Ratisbona?

«Certamente. Allora vi furono delle minacce a livello fisico e intellettuale. Ma, per esempio, il governo turco garantì la sicurezza per la visita in Turchia. Questa è una vergogna internazionale per l'Italia».

Ma quando è stato fatto l'invito al Papa nessuno poteva prevedere le contestazioni?

«Questa è una bella domanda che ci deve far riflettere. Le autorità accademiche sono così lontane dal mondo studentesco da non saper prevedere cosa bolliva in pentola? Non avevano, inoltre, avuto sentore almeno di critiche fra alcuni docenti?».

Quando Giovanni Paolo II venne a Roma Tre voi avevate fatto un'indagine su cosa ne pensavano gli studenti?

«Certo. Io ho partecipato alle discussioni e avevamo la certezza che gli studenti e i professori lo avrebbero bene accolto. Infatti, la visita non fu nemmeno blindata. Oggi le istituzioni accademiche sono così lontane dalla società da non percepire neppure qualche sintomo di rischio? Come vede, ho più domande che risposte».

Questa vicenda è peggiore per l'immagine dell'Italia di quella dei rifiuti di Napoli?

«Sì. I rifiuti si smaltiscono. Ci saranno delle difficoltà, ma alla fine una soluzione si trova. Questa vicenda, più dei rifiuti, indica la parabola del declino di questo Paese. Sarà molto difficile rimediare».

Ma alla fine è stato il Papa a decidere e la sua decisione assomiglia ad uno schiaffo all'Italia.

«Non si può scaricare tutta la decisione sul Papa.
Anzi, dico di più: è stato molto grave mettere il Papa da solo nella condizione di decidere. L'Italia aveva il dovere di garantire la visita.
La responsabilità non può essere solo del Papa, perché il Pontefice non ha in mano l'ordine pubblico. Se la situazione si prevedeva così grave, perché è stato fatto l'invito? Ma se la situazione non era grave, allora perché è stata creata ad arte come grave? Sono domande a cui devono rispondere il governo, le autorità accademiche, i professori.
Dal 1929, cioè in regime concordatario, e poi nell'Italia repubblicana non è mai accaduto niente di simile. Probabilmente qualche visita del Papa non è stata fatta per motivi prudenziali, ma non è mai stata cancellata una visita già annunciata.
Anche Paolo VI ebbe una volta contestazioni annunciate prima di una visita in parrocchia. La polizia isolò i contestatori e la visita si fece. Ed erano tempi duri di guerriglia urbana a Roma. Oggi è bene che, se si tratta di turbamenti occasionali, essi vengano isolati. Anche perché io voglio che il mio Vescovo, parlo da cittadino di Roma, possa scendere liberamente nelle nostre strade e andare anche all'università».

© Copyright L'Eco di Bergamo, 16 gennaio 2008


e l'Osservatore Romano malizioso riporta:

"No comment", è stata invece la reazione dall'Ecuador del presidente della Camera Fausto Bertinotti che a Quito riceverà una laurea honoris causa dalla università pontificia della capitale sudamericana.

Duque de Gandìa ha detto...

Degna di somma lode la "Questione di numeri" dell'assai e vero sapiente Alberico!

http://chiesadomestica.splinder.com/post/15551817

67 docenti, poco meno di 200 esaltati e tutti che si sorprendono per l’inconsistenza dello sparuto drappello che ha impedito al Papa di tenere la sua lezione all’Università. Ma le cose non stanno così. Questi sono quelli che ci hanno messo per così dire la faccia, che si sono esposti; dietro, intorno, nei paraggi c’è un gran numero di persone che ha dato il suo consenso in tutta omertà, soprattutto nella classe docente.
Passando sotto silenzio, tralasciando alcuni passaggi fondamentali, nicchiando, moraleggiando, sentenziando, adeguandosi alla pubblica opinione, al ben pensare e poi tornandose tranquillo e beato a casa, “tanto dai casini mi sono tirato fuori, giusto in tempo”.

Persone che si fanno forti quando sono tra di loro e parlano e sparlano ma che quando scocca l’ora di un confronto inventano mille scuse. Che guardano ai loro figli/studenti con condiscendenza e superiorità mentre questi si affannano a ricalcare le loro orme per sentirsi bene accetti e amati. “Di lotta e contestazione” questo il programma offerto ai giovani rampolli della nostra prestigiosa università, un modo per farsi le ossa, per essere temprati alle più dure battaglie che attendono nel corso degli anni. Un modello che può essere riproposto ed utilizzato ad ogni stagione, perché può sempre tornare utile; “se ci serve facciamo un po’ di casino e alla fine qualcuno dovrà ascoltarci”. In fin dei conti è bello tornare un po’ bambini. Battere i pugni e puntare i piedi.
Il tutto però sotto l’occhio vigile degli adulti/professori che parlano ancora di rivoluzione ed usano la carica esplosiva dei loro figli/studenti per mantenere lo status quo, per conservare il loro potere, con la promessa che un giorno quel posto che loro occupano sarà lasciato in eredità a loro e ai loro amici e non ad altri. Perché di quegli altri ce ne saremo già sbarazzati strada facendo, con le buone o con le cattive.

L’università degli studi di Roma La Sapienza è questo. E forse non è troppo diversa da altre università italiane. Un luogo in cui la cultura ristagna, la ricerca è affidata al coraggio eroico di pochi, il mondo del lavoro è tenuto fuori la porta e si inseguono chimere e altre vanità, il tutto nella convinzione di stare sempre dalla parte del progresso, di chi lotta per la giustizia, di chi è all’avanguardia, controcorrente, acculturato e formato alla vera scienza.
“Quindi udii il numero di quelli che erano stati segnati” e non erano 67 e nemmeno 200 ma molti molti di più. Infinite schiere ahimé!

Alberico

Duque de Gandìa ha detto...

«Joseph Ratzinger? Il più laico dei docenti»
© Copyright Avvenire, 18 gennaio 2008
Walter Brandmüller, presidente del Pontificio comitato scienze storiche «In Germania ben cinque atenei lo hanno chiamato in cattedra»
intervista di Gianni Cardinale:

« Come professore ordinario emerito della Università statale di Augsburg e come conterraneo del Santo Padre sono rimasto particolarmente meravigliato e stupefatto dell’incredibile e inedito trattamento riservato a Benedetto XVI da parte di una componente piccola ma particolarmente rumorosa della pur prestigiosa Università La Sapienza»...

Monsignor Walter Brandmüller, bavarese, presidente del pontificio Comitato di Scienze storiche, ancora non sa darsi pienamente ragione del fatto che al vescovo di Roma sia stato in pratica proibito di recarsi in visita alla principale Università dell’Urbe, che, ironia della storia, fu fondata da un suo predecessore, papa Bonifacio VIII.

Monsignore, cosa l’ha colpita di più di questa vicenda?

Anzitutto mi ha colpito il rifiuto di dialogo da parte di alcuni colleghi professori con un pontefice che per buona parte della sua vita è stato a sua volta professore universitario. Bisogna ricordare poi che durante la sua carriera accademica Joseph Ratzinger ha ottenuto cinque cattedre in cinque diversi atenei statali: Frisinga, Munster, Bonn, Tubinga e Ratisbona.

Diversamente dal sistema italiano in Germania sono le Facoltà e le Università stesse a proporre i professori, e questo vuol dire che ci sono stati cinque atenei a volere il professor Ratzinger come proprio docente. Non so quanti tra i 67 firmatari dell’appello contro la venuta del Papa alla Sapienza potrebbero vantare altrettante richieste. Così come non so quanti di questi firmatari possono vantare le onoreficenze e le membership accademiche internazionali del Papa.

Cioè?

Joseph Ratzinger è stato membro dell’Accademia delle scienze della Renania-Vestfalia, dell’Academie des Sciences Religieuse di Bruxelles, dell’Academie des Sciences morales et politiques de l’Institut de France a Parigi, nonché commendatore della Legion d’Onore di Francia. Tutte istituzioni laiche, più laiche dei firmatari dell’appello.

Qualcuno per le vicende della Sapienza ha parlato di una riedizione in scala del 1968?

Ricordo bene quel periodo, era il mio primo anno di insegnamento a Monaco: ci furono manifestazioni di intolleranza e di violento rifiuto del dialogo. È noto che ne fu vittima lo stesso professor Ratzinger, allora a Tubinga. Forse al Santo Padre in questi giorni sono tornate in mente le situazioni vissute quarant’anni fa e che, credo, non avrebbe più voluto rivivere.

Cosa pensa della citazione ratzingeriana di Paul Karl Feyerabend sul caso Galileo usata nella lettera dei 67?

Mi limiterei a constatare la loro apparente ignoranza delle pubblicazioni scientifiche sul caso Galilei degli ultimi venti anni che non permettono più di usarlo come caso esemplare di un presunto oscurantismo della Chiesa cattolica nei confronti della scienza. Feyerabend è stato uno dei più grandi filosofi della scienza dell’ultimo secolo ed era certamente un laico. Perché mai quindi il cardinal Ratzinger non avrebbe dovuto citarlo?

Quali insegnamenti si possono trarre da questa vicenda?

Speriamo che in futuro si possa tornare ad un dialogo aperto, senza preconcetti ideologici di sapore vetero-risorgimentale di cui credo l’Italia, Paese che amo al pari della mia patria, non abbia davvero bisogno. E raccomanderei anche alle autorità della Sapienza, che pure ha una grande tradizione, di essere un po’ più accorti nei rapporti con la Chiesa cattolica.
Già in passato infatti non era mancata una gaffe.

Quale?

Quando venne concessa la laurea honoris causa a Giovanni Paolo II il relativo diploma conteneva non pochi errori nel testo in lingua latina. All’epoca la cosa suscitò una certa meraviglia. Ma in fondo si trattò di un peccato veniale.
Nessuno avrebbe potuto immaginare quello che purtroppo è successo in questi giorni.