giovedì, dicembre 06, 2007
Pacco, contropacco e contropaccotto / 10
Provenienti da tutto il mondo per presenziare al secondo concistoro del sedici volte Bededetto, durante l'intera giornata di venerdì 23 ottobre nell'Aula nuova del Sinodo in Vaticano, gli Eminentissimi Cardinali hanno partecipato ad una giornata di intensi colloqui attorno al tema dell'Ecumenismo. Il tema è stato scelto da Benedetto XVI ed introdotto da una relazione puntuale e puntuta dell' eminentissimo teutonico Walter Kasper, presidente del pontificio consiglio per l'unità dei cristiani.
Degna di lode la chiarezza con cui il Cardinal Kasper ha fatta un'epitome della storia delle post-conciliari relazioni ecumeniche.
Per quanto riguarda i rapporti con l'ortodossia bizantina:
"Il dialogo con le Chiese ortodosse di tradizione bizantina, siriana e slava è stato avviato ufficialmente nel 1980. Con tali Chiese abbiamo in comune i dogmi del primo millennio, l’Eucaristia e gli altri sacramenti, la venerazione di Maria madre di Dio e dei santi, la struttura episcopale della Chiesa. Consideriamo queste Chiese, insieme alle antiche Chiese orientali, come Chiese sorelle delle chiese locali cattoliche. Differenze esistevano già nel primo millennio, ma non erano percepite in quell’epoca come un fattore di divisione all’interno della Chiesa. La separazione vera e propria è avvenuta tramite un lungo processo di allontanamento e di alienazione, a causa di una mancanza di comprensione e di amore reciproci, come ha osservato il Concilio Vaticano II (UR 14). Quello che avviene oggi è dunque, necessariamente, un processo inverso di mutua riconciliazione.
I primi importanti passi sono stati compiuti già durante il Concilio. Va ricordato ad esempio l’incontro e lo scambio di corrispondenza tra papa Paolo VI ed il patriarca ecumenico Athenagoras, il famoso “Tomos agapis”, e la cancellazione dalla memoria della Chiesa delle scomuniche reciproche del 1054, nel penultimo giorno del Concilio. Su tali basi, è stato possibile riprendere alcune forme di comunione ecclesiale del primo millennio: lo scambio di visite, di messaggi e di missive tra il papa ed i patriarchi, tra cui soprattutto il patriarca ecumenico; la cordiale coesistenza e collaborazione in molte chiese locali; la concessione per uso liturgico di edifici di culto da parte della Chiesa cattolica a cristiani ortodossi che vivono da noi nella diaspora, in segno di ospitalità e di comunione. Durante l’Angelus pronunciato in occasione della festa dei santi Pietro e Paolo del 2007, papa Benedetto XVI ha sottolineato che con queste Chiese siamo già in una comunione ecclesiale pressoché piena.
Nei primi dieci anni del dialogo, dal 1980 al 1990, è stato puntualizzato ed evidenziato ciò che abbiamo in comune a proposito dei sacramenti (soprattutto dell’Eucaristia) e del ministero episcopale e sacerdotale. Tuttavia, la svolta politica del 1989-90, invece di semplificare le nostre relazioni, le ha complicate. Nel ritorno alla vita pubblica delle Chiese cattoliche orientali, dopo anni di brutali persecuzioni e di eroica resistenza pagata anche al prezzo del sangue, è stata vista dalle Chiese ortodosse la minaccia di un nuovo “uniatismo”. Così, negli anni novanta, nonostante gli importanti chiarimenti apportati dall’incontro di Balamand (1993) a Baltimora (2000) il dialogo si è arenato. La situazione di crisi si è acuita soprattutto nelle relazioni con la Chiesa ortodossa russa dopo l’erezione canonica di quattro diocesi in Russia nel 2002.
Grazie a Dio, dopo molti sforzi condotti con pazienza, lo scorso anno è stato possibile riavviare il dialogo; nel 2006 si è tenuto un incontro a Belgrado e circa un mese fa ci siamo nuovamente riuniti a Ravenna. In tale occasione, è emerso un decisivo miglioramento a livello di atmosfera e di rapporti, nonostante la partenza della delegazione russa per motivi inter-ortodossi. È iniziata così una promettente terza fase di dialogo.
Il documento di Ravenna, intitolato “Conseguenze ecclesiologiche e canoniche della natura sacramentale della Chiesa”, ha segnato una svolta importante. Per la prima volta, gli interlocutori ortodossi hanno riconosciuto un livello universale della Chiesa ed hanno ammesso che anche a questo livello esiste un protos, un primate, che può essere soltanto il vescovo di Roma secondo la taxis della Chiesa antica. Tutti i partecipanti sono consapevoli che questo è soltanto un primo passo e che il cammino verso la piena comunione ecclesiale sarà ancora lungo e difficile; tuttavia, con questo documento abbiamo posto una base per il dialogo futuro. Il tema che verrà affrontato nella prossima sessione plenaria sarà: “Il ruolo del vescovo di Roma nella comunione della Chiesa nel primo millennio”.
Per quanto riguarda più specificatamente il patriarcato di Mosca della Chiesa ortodossa russa, le relazioni negli ultimi anni si sono sensibilmente appianate. Possiamo dire che non c’è più gelo ma disgelo. Dal nostro punto di vista, un incontro tra il Santo Padre ed il patriarca di Mosca sarebbe utile. Il Patriarcato di Mosca non ha mai escluso tale incontro categoricamente, ma ritiene opportuno risolvere prima i problemi che esistono a suo parere in Russia e soprattutto in Ucraina. Va ricordato comunque che molti incontri hanno luogo anche ad altri livelli. Tra questi menzioniamo la recente visita del patriarca Alexij a Parigi, considerata da entrambe le parti un passo importante.
Riassumendo, possiamo affermare che saranno ancora necessarie una continua purificazione della memoria storica e molte preghiere affinché, sulla base comune del primo millennio, riusciamo a colmare la frattura tra oriente ed occidente ed a ripristinare la piena comunione ecclesiale."
Orsù, dunque!
Riassumendo: il grande scoglio al dialogo com l'Ortodossia bizantina è il Patriarcato di Mosca che a causa della sua preminenza numerica pretende la preminenza decisionale sugli altri patriarchi. Inoltre nel campo del dialogo ecumenico cioè del dialogo teologico essa pretende di fare il bello e il cattivo tempo in base all'agenda delle prioità interne alla propria Chiesa locale.
Lo dice chiaramente il cardinal Kasper quando dice papale-papale che prima di qualsiasi fraterno incontro tra "Sua Santità" il Patriarca di Mosca ed il "pari-grado" di Roma bisognerebbe "risolvere prima i problemi che esistono a suo parere in Russia e soprattutto in Ucraina". Problemi "a suo parere" appunto, cioè problemi per la Chiesa russa ma non reputati tali dalla Chiesa cattolica Romana.
Si tratta sempre della arcinota querelle teologica del "Territorio Canonico".
Un problema ecclesiologico e non dogmatico, quindi, viene indicato dai vertici delle gerarchie religiose russe come causa di dissapori con il cattolicesimo! Non è per le (a loro inaccattabili) definizioni del magistero romano sul "filioque" o sulla "immacolata concezione" che si turba la coscenze del Patriarca di Mosca, e degli altri metropoliti russi al pensiero di abbracciare il Papa di Roma! No, il "vero" ostacolo è dato dall presenza di fedeli cattolici e di conseguenza di una gerarchia cattolica nei territori della federazione Russa: il famigerato territorio "canonico" del Patriarcato "di tutte le Russie"!
Quel "gelo" (che per l'eminentissimo Kasper sarebbe in fase di disgelo)si produsse esattamente l'11 febbraio 2002 quando le quattro "Amministrazioni apostoliche" istituite in Russia dal Papa subito dopo il crollo del regime sovietico vennero normalizzate ricevendo lo status di "diocesi". Praticamente non era cambiato assolutamente nulla poichè in base al Codice di Diritto Canonico l'amministrazione canonica è una struttura ecclesiastico-giuridica per definizione "temporanea" il cui fine è di "normalizzarsi" divenendo "Diocesi".
Nel febbraio 2002 in realtà nella struttura della Chiesa Cattolica in Russia nulla era mutato tranne il nome della struttura. Non cambiò nè il numero dei fedeli cattolici,non il numero dei preti, il numero delle parrrochie rimase identiche così come identica la loro estenzione: soltanto che la somma delle parrocchie non si chiamò più "Amministrazione apostolica" bensì "Diocesi"; il vescovo non si chiamava più "amministratore apostolico" bensì vescovo "ordinaro". Sorprese moltissimo, pertanto, e creò serio imbarazzo in Vaticano la durissima (ed irrazionale) protesta del Patriarcato di Mosca che accusava la Chiesa cattolica di aver "invaso" la Russia volendo sostituire una propria gerarchia alla gerarchia della Chiesa ortodossa ed il cui fine era perciò il "proselitismo" cioè convertire i russi al cattolicesimo.
In realtà nulla era mutato per il Vaticano tranne i nomi mentre per la chiesa ortodossa cambiando il nome tutto era mutato.
A chi ha controbattuto che anche la Chiesa Ortodossa Russa ha creato diocesi in territorio canonico cattolico ( Vienna, Parigi, Bruxelles) senza imbarazzi e senza chiedere prima il permesso al papa di Roma, Mosca ha risposto che quelle diocesi servono alla cura pastorale dei russi emigrati mentre le diocesi cattoliche in Russia non sono state istituite per la cura pastorale degli "stranieri" ma dei russi.
Una tale impostazione ecclesiologica non tiene conto che popolazioni etnicamente non russe e di confessione cattolica che nei secoli passati furono assoggettate all'impero russo o che successivamente sotto lo stalinismo sono state deportate e sballottate per ogni landa desolata dell'immemza terra russa nel XXI non dolo parlano solo il russo ma sono ormai cittadini russi a tutti gli effetti; la Chiesa Ortodossa non può perciò continuare sciovinisticamente a considerare ogni cittadino russo come naturaliter fedele del patriarcato di Mosca!
L'accusa di "proselitismo" rivolto al cattolicesimo, perciò, trae origine da un profondo errore ecclesiologico che solo formalmente vuol difendere i sacri canoni della Chiesa antica che vietavano ad un patriarcato di creare diocesi nel territorio "canonico" di una "chiesa sorella" quando invece, nella sostanza, ubbidiscono a quell'atteggiamento spirituale (ed ideologico) che il Trono Ecumenico nel 1872 anatemizzò dandogli il nome di "Filetismo", ovvero l'eresia per cui si confonde l'appartenenza di fede con l'appartenenza ad una etnìa!
Esempli eclatanti un tale "imperialismo religioso" sono le proteste per la visita nel 2003 di Giovannni Paolo II in Ucraina, poichè seppur nazione indipendente è considerata territorio canonico di Mosca, o la recente teatrale protesta della delegazione russa per la presenza ai colloqui teologici cattolico-ortodossi di Ravenna del settembre 2007 della delegazione della Chiesa Autocefala Estone di cui Mosca non acceta l'indipendenza poichè continua a considerare i Paesi Baltici parte integrante del proprio territorio canonico.
Defunto il polacco Giovanni Paolo II tutti gli osservatori di cose vaticane hanno sentenziato che sotto il pontificato ratzingeriano sono migliorati i rapporti tra Roma e Mosca, o per meglio dire sono aumentate le dichiarazioni di apprezzamento per Benedetto XVI da parte dei gerarchi della Chiesa russa.
Ancor più viva soddosfazione e rallegramenti verso l'operato del Vaticano è stata espressa da parte del patriarca Alessio per l'avvenuta sostituzione -in data 21 settembre 2007- del polacco (cittadino bielorusso ma di etnìa polacca!) monsignor Tadeusz Kondrusiewicz, vescovo cattolico a Mosca, con l'italiano (e ciellino) don Paolo Pezzi.
Gli analisti di cose vaticani hanno sentenziato che questa sostituzione avrebbe reso migliori i rapporti ecumenici. La spiegazione che la cagione della maggior collaborazione tra il nuovo italico "Arcivescovo della Cattedrale della Madre di Dio a Mosca" ed il Patriarcato ortodosso starebbe nel fatto che avere a Mosca un vescovo italiano significa per la Chiesa ortodossa una maggior vicinanza e sintonia col Vaticano è una tautologia priva di senso!
Il dodici volte piissimo vaticanista Andrea Tornielli spiegava che: "i russi e i polacchi si sono combattuti per secoli e la presenza di un arcivescovo di origini polacco-biolorusse, seppure pienamente giustificata dal fatto che i cattolici della Russia sono in buona parte di origini polacche per essere stati deportati prima dagli zar e poi da Stalin, era vista male. Un italiano sarà accolto meglio".
Se ho ben capito, allora, il miglioramento c'è se la sostituzione dell'arcivescovo vien vista dal punto di vista del patriarcato di Mosca, ma ciò non vuol dire che un miglioramento ci sarà nel dialogo ecumenico come infatti prontamente si è visto dalle successive dichiarazioni del metropolita Kirill ( il quale viene considerato, a torto o a ragione, il "numero due" della Chiesa russa ed il più "papabile" alla successione di Alessio II).
Sabato primo dicembre 2007, il metropolita Kirill di Smolensk e Kalinigrad, capo del "Dipartimento per i rapporti esterni" del patriarcato di Mosca, nel suo intervento ad un acconcio convegno moscovita dal titolo “Chiese locali e territorio canonico: aspetti canonici, giuridici ed interreligiosi" ha detto testualmente: “Noi non le riconosceremo mai e contesteremmo sempre la presenza di diocesi cattoliche normali nel territorio della Russia e consideriamo questo una sfida alla nostra comune idea, legata al principio territoriale delle amministrazioni ecclesiastiche”.
Il ricatto ecumenico è ben congeniato: se la Chiesa Romana considera la Chiesa Russa una "chiesa sorella" è perciò ritiene valida la successione apostolica dei vescovi ortodossi, non deve nominare vescovi di rito latino nei medesimi territorii in cui ci sono vescovi ortodossi russi. Se la Chiesa Romana, invece, nomina vescovi cattolici dove ci sono già vescovi ortodossi vuol dire che la Chiesa Cattolica non considera vero il sacramento dell'Ordine amministarato col rito bizantino, perciò la pubblicizzata volontà di Roma di preseguire il dialogo ecumenico non sarebbe sincera.
Lo sviluppo del dialogo tra il Patriarcato di Mosca e la Chiesa cattolica ( o la crisi del diaologo o peggio il fallimento) pertanto sarebbe condizionato "solo" dalla buona volontà del Papa di Roma cui spetta di modificare lo status delle diocesi cattoliche in Russia ridimenzionandole allo status di "Amministrazioni apostoliche" al fine di sottolineare e ratificare la preminenza della Chiesa Russa all'interno del suo storico bacino di influenza.
Alla inevitabile replica sulla presenza di diocesi ortodosse in "territorio canonico" cattolico, Kirill ha obbiettato che: "Le diocesi del Patriarcato di Mosca nella diaspora non sono ordinarie. Sono state create per provvedere alla cura pastorale delle persone della diaspora e non hanno confini definiti. In certo senso sono diocesi inusuali, come abbiamo sempre sottolineato in occasioni di dialogo con i cattolici”.
“Se nella Chiesa ortodossa ci fosse una nozione come quella di amministrazione apostolica, le diocesi in Europa sarebbero chiamate così”.
“Il contrasto deriva dalla nostra totale incomprensione del perché un termine del tutto appropriato è stato sostituito con uno del tutto inappropriato”.
Si capisce allora la soddisfazione per avere un italiano, cioè un occidentale, e soprattutto un non slavo, quale supremo capo della gerarchia cattolica in Russia al posto di un cittadino dl CSI qual'era invece Kondrusiewicz: ecco, in faccia a tutta la Santa Madre Russia, la rassicurante testimonianza che il cattolicesimo è una religione non russa fatta da stranieri (e quindi, implicitamente, solo per stranieri).
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