Ovvero: amplissimo estratto dalla parte conclusiva della "lectio" intorno ai fondamenti antropologici della lettera enciclica "Caritas in veritate" che l'Eminentissimo Camillo Ruini ha tenuto, in quella che fu la sua Arcibasilica Lateranense, la sera di lunedì 8 febbraio 2010:
"L’Enciclica Caritas in veritate costituisce [...] un grande appello anzitutto ai credenti in Cristo, ma anche a tutti coloro che condividono la centralità della persona umana e l’assoluta non riducibilità del suo essere e del suo valore a tutto il resto della natura. Un appello che ha alla base, insieme alla centralità del soggetto umano e alla sua dignità inviolabile, il legame inscindibile tra carità e verità, con la conseguenza che un cristianesimo di carità senza verità diventa fatalmente marginale nel divenire concreto della storia. Il contenuto di questo appello è orientare a favore dell’uomo la nuova fase che si sta aprendo per il fatto che l’uomo sta diventando capace di modificare fisicamente se stesso: è questo infatti il cuore della nuova “questione antropologica”.
Vorrei terminare individuando due condizioni essenziali perché un tale appello possa essere accolto e avere una reale efficacia storica.
La prima di esse ha a che fare con il processo di globalizzazione e con i mutamenti in corso nei grandi equilibri geo-economici e geo-politici, ma anche e inevitabilmente geo-culturali.La centralità della persona umana si è però affermata storicamente proprio in quelle culture che hanno la loro matrice nel cristianesimo. Sono dunque i popoli eredi di tali culture quelli che per primi hanno la responsabilità e il compito di mantenere e far fruttificare la centralità dell’uomo nella nuova fase storica che si apre davanti a noi, pur cercando, come è doveroso e necessario, di sollecitare anche le altre nazioni e civiltà ad un impegno convergente.
In particolare l’Italia ha a questo fine un ruolo peculiare tra le stesse nazioni europee, ruolo fortemente sottolineato da Giovanni Paolo II, ad esempio nella Lettera ai Vescovi italiani del 6 gennaio 1994, dove scriveva: “All’Italia, in conformità alla sua storia, è affidato in modo speciale il compito di difendere per tutta l’Europa il patrimonio religioso e culturale innestato a Roma dagli Apostoli Pietro e Paolo”. Con uguale vigore Benedetto XVI, nel discorso alla Chiesa italiana tenuto a Verona il 19 ottobre 2006, sottolineava che, attraverso un atteggiamento dinamico e non rinunciatario, “la Chiesa in Italia renderà un grande servizio non solo a questa nazione, ma anche all’Europa e al mondo, perché è presente ovunque l’insidia del secolarismo e altrettanto universale è la necessità di una fede vissuta in rapporto alle sfide del nostro tempo”. Di questo compito e servizio noi italiani dobbiamo essere assai più convinti e consapevoli.
La seconda condizione per accogliere sul serio l’appello contenuto nella Caritas in veritate riguarda ognuno di noi, all’interno della situazione che ciascuno si trova a vivere.
Siamo infatti tutti corresponsabili perché la centralità del soggetto umano assuma un rilievo forte e concreto, capace di incidere sul crescente potere che l’umanità sta acquistando di modificare fisicamente se stessa, per orientare questo potere a favore dell’uomo, considerato in ogni singola persona e in ogni fase della vita sempre come fine e mai come mezzo. In pratica, responsabilità e impegno sono richiesti agli scienziati, ai medici e agli altri operatori sanitari, ma ugualmente agli uomini della cultura e della comunicazione sociale, anzi, ad ogni persona che pensa e agisce, perché la cultura reale di un popolo è fatta dalle convinzioni e dalle scelte che tutti compiono ogni giorno.
Grandi sono, inoltre, le responsabilità dei politici, legislatori e amministratori, ma di nuovo, in un paese democratico, anche di ogni cittadino chiamato a compiere le proprie scelte politiche. E ancora molto dipende da chi può guidare o condizionare gli enormi interessi economici che spesso stanno dietro al lavoro degli scienziati e dei tecnici: anche qui le scelte quotidiane delle persone e delle famiglie hanno però, in concreto, un peso non trascurabile.
Finalmente, una specifica responsabilità riguarda noi sacerdoti e vescovi, i religiosi e le religiose, ciascun credente che intende essere testimone e missionario della fede nel Dio amico dell’uomo."
1 commento:
© Copyright Panorama, 12 febbraio 2010; Parola di Giuliano Ferrara:
"...Nel 1985, sette anni dopo la sua elezione, Karol Wojtyla a Loreto scosse la sonnacchiosa Chiesa italiana con un memorabile discorso, e fu l’era Ruini. Il mandato era chiaro: basta burocrazia, basta modestia, l’annuncio cristiano va portato al cuore della secolarizzazione italiana, deve porre al suo centro la rivoluzione antropologica contemporanea, l’insignorirsi da parte dell’uomo del tema della vita, l’ambizione faustiana a «farsi da sé», e la Chiesa ha da accamparsi nella società, in quello che in seguito comincerà a essere chiamato lo spazio pubblico, rivendicando titolo e potere di iniziativa su questioni eticamente cruciali, che diventeranno, nella rigorosa definizione teologica di Joseph Ratzinger e poi di Benedetto XVI, «principi non negoziabili».
Sappiamo tutti che la conseguenza di quel gesto di governo e di visione del tempo e dei suoi segni fu notevole, e che l’Italia, sotto la guida episcopale di un cardinale, Camillo Ruini, tra i maggiori del Novecento, diventò il laboratorio vivace di una nuova presenza della fede, dei movimenti carismatici, della cultura e del pensiero cristiani nell’Occidente europeo.
Senza quella svolta, che fu poi ingigantita dal ruolo crescente e globale del Papa guerriero, impegnato nella battaglia al comunismo ed estensore dell’Evangelium vitae, anche la successione di Ratzinger sul soglio di Pietro sarebbe stata probabilmente impensabile.
È umano che il salesiano e leale e saltabeccante Bertone voglia riaffermare quasi ogni giorno che comanda lui, ma non bisogna mai eccedere, pena il rischio di una certa rozzezza.
Qual è infatti il mandato che gli ha affidato il Papa?
Benedetto XVI non è identico al venerato predecessore, ovvio. I tempi cambiano. Una strategia di movimento nella società è da lui incoraggiata, ma entro certi limiti. Non è un trascinatore, un atleta di Dio, è un raffinato teologo felice della propria mitezza evangelica, è un uomo che ha compreso il contemporaneo, il postmoderno, e che vuole piano piano guidare la Chiesa «di minoranza» in Occidente con due chiavi di volta: la riforma liturgica, elemento decisivo di riassetto di una comunità che vacilla nelle sue fondamenta, e il magistero.
Bertone è stato scelto con il preciso mandato di mettere ordine, di dare un senso, anche attraverso misure di ricentralizzazione che incidono sullo spazio delle conferenze episcopali (strutture mai troppo amate da Ratzinger). Solo che ha interpretato il mandato dell’ordine e del centralismo in modo caotico, come una specie di nuova alleanza tra il trono e l’altare, e ha rischiato, anche per via del suo incauto battistrada dell’Osservatore Romano, di impegolarsi nel massimo disordine possibile."
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