SIVE: IN CAUDA VENENUM
Il vaticanista Carlo Falconi dava alle stampe nell 1958, ovvero: nell'incombenza della morte di Pio XII, il saggio dal titolo divenuto proverbiale:
"Il Pentagono Vaticano".
Il Falconi, nel fare una panoramica sullo "status" del cattolicesimo italico nella stagione dell'estremo autunno pacelliano, delineava, dell'allora "rampante" Cardinale Giuseppe Siri (1906-1989), un impareggiabile ritratto che, nonostante ignori fatalmente il successivo trentennio di storia "siriana", riesce ancora, non di meno, a trasmettere la possanza di un assai gustoso ritratto a tutto tondo:
"IL DELFINO DI GENOVA
Fu sulla fine del 1928, nel giorno della beatificazione del cappuccino ligure fra Francesco da Camporosso, che il cardinal Pizzardo, allora sostituto della Segreteria di Stato di Pio XI, udi per la prima volta il nome del suo futuro collega e collaboratore Siri.
Quel mattino di domenica, il Siri, sacerdote da poche settimane, era partito dal Seminario lombardo, di cui era ospite, per recarsi in un centro della campagna romana a celebrare la messa. Poi, inforcata la bicicletta, s'era messo a pedalare di gran lena per giungere in tempo alla funzione in San Pietro. Ancor fuori Roma, però, una macchina lo investiva ferendolo gravemente. Quando lo portarono al Seminario lombardo, era privo di conoscenza e in preda a una grave commozione cerebrate.
Il cardinal Minoretti, allora ancora semplice arcivescovo di Genova, che ebbe appena il tempo di vederlo, ne resto cosi costernato da non saper quasi dir altro al Papa, non appena fu ammesso alla sua presenza. Il Siri era la miglior speranza del giovane clero genovese. Inviato a Roma due anni prima si era subito rivelato tra le intelligenze piu notevoli della Gregoriana, l'universita dei gesuiti. L'apprensione del Minoretti colpi papa Ratti, che non si accontentò di inviargli subito una sua speciale benedizione, ma continuò per parecchio tempo a chieder di lui al suo sostituto, anch'egli ligure ed ex-alunno dello stesso Collegio lombardo.
Nelle sue visite in piazza Santa Maria Maggiore 5, dove ha sede il Collegio, mons. Pizzardo ebbe presto occasione di conoscere direttamente il beniamino del cardinal Minoretti. Poi la laurea summa cum laude in teologia riportò il giovane Siri alla sua Genova, dove l'attendeva la cattedra di «fondamentale» del Seminario. Invano mons. Pizzardo, che in quello stesso anno (1929) era diventato segretario della Sacra Congregazione per gli affari ecclesiastici straordinari, aveva tentato di convincere il Minoretti ad avviare alla carriera diplomatica il suo protetto. Benchè figlio d'uno scaricatore del porto e d'una portinaia, il Siri aveva la distinzione di tratto e di portamento d'un rampollo della piu genuina e storica aristocrazia; non solo, ma una padronanza di se, un linguaggio cosi controllato e incisivo, e persino, gia allora, un po' aulico, da fargli facilmente prevedere sicuri successi nella via diplomatica.
Ma il cardinal Minoretti non aveva sbagliato a puntare sulla genialità teologica del suo giovane sacerdote e a non privarsene. II Siri fu subito il professore più discusso e seguito del Seminario. Nel 1940 la casa editrice Studium annuncio un suo Corso di teologia per laici, di cui pubblicava intanto il primo volume: La rivelazione. Qualche anno dopo uscì anche La Chiesa. Poi piu nulla. Ma bastano quei due primi volumi a dar la misura del suo eccezionale magistero.
Da quell'epoca ad oggi [1958, ndr] c'e stata persino un'inflazione in materia di testi teologici per laici: ma nessuno e ancora riuscito ad eguagliare quei due. Eppure son tutt'altro che privi di difetti: disturba soprattutto lo stile, per lo piu essenziale e scabro fino alla mania, ma spesso anche ricercato e magniloquente fino all'enfasi. L'impostazione, tuttavia, e spesso originale, il procedimento logico ineccepibile e la ricchezza delle deduzioni e delle applicazioni quasi sempre inesauribile. E facile capire l'effetto di quelle lezioni ascoltate anziche lette. Ben presto penò non fu solo il Seminario a vantarsi del nuovo professore: il cardinal Minoretti volle che accettasse anche l'insegnamento di religione nel liceo Doria. Nominato quasi subito assistente degli universitari, poi dei laureati cattolici, quest'ultimo movimento se ne impadroni, lanciandolo, per cosi dire, su scala nazionale, coll'affidargli le lezioni delle note Settimane di Camaldoli.
In quegli stessi anni, spiccavano nel clero genovese altri nomi: quelli, ad esempio, di Emilio Guano e di Giacomo Lercaro. Sia l'attuale assistente dei Laureati cattolici che l'attuale cardinale arcivescovo di Bologna erano più anziani del Siri. Forse continuarono ad essere piu amati. Siri fu subito il piu ammirato. Amarlo era piu difficile. Anche se mostrava desiderio d'esser circondato dai suoi alunni, era soprattutto la loro intelligenza ch'egli cercava: e questo equivaleva a operare gia una selezione. I meno dotati non potevano far a meno di notare in lui, sia che parlasse dalla cattedra o dal pulpito, e nonostante quel tono pacato di sicurezza con cui porgeva, un'appena dissimulata ironia: come se egli sentisse la sua sconfinata superiorità intellettuale sugli ascoltatori e sapesse di esercitare una specie di magia sulle loro intelligenze.
Ma il professor Siri sapeva sostituire la sua mancanza di calore umano col tatto e la raffinatezza dei modi e della parola. Come imponeva ordine nelle sue idee, così sapeva padroneggiare i suoi gesti, dominare le sue reazioni, calcolare l'opportunita delle sue prese di posizione. Alla morte del cardinale Minoretti, nel 1938, divenne pupillo del successore, il gesuita piemontese Pietro Boetto. Piu tardi, all'inizio del 1944, il Boetto ottenne da Roma di farne il suo vescovo ausiliario. La nomina sorprese molti in citta e diocesi, dove si dubitava delle capacita di governo del «professore», proprio in ragione della stima con cui si apprezzavano le sue qualità intellettuali. Il parroco Lercaro, ad esempio, sembrava piu adatto e maturo a un ufficio del genere (il Siri, tra l'altro, aveva appena 42 anni). Ma il Siri, che non volle abbandonare la cattedra in seminario, stupì tutti un'altra volta. Raccolse subito l'alta direzione dell'ONARMO, fondata l'anno prima dal cardinale Boetto per l'assistenza religiosa degli operai; ma si consacrò soprattutto a un'opera nuova, l' «Auxilium », una specie di «Pontificia» genovese, che offriva minestre e generi alimentari a poveri e sinistrati (metà città lo era dopo i micidiali bombardamenti), come pure agli istituti e alle opere pie, inviando ovunque i suoi camion bianchi a strisce gialle per raccogliere i viveri necessari. La rivelazione dell'uomo d'azione non era ancora completa. Presto si sparse per Genova la notizia che mons. Siri aveva dovuto lasciare la città perchè ricercato dai tedeschi e dalle brigate nere pei suoi rapporti coi partigiani. La sua assenza non durò molto, ma aumento enormemente il suo prestigio. Al momento di evitare la resistenza ad oltranza dei tedeschi, che avrebbe finito per distruggere la città (il porto era gia minato), fu mons. Siri, in rappresentanza del cardinale Boetto, a esercitare i suoi uffici di mediatore presso il generale tedesco Meinhold.
Poi, nel gennaio del 1946, il Boetto moriva e, nel maggio, il Siri ne raccoglieva l'eredita. Oltre che arcivescovo, diveniva cosi anche «legato trasmarino», Gran cancelliere del Collegio teologico di san Tommaso d'Aquino, abate di San Siro, ecc. Per il figlio della popolana di piazza dell'Immacolata era un traguardo sbalorditivo e raggiunto a soli 44 anni. Ma questo non l'aiutò a superare il complesso delle sue origini. Molti a Genova sostengono ch'egli, gia dai primi anni del suo sacerdozio, non abbia piu voluto metter piede nella portineria dove aveva visto la luce. E si racconta anche d'una udienza negata all'umile donna del popolo che l'aveva aiutato coi piccoli risparmi a pagare la sua retta di seminario, desiderosa d'incontrare finalmente il suo arcivescovo a tu per tu nella solennita dell'episcopio. Veri o no, questi episodi vogliono probabilmente alludere soprattutto alla fredda aristocraticita che distingue oggi, nonostante le sue molte opere in favore dei diseredati, il vero capo della Superba. Quest'involuzione fu certamente lenta, ma ebbe il primo avvio nell'educazione tipicamente borghese del seminario, accentuandosi specialmente dopo il passaggio da Genova a Roma. Ritornato in citta, gli fu istintivo far di tutto per strappare da se ogni legame col passato, fors'anche per un bisogno di reazione allo squallore dell'infanzia e alle sue dure privazioni.
Una delle citazioni piu frequenti sulle labbra del cardinal Siri e oggi questa: homo sine pecunia imago mortis. E può anche meravigliare la sua frequente difesa del diritto di proprietà: essa s'innesta senza alcun dubbio su motivi psicologici molto personali. Nell'esporla, il cardinale muove sempre dalla rivendicazione dell'autonomia come elemento base della personalità. La persona — egli dice — è autonoma o non è; e per esserlo ha bisogno di avere a sua disposizione beni di consumo e di produzione. Senza di essi, muore o è mortificata: l'uomo non è uomo se non ha l'indipendenza dal bisogno. Per questo motivo la sua difesa dei poveri non è senz'altro demagogica, ma sincera. Difendendoli, egli continua ad abolire parte dei suoi anni d'infanzia e della vita dei suoi genitori. Per questo ha creato l'«Auxilium», ha promosso l'iniziativa delle «case minime», ha fondato la Casa san Giorgio per l'emigrante, dato vita a un'intera organizzazione di spacci alimentari ed ha di mira di rendere autosufficienti dal punto di vista caritativo tutte le parrocchie della sua diocesi, se non altro per assicurare l'eliminazione dei casi di miseria piu disumana. Perciò, appena nominato arcivescovo della sua città, scrisse una pastorale per sollecitare maggiori aiuti economici al clero; e, appena ricevuto la nomina a cardinale, declinò ogni regalo per se, invitando invece a dare a «coloro che mancano ancora di una casa e che son privi di lavoro».
Tutto questo, pero, spiega anche il perchè egli subisca contemporaneamente e soprattutto il fascino della grande potenza finanziaria e dei suoi magnati; non solo ma persino quella degli avventurieri, tutt'altro che rari in un mondo come quello. Solo in questi ultimi anni, le cronache genovesi hanno portato alla ribalta parecchi di costoro, per lo piu assai vicini, per le loro quanta di cattolici praticanti, alla Curia e alla persona stessa del cardinale.
Nel '56 ci fu lo scandalo Nicolay-SFIAR, due società che si erano appropriate circa 700 milioni promettendo interessi spettacolari. Il personaggio dominante in questa ridda di speculazioni risulto essere Antonio Loi, gia segretario, nei primi anni del dopoguerra, della Democrazia cristiana genovese, poi vice segretario amministrativo del partito e infine amministratore di tutti i giornali della DC. Fu arrestato nell'estate di quell'anno, immediatamente dopo il suo rientro dalla Spagna, dove aveva accompagnato il cardinal Siri, legato pontificio per le celebrazioni centenarie di S.Ignazio di Loyola. La recente rincarcerazione di Ebe Roisecco, infine, ha fatto ricordare la voce diffusa e non mai smentita nella primavera del '53: e cioè che, mentre la tentata suicida di allora era piantonata dalla polizia all'ospedale di san Martino per il suo deficit di mezzo miliardo, il cardinale Siri aveva promosso una riunione dei suoi creditori per tentare un accomodamento.
Salvo la più compromettente fiducia nel Loi, i rapporti del cardinale con la Roisecco non vanno certo sopravvalutati. Le vere relazioni del cardinale Siri sono ben altrimenti fondate, basate essenzialmente su famiglie ed enti il cui solo nome basta a dire potenza e solidità: si tratta infatti dei Costa, dei Dufour, dei Piaggio, dei Cameli, ecc., insomma dei grandi armatori e industriali che negli anni critici del dopoguerra hanno trovato nell'arcivescovo Siri il piu sicuro baluardo per la difesa dei loro interessi e della loro politica economica.
Tra il cardinale e loro non si trattava d'una vera e propria alleanza: anche se si sentiva personalmente lusingato di allacciar legami con una aristocrazia dalla quale le sue origini avrebbero dovuto tenerlo per sempre lontano, l'arcivescovo era sicuro di non tradire, avvicinandoli, la causa dei poveri: o perlomeno era certo di esercitare quell'opera di mediazione interclassista che la dottrina sociale cattolica ritiene il dovere d'ogni fedele e tanto più d'ogni vescovo.
Nel suo scritto piu ambizioso sulla questione sociale, destinato al clero della sua diocesi nell'Epifania del 1956 dove sono raccolte idee sostenute da anni, egli ha scritto tra l'altro : «non riconosciamo a nessuno di poterci trarre a fazioni ispirate ai mutevoli venti, a facili opportunità, a peccaminose popolarita: noi siamo solamente di Cristo. Le parole 'destra e sinistra' non ci appartengono, come non ci appartiene qualunque altra che significhi semplicemente 'diverso da destra e da sinistra'».
Ma l'ingenuità della soluzione mediatrice non tarda ad apparire: «Molti dei nostri fratelli hanno ridotto le cose buone e belle al denaro, al dominio, al senso (veramente poco!) e queste tre risorse hanno ristrette a pochissime variazioni. Così accade che i più siano colpevolmente poveri e che i poveri si sentano immensamente più poveri di quello che sono. Tutti hanno il sole, la natura, l'arte, il sentimento, la poesia, l'amicizia e soprattutto la verità e la bontà! Perche non ne godono?... Che bisogno c'è di chiudere il Cielo, di spegnere il sole e di versar veleno in tutte le bevande, per far la giustizia nel mondo?». E ancora: «La questione non e tanto di sapere in quali mani andranno le riserve, ossia il Capitale (che ci deve essere perchè nessuno fa vivere la società senza riserve), ma quella di sapere se chi dirige (e chi dirige ci sarà sempre) sapra rispettare la dignità di chi e diretto e saprà non chiudergli le porte».
Con idee come queste — tutt'altro che originali nella sostanza, ma spesso molto abili nello sviluppo — il cardinal Siri e riuscito a consolidare e a diffondere le sue opere caritative, ma anche ad attenuare — non senza valersi dei suoi larghi appoggi politici — la tensione tra masse operaie e imprenditori, giunta non di rado, specie nei primi anni del suo governo, al limite.
Un altro più vasto strumento di avvicinamento degli ambienti del capitale egli seppe darsi con l'UCID (Unione cattolica imprenditori dirigenti). Nata a Milano nel 1946 in forme ancora assai imprecise, essa assunse una fisionomia adeguatamente organizzata solo a Genova, nel febbraio del 1947, sotto il nome di Gruppo ligure imprenditori dirigenti. Fondatori: coll'arcivescovo Siri, il conte Lo Faro, l'ingegner Pautrier e gli avvocati Sciaccaluga e Borasio. Un forte nucleo di industriali aderì al movimento sotto la presidenza Lo Faro e poi sotto quella del dottor B. Vaccari. Il Siri ne fu il consulente ecclesiastico: carica che ancor oggi [1958] ricopre nell'organizzazione nazionale, nei congressi della quale prende spesso la parola.
Durante la presidenza di Angelo Costa alla Confindustria (un altro fratello Costa, Giacomo, e il suo braccio destro alla testa dell'Azione cattolica diocesana), l'influenza del cardinale Siri si estese sempre in questo settore, da Genova a tutte le altre regioni. Specie dopo il 1950, il Siri non appartiene più soltanto a Genova e alla sua diocesi (appena 750.000 abitanti, distribuiti in 234 parrocchie, 63 delle quali nel solo capoluogo), ma all'Italia. Le tappe del suo crescente prestigio sono segnate soprattutto da queste date: 1951: nomina a presidente delle Settimane sociali dei cattolici italiani; 1953, elevazione al cardinalato; 1955, nomina a presidente della Commissione episcopale per l'alta direzione dell'Azione cattolica italiana.
Quest'ascesa aveva nel valore indiscutibile dell'uomo la sua giustificazione fondamentale, ma, come gia la sua nomina ad arcivescovo nel '46, aveva trovato a Roma dei fautori irresistibili: il Triumvirato cardinalizio Canali-Pizzardo-Micara (per merito soprattutto del secondo) e la Curia generalizia dei gesuiti.
Il successo ottenuto nel reggere e riorganizzare la diocesi dopo il ciclone bellico, le sue aderenze nell'alta classe dirigente e finanziaria settentrionale, le impressioni lasciate nei partecipanti alle Settimane sociali, furono decisivi per ottenergli la promozione al cardinalato a soli 48 anni.
Quando poi Gedda riusci a liberarsi del cardinal Piazza, che gli era divenuto progressivamente ostile, il Triumvirato gli fece assegnare dal Papa la presidenza della Commissione episcopale per l'alta direzione dell'A.C. (e quindi dei Comitati civici), per mantenere sotto il proprio controllo questo delicatissimo settore della vita italiana. Piazza, irritato dall'ingerenza di Gedda, ne aveva richiesto il sacrificio; il Triumvirato lo giocò facendogli credere di affidare il compito dell'eliminazione al Siri, di cui era nota l'antipatia per il dittatore dell'A.C. E cosi il Triumvirato salvò Gedda, non scontentò Piazza (che incaricò di dirigere l'alleanza latina per il prossimo conclave) e consigliò Siri di disarmare con «l'indispensabile» Gedda.
In tal modo, il Triumvirato, divenuto Pentagono nel '53, adottava il proprio Delfino. Nel Pentagono l'elemento più giovane, ma non certo papabile era, ed è, l'Ottaviani (67 anni contro gli 83 di Canali, gli 80 di Pizzardo, i 78 di Micara e i 75 di Mimmi).
Oggi [1958] Siri ne conta appena 52. Anche se non dovesse essere subito eletto (potrebbe esserlo nell'ulteriore conclave), il Pentagono avrà comunque in lui, nel frattempo, il suo migliore alfiere. Chi vuol conoscere il pensiero intransigentista del Pentagono (e il cardinale Siri, in un suo discorso, non ha temuto di richiamarsi al Sillabo, affermando che, se nel secolo scorso lo si fosse meditato, quel documento, non si sarebbe commesso l'errore capitalista!) non ha infatti da far altro che seguire le molte e notevoli affermazioni oratorie del cardinale di Genova. Le parole piu pacate, in apparenza, ma gravi nella sostanza, sono state pronunciate in questi ultimi anni proprio da lui. Come nel recente Convegno nazionale dei Comitati civici a proposito dell'intervento politico dell'Azione cattolica, e come a Trento, nel '55, per la Settimana sociale a proposito della scuola, quando disse che, nel campo dell'educazione, Chiesa e famiglia hanno diritto di priorità sullo Stato, il quale non solo deve tollerarne la concorrenza, ma anche finanziarla.
Nessuno in Italia parla oggi cosi frequentemente e autorevolmente, dopo il Papa, come il cardinal Siri. E, si puo ben dire, niente oggi avviene nell'Italia cattolica (ma anche in quella politica ed economica, per tacere, ma siamo solo agli inizi, di quella cinematografica) di cui non sia al corrente o garante o consigliere il Siri. Con una prontezza e versatilità sorprendenti (tanto piu che egli non dispone certo di schiere di competenti ai suoi ordini per ammannirgli il materiale) e con quella lucidità e originalità che gli sono caratteristiche, egli è sempre presente ovunque. Non forse sempre compreso, almeno dal grosso pubblico, colpiscono se non altro gli slogans coi quali suole punteggiare i suoi discorsi. (Parlando qualche anno fa del cinema, disse ad es.: «A proposito del cinema, la Chiesa non e una suocera irragionevole»; e ancora: «il cinema è il terreno sul quale s'incontra tutto quanto il mondo. Tutto quanto il mondo non lo incontro sul campo di gioco. Il mondo non lo trovo tutto in chiesa, purtroppo. Me ne dispiace, ma devo prendere atto di questo. Il mondo non lo trovo tutto in piazza. Il mondo lo trovo tutto quanto al cinema»; e inoltre: «Una volta il nartece, il protiro era l' ingresso della Chiesa. Ora in certi casi il nartece della Chiesa è il cinematografo»)
Se si guarda alla rapidità della sua ascesa e alla posizione di meritato prestigio ora raggiunta dal Siri, non sembra possibile che il prossimo conclave non debba puntare su di lui con quell'unanimità che ha concentrato nel '39 sull'ex-segretario di Stato Pacelli. II Pentagono, certo, lavora in questa direzione, ed egli lo sa. Negli anni scorsi, ad esempio, ha sostenuto un'alacre fatica linguistica, dedicando metodicamente qualche ora al giorno allo studio delle lingue. Al momento opportuno, non sarà certo inferiore a Pio XII nel parlar pentecostale e nella fecondità oratoria. Secondo alcuni intimi, poi, avrebbe gia scelto il suo futuro nome: «Se dovessi venir eletto Papa — avrebbe detto — prenderei ii nome di Gregorio. E da tempo che i Papi non assumono piu questo nome. Eppure e tutto un programma di energia e di intransigenza. Basterebbe pensare al compito svolto da Gregorio VII alla sua epoca».
Ma qualche mese fa (nel dicembre '57), in una conferenza sui rapporti tra Chiesa e Stato, a Genova, e caduto in un lapsus che farebbe ritenere già sorpassata quella scelta: infatti, piu volte, anziche dire Innocenzo IV, disse Innocenzo XIV."
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