venerdì, aprile 11, 2008

Sonètos Fùnebres, XVIII


"PREFIERO PATRIA LIBRE, A LA VIDA DE LOS PARIENTES"



Ovvero: In morte
della "Excelentísima Señora"
Luisa Isabel Álvarez de Toledo
y Maura
,
Duchessa di Medina Sidonia.


Figlia primogenita ed unica di Don Joaquín Álvarez de Toledo y Caro, ventesimo duca di Medina Sidonia, e della duchessa Maria del Carmen Maura Herrera (nipote di Antonio Maura che fu per cinque volte Presidente del consiglio dei ministri di Alfonso XIII); nacque il 18 agosto 1936 a Estoril, in Portogallo, dove i genitori vivevano in esilio in seguito alla crisi della "Seconda Repubblica" e lo scoppio della "Guerra civile"

Condotta al fonte battesimale il 21 agosto ricevette i nomi di Luisa Isabel María del Carmen Cristina Rosalía Joaquina e fu così ascritta nel libro d'oro dell'aristocrazia europea.
Nel 1940, terminata la Gurra Civile i Duchi di Medina Sidonia tornatono ai loro possedimenti andalusi.
Proseguendo la tradizione familiare che sin dai primi dell'Ottocento aveva reso il casato dei Medina Sidonia celebre per l'apertura alle idee progressiste, la piccola Luisa Isabel vide i propri genitori aiutare i poveri con cibo, medicine ed altro, mentre a lei consentivano tranquillamente di giocare con i figli dei contadini.

Educa in convento -come si conveniva per le fanciulle di buona famiglia- a causa del suo carattere "tremendo" e dei suoi modi "da maschiaccio" collezionò in breve tempo una lunga serie di espulsioni dai collegi religiosi: "Mi hanno insegnato il francese e hanno tentato di insegnarni l'inglese ed ho imparato a servire il tè. Nessuno mai ha preteso che io imparassi qualcos'altro".
Dalla frequentazione dei contadini imparò a ballare il flamenco.
La sua formazione culturale fu pertanto autodidatta sotto l'influenza del nonno materno Miguel Maura.

Compiuti i diciotto anni fece il suo debutto in società assieme a Sua Altezza l'Infanta Pilar de Borbón (sorella maggiore del futuro Re di Spagna Juan Carlos I). Poco prima di compiere i diciannove anni venne data in isposa al nobile José Leoncio González de Gregorio y Martí (1930-2008). Le nozze furono celebrate il 16 luglio 1955 a Mortera (in Cantabria) località di cui la nonna materna Julia Herrera si fregiava del titolo di "quinta Contessa" (la madre Carmen era morta quando Luisa aveva dieci anni).

Nel dicembre dello stesso anno 1955 (alla morte del padre) Donna Luisa Isabel venne a capo di una delle più prestigiose dinastie di Spagna risalente al 1297 (quando Guzmán "el Bueno" divenne il primo Duca di Medina Sidonia), nonchè il più antico titolo ducale reso ereditario nel 1445 per privilegio sovrano di Giovanni II per i servigi resi dal casato dei Medina Sidonia alla Corona di Castiglia.


La ventunesima Duchessa di Medina Sidonia "Grande di Spagna", ereditò inoltre i titoli di: diciassettesima Marchesa di Villafranca del Bierzo e "Grande di Spagna" (titolo concesso dalla Regina Isabella I "la Cattolica"); diciottesima Marchesa di Los Vélez e "Grande di Spagna" (titolo concesso dalla Regina Giovanna I "la Pazza"); Baronessa di Molinos del Rey ("Molins de Rei" in catalano). Fu anche "la ventinovesima"
Contessa di Niebla (fino a che non cedette questo titolo nobiliare al proprio primogenito).

Inoltre erede di antichi titoli nobiliari del Regno di Sicilia quali: Principessa di Montalbano e Principessa di Paternò, Contessa di Sclafani, Contessa di Adernò, Contessa di Caltabellotta, Contessa di Caltanissetta, Contessa di Caltabuturo, Contessa de Collesano, Marchessa di Calatafimi, Baronessa di Centorvi e Baronessa di Biancavilla (nonchè quindicesima Duchessa di Fernandina: attualmente "Ferrandina" in Provincia di Matera, Basilicata).
Ma con nessuno di una tal caterva di arcaici titoli assurse all'onore delle cronache: divenne celebre nel mondo intero con l'appellativo di 'Duquesa Roja' ovvero di "Duchessa rossa" per le sue pubbliche prese di posizioni "non convenzionali" nella Spagna franchista.

Residenza "principe" dei Medina Sidonia era il Palazzo Ducale della cittadina andalusa di Sanlúcar de Barrameda (Cadige) località in cui la duchessa (dai suoi concittadini popolarmente chiamata "La Duquesita") ha partorito i suoi tre figli: Leoncio Alonso González de Gregorio y Álvarez de Toledo (1956), María del Pilar Leticia e Gabriel Ernesto .

La diciannovenne e neosposa duchessa cominciò ad interessarsi del riordino dell'immenso patrimonio archivistico dei propri avi conservato nell'antico maniero di Sanlucar.
Dopo soli quattro anni di convivenza more uxorio , nel 1960 la duchessa si separò dal González de Gregorio anche se l'effettiva sentenza di divorzio si ebbe solo nel 2005.

Si andava, pertanto, diffondendo la fama di donna eccentrica della duchessa "tre volte Grande di Spagna", nomèa alimentate dal suo ostentare, oltre a sentimenti filantropici verso il proletariato, un portamento ed un vestire alla stregua dei suoi contadini. Contadini ai quali, oltre che a favorirli economicamente, cominciò a donare appezzamenti delle proprietà ducali, e progettava per loro la creazione di cooperative rurali.
Similmente si appassionava per le condizione economiche dei pescatori di Sanlucar de Barrameda alla testa dei quali nel 1964, abbigliata anch'essa a guisa di pescatore, guidò uno sciopero non autorizzato che le costò l'arresto ed il carcere che avrebbe potuto evitare pagando una multa, ma la ventunesima duchessa di Medina Sidonia rifiutò.

Il 17 gennaio 1967 nei cieli dell'Andalusia, durante un rifornimento in volo, avvenne la collisione tra due aerei militari statunitensi; un bombardiere B-52 che trasportava quattro bombe all’idrogeno con un aereo cisterna Kc-135; il boccaglio del braccio per il rifornimento dell’aereo cisterna urtò il bombardiere squarciandone la fusoliera che, a sua volta, colpendo l'aereo cisterna provocava l'esplosione in volo dei due veicoli e la morte di sette militari, mentre le quattro bombe atomiche cadevano sulla località costiera di Palomares de Almeria. Nell'impatto al suolo, due delle tre bombe H cadute sulla terra ferma, innescarono liberando complessivamente tre chili di plutoni; la quarta cadde in mare e quando ottanta giorni dopo fu ripescata -con ingentissimi sforzi della marina americana- dava anch'essa evidenti segnali di radioattività.

Mentre le autorità franchiste stavano tentavano di occultare o quantomeno sminuire la portata degli avvenimenti, la duchessa, riuscendo ad entrare nella zona interdetta grazie al privilegio del passaporto diplomatico vide con i propri occhi la vastità dei danni: si è poi stimato che mille e quattrocento tonnellate di terreno contaminato furono portati successivamente negli Stati Uniti per essere stoccati in appositi depositi di materiale nucleare; circa un'ottantina di cittadini di Palomares furono vittime delle radiazioni:

"Sono arrivata all’accampamento degli americani e ho visto tutti i bidoni di terra che stavano raccogliendo perché la terra era contaminata. Ne avevano levato un metro o forse più. Mi sono fatta riaccompagnare da una guardia civile che mi ha raccontato tutto.
Le persone del villaggio mi hanno chiesto di raccontare la verità all'esterno, alla stampa. Mi hanno dato anche una lettera. Sono andata a Madrid , dove conoscevo molti giornalisti e ho telefonato a molti corrispondenti dicendo che avevo l’autorizzazione della gente di parlare dell’accaduto.
Ho parlato con le autorità spagnole. Dovevano far arrivare 1 milione di dollari dall’America ma sembrava che ci fosse un problema burocratico. Allora ho chiesto di emettermi un certificato che dimostrasse che non erano stati contaminati. Il Capitano mi disse che non poteva emettere questo documento.
"Allora metteteli in quarantena e curateli" gli ho detto.
Ormai il male era fatto: "Almeno evitate che la situazione peggiori.
Se le autorità non mi ascoltano sono costretta a fare uno scandalo!"


Le sue pubbliche "sollecitazioni" al governo franchista per concedere indennizzi ai contadini i cui terreni erano stati irrimediabilmente contaminati culminarono, pertanto, un anno dopo, nel 1967, quando organizzò e capeggiò una pacifica manifestazione -oviamente non autorizzata- della popolazione di Palomares.
Fu arrestata, processata e condannata.
Il tribunale, in ossequio al suo rango, le aveva offerto il proscioglimento da ogni accusa in cambio di un suo pubblico "atto di pentimento" ma Donna Luisa preferì il carcere.
Scontò otto mesi di carcere dal marzo al novembre 1969 prima di uscire grazie ad un acconcio decreto legge di amnistia.
Nel frattempo un suo romanzo autobiografico "La Huelga" (cioè:lo sciopero) le costò nel 1968 un processo questa volta istruito presso il tribunale militare speciale che le comminò un'ulteriore condanna per avere insultato i militari e i magistrati; il libro venne proibito, circolò solo clandestinamente.
Nei suoi viaggi all'estero, solitamente in Francia, acquistava i "libri proibiti" dal regime franchista come ad esempio quelli degli esistenzialisti e dei marxisti, anche grazie al suo status diplomatico, riusciva a far passare alla dogana spagnola con lo stratagemma di coprire le opere proibite con le copertine di romanzi pornografici.
Scrisse e cercò di pubblicare "Palomares", un suo reportage sui noti eventi ma le rimandarono indietro la bozza del libro tutta completamente censurata per mano di Francisco Franco in persona!

Nell'anno 1970 a causa della sua attività politica con un atto giudiziario fu dichiarata "instabile" e le venne tolta la patria potestà dei figli mentre il marito José Leoncio Gonzales de Gregorio Marti ufficializzava la richiesta di divorzio. In questo frangente, in via confidenziale, ebbe notizia che un ordine di arresto per violazione della legge sulla censura era già pronto e che la attendeva una condannata a ventiquattro anni di prigione; in sole ventitrè ore -e in modo oltremodo picaresco- riuscì a passare i Pirenei.

Auto-esiliatasi in Francia, a Hesparren per oltre sei anni, si mantenne scrivendo articoli per giornali come "Le Monde" e "Liberation", denunciando la propria esperienza della dittatura franchista. Divenuta la beniamina dell'intelighenzia filocomunista con l'appellativo di "duchessa rossa", Luisa Alvàrez dovette pubblicamente schermirsi:
"Se avessi vissuto in uno stato comunista, avrei dovuto accettare tutta una serie di cose che non accetto: la perdita della libertà di espressione, di stampa, di raduno - proprio quelle privazioni contro le quali combatto nel mio paese".
La "tre volte Grande di Spagna" definiva la propria lotta politica: un "dovere repubblicano", fu pertanto una storica aderente al Partito Socialista spagnolo (PSOE) e riferendosi a Sua Maestà Juan Carlos era solita apostrofarlo come "El señor Borbòn". Amava dire:
"Se fossi nata in un paese libero, non avrei dovuto interessarmi di politica. Ma è stata una grande responsabilità essere spagnola".

Nel 1975, alla morte del Caudillo Francisco Franco, sul suo capo pendevano tutta una serie di condanne -a causa della sua attività antifranchista fatta all'estero- per le quali avrebbe dovuto scontare quarantaquattro anni di carcere!

Appena tornata in Spagna nel 1976 fu condannata a sei mesi di arresti domiciliari da scontarsi nel proprio maniero di La Montera per aver insultato una "guardia civil" subito dopo aver attraversato la frontiera.

Ritiratasi nella propria atavica magione andalusa di Sanlucar de Barrameda compose le novelle "La base", "La cacería" e in inglese "My prision", ispirandosi alla propria biografia politica; opere che in Spagna non trovarono nessun editore disposto a pubblicarle.

Si dedicò, pertanto, agli studi storici, in collaborazione con l'Università di Cadiz e il Dipartimento di Educazione dell'Andalucia, intorno alla storia del proprio casato ed alla catalogazione dei circa sei milioni di documenti conservati nell'archivio storico dei Duchi di Medina Sidonia: il più grande e antico fondo archivistico privato d'Europa. Ma anche per il sonnacchioso mondo accademico Luisa Isabel divenne un personaggio scomodo e degno di censure per la sua volontà di "revisionismo" della gloriosa storia patria.


Nel 1992 la Duchessa volle dare il proprio contributo alle celebrazioni per i cinquecento anni della scoperta dell'America col saggio: "Historia de una conjura" (storia di una congiura) cui seguì poco dopo un ulteriore tomo: "No fuimos nosotros" (Non siamo stati noi). Infatti, la tesi propugnata bellamente dalla duchessa, dopo aver scartabellato per anni le carte segrete dei propri avi, è che la scoperta dell'America sarebbe stata solo una farsa ed il frutto di una incrociata macchinazione politica:
"Per quanto ne sapeva la regina, Colombo veniva da Lisbona e faceva il tipografo. La regina aveva bisogno di qualcuno che non fosse spagnolo, che non avesse relazioni, che avesse un aspetto adeguato e che conoscesse molto poco la navigazione." Ebbe così a dichiarare (in una intervista televisiva)

L'attenzione della Duchessa (i cui avi erano i feudatari di quel porto di "Palos" da cui partirono le caravelle di Cristoforo Colombo) fu destato da un documento: "sul quale c'è scritto che la Corona mette a disposizione di Cristoforo Colombo 3 imbarcazioni per andare in un luogo assolutamente sconosciuto. Però si sapeva che il viaggio sarebbe durato 6 mesi. Colombo, infatti, si impegna a servire 2 mesi gratuitamente, mentre gli verranno pagati i restanti 4 mesi di viaggio.
Nel 1493, quando Colombo va a Barcellona, la Regina lo nomina Capitano Generale delle Indie e gli vieta di andare, nel suo prossimo viaggio, nelle miniere in possesso del Portogallo. Dunque, sia prima che dopo il 1492 sapevano esattamente dove erano le miniere.
E dovevano essere necessariamente in America. Se fossero state in Senegal, come ci raccontano, Colombo non ci poteva andare con le Caravelle"

Quindi da molto tempo prima della scoperta "ufficiale" -addirittura da secoli, secondo la XXI duchessa di Medina Sidonia!- le colonne d'Ercole erano attraversate pacificamente non solo da spagnoli e portoghesi, ma anche da inglesi ed addirittura dai turchi!
La duchessa considerò una prova indiretta della bontà della sua teoria il fatto che l'imperatore Carlo V nel 1536, cioè in seguito allo scisma anglicano di Enrico VIII, diede l'ordine di distruggere tutte le mappe e le carte nautiche sia pubbliche che in mano a privati: bisognava fare tabula rasa e creare nuove carte geografiche per convalidare l'idea di una scoperta "ex novo" da parte degli spagnoli (nonchè cattolici romani). Tra le pochissime che si salvarono, e che è giunta fino a noi, la prima mappa del nuovo mondo eseguita per i Re Cattolici dell'anno 1500 da Juan de la Cosa in cui si vede tracciato il contorno del Golfo del Messico e della Florida, ufficialmente scoperti successivamente.

Per Luisa Isabel Alvarez, molto prima che il neoeletto Papa Borgia nel 1493 ratificasse la suddivisione delle nuove terre tra spagnoli e portoghesi, già Papa Marino V era intervenuto nella contesa per le miniere d'oro "d'oltremare"! La Santa Sede aveva concesso ai portoghesi le terre chiamate di Guinea; la guerra che ne seguì si concluse nel 1480 quando Portogallo e Castiglia firmarono il trattato di Alcaçovas-Toledo, mediante il quale veniva rispettata l'esclusiva portoghese in Guinea e veniva riconosciuta la sovranità castigliana sulle Canarie.
Per la "Duchessa rossa" in realtà la guerra non era scoppiata per la colonizzazione della Guinea ma del Brasile!

In un documento indirizzato agli avi della Duchessa e risalente al 1475 Isabella la Cattolica dava istruzioni per recarsi nelle miniere d'oro di Guinea in cerca di schiavi, oro e "manegueta". Manigueta è parola portoghese per indicare comunemente il "peperoncino", ortaggio che secondo la storiografia ufficiale sarebbe potuto giungere in Europa solo diciassette anni dopo!
Quindi sia gli spagnoli che i portoghesi utilizzavano i nomi di luoghi presenti sulla costa africana per indicare anche località al di là dell'Oceano, sulle coste americane.

Nel saggio "Africa Versus América. La fuerza del paradigma" la duchessa argomenta la tesi secondo cui le miniere del sud America erano conosciuto sin dall'epoca dei Fenici, nonchè dai sovrani mussulmani di Spagna e Marocco poichè -secondo la duchessa- da Capo Vede anche la meno attrezzata delle imbarcazioni spinta dai venti Alisei in quindici giorni giunge infallibilmente in Brasile!
Secondo una tale ricostruzione prima della spartizione "ufficiale" fatta dal papa spagnolo Alessandro VI Borgia: "Ciò che gli antichi chiamavano Africa era in verità America. Tra i 16 gradi Nord e i 16 gradi Sud veniva tutto considerato come Africa".
"Gli storici credono che le miniere d'oro di cui si serviva l'Europa stavano tra il Marocco e la Guinea, però lì non c'è oro o comunque molto meno della quantità necessaria per supplire per secoli alle necessità degli europei"; ma la duchessa ha cercato di individuare sulla costa africana fiumi in grado di accogliere le navi dell'epoca ma "lì i fiumi non sono navigabili dalla foce verso l'interno"; perciò:"Tutte le descrizioni conducono al Brasile".
"Nel documento in cui Isabella La Cattolica invia una flotta di 35 caravelle in 'Guinea y La Mina de Oro' nomina il fiume Esclavios riferendosi in realtà al fiume Marañón in Brasile, dove vivevano negri e d inoltre a Recife si trova una finestra di stile moresco che dovrebbe far meravigliare gli storici".

L'opera "Africa versus America" è statta pubblicata grazie alla "Junta islamica" ovvero l'associazione ufficiale dei mussulmani di Spagna poichè arcinoto era il filoarabismo della duchessa nonchè la sua opposizione al perdurante protettorato spagnolo delle due enclave marocchine di Ceuta e Melilla, tanto è vero che nel 2000, quando si recò in visita al Re del Marocco, Mohammed VI la accolse con i massimi onori.

Nonostante il premio "Pricipe delle Asturie" per meriti culturali accordatole nel 2007, e ricevuto per le mani del medesimo Principe Felipe, per il mondo accademico lei e le sue teorie furono considerate "eccentriche" e la loro diffusione negli ambienti universitari ostacolata, fino alla fine.


E spirata all'età di 71 anni la sera del venerdì 7 marzo 2007 -Venerdì di Passione-nel suo Palazzo Medina-Sidonia di Sanlucar de Barrameda, sede dei suoi preziosi archivi e della Fondazione per gli studi storici, creata nel 1990, e per la quali ha speso la gran parte di ciò che rimaneva delle sue avite sostanze.

Nel 2005 la duchessa aveva modificato gli statuti decretando che alla propria morte la presidenza della "Fundacion Casa Medina Sidonia" andasse alla propria teutonica segretaria Liliana Maria Dahlmann, affidandole la gestione di tutti gli archivi storici dal Cinquecento in poi, e inoltre, concedendo a colei che è stata per un ventennio la sua "dama di compagnia", l'uso vitalizio di quel palazzo ducale che nel 1978 fu dichiarato dallo Stato "monumento histórico artístico".
Liliane Maria Dahlmann era giunta a Sanlucar per la prima volta nel 1983 in qualità di amica della sposa al matrimonio di Don Leoncio González de Gregorio, il primogenito di Donna Luisa.

Donna Luisa Alvarez e spirata, probabilmente a causa di un cancro ai polmoni, non prima però di usufruire della possibilità del voto postale per esprimere nuovamente il proprio suffragio per il primo ministro Spagnolo il socialista Josè Luis Rodriguez Zapatero.
Poche ora prima di morire, alla presenza della socialista Irene Garcìa, la alcaldesa (cioè la sindachessa) di Sanlucar, la "tre volte Grande di Spagna" ha sposato civilmente Liliana Maria Dahlmann.

La cinquantenne "vedova" vivrà nel palazzo di Sanlùcar sino alla morte, poi la proprietà andrà allo Stato in base alle disposizioni testamentarie della ventunesima Duchessa, disposizione questa certamente non condivisa dal ventiduesimo Duca di Medina Sidonia e dai suoi fratelli.

Il terzogenito Don Gabriel Ernesto, ricevuta la ferale notizia, si è così espresso:
"Mia madre per me è sempre stata un incubo. Abbiamo dovuto fare di tutto per bloccarla quando ha cominciato a regalare porzioni di terreno del palazzo di Medina Sidonia alla povera gente che ci viveva intorno, e alla fine ci siamo riusciti. Ma mia madre non ci ha mai perdonato di aver vinto la causa con la quale volevamo impedirle di dare via la proprietà.
Poi, quando Miss Dahlmann arrivò in Spagna dalla Germania e loro due diventarono amanti, mia madre aderì ad un gruppo di lesbiche radicali.
Quando ho scoperto che aveva sposato la sua segretaria in articulo mortis, ho pensato che era tipico di lei."

La messa esequiale è stata celebrata domenica 9 marzo 2008 nella Chiesa parrocchiale di "Nuestra Señora de la O".
La salma, che i comunicati uffiali affermavano sarebbe stata tumulata nella cappella di famiglia nel cimitero di Sanlucar de Barrameda, in realtà, in ossequio alle disposizioni testamentarie, è stata cremanata e le ceneri sparse per i giardini del Palazzo ducale dei Medina-Sidonia.

UNA PRECE

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