martedì, febbraio 16, 2010

Pro Missa bene cantata [15]

Sive: Ecclesia Dei afflicta

Carlo Falconi nel suogià citato "Pentagono Vaticano" - l'"istant book" del 1958 che mirava a fotografare la situazione del cattolicesimo alla vigilia della morte di Pio XII - compone un ritratto del Cardinal Lercaro (1891-1977) assai interessante ed illuminante, soprattutto in riferimento al suo futuro ruolo di propugnatore della riforma liturgica in seno al concilio Vaticano II e quale presidente del "Consilium ad exsequendam Constitutionem de Sacra Liturgia".
Che Paolo VI pensasse al cardinal Lercaro quale responsabile della commissione incaricata di attuare l'aggiornamento della liturgia cattolica si spiega, infatti, per la notoria "passione per la liturgia" che contraddistingueva il cardinale di Bologna già in epoca preconciliare tanto che Pio XII lo aveva nominato "protettore" del movimento liturgico. Ma il Lercaro descritto dal Falconi però non è affatto un "liturgista" , ma più che altro di un "catechista".

Dalla penna dell'autore ne esce il ritratto di una Chiesa che, percependo una secolarizzazione inarrestabile, nella paura che il proprio ruolo sociale venga relegato soltanto a quello di distributore automatico di sacramenti, tenta l'azzardo dell'aggiornamento affidandosi alla buona pubblicità derivante da un maquillage liturgico: rituali più malleabili ed elastici allo scopo di poter continuare ad agire ritualmente su una realtà mondana sempre più profana. Ecclesiastici in realtà piissimi ed ortodossi che però scambiano la attiva partecipazione dei fedeli alla liturgia con la emotiva condivisione popolare di fronte ad una sacra drammatizzazione.
L'autore del libello del 1958, con lo sguardo ancora vergine da ogni postuma idealizzazione "conciliarista", involontariamente profetizza l'autentico spirito della smodata attuazione della riforma dei sacri riti:

"I nomi dei maggiori rappresentanti della corrente progressista moderata o anti-Pentagono dell'episcopato italiano, li abbiamo gia fatti: sono quelli di Lercaro, Roncalli e Montini.

L'arcivescovo di Bologna, cardinale Lercaro, è il più anziano dei tre nell'episcopato attivo (Roncalli, sebbene vescovo dal 1925, e solo dal '53 alla testa di una diocesi, e la consacrazione episcopale di mons. Montini risale appena al dicembre del 1954); egli e anche il primo «vescovo progressista» che abbia fatto parlare di se nel paese e al quale si attribuisca persino di aver fatto scuola tra i vescovi più giovani di alcune diocesi minori.
Di lui «intimo», Luigi Santucci, ha detto: «Il cardinale Lercaro e un cardinale, come dire?, da doposcuola, da gita scolastica, fuori porta col tranvai, i panini imbottiti, il triciclo del gelatiere e le fionde».
E il Bedeschi l'ha descritto «con gli universitari a tavola accettare l'imberrettamento appena si accorge che circola questo desiderio tra i presenti; tra i ferrovieri col bicchiere di vino davanti, ascoltare gli stornelli estemporanei; tra i bambini mascherati durante il Carnevale, indovinare i volti dei personaggi favolosi del giornalismo fumettistico; sul sagrato delle chiese, dopo le funzioni, parlare con tutti...». Questi atteggiamenti, si badi, sono assolutamente spontanei e naturali per il Lercaro, espressioni di quell'irrefrenabile bisogno di comunicativita che e tipico del suo temperamento.
Salvo che per la meditazione e per lo studio, egli, infatti, non puo star solo. E' noto che sin da pochi mesi dopo il suo insediamento a Bologna egli incomincio a ospitare in arcivescovado alcuni giovani (studenti universitari, operai, disoccupati), che manteneva a sue spese e intratteneva solitamente alla sua mensa. «Mi pesa meno sulla coscienza questo enorme palazzo — disse alloggiandovi dei bisognosi». Ma un altro giorno, alludendo ai suoi ospiti, precise, meglio l'altro motivo per cui li aveva raccolti: «Come farà il Papa a star da solo a tavola? chiese —. La sera, prima di andarsi a riposare, dovrà mettersi davanti allo specchio, far gesti, gridare, per avere l'illusione di essere con qualunque altro!».
La vocazione del Lercaro, infatti, e sempre stata quella del pedagogo.
Il cardinale Siri, in occasione del decennale di episcopato del suo corregionale, scrisse: «Rivedo i quaderni dettati da lui professore di religione quando io avevo dieci anni. A considerarli, si avverte ch'egli ha preceduto di qualche decennio i migliori metodi di insegnamento del catechismo. Era stato allora, con una sorprendente e genialissima genialita, un innovatore. Tale caratteristica non lo ha abbandonato mai. Fatto nel 1923 professore di Sacra Scrittura e Patrologia, fu ancora il genialissimo e non dimenticato rinnovatore di tali studi nel Seminario di Genova. Quando divenne insegnante di religione al liceo Colombo fu il vero fondatore di un "metodo complessivo di trattamento", che ancor oggi e criterio orientativo del nostro ambiente.
Non smentì tale caratteristica da parroco e da vescovo.»

Il Lercaro ha anche una buona cultura: non solo, dopo la guerra mondiale, a cui partecipò da soldato, integrò i suoi studi a Roma frequentando il Biblico, ma, tornato a Genova, ed incaricato di un insegnamento di filosofia, si guadagnò l'abilitazione accademica filosofica dal famoso filosofo Rensi con uno studio sul Balmes. Della sua eloquenza ha detto il Santucci che sfrutta la malla di una parola meditata e adorna, e dei suoi scritti che hanno uno stile «distillatissimo».
Lodi auliche, tanto più che di alcuni dei suoi discorsi piu impegnati non sono solo gli intimi a conoscere il vero autore [ovvero: Giuseppe Dossetti, ndr].
E quanto ai non molti libri del Lercaro, ascetici, liturgici, ecc., nessuno è eccezionale e capita mai di veder citato. Appunto perchè quel che conta in lui e il maestro, non l'erudito o lo scopritore o il critico.
La sua pedagogia, non si deve dimenticarlo, e essenzialmente quella del prete, non del professore prete, ma del prete tout-court: ieri del parroco, oggi del vescovo.

Del prevosto della Collegiata dell'Immacolata a Genova non si ricorda piu molto, fatta eccezione dell'ospitalità offerta nella sua canonica, dopo l'8 settembre 1943, a una decina di perseguitati politici (per nutrire i quali faceva spesso la spola tra Genova e Diano Marina, riportando sotto la tonaca barattoli d'olio e pacchetti di generi vari), degli undici mesi durante i quali fu costretto a spostarsi di convento in convento, braccato dalle S.S. (parecchi di quei mesi li trascorse al villaggio della Carità di don Orione, in una palazzina riservata ai sacerdoti malati di mente). Ancor meno poi si parla oggi del quinquennio di episcopato trascorso nell'ex-capitale dell'Esarcato, tanto le attivita dell'arcivescovo di Bologna han finito per eclissare le precedenti.

Comunque, sia nelle une che nelle altre, se si vuol cercare un motivo di continuità e di coerenza, si può senz'altro identificarlo nel culto della liturgia (il Lercaro e cosi appassionato della liturgia che il Papa lo ha designato protettore del Centro di azione liturgica). Non altro significa, infatti, la sua passione per la regia. Ormai tutto il mondo conosce l'iniziativa del Carnevale dei bambini di Bologna, giunto quest'anno [1958, ndt]alla sua sesta edizione, giacche vi partecipano persino intere delegazioni estere e personaggi internazionali intonati all'avvenimento (come Pablito Calvo, nel 1956): ma in Italia molti ignorano l'Arrivo dei Magi e la Processions delle Palme, due altre grandi manifestazioni per 1'infanzia volute dal Lercaro, e le cerimonie notturne del Venerdi Santo nella piazza di S.Petronio.

Nella fantasia del figlio del nostromo di Quinto (il Lercaro e nato a Quinto al Mare il 28 ottobre 1891) tutto tende a trasformarsi in spettacolo coreografico.
Quando si trattò ad es. di propagandare la fondazione, alla periferia di Bologna, di 17 nuove chiese, egli ideò un'occupazione simbolica dell'area dove avrebbero dovuto sorgere. Un lungo carosello automobilistico, come un'interminabile vertebra costituita da centinaia di macchine, avrebbe dovuto attraversare tutta la periferia, per un percorso complessivo di 51 chilometri, immobilizzando il traffico durante un intero pomeriggio domenicale (dalle 13,30 alle 21,30) in modo da far conoscere a tutti quello che stava per avvenire. Su ogni area prescelta 1'arcivescovo avrebbe piantato una croce, a fianco della quale sarebbe poi stato innalzato un cartellone su palafitte munito di una scritta con caratteri fosforescenti: «Qui sorgera, con l'aiuto di Dio e del popolo bolognese, la chiesa dedicata a...». Ciò che fu fatto. E a mezzogiorno, in S.Petronio, prima di dare il via al corteo, l'arcivescovo parlò al popolo, poi deposta la croce pastorale su di un vassoio, percorse lui stesso le navate della Basilica per raccogliere le offerte.
Quando accaddero i fatti d'Ungheria impose il lutto a tutta la Chiesa bolognese e tutte le parrocchie della diocesi vestirono i loro portali di gramaglie.

I bolognesi sanno ormai che la loro citta non avra piu tregua fino a che avra lui per arcivescovo. Essa non fa che passare, quasi senza soste, da una liturgia all'altra. Basta pensare alle missioni. Nel '52, e vi era appena giunto, Lercaro fece tenere la prima predicazione italiana «per un mondo migliore»; poi, dal '53 al '56, in tre tempi, Bologna fu teatro della grande Missione, dapprima nel suo retroterra, poi nelle varie zone cittadine; ora e la volta della diocesi.
Per Lercaro, insomma, il Sacro deve diventare un fatto visivo, auditivo, e soprattutto dev'essere esperimentato insieme, comunitariamente. Questo, e non altro, e il suo vero «andare al popolo» di sagacissimo pedagogo e manovratore di folle.
Egli e per tutti: per la massa e per ogni categoria: per gli intellettuali, che raggiunge all'Universita o alla Lectura Dantis; per gli imprenditori, a cui ricorda i doveri sociali della proprieta; per le famiglie, che convoca per il lunedi di Pasqua e per il Ferragosto nella sua Villa Revedin, appena fuori porta; per i tramvieri, pei quali organizza il lunedi del tramviere; per i barbieri, pei quali ordina una speciale messa domenicale; pei carcerati, che fa assistere da un apposito Comitato di assistenza cittadino, ecc.

In questo suo «andare al popolo», tuttavia, ha finito per infiltrarsi, in parte fatalmente (per il demone demagogo che e l'anima segreta di ogni regìa e liturgia) in parte consapevolmente, quel certo lievito di popolarismo e proletarismo che per qualche anno lo ha fatto chiamare sui rotocalchi il «Papa rosso» o il «Papa socialista». Il calore dell'oratoria e stato colpevole in parte di questo abbaglio. Ma bisogna anche riconoscere che, per qualche tempo almeno, deve effettivamente aver inclinato a un certo progressismo. Nella prolusione al VII Convegno nazionale degli assistenti delle A.C.L.I., svoltosi a Bologna dal 21 al 24 settembre 1954, egli disse, ad esempio, e lascio che fosse stampato: «La classe lavoratrice, per usare un termine comune, sta assumendo nella vita della società un posto che finora non ha avuto. Le leve di comando della vita di domani saranno indubbiamente nelle sue mani».
Oggi questo non avviene. Anzi, dopo la sconfitta del suo pupillo Dossetti alle elezioni comunali del 1956, tanto nelle sue parole che nelle sue decisioni, sono spesso affiorati accenni rivelatori di un integralismo finora abilmente sottaciuto o travestito. Subito dopo le sfortunate elezioni accennate, ad es., in piena festa del Corpus Domini, anzi alla presenza dell'Ostensorio, prima di impartire la benedizione, egli arringo la folla dicendo tra l'altro: «Ci viene fatto di pensare con amarezza questa parola tua vedendo l'apostasia di tanti nostri fratelli che sono corsi follemente a sbattezzarsi».
E recentissimamente, dopo la sentenza del tribunale di Firenze sul caso di Prato, il gesto di imporre nuovamente, ma questa volta per l'intera quaresima, il lutto alla diocesi aggravato dal suono a morto delle campane ogni sera, e stato accolto come la piu amara rivelazione d'un inammissibile stato d'animo."

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