Era il mercoledì 19 Settembre 2007, ed era trascorsa meno di una settimana dal mille e seicentesimo anniversario della morte di San Giovanni Crisostomo "Arcivescovo di Costantinopoli", quando il sedici volte Benedetto nella consueta udienza generale volle tracciare ai pellegrini convenuti nel "Foro petriano" un breve profilo del santo Padre della Chiesa antica, essenso la Storia della Chiesa il filo conduttore scelto da Benedetto XVI per le sue catechesi del mercoledì.
Nel considerare la prima parte della vita del Santo (cioè precedente alla sua elevazione sulla cattedra costantinopolitana) descrivendo i suoi natali antiocheni; la sua formazione e vocazione sacerdotale; l'essere un così grande predicatore che gli valse l'appellativo di "Chrysostomos" ovvero "Bocca d'oro"; il sedici volte Benedetto non ha trovato di meglio che additare ad esempio di tanta somma sacra eloquenza i ventidue sermoni quaresimali che l'allora prete Giovanni tenne all'irrequeto popolo di Antiochia in seguito alla rivolta detta "delle statue":
"Il 387 fu l’“anno eroico” di Giovanni, quello della cosiddetta “rivolta delle statue”. Il popolo abbatté le statue imperiali, in segno di protesta contro l'aumento delle tasse."
A questo punto il Pontefice sedici volte e vieppiù Benedetto ha alzato gli occhi dai fogli ed ha aggiunto la glossa: "Si vede che alcune cose nella storia non cambiano!"
Gli italici pellegrini abbracciati dal colonnato del bernini e solleticati dall'arguzia del teutonico umorismo hanno applaudito e - mentre tutte le agenzie di stampa annunciavano "urbi et orbi" che il papa "ha fatto la battuta!"- il Pontefice "ccioiosamente" regnante ha proseguito:
"In quei giorni di Quaresima e di angoscia a motivo delle incombenti punizioni da parte dell'imperatore, egli tenne le sue 22 vibranti Omelie sulle statue, finalizzate alla penitenza e alla conversione."
La "battuta" ratzingeriana seppur formalmente ecumenica (poichè a nessun cittadino di qualunque fede, di qualunque nazionalità e di qualunque periodo storico, piace pagare troppe tasse), è stata interpretata dai vaticanisti italiani come un sibillino commento alla situazione socio-politica del "Bel Paese" mille e seicento anni dopo la morte del Crisostomo.
In illo tempore. L'euforia per la fine dell'era Berlusconi -a seguito delle elezioni politiche del 2005- nel "popolo della sinistra" durò ben poco a causa dello sconfortante spettacolo della continua litigiosità tra partiti eterogenei che -accantonato con estrema nonchalance il programma elettorale- continuamente disputavano su quali dovessero essere le "vere" priorità dell'azione governativa senza approdare a nessun provvedimento che potesse essere sensibilmente esperimentabile dal cittadino quale utile giovamento.
Di contro ad un aumento del numero dei ministri e sottosegretari senza precedenti nella storia della Repubblica c'è stato una vero e proprio arenarsi dell'azione legislativa, causa proprio della risicata maggiornaza parlamentere, ragion per cui ben pochi furono i provvedimenti varati dal Parlamento e solitamente furono provvedimenti su cui incombeva l'esplicita richiesta della fiducia da parte del Governo.
Così al malcontento degli elettori di centro-destra per essere governati dai "comunisti" si unì la rabbia della -ex- "meglio gioventù" per un Governo che non dice "cose di sinistra"!
Emerse un generale e generalizzato malcontento popolare verso la classe politica tout court descritta come una "casta" facente parte di una più ampia "casta" di "potenti" prevaricatori delle leggi penali ed economiche cui invece debbono sottostare tutti i poveri cittadini onesti.
I privilegi che le leggi della Repubblica riconoscono agli uomini politici vennero considerati ingiusti ed eccessivi e per di più scandalosi di fronte ai mille balzelli e corvè cui senza scampo deve sottostare l'uomo qualunque. La stessa Chiesa cattolica venne additata da vari esponenti del Centro-Sinistra come causa diretta (per i più benevoli come causa indiretta) della difficile situazione economica del popolo italiano.
"Antipolitica" venne definita questa ondata di indignazione dal basso verso la classe politica italiana che ebbe nel comico Beppe Grillo un eccezionale catalizzatore e un sorprendente successo mediatico l'8 settembre 2007 con il "Vaffa-Day" organizzato a Bologna e in tante altre piazze d'Italia.
Una giornata in cui gli attivisti coagulati da Beppe Grillo (e dal suo Blog ) hanno potuto pubblicamente "mandare a quel paese" ogni potente e potentato: uno sfogo liberatorio, un pò come quello dei cittadini di Antiochia che nel 387 abbatterono le statue dell'Imperatore e della famiglia imperiale.
Se si vuole procedere col giochino ratzingeriano di paragonare la vita e l'opera del Crisostomo alla attualità italiana allora per una nuova "rivolta delle statue" più che pensare a Umberto Bossi e ad altri esponenti della Casa delle Libertà che hanno minacciato lo scioprero fiscale per protestare contro il Governo Prodi e la sua politica di aumento delle imposte, io volgerei lo sguardo verso Beppe Grillo: il sommo oratore italico che con la sua verve estenuante riesce a creare opinione, a fare informazione, ad additare le storture della politica e della finanza italiana nonchè a denunciarne le reciproche complicità.
I parallelismi sono comunque ideologici, quando non perniciosi come dimostra l'editoriale del direttore del TG2 Mauro Mazza che ha paragona Beppe Grillo ai cattivi maestri degli anni di piombo che con i loro proclami additavano chi colpire mortalmente.
I parallelismi storici sono assai perniciosi come ammonisce "la basilissa" Silvia Ronkey intervistata da Alessandro Trocino (Corriere della Sera; 20 settembre 2007):
E Crisostomo? Si schierò con il popolo contro l'oppressione fiscale?
«Niente affatto, si schierò apertamente dalla parte dell'imperatore. Nelle sue omelie, insiste sull'importanza del rispetto dell'autorità costituita».
Avevano abbattuto solo delle statue.
«Ma Crisostomo spiega che abbattere le statue è come mettere in discussione il potere e non si deve mai. L'imperatore vuole una buona immagine. Le statue di allora sono come la tv di oggi».
Quindi nonostante il suo probabile pessimo giudizio sulla classe dirigente italiana, dalla boutade di Papa Ratzinger emergerebbe il retro pensiero di un Benedetto XVI che preferirebbe il vecchio Prodi-Teodosio "baciapile" e "repressore" invece delle popolari rivendicazioni di maggior giustizia sociale ed economica.
Ma se è pur vero che quei lunghi sermoni fatti in piazza al popolo di Antiochia servivano a calmare il malcontento popolare e allo stesso tempo a dar ragione del dovere di obbedire ai legittimi governanti, è pur vero che avevano lo scopo schiettamente mediatico-propagandistico di provocare nell'imperatore Teodosio un cambiamento della sua politica verso la popolazione della metropoli antiochena!
I lunghi sermoni fatti nelle piazze principali delle città con largo uso delle tecniche per destare l'interesse, la curiosità e la vivacità dell'uditorio oggi li chiameremmo comizi e tali erano le omelie sulle statue del Crisostomo. Egli attaccava i vizi pubblici, le pubbliche corruttele ed invitava al rigore morale, e alla solidarietà tra classi sociali un pò come Beppe Grillo che per anni ha girato le piazze e i teatri con i suoi spettacoli comici che in realtà erano delle documentate denuncie di macroscopiche italiche storture.
Se Grillo si stupisce ironicamente che "oggi" in Italia la classe politica debba rispondere ai j'accuse di un comico è certo che anche nel IV secolo la classe senatoria dovesse essere molto sorpresa di vedersi interpellata e giudicata dagli uomini di Chiesa. E ancor più ci sarebbe stupiti quando pochi anni dopo l'arcivescovo di Milano Ambrogio impedirà all'imperatore Teodosio di andare a messa il giono di Pasqua se prima non avesse fatto pubblica penitenza per i propri peccati al pari di un cristiano qualsiasi!
Nella sua catechesi Benedetto XVI puntualizza che dopo quelle "eroiche" omelie per il Crisostomo "Seguì il periodo della serena cura pastorale (387-397)."
Beppe Grillo ha più volte dichiarato che non intende "scendere in campo": la sua è una battaglia da laico predicatore che dal pulpito del proprio Blog, il più seguito in Italia, si lancia contro la corruzione della Politica, le storture dell'Economia e della Finanza promuovendo campagne di opinione e promuovendo la raccolta di firme per acconcie leggi popolari che dettino le linee di specchiata moralità per chi voglia occuparsi della Cosa Pubblica.
Beppe Grillo si occuperà soltanto di dare il suo appoggio alle "liste civiche" che si formeranno via via nelle varie ed eventuali campagne elettorali al fine di incoraggiare i buoni operai nella vigna dell'elettore.
Ma uno sguardo alla Vita del santo "Bocca d'oro" ci inculca il dubbio che, forse volente o nolente, prima o poi, non si sa bene neanche come, Beppe Grillo potrebbe ritovarsi con un potere mediatico che si traduca -Berlusconi docet- in suffragi elettorali. O magari, più prosaicamente, lo schieramento vincitore di qualche futura competizione elettorale incoroni Grillo quale proprio mentore e per premiarlo gli dia una poltrona.
Ci provarono anche con Giovanni Crisostomo. Lo scelsero come nuovo Arcivescovo di Costantinopoli credendo che la sua abilità dialettica, come quella di tutti gli Oratori dell'epoca, potesse essere messa al servizio del "despota illuminato".
L'arcivescovo Giovanni giunto a frequentare la classe senatoria della "Nuova Roma" cominciò invece a scagliarsi contro le feste mondane e i divertimenti continui della corte imperiale (persino durante la Settimana Santa!) e contro lo sfarzo esagerato e la sfacciata ostentazione del lusso da parte della "casta" dei potenti dell'epoca.
Le agiografie raccontano di una cospirazione ordita dall'establishment.
Si ipotizzò di trovare un capo d'accusa per gettarlo in prigione ma -dicevano dubbiosi- così egli avrebbe "soffrire per il Signore" e ne sarebbe uscito rafforzato, non solo spiritualmente ma anche "mediaticamente". Meglio quindi direttamente condannarlo a morte, però come strategia politica alla lunga non avrebbe pagato l'averne fatto un martire.
Più insidiosa la terza proposta: indurlo a compiere qualche peccato che ne delegittimasse presso il popolo la fama di santità (cioè il potere mediatico) di cui godeva. Nel caso del Crisostomo l'obbiezione fu che: "è impossibile convincerlo a commettere un peccato volontariamente".
Non voglio continuare oltre il parallelismo perchè non sono in grado di mettere la mano sul fuoco sull'impeccabilità del comico genovese poichè se da una parte abbiamo l'ascetico monaco dall'altra abbiamo il ricchissimo uomo di spettacolo e come ammonisce il Vangelo "là dov'è il tuo tesoro l'ha sarà il tuo cuore".
Ma ammesso che di fronte a qualche basso ricatto proveniente dai piani alti Grillo si riveli ancor più adamantino di quello che egli crede di essere ci potrebbe essere la -per lui non nuova!- soluzione adottata anche per Giovanni Crisostomo: l'esilio.
E se il Crisostomo patì due esilii è da ricordare che l'esilio mediatico fu già una volta decretato per Beppe Grillo tra la fine della prima Repubblica ed il sorgere della seconda.
Nell'anno 403 un gruppo di alti gerarchi filo governativi capeggiati dal Patriarca di Alessandria Teofilo giunto a Costantinopoli per discolparsi dall'accusa di eresia riuscirono a cambiare le carte in tavola e dichiararono invece eretico San Giovanni Crisostomo: quel sinodo episcopale fu detto il "conciliabolo della Quercia". Qui, cautamente, pongo fine alle elucubrazioni sui corsi e ricorsi storici.
2 commenti:
Eccezionale, senza mezzi termini. Il parallelo, anche iconografico, tra san Giovanni e Grillo, è accuratissimo e ben dimostra come un cattolico sappia, con leggerezza di tocco, occuparsi di politica. È un grande Papa, il «"ccioiosamente" regnante» (questa sortita del quale, senza il tuo post, avrei ignorato).
Ciao. Ipo
La dotta ironia di Benedetto XVI sulle tasse
di Flavio Felice
Article content:
Anche nella contrarietà delle persone verso le tasse “si vede che alcuni corsi della storia non cambiano”. Lo ha affermato Benedetto XVI davanti a circa 15 mila fedeli durante l'udienza generale del mercoledì. L’occasione è stata l’analisi da parte di Benedetto XVI della figura di san Giovanni Crisostomo, Padre della Chiesa vissuto nel terzo secolo, e in particolare di una serie di omelie pronunciate dal santo durante la cosiddetta rivolta delle statue. In quella circostanza la popolazione dell'Impero in Oriente cominciò a distruggere le statue dell'Imperatore contro l'imposizione delle tasse. “Si vede che alcuni corsi della storia non cambiano...”, ha commentato papa Ratzinger con il consueto sorriso.
L’occasione è ghiotta per tornare brevemente sul tema che ha interessato il dibattito estivo sul dovere morale di pagare le tasse. Il tema è ampio e investe questioni complesse che meriterebbero uno studio più attento ed un’analisi più approfondita di quanto non sia consentito fare in un articolo di giornale. Ad ogni modo, le fonti non mancano e nelle poche righe che seguono vorrei evidenziare alcune ipotesi presenti in uno studio compiuto da un eminente storico americano, il prof. Leonard Liggio della George Madison University di Fairfax in Virginia. In un saggio pubblicato nel 2005 dall’editore Rubbettino (Dario Antiseri, Cattolici a difesa del mercato, a cura di F. Felice), Mercato e moneta nel pensiero ebraico e cristiano nell’era ellenistica e romana, Liggio mostra come molti degli scritti su etica ed economia riflettano il triste influsso della teologia della liberazione. Il punto è che, a parere di Liggio, “in gran parte, le teologie della liberazione ignorano la situazione storica ed assumono meramente i testi senza tentare di collocarli nel contesto nel quale essi furono scritti”. In particolare, i teologi della liberazione hanno indirizzato la loro attenzione principalmente sui testi dei Padri della Chiesa, riservando una particolare attenzione ai Padri del quarto secolo. Ad ogni modo, è a dir poco evidente che se se si leggono questi testi senza collocarli opportunamente nel giusto contesto storico – la società romana dei secoli precedenti – non è possibile neppure comprenderne l’autentico significato. Sappiamo che san Giovanni Crisostomo, san Basilio e molti altri padri dell’Oriente condividevano un retroterra culturale, religioso ed esistenziale di tipo monastico, provenendo da esperienze nelle quali avevano volontariamente rinunciato alla ricchezza, facendo voto di povertà e considerando quest’ultimo una speciale grazia di Dio. Con il tempo, alcuni di loro furono elevati a vescovi, divenendo a tutti gli effetti portavoce della Chiesa, pur tuttavia conservando, inevitabilmente, una sensibilità ed una retorica fedeli al loro retroterra culturale.
Ad ogni modo, è sempre Liggio a farci notare che l’origine di alcune comunità monastiche, basti pensare alle prime comunità nella provincia egizia, nascono come grandi raggruppamenti popolati da persone che lasciavano le loro fattorie per dirigersi verso le paludi del delta del Nilo, al fine di fuggire dagli esattori. Scrive a tal proposito Liggio. “La società romana del secondo e del terzo secolo era diventata una società che essenzialmente faceva di tutto per raccogliere le tasse”. Sappiamo anche che la società romana era estremamente militarizzata e che l’esercito finiva per assorbire necessariamente ingenti somme di denaro pubblico. Per il mantenimento dei soldati, dunque, l’intera popolazione fu assoggettata ad una pesante tassazione (anche quelli erano percepiti come “diritti acquisiti” e spese intoccabili). Le cronache dell’epoca registrano che si giunse al punto che il governo dovette assegnare alla classe dirigente – le persone ricche della società – il compito di raccogliere ogni anno grandi somme di denaro e, qualora non l’avessero fatto, sarebbe scattata un’odiosa punizione: la somma mancante sarebbe stata presa direttamente dal loro patrimonio. Qualora non avessero posseduto un patrimonio sufficiente a pagare il debito (l’impegno) contratto con il governo, le loro proprietà sarebbe state comunque espropriate ed avrebbero smesso di essere uomini liberi, potendo essere venduti come schiavi. Così si è sviluppato un grande ed impietoso sistema per il prelievo fiscale e, parafrasando l’odierna battuta di Benedetto XVI: “nulla di nuovo sotto il sole”, nel contempo, le popolazioni hanno cominciato ad attrezzarsi per evitare di subire passivamente una simile crudeltà.
Quindi, fa notare Liggio, contrariamente a quanto sostengono le numerose vulgate che provengono dai teorici della teologia della liberazione, quando i Padri della Chiesa criticano i ricchi per l’esazioni, non si riferiscono ai ricchi in quanto tali, ma esattamente a coloro tra di essi che erano costretti dal governo a diventare esattori delle imposte e, per sopravvivere senza diventare schiavi, dovevano essere certi che nessuno potesse sottrarsi al pagamento delle tasse; si trattava di una questione di vita o di morte – di libertà o di schiavitù: “E così è sorto un sistema nel quale tutta la società è costruita intorno alla riscossione e all’evasione fiscale”. È interessante, a questo punto, evidenziare come un gran numero di persone, per evitare gli odiati esattori, decisero di lasciare le loro fattorie e le città nelle quali vivevano per trasferirsi nelle campagne, in territori selvaggi e malsani, inaccessibili al controllo asfissiante ed occhiuto del fisco. Sicché, dal momento che molte di queste persone erano fervidamente religiose, furono proprio loro a dar vita ad alcune delle prime comunità monastiche; comunità libere di persone che fuggivano dalle vessazioni fiscali.
Scrive Saviano, padre della Chiesa del V secolo, ne Il governo del mondo:
“Quali città, quali comuni e quali villaggi esistono in cui non ci sono tanti tiranni quanti gli esattori delle imposte? È probabile che essi si glorino del nome di tiranni perché hanno la parvenza di essere ritenuti potenti e degni d’onore. Esisterà mai un luogo, come ho detto, dove le viscere delle vedove e degli orfani non vengano divorate dai potenti della città, e con loro quasi tutti i Santi? Nel frattempo i poveri vengono saccheggiati, le vedove gemono, gli orfani sono soggiogati, e molti di loro – e non sono di nascita oscura e hanno ricevuto un’educazione liberale – si affidano ai barbari per timore di morire per il dolore della persecuzione pubblica. Essi cercano tra i barbari la dignità dei romani, perché non possono sopportare l’indegnità barbara tra i romani.”
Era l’epoca delle grandi invasioni barbariche, in forza delle quali le tribù barbare penetrarono fino al cuore dell’impero romano. Fa notare Liggio: “Uno degli aspetti sorprendenti di ciò è che essi erano accolti come liberatori da gran parte dei cittadini romani dal momento che essi non imponevano strutture fiscali, la soffocazione del commercio e della ricchezza, che erano imposte dell’amministrazione romana”. E continua Saviano:
“Essi abbandonano le loro abitazioni per timore di essere torturati proprio nelle loro stesse case. Cercano asilo per timore di patire le pene della tortura. Il nemico è più indulgente con loro rispetto agli esattori delle imposte. Questo è dimostrato proprio dal fatto che fuggono verso il nemico per sottrarsi a tutta la forza dell’imposizione di tasse opprimenti.”
Come si può notare il tema è scottante per la sua attualità politica e ricco di implicazioni teoriche, sia nel campo dell’economia sia in quello della teologia. Ad ogni modo, credo che si possa onestamente riconoscere come il riferimento ironico di Benedetto XVI ad un Padre della Chiesa del terzo secolo abbia il merito di evidenziare una realtà storica con profonde ricadute sull’azione politica. Si tratta di una realtà che, a partire dal dato meramente economico, invero, interessa la dimensione esistenziale più intima degli esseri umani, delle loro famiglie, del loro lavoro e delle loro imprese, finendo per interpellare le ragioni del loro essere e sentirsi liberalmente – più o meno – parte attiva e solidale all’interno di un qualsiasi corpo sociale. È un tema la cui urgenza è sotto gli occhi di tutti. Di questo, mi auguro, al di là dell’ironia, voglia prendere atto chi ha responsabilità politica: a qualsiasi livello, che sia al governo o all’apposizione. È in gioco nient’altro che la libera e pacifica coesione sociale del Paese!
20 Settembre 2007 |
Posta un commento