mercoledì, settembre 26, 2007

TOMUS AD RENATUM



La questione verteva:
"Sulla liceità d'una seconda via, parallela a quella cristiana, e, in caso di risposta affermativa, sulla conseguente liceità della terza"


Al riguardo ritengo -in tutta modestia- che un attento esame dei seguenti passi della Lettera di San Paolo ai Galati sia poco proficuo:

"È scritto che Abramo ebbe due figli, uno dalla schiava e uno dalla donna libera. Ora, quello dalla schiava è nato secondo la carne; quello dalla donna libera, in virtù della promessa. Tali cose sono dette per allegoria: le due donne infatti rappresentano le due Alleanze; una, quella del monte Sinai, che genera nella schiavitù, rappresentata da Agar, corrisponde alla Gerusalemme attuale, che di fatto è schiava insieme ai suoi figli. Invece la Gerusalemme di lassù è libera ed è la nostra madre."(Gal. IV,22-26)
"Ora voi, fratelli, siete figli della promessa, alla maniera di Isacco. E come allora colui che era nato secondo la carne perseguitava quello nato secondo lo spirito, così accade anche ora. Però, che cosa dice la Scrittura? Manda via la schiava e suo figlio, perché il figlio della schiava non avrà eredità col figlio della donna libera. Così, fratelli, noi non siamo figli di una schiava, ma di una donna libera."(Gal.IV,28-31)
"Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi; state dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù. Ecco, io Paolo vi dico che, se vi fate circoncidere, Cristo non vi gioverà a nulla. E dichiaro ancora una volta, a chiunque si fa circoncidere, che egli è obbligato ad osservare tutta la Legge. Non avete più nulla a che fare con Cristo, voi che cercate la giustificazione nella legge; siete decaduti dalla Grazia." (Gal.V,1-5)


La suddetta Lettera ai Galati non mi pare il testo neotestamentario più adatto per intavolare una dissertazione teologica sulla imperscrutabilità con cui opera la Grazia redentrice di Cristo, o almeno mi sarei soffermato su altri versetti più intellegibili rispetto all'allegoria tra il figlio della schiava e il figlio della donna libera!
Considererei, piuttosto, la Lettera ai Romani in cui l'Apostolo espone quasi sistematicamente la propria dottrina sul "Primato della Grazia", mentre ai Galati San Paolo scrive concitatamente denunziando non tanto la ricerca di un formalismo esteriore "giudaizzante" della propria fede in Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore ma addirittura il pericolo di mettere a repentaglio lo stesso "kerigma": "O stolti Gàlati, chi mai vi ha ammaliati, proprio voi agli occhi dei quali fu rappresentato al vivo Gesù Cristo crocifisso?". Così geme angosciato l'Apostolo che evangelizzò la Galazia e che pertanto si sente il padre nella fede di quella primitiva comunità cristiana. Le parole dell'Apostolo hanno pertanto un fine pastorale ben finalizzato e pertanto una universalizzazione delle sue argomentazioni fuori da quel precipuo contesto teologico parmi come pretendere di trovare nella Bibbia la ricetta dei carciofi "alla Giudìa"!


Le bibliche vicende di Ismaele ed Isacco non sono "cose dette per allegoria" ma è piuttosto l'Apostolo che "usa" allegoricamente la vicenda della nascita dei due popoli semitici e che pertanto la successiva storia delle "Religioni del Libro" c'entra quanto la scienza botanica ha a che fare con la metafora dell'ulivo selvatico innestato nell'ulivo buono!
Scrive Riccardo di San Vittore nel commento all'Apocalisse (che non a caso è il più allegorico dei sacri testi): “Ogni figura mostra tanto più chiaramente la verità, quanto prova più apertamente, mediante la similitudine dissimile, di essere figura e non la verità, e le similitudini dissimili conducono la nostra anima tanto più alla verità, in quanto non le permettono di rimanere in una sola similitudine”.

San Paolo, evidentemente, non stà tenendo una lectio magistralis di "Teologia della religione" nè di "Teologia ecumenica" ma stà facendo una "catechesi" anzi, direi, "catechismo" a dei fedeli cristiani ricordano loro che:
"Se qualcuno afferma che l’uomo può essere giustificato davanti a Dio dalle sue opere, compiute con le sole forze umane, o con il solo insegnamento della legge, senza la grazia divina meritata da Gesú Cristo: sia anàtema.

Se qualcuno afferma che la grazia divina meritata da Gesú Cristo viene data solo perché l’uomo possa piú facilmente vivere giustamente e meritare la vita eterna, come se col libero arbitrio, senza la grazia, egli possa realizzare l’una e l’altra cosa, benché faticosamente e con difficoltà: sia anàtema.

Se qualcuno afferma che l’uomo, senza previa ispirazione ed aiuto dello Spirito Santo, può credere, sperare ed amare o pentirsi come si conviene, perché gli venga conferita la grazia della giustificazione: sia anàtema. (Concilio di Trento)


San Paolo vede nei Galati il fondato pericolo che la fede nella promessa biblica di redenzione realizzatasi in Cristo Gesù si traduca in un rinnovato legalismo che confonde la fede nel Cristo che dona la Grazia con invece il vivere realmente nello stato di Grazia meritata da Cristo: "Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me. Non annullo dunque la grazia di Dio; infatti se la giustificazione viene dalla legge, Cristo è morto invano."
Pertanto la metafora del "figlio della carne" e del "figlio della promessa" non può essere considerato una personificazione rispettivamente del Giudaismo e del Cristianesimo (nè tantomeno della fede islamica e della fede giudaico-cristiana!) ma più propriamente una analogia tra le due modalità -una eterodossa e l'altra ortodossa- con cui si può essere cristiani!

Poichè "la Gerusalemme di lassù" che "è libera ed è la nostra madre" evocata da San Paolo è una immagine allegorica anzi "anagogica", parimenti il riferimento "alla Gerusalemme attuale, che di fatto è schiava insieme ai suoi figli" non può essere limitato ad una analisi "sociologica" poiche anche la "Gerusalemme attuale" è collocata come simbolo di una dimenzione spirituale.
San Paolo non sostiene che la Legge mosaica sia dannosa o inutile nè tantomeno fonte di peccato ma nella lettera ai Romani la chiama "Santa" essa ha il compito provvidenziale di additare al fedele il proprio peccato ed eccitarlo ad amare Dio: "Ora, noi sappiamo che tutto ciò che dice la legge lo dice per quelli che sono sotto la legge, perché sia chiusa ogni bocca e tutto il mondo sia riconosciuto colpevole di fronte a Dio. Infatti in virtù delle opere della legge nessun uomo sarà giustificato davanti a lui, perché per mezzo della legge si ha solo la conoscenza del peccato." (Romani.III,19-20)
Come spiega ai Galati, la Legge mosaica era il mezzo dell'Alleanza e non il fine:"Così la legge è per noi come un pedagogo che ci ha condotto a Cristo, perché fossimo giustificati per la fede. Ma appena è giunta la fede, noi non siamo più sotto un pedagogo. Tutti voi infatti siete figli di Dio per la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non c'è più giudeo né greco; non c'è più schiavo né libero; non c'è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù. E se appartenete a Cristo, allora siete discendenza di Abramo, eredi secondo la promessa."
Ecco pertanto che, a parer mio, protagonista vero della metafora non sono i due figli ma il padre: "È scritto che Abramo ebbe due figli".
Abramo che se è legittimamente padre (solo "carnale"?) sia di Ismaele e sia di Isacco, secondo San Paolo è pienamente vero "padre" dei cristiani proprio perchè egli credette alla promessa di Dio (realizzata da Gesù Cristo): "Noi diciamo infatti che la fede fu accreditata ad Abramo come giustizia. Come dunque gli fu accreditata? Quando era circonciso o quando non lo era? Non certo dopo la circoncisione, ma prima. Infatti egli ricevette il segno della circoncisione quale sigillo della giustizia derivante dalla fede che aveva già ottenuta quando non era ancora circonciso; questo perché fosse padre di tutti i non circoncisi che credono e perché anche a loro venisse accreditata la giustizia e fosse padre anche dei circoncisi, di quelli che non solo hanno la circoncisione, ma camminano anche sulle orme della fede del nostro padre Abramo prima della sua circoncisione" (RomaniIV,9-12).

Pertanto la diatriba paolina sulla circoncisione o la non circoncisione dei gentili convertiti a Cristo non può essere ricondotta ad una metastorica (luterana) contrapposizione tra "La libertà del cristiano" ed invece la dis-grazia della "schiavitù" alla cui sarebbero soggetti i fedeli osservanti della "Legge" che non può salvare (mosaica o maomettana che sia) poichè non mi pare che nè "il fariseo" San Paolo nè gli altri Apostoli una volta convintisi che Gesù fosse il "Christos" e il "Kyrios" abbiano smesso di ubbidire alle prescrizioni della Legge Mosaica!
"Noi riteniamo infatti che l'uomo è giustificato per la fede indipendentemente dalle opere della legge. Forse Dio è Dio soltanto dei Giudei? Non lo è anche dei pagani? Certo, anche dei pagani! Poiché non c'è che un solo Dio, il quale giustificherà per la fede i circoncisi, e per mezzo della fede anche i non circoncisi. Togliamo dunque ogni valore alla legge mediante la fede? Nient'affatto, anzi confermiamo la legge" (Romani III,28-31).

La fede nello "scandalo della Croce" conporta comunque l'ubbidienza ai comandamenti poiche: "Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Purché questa libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri. Tutta la legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: amerai il prossimo tuo come te stesso" (Galati V,13-14).

"Così adempirete la legge di Cristo" dice più oltre San Paolo e così sottolineano i Padri tridentini:
"Chi afferma che nel Vangelo non si comanda altro, fuorché la fede, che le altre cose sono indifferenti, né comandate, né proibite, ma libere; o che i dieci comandamenti non hanno nulla a che vedere coi cristiani: sia anatema.

Se qualcuno afferma che l’uomo giustificato e perfetto quanto si voglia non è tenuto ad osservare i comandamenti di Dio e della chiesa, ma solo a credere, come se il Vangelo non fosse altro che una semplice e assoluta promessa della vita eterna, non condizionata all’osservanza dei comandamenti: sia anatema.

Se qualcuno afferma che Gesù Cristo è stato dato agli uomini da Dio come redentore, in cui confidare e non anche come legislatore, cui obbedire: sia anatema."


A questo punto non ho ancora risposto all questione se vi sia una sola via o molteplici vie della Salvezza.
Per il cristiano la Salvezza è la persona di Gesù di Nazaret il quale disse "Io sono la Via, la Verità e la Vita" ed anche "Senza di me non potete far nulla"!
Per cui la più corretta domanda dovrebbe essere: sulla liceità d'una seconda via, parallela a quella cristiana nella quali si manifesti la Salvezza operata da Cristo (e, in caso di risposta affermativa, sulla conseguente liceità della terza).

Or bene, ritengo che per meditare una tale eventualità non si debba partire dall'immagine di Abramo prototipo dell'uomo di fede in Dio, ma da Adamo primogenito dei morti a causa del peccato che per San Paolo è messo in diretta relazione con Gesù "Nuovo Adamo" primogenito dei vincitori della morte e del peccato!


Il Concilio Vaticano II ha autorevolmente risposto che: "E ciò vale non solamente per i cristiani, ma anche per tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore lavora invisibilmente la grazia. Cristo, infatti, è morto per tutti e la vocazione ultima dell'uomo è effettivamente una sola, quella divina; perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire associati, nel modo che Dio conosce, al mistero pasquale.
Tale e così grande è il mistero dell'uomo, questo mistero che la Rivelazione cristiana fa brillare agli occhi dei credenti."
(Gaudium et Spes)


Invito pertanto, se si vuole prendere a maestro San Paolo, a posare lo sguardo sulla dottrina dell'unità del genere umano che è basilare al dogma del Peccato Originale, e pertanto della conseguente necessità di un Redentore universale che di fronte a Dio "ricapitoli" in se stesso ogni singolo uomo e parimenti tutto il Genere Umano.

Già ammoniva l'Apostolo:"Tutti quelli che hanno peccato senza la legge, periranno anche senza la legge; quanti invece hanno peccato sotto la legge, saranno giudicati con la legge. Perché non coloro che ascoltano la legge sono giusti davanti a Dio, ma quelli che mettono in pratica la legge saranno giustificati.
Quando i pagani, che non hanno la legge, per natura agiscono secondo la legge, essi, pur non avendo legge, sono legge a se stessi; essi dimostrano che quanto la legge esige è scritto nei loro cuori come risulta dalla testimonianza della loro coscienza e dai loro stessi ragionamenti, che ora li accusano ora li difendono. Così avverrà nel giorno in cui Dio giudicherà i segreti degli uomini per mezzo di Gesù Cristo, secondo il mio vangelo." (Romani II, 12-16)

1 commento:

L'agliuto ha detto...

Grazie di nuovo. Non merito tanto.
Siamo perfettamente d'accordo, su tutta la linea. E devo dire di aver tratto grande conforto dalla discussione che s'è accesa. Speriamo di aver offerto qualche spunto di riflessione anche a chi non è d'accordo.
Per non ripetermi, e sempre se hai tempo e voglia, ti rimando ai commenti del post in questione. Permettimi, però, di trascriverne le ultime righe.

«Infine, il Duca. Come ringraziarlo? Non mi sarei mai aspettato un intero post, sul suo blog, dedicato alla mia povera persona (qui). Ne consiglio a tutti la lettura, soprattutto dei quattro paragrafi finali. Per un cattolico, purché sia tale, non c'è nulla da aggiungere. Per chi tale non sia, ma appartenga ad una delle tre religioni monoteiste, idem. È esattamente quanto ho cercato di dire nel post che ha originato tutti questi bei commenti: il discrimine (al-furqân) non è tra giudei, cristiani o musulmani, ma tra chi crede in Cristo e chi no».

Ciao. E grazie ancora. Ipo