mercoledì, gennaio 28, 2009

In Festo Divi Thomae Aquinatis [2]


"San Francesco viene definito umano perchè ha tentato di convertire i saraceni senza riuscirci.
San Domenico viene definito fanatico e invasato perchè ha tentato di convertire gli albigesi e c'è riuscito."


Ovvero, il Tomismo secondo Gilbert Keith Chesterton:

“Questo movimento medievale non è mai sceso a compromessi con il mondo, ne si è mai arreso al paganesimo o all’eresia, e nemmeno si è semplicemente avvalso di aiuti esterni, nemmeno quando ha effettivamente preso a prestito qualcosa. Se vogliamo limitarci al fatto che tendeva alla conoscenza, possiamo paragonarle a un albero che con tutte le sue forze protende il fogliame verso il sole, piuttosto che di un sole che si limita a lasciar trapelare la luce del giorno in una prigione.
In breve, era quello che con un linguaggio paludato si chiama “sviluppo dottrinale”.
A quanto pare, però, c’è una singolare ignoranza del significato del termine “sviluppo”, non solo nella sua accezione aulica ma anche in quella corrente.

Secondo i critici della teologia cattolica non ci sarebbe stato un’evoluzione quanto una diversione cioè, a dir tanto, un adattamento. Nella loro interpretazione, il suo successo sarebbe stato il successo di una capitolazione. Ma questo non è il significato corretto del termine “sviluppo”.
Quando diciamo che un bambino è ben sviluppato, intendiamo dire che è cresciuto e si è si è fatto più robusto con le sue sole forze e non che gli hanno messo delle imbottiture e che lo fanno camminare con i trampoli per farlo sembrare più alto.
Quando diciamo che un cucciolo si sviluppa in un cane, non vogliamo dire che la sua crescita è un graduale compromesso con un gatto; vogliamo dire che diventa più “cane” non meno.

Per “sviluppo” si intende l’accrescimento di tutte le possibilità e le implicazioni di una dottrina, compreso il tempo per distinguerle ed estrapolarle; e qui sta il punto: l’ampliamento della teologia medievale consisteva semplicemente nella sua comprensione totale. […]
È sotto questo aspetto che la poesia popolare di san Francesco è la prosa quasi naturalistica di san Tommaso si rivelano più palesemente come parti del medesimo movimento. Sono entrambe prodotti dello sviluppo del cattolicesimo, che dipendono da fattori esterni come qualsiasi cosa che vive e cresce, nel senso che li assimila e li trasforma, conservando le proprie connotazioni senza assumere le loro. Un buddhista o un comunista possono fantasticare di due cose che si divorano simultaneamente a vicenda, pensando che quella sia una perfetta forma di unificazione. Ma non è il caso degli esseri viventi.

San Francesco amava definirsi il Giullare di Dio, ma non gli sarebbe piaciuto essere il dio dei giullari. San Tommaso non aveva riconciliato Cristo con Aristotele, aveva riconciliato Aristotele con Cristo.
[…]
Non apportavano innovazioni al cristianesimo, nel senso di introdurvi elementi pagani o eretici; al contrario, portavano il cristianesimo nel cristianesimo.
Il loro compito era di riportarlo indietro contro la pressione di certe tendenze storiche che si erano consolidate come abitudini in molte scuole e correnti autorevoli della Chiesa cristiana; e usavano strumenti ed armi che a molti sembrarono di derivazione eretica e pagana. San Francesco usava la Natura così come san Tommaso usava Aristotele e parve ad alcuni che avessero usato l’uno una dea pagana e l’altro un filosofo pagano.

Ciò che fecero in realtà, e soprattutto ciò che in realtà fece san Tommaso, sarà il principale argomento di queste pagine. Ma è opportuno riuscire sin dall’inizio a metterlo a confronto con un santo più famoso, perché in tal modo potremo ricapitolare l’essenza di tale confronto in un modo più comprensibile da chiunque.

Forse dire che questi due santi ci hanno salvato dalla spiritualità, che è una sorta di maledizione, può suonare paradossale. Forse verrò frainteso se dico che con il suo amore per gli animali san Francesco ci ha salvati dal buddismo, e che con la sua passione per la filosofia greca san Tommaso ci ha salvati dal platonismo. Ma è meglio dire la verità nuda e cruda: sono entrambi la riconferma dell’Incarnazione perché hanno riportato Dio in terra. […]

Non sarà possibile tener celato molto più a lungo che il fatto che Tommaso d’Aquino è stato uno dei maggiori artefici dell’emancipazione dell’intelletto umano.
I settari del XVII e XVIII secolo erano essenzialmente degli oscurantisti che sostenevano a spada tratta la diceria secondo cui il grande scolastico fosse un oscurantista. Questa teoria cominciava già a mostrare le corde fin dal XIX secolo e sarebbe stata insostenibile nel XX. Il che non ha nulla a che vedere con l’attendibilità delle loro o della sua dottrina teologica, ma solo con l’attendibilità storica che comincia a riaffiorare solo ora che le dispute cominciano a scemare.

Si può affermare senza tema di essere smentiti, in quanto si tratta di un fatto storico, che Tommaso è stato un grand’uomo che ha riconciliato la religione con la ragione, estendendola al campo della scienza sperimentale, che ha affermato che i sensi sono le finestre dell’anima e che l’intelletto aveva il diritto divino di alimentarsi di fatti concreti, e che era compito della fede assimilare quanto c’era di assimilabile delle più indigeste e materialistiche filosofie pagane.
È un fatto come la strategia militare di Napoleone, che l’Aquinate si sia battuto per tutto quanto c’era di liberale e di illuminato, a differenza dei suoi rivali o, per quel che vale, di quelli che gli sono succeduti o lo hanno soppiantato.

Coloro i quali, per altri motivi, accettano il risultato finale della Riforma, dovranno comunque ammettere che la si deve al grande scolastico e che, al suo confronto i riformatori venuti in seguito erano dei reazionari. Uso questo termine non come un rimprovero dovuto al mio punto di vista, ma come un dato di fatto secondo il punto di vista progressista attuale. Ad esempio, rimanevano inchiodati alla verità testuali delle sacra scritture, quando san Tommaso aveva già parlato della fonte di ispirazione rappresentata dalle filosofie greche. Mentre lui sosteneva la funzione sociale delle opere, loro soltanto la funzione spirituale della fede.
L’essenza della dottrina tomistica è che la ragione è degna di fede; l’essenza della dottrina luterana è che la ragione non è degna di fede.
Quindi, nel momento stesso in cui questo fatto viene riconosciuto per vero, c’è il rischio che tutti gli indecisi di parere contrastante passino improvvisamente all’estremo opposto. Coloro che fino a quel momento avevano accusato lo scolastico di essere un dogmatico, cominceranno ad ammirarlo come il modernista che ha stemperato il dogma. Si diranno subito da fare per adornare la sua effige con tutte le ghirlande appassite del progressismo, per presentarlo come un pensatore in anticipo rispetto ai suoi tempi, il che significa che è sempre d’accordo con il nostro tempo, e gli attribuiamo il merito di essere il padre del pensiero moderno. Scopriranno il suo carisma e arriveranno all’affettata conclusione che era come loro perché era carismatico.
Fino a un certo punto questo è abbastanza perdonabile; fino a un certo punto era già successo nel caso di san Francesco. Ma nel caso di san Francesco non supererebbe un certo limite.

Nessuno, neppure un libero pensatore come Renan o Matthew Arnold, si azzarderebbe a dire che san Francesco fosse qualcosa di più di un buon cristiano o che avesse qualunque altro singolare movente al di la dell’imitazione di Cristo. Eppure anche san Francesco ha prodotto sulla religione un effetto liberatorio rendendola più umana, per quanto più a livello della fantasia che dell’intelletto. Ma nessuno può dire che san Francesco abbia allentato la regola cristiana, dal momento che era anzi evidente che la stringesse, così come stringeva il cordone del suo saio. Nessuno può dire che abbia aperto le porte allo scetticismo, o che abbia dato il via all’Umanesimo paganeggiante, o che abbia guardato avanti al Rinascimento, o che si sia incontrato a metà strada con i razionalisti.
Nessun biografo oserebbe dire che san Francesco, di cui si dice che abbia aperto il Vangelo a caso e abbia letto il grandioso brano sulla Povertà, avesse in realtà aperto l’Eneide e applicato la Sors Virgiliana in segno di rispetto verso la letteratura e la cultura pagane. Nessuno storico oserebbe dire che san Francesco scrisse il Cantico delle Creature a imitazione di un inno omerico dedicato ad Apollo o che amava gli uccelli perché aveva imparato tutti i trucchi degli àuguri romani.
In breve, quasi tutti noi sia cristiani sia pagani, oggi ci troveremmo d’accordo sul fatto che l’idea francescana era innanzitutto un sentimento cristiano, che scaturiva da una fede innocente (o, se preferite, ignorante) nella religione cristiana.

Come ho detto, nessuno direbbe mai che san Francesco trasse ispirazione da Ovidio. E sarebbe altrettanto falso dire che san Tommaso traesse ispirazione da Aristotele.
Tutta la sua vita, specialmente l’inizio, la storia della sua infanzia, la strada che ha scelto, ci dicono senz’ombra di dubbio che era profondamente devoto e che amava incondizionatamente la religione cattolica, molto prima di trovarsi a dover combattere per difenderla.
A riguardo c’è un esempio che collega ancora una volta molto strettamente san Tommaso a san Francesco. È strano, ma pare sia stato dimenticato che nel santificare i sensi o i semplici fatti naturali, entrambi questi santi imitavano un maestro che non era Aristotele e tanto meno Ovidio, quando san Francesco si muoveva con umiltà tra gli animali o san Tommaso disputava cortesemente con i gentili.

Chi non capisce questo, non capisce il punto essenziale della religione, quand’anche si trattasse di una superstizione; peggio ancora, a sfuggirgli è la parte che considererebbero più superstiziosa. Mi riferisco alla sconcertante storia del Dio-uomo del Vangelo.
Alcuni non la capiscono neppure quando conoscono san Francesco e il suo modo genuino e privo di fondamento culturale di essere attratto dal Vangelo. Parlano della disponibilità di san Francesco a imparare dai fiori e dagli uccelli come del segno premonitore di un rinascimento pagano, mentre i fatti dicono chiaramente due cose. La prima è che si tratta di una reminiscenza del Nuovo Testamento; la seconda è che se proprio la si vuol vedere come segno premonitore, lo sarebbe casomai del realismo aristotelico contenuto nella Summa di san Tommaso d’Aquino.
Hanno la vaga sensazione che rendere più umana la divinità significhi renderla pagana, senza accorgersi che l’umanizzazione della divinità è proprio il dogma più forte, più rigoroso e più incredibile del Credo.

San Francesco diventava più simile a Cristo, e non soltanto a Buddha, quando contemplava i gigli del campo o gli uccelli del cielo; e san Tommaso diventava più cristiano, e non soltanto più aristotelico, quando asseriva che Dio e l’immagine di Dio erano venuti in contato con il mondo sensibile attraverso la materia.
Questi santi erano degli umanisti nella più corretta accezione del termine, in quanto affermavano l’enorme importanza dell’essere umano nello schema teologico delle cose. Ma non erano umanisti avviati sulla via del progresso che conduce al modernismo e al totale scetticismo in quanto proprio nel loro umanesimo erano assertori di un dogma che oggi viene spesso considerato come la più vana credenza del superumanesimo. Rafforzavano il vacillante dogma dell’Incarnazione, che gli scettici considerano il più difficile cui prestare fede.
La divinità di Cristo è l’osso più duro di tutta la teologia cristiana.”

(Gilbert K. Chesterton; San Tommaso d'Aquino, 1933)

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