domenica, dicembre 20, 2009

Ecclesia Dei afflicta, V

Sive: Pascendi Dominici graegis


Sapido saggio di ecclesiologia offerto dal cardinale Godfried Danneels, l'Eminentissimo Primate del Belgio sul viale del tramonto, estratto dall'intervista rilasciata a Gianni Valente per il numero di Ottobre/novembre 2009 della benemerita rivista "30 Giorni":


Lei proprio quest’anno ha avuto modo di celebrare i 450 anni dalla fondazione della sua diocesi. Così la sua vicenda personale di arcivescovo ha avuto modo di incrociare i tempi lunghi della vita della Chiesa. Nei suoi discorsi, all’inizio delle celebrazioni giubilari, ha anche valorizzato la scelta del Concilio di Trento di istituire diocesi più piccole.
DANNEELS: Dal Concilio di Trento in poi c’è stata la scelta di diminuire l’estensione delle diocesi e fare diocesi più piccole, per favorire la prossimità. La mia arcidiocesi ancora adesso è abbastanza grande, ma prima lo era ancora di più: anche Anversa faceva parte di Malines-Bruxelles. Mi sembra importante, soprattutto adesso, nelle circostanze attuali, in cui la Tradizione sembra dissiparsi. Il pastore deve conoscere un po’ il suo gregge.

Lei, di questa prossimità, quale esperienza ha avuto? DANNEELS: I momenti più importanti sono sempre stati quelli vissuti andando il sabato sera e la domenica mattina in parrocchia, dove la gente va alla messa, per celebrare la liturgia eucaristica con loro, impartire le cresime, e poi rimanere lì a parlare per un’oretta. L’ho fatto per trent’anni. Per me è stata la cosa più confortante. Così ho sperimentato la comunione del vescovo con la sua Chiesa. Si prega insieme, c’è la liturgia, l’omelia, si celebrano i sacramenti. In questa realtà ordinaria della vita delle parrocchie, dove la Chiesa si raggiunge facilmente, fa parte del vicinato, e non bisogna fare percorsi complicati per raggiungerla e prender parte alla vita di fede. Dove magari vai e non trovi “truppe scelte”, persone dotte e sottili ragionatori, ma solo anziani, donne e bambini, qualche poveretto. Come accadeva già a san Paolo, che scrive ai cristiani di Corinto: tra di voi non ci sono molti sapienti secondo la carne, molti potenti, molti nobili. Ma è stato Dio stesso a scegliere i piccoli e i poveri, perché «nessun uomo possa gloriarsi» davanti a Lui. Per questo è il popolo che col suo sensus fidelium porta la Chiesa, e non il clero.


Questa prossimità ordinaria, questa raggiungibilità della Chiesa, tanti la sperimentano quando vanno a chiedere il battesimo per i propri figli piccoli. Lei, di recente, ha spiegato che in questa pratica non è in gioco solo il rispetto delle consuetudini.
DANNEELS: Quando Tertulliano ha detto a un certo punto della sua vita che non si sarebbero più battezzati i bambini, che chi voleva il battesimo doveva aspettare di diventare adulto, Roma ha risposto: no, perché è stato Gesù stesso a dire agli apostoli: «Lasciate che i piccoli vengano a me». L’argomento fondamentale a favore del battesimo dei bambini è che lo chiede Gesù stesso. Mi pare importantissimo. La presenza dei bambini battezzati nella Chiesa è una ricchezza che non possiamo mai dimenticare. È una grazia e un privilegio immenso, quello di vivere già dalla prima infanzia in un’atmosfera di preghiera, ma anche di culto, partecipando alla messa. [...]
DANNEELS:Il battesimo dei piccoli mostra fino a che punto la Chiesa crede che il venire alla fede è l’opera di Cristo in noi. E nello stesso tempo manifesta che la Chiesa è il luogo dove i piccoli e i poveri hanno il primo posto. La Chiesa non è un’assemblea di perfetti, tutti consapevoli e autonomi. Non è una riserva d’élite. Spesso noi crediamo che l’opera di Dio in noi si misuri in base al grado di consapevolezza che ne abbiamo: quanto più noi saremo consapevoli, tanto più la grazia potrà impregnarci. Ma non è così che funziona. Il lavoro della grazia non si manifesta in una presa di coscienza psicologica. La grazia precede la coscienza, e non ne è condizionata. Dio ama la sua creatura così com’è, cosciente o meno. Lui sa come lavorare le anime, anche quelle di chi non ne è consapevole. Quella del bebè come quella del moribondo o del malato terminale che ha perso coscienza. Solo la volontà malvagia prova a fare resistenza alla grazia. Non l’incoscienza innocente. E poi, chi può resistere alla mano di Dio, quando Lui ci vuole attirare a sé? Paolo, con tutta la sua volontà negativa, non è riuscito a resistere, alle porte di Damasco.
[...]
DANNEELS: La Chiesa ha bisogno di sant’Agostino. Che dice che la grazia fa tutto. Anche noi dobbiamo collaborare. Ma è Dio che opera, e noi cooperiamo. Invece ci siamo votati troppo a un certo pelagianesimo, pensiamo che le cose in fondo dipendono da noi, e che ci basta solo un piccolo aiuto da parte di Dio. E così neghiamo l’onnipotenza della grazia.
Proprio come succedeva ai tempi di Agostino.

Questa tentazione dove l’ha vista affiorare, nella Chiesa?
DANNEELS: Negli anni Sessanta e Settanta, questa tendenza ha assunto un colore più politico. Molti avevano in mente di realizzare il Regno di Dio inteso come rivoluzione sociale. Adesso, alcuni della Teologia della liberazione sono passati a fare l’ecologia. Sono gli stessi combattenti, hanno solo cambiato armamentario… Poi, negli anni Ottanta e Novanta, è prevalso un certo modo di interpretare l’evangelizzazione come impresa della Chiesa, come frutto del suo protagonismo nella società.
Oggi la stessa tendenza un po’ pelagiana ha assunto forme più restauratrici. Ci sono quelli che dicono: dopo il Concilio c’è stato un certo smarrimento, si sono dissipate tante cose buone, ma adesso ci pensiamo noi a rimettere a posto le cose, a raddrizzare il cammino. Chiamano sempre in causa cose essenziali: la liturgia, la dottrina, l’adorazione eucaristica… Ma a volte, nei loro discorsi, queste cose sembrano solo parole d’ordine di un nuovo corso, usate come bandiere. Cambiano gli slogan, ma la linea di fondo rimane sempre la stessa.

Quale?
DANNEELS: Siamo sempre tentati di fare da noi stessi. Prima nell’Azione cattolica, e dopo nei movimenti. Prima nel rinnovamento conciliare, e adesso nella restaurazione. Gli attori siamo sempre noi. Rimandiamo sempre a noi stessi: guardate me, come faccio bene le cose. Invece non serve a niente essere un grande predicatore, se l’attenzione del mondo si ferma sul predicatore. Vedere l’uomo di Chiesa non conta nulla, anzi, quell’uomo di Chiesa fa da schermo se dietro di lui non s’intravvede Gesù. San Paolo dice: potreste avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti padri. Ecco, questo è un tempo in cui ci sono tanti pedagoghi che parlano a nome di Cristo, danno lezioni a tutti nel nome di Cristo, ma non danno la loro vita. Non sono padri in Cristo, perché non sono figli.

Vorrei farle qualche domanda su questioni specifiche. Come ha vissuto dal Belgio la liberalizzazione dell’uso del Messale di san Pio V?
DANNEELS: Tutti i riti sono buoni quando sono riti cattolici. Ho sempre pensato che attraverso le disposizioni di tolleranza liturgica contenute nel motu proprio Summorum pontificum, il Papa abbia voluto mostrare la sua disponibilità affinché tutti i tradizionalisti rientrino nel seno della Chiesa cattolica. Non sono sicuro che sia sufficiente a risolvere la questione, perché il problema coi lefebvriani non è il rito, il problema è il Concilio Vaticano II.
La questione della liturgia è come la locomotiva. Bisogna vedere cosa c’è dentro i vagoni che essa trasporta."

1 commento:

Duque de Gandìa ha detto...

Godfried Danneels, primate del Belgio, che si sta preparando a lasciare la cattedra di arcivescovo di Malines-Bruxelles, non è quell’incapace che certe osservazioni potrebbero far credere. E’ solamente una persona del tutto inadeguata alla situazione schiacciante nella quale si è trovato a dover operare.
Nato a Kanegem nelle Fiandre, il 4 giugno 1933, sacerdote dal 1957, laureato in filosofia, dottore in teologia presso l'Università Gregoriana, ha insegnato presso il Seminario di Bruges, divenne vescovo di Anversa nel 1977 e arcivescovo di Malines -Bruxelles nel 1979 (nello stesso momento in cui Jean-Marie Lustiger venne nominato vescovo di Orleans, per essere promosso poi, nel 1981, arcivescovo di Parigi).
Godfried Danneels prese il posto di Leon-Joseph Suenens (seguendo l’uso – che non è legge – di un primate francofono dopo uno fiammingo). E nel 1983 divenne cardinale della Chiesa romana. Naturalmente presidente della conferenza episcopale belga. In realtà è stato originariamente segnalato come un prelato wojtyliano e destinato a influenzare la linea disastrosa del suo predecessore montiniano, il cardinale Suenens. I suoi rapporti con il Cardinale Ratzinger sono stati inizialmente cordiali: il cardinale di Malines, teologo ritenuto affidabile, era stato nominato membro della Congregazione per la Dottrina della Fede. Ma questa fiducia, che occupava un posto importante nelle relazioni con Ratzinger, si è rapidamente deteriorata, anche perché Godfried Danneels, molto attento a non ferire nessuno, pronto a modificare la propria linea in funzione dei suoi interlocutori, pur senza essere un uomo falso, è potuto apparire ambiguo davanti al Prefetto del Sant'Uffizio.

...

E’ del tutto comprensibile come nel 2005 si pose deliberatamente, durante la preparazione del conclave, dalla parte dell’alleanza anti-Ratzinger. Ma quale spiegazione dare al fatto della sua reazione indispettita dopo l'elezione di Benedetto XVI, quando rifiutò l'invito, com’è nella tradizione, del nuovo Papa a condividere il suo tavolo il giorno dopo il conclave? Godfried Danneels aveva forse accarezzato il sogno di applicare alla Chiesa Universale il modello belga? Davanti a una bambina di undici anni che, dopo il suo ritorno da Roma, gli chiedeva, per un giornale dell’infanzia dell’emittente pubblica fiamminga VRT, a proposito del nome che avrebbe scelto se fosse stato eletto Papa, si lasciò sfuggire questa risposta ingenua "Mi sarebbe piaciuto essere Giovanni XXIV!"
http://blog.messainlatino.it/2009/12/cattolicesimo-belga-in-stato-di_24.html#links