martedì, gennaio 19, 2010

Quella Roma onde Cristo è romano [2]

Ovvero: Le "Mirabilia Urbis Romae" nel ricodo autobiografico del barnabita Padre Giovanni Semeria (1867-1931):


"...nel 1883, mettevo il piede per la prima volta nella città eterna. Avevo sedici anni; ero fresco di fervori mistici del Noviziato, lievemente infarinato di studi classici: doppiamente attrezzato per sentire la grandezza umana e divina di Roma.
Correva il mese di ottobre, sacro allora per gli studenti alle vacanza, pei Romani autentici alle magnifiche ottobrate. E realmente, se non imperversava e quando imperversava lo scirocco autunnale colle sue pioggie, risultava fulgidamente razionale l'usanza tradizionale di sudare in città durante il luglio-agosto per respirare poi l'aria fresca in campagna nel settembre-ottobre, o almeno nella seconda parte.
Anche noi studenti barnabiti si stava in campagna a Monteverde, in una villetta graziosa che oggi col resto fu incorporata alla città; allora era tutto all'intorno alberi e viti. Per raggiungerla subito dovetti, appena arrivato, traversare la parte vecchia e bassa della città dove oggi sorge sul Lungo Tevere la Sinagoga.


Ero troppo Piemontese per non essere impressionato di ciò che la vecchia Roma aveva di urtante, colle sue viuzze strette, addirittura chiassiuoli, colla sua pulizia molto ma molto relativa, colla gente tutta fuori di casa o di bottega: troppo poco Romano per sentire la grandezza dell'Urbe. Ma la Roma cristiana la sentii passando davanti alla piccola chiesetta del Crocifisso sacra agli Ebrei convertiti, la sentii traversando il Ghetto.
Anche a Torino c'era un Ghetto, ma ormai scomparso quando io ero giovanetteo: quel di Roma in quel 1883 era ancora in piena efficienza, salvo il non chiudere più all'Ave Maria le ferree porte come prima del '70.
Strano fenomeno ad ogni modo, curioso per un giovinetto un po' riflessivo, il trovare proprio nella città dei Papi un nucleo così forte e ben organizzato di Israeliti, accolti tutt'insieme con un senso di ospitalità, e una dose uguale di diffidenza.
Le persone pie recitavano percorrendo il Corso (che Corso!) di quel lurido Ghetto, il Credo. Lo recitai io pure e sentii di essere nella città della fede «che vince ogni errore»."

1 commento:

Franco ha detto...

Incantevole ...
Grazie.