Ovvero: Dell' arguta esposizione, ad opera di Stefano Di Michele sul Foglio di sabato 27 giugno 2009, intorno alle concordanze semiserie tra le vite del "Re Sole" e di Silvio Berlusconi (nell'era di Patrizia D'Addario).
"Bisogna diffidare di se stessi, sorvegliare le proprie inclinazioni e stare sempre in guardia contro la propria natura"
(Memorie di Luigi XIV)
"Quando si assume un ruolo come questo la vita cambia. I cattolici la chiamano Grazia dello Status..."
(Silvio Berlusconi, primavera 1994)
" Dell’inizio.
Si comincia così: c’era (una volta) un re. Poi si continua così: e c’è (ancora) un presidente del Consiglio. Uno era francese, l’altro è italiano; quello si chiamava Luigi, questo Silvio. Il primo fu noto (e una certa notorietà, diciamo, ha ancora) come il Re Sole; il secondo più democraticamente ondeggia tra Presidente Operaio e Presidente Imprenditore – e a tacer del resto. Ma un primo indizio – traccia labile, impronta leggera, criptico enigma: sorta di “Codice da Arcore” – che riconduce il rutilante Silvio all’abbagliante Luigi del XVII secolo è possibile rintracciarlo nell’antica raccomandazione che il Cavaliere usava indirizzare ai seguaci: “Bisogna sentirsi con il sole in tasca!”. [...]
L'intreccio tra l'uomo che protesse Moliere e quello che valorizzò Apicella corre di secolo in secolo: passione per passione, atto per atto, fobia per fobia.
La grandeur come un laurà de la Madona.
Dell'inizio, avec Dieu.
Alla nascita avvenuta nello stesso mese di settembre, pur se in anni diversi, s'intende: il 5 per il francese, il 29 per l'italiano - il piccolo Luigi fu subito appellato Dieudonnè o Deodatus: insomma, Dio c'è l'ha dato. "Si disse anche - scrive Antonia Frazer ne "Gli amori del Re Sole" (Mondadori)- che il sole era eccezionalmente vicino alla terra, come per salutare il futuro sovrano", praticamente alla portata della tasca del futuro Presidente del Consiglio.
Nel momento in cui vide la luce il piccolo Silvio, nessuno ebbe pubblicamente una tale opportuna prontezza di riflessi, ma in seguito il richiamo all'Unto del Signore ha perlomeno, prima di qualunque finale di partita, riallineato nella volontà celeste i due destini. Fatto sta che Luigi mai venne in mente di farsi chiamare, neanche per scherzo (e mica aveva manifesti da fare stampare ad ogni elezione) Re Operaio o Re Villano. Fu Deodatus e Sole, e basta. La funzione di Unto quindi si applica meglio alla società moderna.
Della nobiltà della caduta (dei capelli).
"Il Re, quindi, a venticinque anni portava i capelli lunghi, sparsi sulle spalle e sulla schiena, com qualche ciocca a tirabaci sulla fronte: ed è in questo modo che Le Brun l'ha dipinto, come un re galante, che il Bernini l'ha scolpito, come un eroe, e sempre in questo modo che Nocret o Werner l'hanno rappresentato, come l'Apollo: perché un Dio può anche essere nudo, ma non avere i capelli corti. Così nel quadro Luigi XIV scopre il petto ma non il cranio. Orbene, il Re fu colpito, poco dopo che Le Brun l'ebbe dipinto, da una calvizie precoce. Suo nonno Enrico si sarebbe adattato. Il suo avo Francesco avrebbe potuto inaugurare per due o tre secoli un'Europa rasata. Luigi scelse la parrucca. Che l'avrebbe avuta vinta su tutte le capigliature." Questo è possibile leggere nel bel libro di Philippe Beaussant "Anche il Re Sole sorge al mattino" (Fazi).
E ciò letto, è possibile intendere quale fraternità, quantomeno tricologia, possa ancora a distanza di secoli legare Sovrano e Cavaliere nella dura tenzone contro l'avanzata delle calvizie.
non avendo Sua Maestà a disposizione copertine di Panorama, doveva necessariamente ricorrere alla bravura dei mastri parrucchieri di corte, e del resto Berlusconi non può certo entrare a Palazzo Chigi con in testa un trionfo di boccoli e cipria. Dunque una comune pena che attraversa i secoli e travalica le Alpi. La guerra ai capelli (intesa come all'assenza degli stessi) unisce simbolicamente il Donato e l'Unto: ove Luigi innalzò la parrucca, Silvio impiantò nuovo pelo; dove uno si protesse con la regalità, l'altro scelse la bandana. La sommità della testa appare il punto più vulnerabile, e insieme il più considerato, dai due uomini di Stato.
Se le Chevalier ha avuto modo di lodare il pettinino a maglie fitte, che meglio valorizza la deprecabile penuria, le Roi fece infinitamente meglio. "La parrucca si vede, deve vedersi. Cessa di essere un ripiego, un riempitivo, diviene un ornamento. Si afferma come parrucca e non si dissimula più come capelli finti. Poiché Luigi XIV era il Re Sole avrebbe fatto della parrucca il segno della sua grandezza e il suo lascito al mondo(...) Di un trucco, Luigi faceva una verità, e ogni uomo degno di questo nome avrebbe portato ormai sulla testa un giardino all'italiana, invece di un semplice orto" (Beaussant "Anche il Re Sole sorge al mattino").
Così dovrebbe funzionare un maggioritario ben fatto. Nell'indeterminatezza attuale, Silvio invece non riuscirebbe ad imporre un tirabaci nemmeno al ministro Ronchi: identica volontà tricologica, condizioni politiche troppo diverse.
Della danza, della musica e di altre sciocchezze
Protettori entrambi delle arti - da quella di La Fontaine a quella delle Veline, dal canto alla danza - tanto Luigi quanto Silvio hanno dato prova di eccellenza, pur nelle mutate situazioni. Le gazzette reali del XVII secolo sapevano certamente apprezzare e raffigurare gli sforzi reali. Ecco il resoconto di un ballo del sovrano: "Senza pari eleganza! Gloriosissima andatura! Quale mai del ciel creatura si vedrà a sua somiglianza?"
Per Silvio, nelle vesti di appassionata vocazione di stornellatore apicelliano,le cronache sono state incomprensibilmente più caute pur vantando egli un intero cd. Anzi ecco l'Espresso che lo visualizza in giacca bianca "come Tony Manero" in compagnia di Simon Le Bon e bone varie mentre al microfono attacca con "L'ultimo amore", subito dopo si catena in pista al grido di "Gioca juer".
Ma come Silvio si traveste da John Travolta, Sua Maestà si abbigliava come Giove, come Alessandro, come Apollo, "quando danza Apollo è se stesso, ed è se stesso che espone agli sguardi di chi assiste" - comunque sempre lucente Sole, "con jetès-batùs, tombès-batùs, scivolate a capo, passi in controtempo" - una faticaccia che si fa prima a far ministro la Brambilla.
In soli nove anni dal 1661 al 1670, si registra nel volume di Beaussant, "il Re Sole danza una dozzina di balletti, in tutto ventinove ruoli". Parimenti, quando canta con Apicella, la stessa identica cosa si può dire di Silvio,"è se stesso ed è se stesso che espone agli sguardi di chi assiste". Chi assiste è la corte - che sempre una corte accompagnò il real ballerino nei suoi balli non meno del presidente canterino nei suoi acuti.
Nessuno dei due nega protezione all'arte e agli artisti.
Stoico il tentativo del Signor Presidente di portarne illustri rappresentanti nelle istituzioni, storica la battuta con cui Sua Maestà avvertì Molìere dei malumori dei bigotti per le sue commedie: "Non irritate i devoti, è gente implacabile".
Della presa del potere e della salita sul predellino
Il 10 Marzo 1661 Luigi XVI che è già re da quando aveva cinque anni - ora ne ha ventidue ed ha ancora i capelli - prende il potere. Letteralmente, come racconta un vecchio bellissimo film televisivo di Roberto Rossellini: appunto "La presa del potere da parte di Luigi XVI". Quasi un colpo di Stato. A favorirlo la morte del cardinale Mazzarino, potentissimo primo ministro.
Scriverà in seguito nelle sue memeorie: "La morte del cardinale mi obbligò a non differire più quello che desideravo e insieme temevo da tanto tempo: la presa del potere". Per lo storico Pierre Goubetr di questo si trattò: "tutto rimase come prima, non cambiò nulla, tranne l'uomo che era al comando".
Il cadavere del cardinale primo ministro è ancora caldo. I potenti del regno -cancelliere, ministri, nobili- si affollano attorno al giovane re cercando di sapere chi sarà il successore. "A chi dovremo rivolgerci ora, maestà?" E quello: "A me!"
Li convoca nella camera della regina madre: "Voi mi aiuterete con i vostri consigli, quando ve lo domanderò... Signori vi diffido dal firmare anche un solo salvacondotto o passaporto senza mio ordine; vi ordino di rendere conto ogni giorno a me in persona, e di non favorire nessuno dei vostri incarichi..." E dunque: "Ora voi sapete le mie volontà. Tocca a voi adesso, signori, eseguirle".
Ha scritto Guido Gerosa nel suo "Il Re Sole" (Mondadori): "Diventavano dei sorvegliati speciali dopo aver goduto per anni di un potere e di un'autonomia illimitati".
Silvio III (ma è sempre lo stesso) prese il potere (o almeno ci provò) il 18 Novembre 2007. Ha già settantun anni, è stato già due volte primo ministro, ha già dei nuovi capelli. Più prosaicamente - non disponendo né di un castello né di un cadavere di cardinale né di ministri da intimorire - sale sul predellino di una macchina a piazza San Babila e annuncia che sta per arrivare il terremoto: scioglimento di Forza Italia, un partito nuovo "per tutti quelli che ne vogliono far parte". Perciò: chi c'è c'è.
[...]
Della Corte e dei cortigiani
Dell'inutilità di tante chiacchere e di troppi poteri intorno, le Chevalier non ne è meno convinto di quanto lo fu le Roi. E se Luigi pose a fondamento del suo potere la riduzione della nobiltà a Corte, dei potenti del regno a cortigiani - tutti trasferiti in massa nello splendore abbagliante e inutile di Versailles, costretti a combattersi tra di loro per un sorriso o un posto a tavola accanto al sovrano, oziosi e rammolliti, ridotti a spettatori di un'altra grandezza- Silvio ha sempre avuto ben chiaro (e avendo ben presente il teatrino della politica) che se voleva combinare qualcosa gli seviva un partito di nome ma non di fatto, una classe dirigente delle più varie attitudini e intelligenze, ma sempre con gli occhi puntati sull'Apollo di Arcore.
[...]
Del cardinal Giulio e del cardinal Gianni
A due prelati di gran classe, tanto il Re di Francia quanto il primo Ministro d'Italia, devono le loro fortune. Quello di Luigi era in tonaca reale (anche se poco praticata: "Si dice che il Signor Cardinale voglia diventar Papa e che per questo scopo si farà prete", si ironizzava quando cominciò a circolare la voce che il cardinale Giulio Mazzarino mirasse al papato), e se per lunghi anni cercò di mantenerlo in una sorta di limbo adolescenziale, negli ultimi mesi, prima di morire, fu fondamentale nell'indicare al giovane Re come sopravvivere politicamente e come radicare il suo potere. Gli lasciò persino il suo intero patrimonio, immenso - denari,abbazie, titoli e centinaia e centinaia di capolavori d'arte.
"Era un ministro assi abile e assai accorto che mi amava e che io amavo, e che mi aveva reso grandi servigi ma i cui pensieri e i cui modi erano naturalmente molto differenti dai miei". Parole che al Presidente vanno bene anche per il suo personale cardinale - non in tonaca reale ma di sicuro praticata: Gianni Letta.
I due non potebbero essere più diversi, e pure se Letta fu una volta ripreso in calzoncini mentre lo seguiva in una corsetta salutista, preferirebbe chiaramente trovarsi più in una Casa del Popolo che a Villa Certosa. Ma nonostanti tali differenze non è un caso che Silvio l'abbia così consacrato agli occhi della nazione: "è un dono di Dio all'Italia". Ma principalmente è un dono di Dio al Cavaliere, per non finire ramingo tra Capezone e Quagliariello. Come Mazzarino fu dono di Dio (poi che Dio lo sapesse e tutta un'altra questione) per il suo Re.
Della villa e del castello
Sia Sua Maestà che Sua Eccellenza hanno cercato di creare un luogo di stupori
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