giovedì, agosto 21, 2008

Historia Ecclesiastica Anglorum, VII

Ovvero: da «La Montagna dalle Sette Balze»,
l'autobiografia spirituale di Thomas Merton.


"Studiavamo Cicerone e storia d'Europa, storia del secolo diciannovesimo, riversando su Pio Nono una certa misura di freddo disprezzo. Nei corsi d'inglese leggevamo La Tempesta, Il Racconto della Priora e Il Racconto del Penitenziere.
Buggy Jerwood il cappellano tentava di insegnarci la trigonometria. Con me non ebbe successo.
A volte tentava di insegnare anche un po' di religione, ma neppure qui aveva successo.
In ogni modo il suo insegnamento religioso consisteva in genere in osservazioni morali più o meno vaghe, in un'oscura mescolanza di buona educazione britannica e delle sue idee preferite in fatto di igiene personale. Tutti sapevano che la sua lezione sarebbe terminata con una dimostrazione pratica di qualche particolarità del canottaggio, egli si sarebbe seduto sulla cattedra per mostrarci come si maneggia un remo.
Non si faceva canottaggio a Oakham dato che non vi erano corsi d'acqua, ma ai suoi tempi, il cappellano era stato uno degli «azzurri» di Cambridge. Era un uomo alto, forte e di bell'aspetto, con i capelli appena un pò brizzolati sulle tempie, una larga mascella britannica e una vasta fronte liscia e frasi quali «Io sto per il gioco leale e per il vero spirito sportivo.»

Il suo sermone più noto era quello sul capo tredicesimo della Prima Lettera ai Corinti, che è in realtà un passo meraviglioso. Ma la sua esegesi era un po' strana, tipica però di lui e in un certo senso di tutta la sua Chiesa.
L'interpretazione di «Buggy» della parola «Carità» in questo brano (e anche in tutta la Bibbia) era che essa significasse semplicemente: «tutto ciò che s'intende quando si chiama qualcuno "gentleman"». In altre parole, la "carità" significava vero spirito sportivo, cricket, cose pulite, l'indossare abiti adatti, il non essere volgare nè maleducato.
Eccolo, ritto sul pulpito disadorno, levare il mento sopra quelle file di ragazzi in giacca nera e dire: «Si potrebbe rileggere questo capitolo di san Paolo e sostituire addirittura la parola "gentleman" ogni volta che si trova "carità".
Anche se parlassi con tutte le lingue degli uomini e degli angeli, se non sono un "gentleman", non sarei che un bronzo sonante e un tamburo squillante... Il "gentleman" è paziente e gentile;
il "gentleman" non invidia, non agisce con perversità, non è vano...
il "gentleman" non si smentisce mai... » E così via.
Non voglio ora accusarlo di terminare il capitolo con l'osservazione: «Rimangono ora la fede, la speranza e la "gentlemanliness", la "gentlemanliness" è la maggiore... »; sebbene questa fosse la conclusione logica del suo ragionamento.
I ragazzi ascoltavano con tolleranza simili teorie.
Ma credo che San Pietro e i dodici Apostoli sarebbero stati piuttosto sorpresi nell'apprendere che Cristo era stato flagellato e percosso dai soldati, insultato e incoronato di spine, sottoposto a indicibili umiliazioni e finalmente inchiodato alla Croce e lasciato là morire dissanguato perchè noi tutti potessimo diventare «gentleman».

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