sabato, maggio 27, 2006

L'aringa rosa /2

Ovvero: Dan Brown e il Calice di Fuoco.


Il misterioso "Graal" "appareve" (è proprio il caso di dirlo) nell'ultimo romanzo di Chretien de Troyes, morto nel 1190.
Il "Romain de Perceval", è un romanzo cavalleresco, non finito a causa della morte del suo autore, che narra le imprese favolose di "Perceval": giovane e casto cavaliere di re Artù (e che in Italia ci è meglio noto come "Parsifal").
Le avventure favolistiche portano il cavaliere della Tavola Rotonda al castello del Re Pescatore dove vede una sconosciuta dama tenere fra le mani un misterioso oggetto che brilla di luce propria: "d'oro puro con pietre preziose di mille specie, le più ricche e le più preziose che ci siano in terra e in mare". Questo "Graal" viene succesivamente descritto come una specie di scodella larga e profonda quanto basta ad accogliervi agevolmente un pesce miracoloso che contiene al suo interno l'ostia che giornalmente serve di nutrimento al misterioso Re Pescatore.

Quindi "graal" è il celtico nome di un antico recipiente imparentato con la grolla valdostana. L'unica differenza è che mentre la grolla è un oggetto ad alto contenuto alcolico il graal della fiaba medievale è un lussuoso recipiente ad altissimo contenuto magico. Ma a differenza del post-moderno 'Harry Potter e il Calice di Fuoco', La storia di Parsifal e del Graal è ambientata nel medioevo cristiano (ed in epoca di crociate per giunta!), per cui fu facile per la nordica fantasia popolare, identificare la magica coppa del mitico cavaliere della Tavola Rotonda con qualche taumaturgica reliquia di Gesù Cristo a cui nell'assolato medio oriente davano la caccia i pii crociati anglosassoni.
Cosa debba essere esattamente il "graal" è però un mistero pari a quello della sua presunta esistenza.
Si tratta forse del calice che Cristo usò nell'ultima cena? O è forse il contenitore usatato dalla Madonna, dalla Maddalena o da qualcun'altra delle pie donne, o da Giuseppe d'Arimateo, o forse da Nicodemo, per raccogliere il sangue che colava a terra dalla croce di Cristo? Forse entrambe le cose?
Quel che è certo è che il (a questo punto "santo") "Graal" è un 'topos' della letteratura medievale inglese, al pari della "Spada nella roccia" ( ma a nessuno è mai saltato in mente di identidicarla con la "santa" spada che servì a decapitare San Paolo o magari San Giovanni Battista).



Si può ben capire, perciò, come il solo sentire nominare il favoloso ogetto provochi un atavico solletico alle orecchie dei popoli di cultura anglosassone mentre scarso intersse è stato sempre dimostrato verso il Graal dai popoli latini che della cavalleria medievale, più che alle epiche battaglie contro i draghi, erano interessati alla figura del cavalier servente, cioè all'amor cortese per la donna angelicata che "tanto gentile e tanto onesta pare".

Ma ciò che dovrebbe attrarre la riflessione è il perchè i popoli anglosassoni, permeati dalla cultura sviluppatasi dalla Riforma protestante, continuino a sentire il fascino di una (e una sola) -presunta- reliquia, dato che è universalmente noto il disprezzo e l'istintiva avversione del Protestantesimo per il culto delle reliquie che tanto invece contraddistingue quei papisti che nei secoli si sono sollazzati e gloriati del farne collezione?

D'altro canto non si può non evidenziare che i cattoli romani ben poco hanno subito il fascino dei presunti calici di Cristo sparsi per le chiesa d'Europa.

Probabilmente perchè il culto cattolico ha sempre privilegiato l'ostia consacrata rispetto al calice del vino. La dottrina della Transustanziazione ammonisce il fedele che nel pane consacrato c'è il corpo di Cristo e tutto il corpo di Cristo compreso quindi il sangue, l'anima e la divinità. Allo stesso modo nel vino consacrato non c'è solo il sangue ma il sangue di un Gesù vivo e quindi con tutto il suo corpo anima e divinità. Ragion per cui il culto eucaristico del vino non è mai sviluppato essendo sempre stato visto come un superfluo corollario del culto dell'ostia.
L'ostia consacrata dall'alto degli ostensori dorati splende come un sole al centro della devozione privata del cattolico la cui affettività e fantasia è stimolata dal ricordo dei tanti e mirabili miracoli eucaristici. Ostie spezzate da preti increduli che sprizzano sangue; asini lasciati per giorni a digiuno e che invece di dirigersi verso la paglia vanno mansueti ad inginocchiarsi davanti all'ostia; ostie che volano in alto per sfuggire alla mano dei profanatori oppure particole consacrate rubate dai tabernacoli delle chiese e poi abbandonate e che non marciscono!Insomma, c'è poco spazio nella mente del fedele cattolico, e ancor di più scarsa devozione, verso il calice della messa anche perchè, anche dopo la riforma liturgica seguita al Concilio Vaticano II, bere al calice continua ad essere prerogativa del clero cattolico; al massimo il sacerdote da ai fedeli l'ostia inzuppata nel vino.
Invece, la prima cosa che fece Martin Lutero con la sua "Riforma" fu quella di dare da bere dal calice anche ai fedeli. La coppa del vino ha perciò nel culto protestante una centralità molto maggiore che il calice della messa cattolica.



L'idea fissa di Lutero, e di tutti gli altri riformatori protestanti, era quella di tornare alla semplicità del cristianesimo delle origini eliminando le sovrastrutture papiste, ritenute non conformi con lo spirito e la lettera dell'Evangelo. La riforma "evangelica" della "Messa" fu ritenuta, perciò, la cartina di Tornasole del "sola Fide" e del "sola Scriptura" del dogma protestante.
Il culto domenicale dei protestanti, in effetti, ha ben poco a che fare con una messa cattolica. L'eucarestia dagli evangelici è chiamata "la santa cena", cioè il ricordo dell'ultima cena di Gesù, che va commemorata nella massima sobrietà ed attenendosi scrupolosamente alle parole e ai gesti dei racconti dei Vangeli, eliminando,pertanto, i paramenti, gli inchini, le incensazioni e tutti quei giri di valzer dei preti cattolici intorno all'altare che all'occhio di Lutero e compari erano equiparati a rituali pagani. La tesi , infatti, secondo cui il Cattolicesimo altro non sarebbe che un paganesimo greco-romano camuffato è posizione antica quanto il Protestantesimo stesso, e un tale pregiudizio viene ricevuto da ogni protestane insieme col latte materno.

Il protestante che la domenica si rechi al "Culto" non trova un altare ma un tavolo (non un altare di pietra ma un tavolo di legno!)su cui si trova una grande forma di pane ed una ampia coppa di vino. Seguendo la lettera della scrittura il pastore (o la pastora) spezza il pane e lo da ai fedeli perchè se lo dividano a loro volta. Poi similmente, beve dalla coppa e poi la passa finche tutti non ne abbiano bevuto. Se la comunità che partecipa al culto è molto ampia la forma di pane sarà tendenzialmente più grande ed anche la coppa sarà una specie di zuppiera da cui attingere per riempire tanti piccoli bicchierini di plastica (che i cattolici sono invece avvezi usare per bere il caffè espresso dai distibutori automatici)e che, posti su vassoi, vengono fatti passari tra i banchi della chiesa. Ciò vuol dire che il protestante medio è assolutamente convinto che l'eucarestia sia il perpetuarsi dell'ultima cena di Gesù e che, in altro verso, egli immagini che l'ultima cena di Gesù si svolse come un culto protestante. E' proprio questo il substrato culturale su cui ha potuto fondarsi tutta la trama del "Codice da Vinci"!

Quando il professor Teabling chiede a Sophie di chiudere gli occhi e di dire cosa ci sia sul tavolo del Cenacolo leonardesco di Santa Maria delle Grazie a Milano, la risposta di Sophie per la quale il Cenacolo di Leonardo -come qualunque altra rappresentazione plastica dell'Ultima Cena- debba "per forza" raffigurare tredici uomini attorno ad un tavolo al cui centro spicchi un grosso pane e una grande coppa, è una vulgata ingenua del pietismo protestante!
Un protestante, molto prima e molto più di un cattolico, di fronte alla raffigurazione di un'Ultima Cena dove non ci sia una grande coppa, o almeno Gesù non abbia una coppa più grande degli altri commensali; mentre invece tutti e tredici hanno il loro bravo bicchiere di vetro, i loro bei piatti di ceramica; troverà subito la cosa strana, manchevole, non conforme alla sua personale ricostruzione (immaginaria) dell'Ultima Cena.



Ma il "difetto" di non raffigurare la grande coppa del vino sul tavolo dell'Ultima Cena è consuetudine di moltissimi pittori, e non solo di Leonardo da Vinci.
Il triller danbrauniano funziona perchè sottintende che solo ed unico quel genio di Leonardo si permise di dipingere quella stranezza al fine di far intuire l'oscuro segreto.

Il perchè nè Leonardo nè tanti altri pittori hanno raffigurato il calice sul tavolo dell'Ultima Cena è semplicemente perchè erano pittori cattolici che dipingevano su committenza di ecclesiastici cattolici e (come nel caso di "Mr Da Vinci") decenni prima della riforma protestante! E, per la teologia cattolica la Santa Messa non è la memoria dell'Ultima Cena a differenza del Culto dei protestanti!

La "Messa" è il "memoriale" della passione, morte e risurrezione del Signore Gesù Cristo. "Memoriale" vuol dire ricordare al fine di rendere presente, riattualizzare l'avvenimento che si commemora. Ma oggetto della riattualizzazione nel presente non è l'Ultima Cena (altrimenti il giorno festivo dei cristiani sarebbe il giovedì!) ma il "mistero pasquale" cioè l'offerta espiatoria del Figlio di Dio sulla croce per i peccati degli uomini che culmina nella risurrezione che della vittoria di Cristo sul peccato (e sulle sue conseguenze) ne è la prova.
Il rito della messa cattolica non si svolge su di un tavolo ma su un altare di pietra. E come in tutte le religioni l'altare è il luogo su cui viene uccisa cruentemente la vittima sacrificale per propiziarsi le divinità. Per la teologia cattolica tutti gli antichi sacrifici espiatori erano figura e simbolo dell perfetto sacrificio di Gesù Cristo che per la santità della vittima assume un valore eterno, per mezzo del quale tutti gli uomini possono ricevere il perdono delle proprie colpe. Nella messa, perciò, in modo incruento, mistico, ma altrettanto reale si riattualizza e si rende presente Gesù Cristo e la sua offerta a Dio Padre.

La messa, perciò, non fa memoria dell'Ultima Cena ma riattualizza il sacrificio della croce, ragion per cui il Cattolicesimo ha sempre ben distinto, all'interno della cena pasquale ebraica mangiata da Gesù e dagli apostoli prima della Passione, l'aspetto dell'istituzione dell'eucarestia (pane e vino)dall'aspetto del banchetto (agnello allo spiedo con verdure). Per cui non è necessario rappresentata l'Ultima Cena come se fosse un rito sacro.

L'aspetto di banchetto conviviale e mondanamente solenne viene soprattutto amplificato quando l'Ultima Cena è dipinta per il refettorio di un convento o monastero. Mentre se L'Ultima Cena è commissionata quale pala d'altare di qualche chiesa allora si avrà la raffigurazione di Cristo che, in atteggiamento sacerdotale, "consacra" le specie del pane e del vino mentre i discepoli assistono al miracolo della transustanziazione con un contegno pio, contrito e devoto. E qualche volta si vede persino Gesù "dare la comunione" agli apostoli che la ricevono in ginocchio, come prevedeva il rituale cattolico dell'epoca.
Si badi bene: il centro dell'attenzione è sempre riservata non al calice del vino ma al pane che ha la sembianza inconfondibile dell'ostia della messa cattolica.

1 commento:

MyWay ha detto...

interessante il tuo blog...dai uno sguardo anche al mio blog..ho cercato di fare una provocazione sul Codice da Vinci...
ciao e grazie!

unaletteradalpassato.blogspot.com