
Un tempo era detta la "Prima domenica dopo Pasqua" ed "In Albis" poichè anticamente la liturgia romana ("de Roma") prevedeva un apposito rito (nella basilica di San Pancrazio) nel quale i catecumeni che avevano ricevuti i sacramenti dell'iniziazione cristiana durante la veglia pasquale deponevano la bianca veste battesimale.
Dopo la riforma liturgica seguita al Concilio Vaticano II la domenica dell'ottava di Pasqua è stata più opportunamente chiamata "Seconda domenica del Tempo di Pasqua".
Il 30 di aprile dell'anno giubilare e bimillenario dell'era cristiana il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II canonizzando proprio nelle domenica "In Albis" la grande mistica polacca Faustina Kowalska -e facendone pertanto la prima santa del nuovo millennio!- decretò che: "questa seconda Domenica di Pasqua, (...) d'ora innanzi in tutta la Chiesa prenderà il nome di Domenica della Divina Misericordia".
Questo volle il santo Pontefice polacco a sigillo della santità e del carisma della suora polacca che nel suo "Diario" aveva trascritto il racconto delle apparizioni di Gesù Cristo il quale il 22 Febbraio del 1931 diede precise istruzioni affinchè venisse istituito nella Chiesa un culto specialissimo alla Sua Divina Misericordia per mezzo del culto di una apposita immagine, di pii esercizi di pietà tra cui una "coroncina" e una una novena, e di una "Festa della Divina Misericordia" da celebrarsi appunto nella domenica "In Albis": "Io desidero che vi sia una festa della Misericordia. Voglio che l’immagine, che dipingerai con il pennello, venga solennemente benedetta nella prima domenica dopo Pasqua; questa domenica deve essere la festa della Misericordia. Desidero che i sacerdoti annuncino la Mia grande Misericordia per le anime dei peccatori."
Il culto alla Divina Misericordia, guardato con sospetto dalle autorità ecclesiastiche per molto tempo a causa di spiacevoli e reiterati fraintendimenti, fu non dimeno oggetto di critiche anche dopo la canonizzazione di Faustina Kowalska (e la conseguente "canonizzazione" del di lei messaggio mistico) da parte di quei piissimi cattolici che si angustiarono nel vedere imposta a tutta la Chiesa Cattolica "una devozioncella polacca". In realtà, ottenuto l'appellativo "della Divina Misericordia", nella celebrazione liturgica della domenica dell'ottava di Pasqua nulla è mutato (nè và mutato): non si tratta di sostituire le orazioni e le letture della Seconda Domenica di Pasqua con quelle della Messa "votiva" della Divina Misericordia, si tratta invece di un invito al clero e ai laici di meglio riflettere, meditare, contemplare, e quindi "celebrare", proprio quell'infinita Misericordia di Dio manifestatasi nei misteri pasquali; entrambre le orazioni "colletta" previste nel Messale "di Paolo VI" per la domenica "in Albis", infatti, fanno esplicito riferimento alla Misericordia di Dio:
"Dio di eterna misericordia, che nella ricorrenza pasquale ravvivi la fede del tuo popolo, accresci in noi la grazia che ci hai dato, perché tutti comprendiamo l’inestimabile ricchezza del Battesimo che ci ha purificati, dello Spirito che ci ha rigenerati, del Sangue che ci ha redenti. Per il nostro Signore Gesù Cristo..."
Oppure:
"Signore Dio nostro, che nella tua grande misericordia ci hai rigenerati a una speranza viva mediante la risurrezione del tuo Figlio, accresci in noi, sulla testimonianza degli apostoli, la fede pasquale, perché aderendo a lui pur senza averlo visto riceviamo il frutto della vita nuova. Per il nostro Signore Gesù Cristo..."
Le stesse letture bibliche della Liturgia della Parola contengono un esplicito riferimento alla Misericordia di Dio; principiando dalla pericope del Santo Evangelo secondo San Giovanni in cui si racconta delle apparizioni "a porte chiuse" del Risorto nel Cenacolo e del potere concesso ai suoi apostoli di perdonare i peccati: «A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Così recita la versione del Nuovo Lezionario approvato dalla Confernza Epicopale Italiana che così innova rispetto al desueto "rimettere i peccati".
Lamentabile invece la nuova versione della proposizione immediatamente precedente in cui Gesù: "soffiò e disse loro" che sostituisce la precedente, più logica e coerente (oltre che più elegante nella forma): "alitò su di loro e disse".
Vivessimo in un secolo cristiano a quest'ora sarebbe già sorto un drammatico scisma che avrebbe destabilizzato alle fondamenta la Chiesa Cattolica; poichè se ogni laica mente raziocinante dovrà convenire sul fatto che "soffiare" non è sinonimo di "alitare", tanto più un fervente fedele dovrà rimanere sconcertato e intimamente scosso al pensiero che per i piissimi pastori della Santa Chiesa pellegrinante per le italiche calli risulta del tutto indifferente anzi inutile, nella meditazione dei misteri redentivi, il soffermarsi a riflettere che come segno "sacramentale" della trasmissione dello Spirito Santo agli Apostoli -ovvero alla Chiesa nascente!- il nostro "Dio fatto uomo" abbia scelto di alitare invece di soffiare o viceversa!
Nella storia della Chiesa si sono create insanabili dispute dogmatiche a causa di uno "iota"; Gesù stesso ammonì i suoi discepoli che persino uno "iota" contenuto nelle Sacre scritture non verrà meno prima che tutte le profezie bibliche si siano pienamente compiute; figuriamoci cosa direbbe di quegli italici sacri pastori, biblisti e liturgisti che intorno all'alitare o meno del Figlio di Dio procedono con una nonchalance e con assai minor scrupolo di coscienza di quanto son soliti fare disquisendo dell'alitare o meno del bue e dell'asinello!
Vorrei ma non riesco a passare avanti senza curarmi, inoltre, della volontà dei novelli esegeti di espellere dal mistico ovile evangelico la consecutio temporum (che forse visto il nome puzza un pò troppo di tradizionalismo lefebvriano) per cui accade che Nostro Signore rivolgendosi all'incredulo San Tommaso non dica più "beati quelli che pur non avendo visto crederanno!" ma: "beati quelli che non hanno visto e hanno creduto".
"Dio mio, misericordia!" verrebbe spontaneo esclamare, ed in questo "al dimandar precorre" il salmo responsoriale tratto dal salmo 117:
"Celebrate il Signore, perché è buono:
eterna è la sua misericordia.
Dica Israele che egli è buono:
eterna è la sua misericordia.
Lo dica la casa di Aronne:
eterna è la sua misericordia.
Lo dica chi teme Dio:
eterna è la sua misericordia...
Non più! I sommi liturgisti e parolieri del Nuovo Lezionario hanno reputato più opportuno, e -soprattutto dopo la decisione pontificia di nominare la tal domenica in cui si proclama il tal salmo "della Divina Misericordia"!- sommamente conveniente alle esigenze pastorali sostituire il (desueto?) termine "Misericordia" con "Amore"!
Recita perciò il ritornello:
"Rendete grazie al Signore perché è buono:
il suo amore è per sempre.
Recità ormai la prima strofa:
"Dica Israele:
«Il suo amore è per sempre».
Dica la casa di Aronne:
«Il suo amore è per sempre».
Dicano quelli che temono il Signore:
«Il suo amore è per sempre».
Permettano i miei cinque lettori che io copra pudicamente l'esternazione di indecorose espressioni di disagio e di imbarazzo con un velo di... misericordia.
Oso solo avanzare le più che legittime perplessità sul fatto che nel conseguente brano nella Seconda Lettura tratto dalla "Dalla prima lettera di san Pietro apostolo" i pleclari esegesi non si siano dati cruccio di emendare altrettanto zelantemente la parola del pescatore di Cafarnao:
"Sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che nella sua grande misericordia ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti"!
Una colpevole svista dei sommi "revisionisti"? Dobbiamo perciò attendere quanto prima una nuova versione del Nuovo Lezionario oramai, finalmente, senza misericordia?

Post Scriptum: In tale clima pasquale e gioioso, festivo e solennemente tutto "misericordia" e tutto "amore", dopo aver petulantemente angustiato i miei cinque lettori li invito, orsù, a volgere con le parole del salmo 117 la mente e il cuore al Signore che ha fatto meraviglie; pardòn : "prodezze"!