mercoledì, gennaio 07, 2009

Rintrono Papale /3

Ovvero: "Cari fratelli e sorelle, quest’anno si chiude con la consapevolezza di una crescente crisi sociale ed economica, che ormai interessa il mondo intero; una crisi che chiede a tutti più sobrietà." (Benedictus PP XVI)

1) NOTA EXPLICATIVA PREVIA:
Un trono barocco in legno intagliato e dorato (e con i due sgabelli per i cardinali assistenti al soglio) commissionato al Bernini da Papa Innocenzo X Panphilj, e del quale a memoria d’uomo non si ricorda un suo uso nelle cerimonie pontificie, si trova esposto -quale laica reliquia dell’estro berniniano- in una sala di rappresentanza della villa pontificia di Castelgandolfo.
Più recente è il trono ligneo commissionato da Pio IX per presiedere il Concilio Vaticano I detto “degli apostoli” o "della consegna delle chiavi"a causa del bassorilievo intagliato e dorato nella lunetta che corona lo schienale. Questo trono è noto per essere stato utilizzato per le foto ufficiali di inizio pontificato dei papi novecenteschi fino a Giovanni Paolo I compreso.
Stabilmente alloggiato in Vaticano nella “Sala del Concistoro”, Paolo VI –assieme ad altre anticaglie della dimessa corte pontificia- lo destinò al Museo Storico Lateranense dove per quarant’anni ha atteso la propria rivincita consumata fredda il giorno dell’Epifania del 2009 quando Benedetto XVI vi si è assiso per pontificare nella Basilica Vaticana.
Assai più grande ed esuberante del trono di Pio IX è quello “di Leone XIII” detto anche “dello Spirito Santo” per la colomba raffigurata nella lunetta in cima all’alto schienale. Destinato alla “Sala del trono” dell’appartamento pontificio servì anche per l’incoronazione di Pio XII e di Giovanni XXIII; fu utilizzato da papa Roncalli per presiedere l’apertura del Concilio Vaticano II così come da Paolo VI nella cerimonia di chiusura.
L’aggiornamento dell’arredamento voluto da Papa Montini decentrerà l’ex trono -declassato a pregiata chincaglieria antiquaria- in un angolo di una sala dell’imborghesito “appartamento nobile pontificio”.
Contro ogni possibile previsione, nel dicembre 2006 ricompariva timidamente nella Sala Clementina per essere usato da Benedetto XVI per il discorso natalizio alla Curia romana, poi nella Sala Regia per gli auguri di buon anno al corpo diplomatico nel gennaio 2007.

Una volta sostituito il Maestro delle celebrazioni pontificie, il trono di Leone XIII pote’ tornare trionfalmente in san Pietro per il concistoro del 24 novembre 2007, poi per i solenni vespri di inizio anno liturgico e di fine anno civile e per le benedizioni Urbi et Orbi.

2) SUMMORUM PONTIFICUM CURA:

In ossequio alla volontà conciliare di una revisione dei libri liturgici che rendesse i riti splendenti “per nobile semplicità”, il 21 giugno 1968 l’allora Sacra Congregazione dei Riti emanava l’istruzione “Pontificales ritus” con cui venivano riformate o abrogate norme e consuetudini contenute nel “Coerimoniale episcoporum”, al decimo punto si decretava che da quel momento in poi il trono episcopale tornasse ad assumere il paleocristiano appellativo di cattedra episcopale: “Sedes Episcopi venerabili et tradito nomine « cathedra » vocatur.” Il vescovo non doveva affatto essere considerato alla stregua d'un "governatore" che dal suo trono amministra una lontana provincia dell’impero romano dei papi cattolici, ma è l’icona vivente di Cristo buon pastore che siede sulla "cattedra della verità" per istruire i fedeli nella dottrina di Gesù divino maestro.
Facciamo attenzione: l’istruzione vaticana ordinava la sostituzione del nome non la sostituzione del manufatto dato che il seggio episcopale che “troneggiava” in ogni cattedrale non aveva affatto le sembianze di un trono regale: il “trono liturgico” da cui il vescovo pontificava in cattedrale era difforme dal trono o “tronetto” su cui il medesimo vescovo sedeva nella immancabile “sala del trono” del suo palazzo vescovile.
Allo stesso modo, il Romano Pontefice, più che il trono quando davea concedere udienza utilizzava soventemente il “tronetto”, che è esattamente quel tipo di poltrona baroccheggiante che ognuno ha in mente quando ci si immagina un trono regale, ovvero: una grande sedia in legno dorato in stile più o meno rococò, con il sedile, i braccioli e lo schienale imbottiti e foderati di velluto damascato (solitamente) rosso.
Una di queste pesanti poltrone - con lo schienale foderato da un arazzo con l’immagine evangelica della consegna delle chiavi- omaggio di Vittorio Emanuele II a Pio IX troneggiava nella sala dell’appartamento pontificio detta appunto “sala del tronetto” fino a quando Paolo VI, nel generale clima di austerità post conciliare, la sostituirà con una assai più scomoda cattedra marmorea medievale.

Sono rarissime le cattedre marmoree ancora al centro del presbiterio delle chiese più antiche e che non siano state distrutte in obbedienza alla riforma liturgica tridentina.
La cattedra episcopale post-tridentina (ribattezzata “trono”) , posta a lato dell’altar maggiore, lignea e dotata di un alto schienale curvilineo, era priva di orpelli poiché le norme liturgiche prescrivevano che il “trono” fosse completamente rivestito si stoffa del colore corrispondente al tempo liturgico: la “cattedra” si presentava quindi sempre foderata o di bianco, o di rosso, o di verde, o di viola. Quando il vescovo presiedeva il “pontificale al trono” il “trono” era sempre rivestito dello stesso colore dei paramenti con cui era rivestito il vescovo medesimo.
Il vescovo di Roma non faceva eccezioni alle norme generali del “Coerimoniale episcoporum”, tranne che per alcuni privilegi quali: un maggior numero di gradini ai piedi del trono, l’utilizzo della sola seta per il rivestimento del “trono” e dell’utilizzo unicamente dei colori liturgici del bianco e del rosso. Di quest’ultimo privilegio possiamo ben dire che i Romani Pontefici non ne abbiano mai abusato poiché, pontificando pochissime volte l’anno e durante le grandi solennità i cui colori liturgici possono essere solo o il bianco o il rosso, quindi, non si sarebbe mai potuto verificare il caso in cui il pontefice sedesse sul trono bianco vestito con i paramenti verdi o sul trono rosso coi paramenti viola (da folli il solo ipotizzare che un giorno Papa Ratzinger avrebbe celebrasse vestito di bianco su di un seggio rosso e vestito di rosso su di un seggio bianco!).


Il trono liturgico del papa non era affatto più grande o più bello del trono liturgico di qualsiasi altro prelato cattolico, però nella maggior parte delle pubbliche celebrazioni religiose a cui presenziava, il Pontefice non celebrava personalmente la messa ma si limitava ad assistere alla messa (celebrata dal cardinale designato dalle norme del cerimoniale pontificio) stando seduto sul trono “non liturgico”. All’apertura del concilio Vaticano II, ad esempio, rivestito di mitria e piviale Giovanni XXIII assistette assiso sul trono di Leone XIII alla messa celebrata su di un altare mobile dal cardinal decano Tisserant.

La riforma liturgica post-conciliare non ha innovato soltanto le norme liturgiche ma ha innovato ed ampliato il concetto stesso di liturgia poiché fino ad allora “liturgia” era sinonimo di “Santa Messa”. Tutto ciò che non era “la Messa” non era perciò “liturgia” come si evince dalla lettura della medesima costituzione conciliare Sacrosantum Concilium che decretava la riforma della “liturgia” ma anche degli altri “riti” e delle altre “cerimonie”.

Quando si sente affermare (correttamente) che il triregno non fu mai considerato un copricapo liturgico, non vuol dire che i Romani Pontefici non indossassero mai la tiara durante i solenni riti, le sacre funzioni, e le cerimonie religiose, significa che il papa non portava il triregno durante la messa.
La medesima indorata ferula appartenuta a Pio IX , che dalla Settimana Santa del 2008 il sedici volte Benedetto Ratzinger impugna ogni qual volta deve presiedere una celebrazione liturgica, mai e poi mai sarebbe stata classificata da Pio IX tra gli oggetto di uso liturgico poiché il cerimoniale dell’epoca non prevedeva che il pontefice impugnasse la croce astile durante la messa.
Ma tornando ai troni extra liturgici del pontefice, bisogna ricordare che anche la sedia gestatoria solenne (la quale in fondo altro non è che un trono modificato per essere trasportato processionalmente) veniva utilizzata alla stregua d’un trono: sulla sedia gestatoria solenne furono incoronati Leone XIII, Pio X, Benedetto XV e Pio XI. Sulla sedia gestatoria solenne si presentavano sovente i pontefici alla loggia centrale di san Pietro per impartire alla folla a benedizione Urbi et Orbi; inoltre, essa veniva usata dai pontefici quando presiedevano quei “riti”, come ad esempio le consacrazioni episcopali, nei quali le rubriche imponevano all’officiante di sedere su di un seggio che non fosse il “trono” episcopale.

3) AD PETRI CATHEDRAM:



“Tutti devono dare la più grande importanza alla vita liturgica della diocesi che si svolge attorno al vescovo, principalmente nella chiesa cattedrale”: il desiderio dei padri conciliari acchè si valorizzasse il ruolo dei vescovi diocesani porterà di riflesso ad una nuova normativa liturgica che insisterà sul ruolo della cattedra episcopale quale simbolo dell’unità della diocesi attorno al proprio pastore.
Bella o brutta, antica o moderna la cattedra episcopale è innanzitutto unica ed inamovibile e perciò non sarà più ammesso che si erigano cattedre posticce; ogni qual volta il vescovo dovrà pontificare in chiese diverse dalla cattedrale potrà sedersi su qualsivoglia sedile ritenuto degno d’un prelato: "Unica semper sit cathedra episcopalis; et in ea Episcopus sedeat qui celebrat aut celebrationi pontificaliter praeest. Ceteris vero Episcopis vel Praelatis forte praesentibus sedes paretur, loco convenienti, quae tamen non sit ad modum cathedrae" (Pontificales ritus n.13).

La cattedra del vescovo di Roma si trova nell’Arcibasilica Lateranense e poiché la Basilica Vaticana non è una cattedrale non c’è, ne c’è mai stata, una cattedra papale fissa.
L’unica “Cattedra” all’ombra del cupolone è quella monumentale e simbolica realizzata dal Bernini a gloria del Principe degli Apostoli: la mastodontica bronzea “Cathedra Petri”, sospesa tra cielo e terra, “vacante” a significare che ogni singolo pontefice regnante è solo un temporaneo depositario di quel carisma e di quell’autorità che Nostro Signore conferì a San Pietro.
Tale plastica immagine del “sic transit gloria mundi”, che riempie l’intera abside della basilica vaticana, non poteva che incoraggiare Paolo VI nel suo maquillage minimalista delle celebrazioni papali e nella decisione di pontificare sedendo su una degnissima e lindissima -quanto antitrionfalistica- poltrona che dopo l’offertorio veniva portata via dai sampietrini per liberare ai fedeli la visione dell’altare papale e, dopo la comunione, veniva riportata davanti all’altare per i riti di conclusione e per i saluti del papa ai gruppi di pellegrini.
Quale vicario in terra di quel “Figlio dell’uomo” che “non ha dove posare il capo”, papa Montini farà della precarietà della presenza del suo bianca poltrona un simbolo di una Chiesa “aggiornata” guidata da un papa “moderno” cui basta una asettica poltrona bianca a New York come a Bombey, come a Bogotà, come ad Hong Kong per apparire sempre a proprio agio, padrone della situazione, come quando si trova a casa sua sotto al baldacchino di San Pietro.
Al Papa non servivano più i troni principeschi, gli era ormai sufficiente una poltrona “presidenziale” per ricontestualizzare la pretesa medievale secondo cui “solo il Pontefice Romano è universale”; Giovanni Paolo II con i suoi continui viaggi apostolici porterà al parossismo l’intuizione di Paolo VI.
I vari maestri delle cerimonie pontificie di papa Wojtyla, più che a studiare possibili adattamenti della basilica di San Pietro alle nuove esigenze della liturgia post-conciliare, hanno avuto davvero il loro bel da fare nell’organizzare le messe papali che senza tregua Giovanni Paolo II presiedeva fuori dal Vaticano: nelle piazze, negli stadi e nei palazzi dello sport dei più disparati angolo del pianeta.

L’avvento di monsignor Guido Marini alla sovrintendenza delle liturgie pontificali del sedici volte “sommo liturgo” Benedetto non ha per nulla fatto ordine e chiarezza intorno alla Cattedra del successore di san Pietro ma ha solo alzato futili polveroni per la smania di rispolverare vecchie tappezzerie.

Il sabato 24 novembre 2007, alla vigilia della solennità di Cristo Re dell’universo (durante la quale si è svolta la consegna della berretta ai nuovi cardinali del suo secondo concistoro), Benedetto XVI coronato della mitria ed ammantato dal piviale ha avuto la “ccioia” di sedere all’ombra del baldacchino del Bernini, in faccia al sacro collegio al completo, nel medesimo luogo e sul medesimo trono da cui Giovanni XXIII (anch’egli ammantato del piviale e coronato della mitria) aveva esordito, in faccia all’episcopato mondiale riunito a concilio, con le memorabili parole: “Gaudet Mater Ecclesia!”
Il giorno appresso, per la solenne concelebrazione eucaristica con i novelli cardinali, al posto del maestoso trono era però ritornata la “tradizionale” bianca poltrona wojtyliana.
Intervistato, monsignor Guido Marini spiegava: "Si tratta della cattedra di Leone XIII che è stata usata altre volte dal Papa, ma non durante celebrazioni liturgiche; è la prima volta dunque, perlomeno in tempi recenti, che viene usata come cattedra del Romano Pontefice".Quindi per Monsignor Guido Marini il trono che Leone XIII aveva voluto per sedersi nella Sala del trono del Palazzo Apostolico Vaticano sarebbe nè più nè meno che una "cattedra", quindi una sede liturgica, e che in continuità con i propri antecessori Benedetto XVI utilizza per presiedere una vera e propria liturgia qual è la "liturgia delle ore" anche se la medesima "cattedra" in passato i pontefici la utilizzavano "non durante celebrazioni liturgiche": davvero illuminante.
“Il succesor del maggior Piero (Marini)”, volendosi attenere alle ataviche consuetudini vaticane -Maestro di cerimonie qual è- voleva dire che “in illo tempore” quel trono non veniva mai utilizzato dai pontefici per celebrare la santa messa ma solo per presiedere celebrazioni “altre” quali appunto poteva essere l'uffizio divino.

Per disvelare tutta l’incongruenza di quelle erudite delucidazioni di monsignor Guido Marini ci sarebbe voluto un anno, un mese e dodici giorni: cioè per vedere Benedetto XVI celebrare la messa "di Paolo VI" su di un trono pontificio che all’epoca in cui si celebrava la "Messa di San Pio V" un sovrano pontefice si sarebbe rifiutato categoricamente di utilizzare per celebrare la messa.
Ecco: ciò che inquieta in queste (come in altre) decisioni di Monsignor “Marini Secondo” è la professione di umile fedeltà ad una imperitura “tradizione” ecclesiastica che però è più immaginata come tale che realmente riscontrabile nei fatti: un Giovanni XXIII come anche un Pio XII sapevano benissimo che il trono di Pio IX, come quello di Leone XIII, non era un trono liturgico (cioè non era una cattedra episcopale) e non avrebbero mai preferito il trono sberluccicante d’oro alla cattedra vestita di stoffa se non fossero state le norme del rituale dell’epoca a comandarlo.

4) RERURUM NOVARUM CUPIDITAS:


Ad un mese esatto dall’ingresso del trono di Leone XIII sulla scena liturgica del pontificato ratzingeriano, ecco che nella messa della notte di Natale del 2007, davanti all’altare papale, appariva (non il Bambin Gesù: la qual cosa avrebbe destato meno sorpresa!) una “poltrona rossa” dal gusto incontestabilmente “passatista”, ovvero: quel “tronetto” rinascimentale che per cinque secoli aveva regnato incontrastato negli appartamenti pontifici. Erede diretta della grande e severa poltrona su cui siedono Giulio II e Leone X nei due celebri ritratti di Raffaello esposti agli Uffizi, e che, ingentilita da stemmi papali innalzati ai due estremi dello schienale, è la medesima poltrona su cui posa Innocenzo X nella celeberrima tela del Velasquez alla Galleria Doria Panphilj, su cui poseranno per i pittori , e poi per i fotografi, i papi a seguire. Tronetto che appositamente modificata diverrà un tipo di sedia gestatoria per le occasioni meno solenni.


Paolo VI, nel suo restyling pseudo-pauperistico del corredo papale, prima farà sostituire la purpurea tappezzeria dei tronetti con tappezzerie color grigio e color panna., poi darà istruzione di creare nuove “poltrone papali” rigorosamente foderate di bianco che, pur ispirandosi pedissequamente alle linee del tronetto rinascimentale, avevano per Papa Montini un ineguagliabile pregio: apparire incontestabilmente “moderne”. Si giungeva così alla studiata incongruenza per cui ad un papa che in un contesto liturgico parla alle folle da una moderna poltrona “presidenziale” da leader di quell’entità etnica sui generis che è la Chiesa Cattolica, invece in un contesto extra liturgico come poteva essere la rimodernata “sala del tronetto”, accordando udienza a personalità “mondane”, avremmo visto un papa che tiene la sua allocuzione diplomatica seduto su di un arcaica cattedra marmorea indubbio simbolo d’autorità spirituale.
Regnante Giovanni Paolo II le ingombranti poltrone di Paolo VI verranno pian piano sostituite da più maneggevoli poltrone, anch’esse impeccabilmente candide, che solo l’affettata piaggeria dei vaticanisti della Rai poteva definire con sprezzo del ridicolo: “trono papale”.

Orbene, poiché la purpurea poltrona di foggia rinascimentale, risuscitata nel Natale 2007 per virtù di monsignor di Guido, è identica nelle dimensioni alla moderna poltrona bianca, ed inoltre, poiché durante il 2008 la poltrona rossa non ha definitivamente sostituito quella bianca ma v’è stata una continua alternanza, si sarebbe dovuto ipotizzare che ci dovesse essere un’ideale bussola a guidare la volontà di monsignor Guido Marini or nel prediligere il tronetto rosso, or nel preferire la poltrona bianca quale sede del Benedetto pontefice “ccioiosamente” regnante.
Istintivamente verrebbe da dire che il discrimine stia nel colore: torna infatti alla mente l’antico privilegio dei colori liturgici riservati al pontefice.
Si sarebbe potuto ipotizzare che un Maestro delle celebrazioni pontificie arresosi, volente o nolente, di fronte all’impossibilità di ricreare nella Basilica Vaticana un vero e proprio presbiterio con una stabile cattedra episcopale abbia convenuto sul fatto che l’ormai consolidata posizione del seggio papale su di una pedana posticcia davanti all’“altare della Confessione” sia la più soddisfacente (e per la visuale dei pellegrini, e per evitare di far camminare molto l’ottuagenario pontefice) ma che però, ad imitazione dell’antica cattedra, il pontefice rivestito dei paramenti bianchi sieda sulla poltrona bianca, e rivestito dei paramenti rossi pontifichi dalla poltrona rossa.
Degna di nota in tal senso nel medesimo San Pietro è la “sede” usata dal cardinale arciprete o dai canonici della basilica per le celebrazioni al cosiddetto “altare della cattedra”: in tale moderno seggio è inserito un “poggia schiena”, rivestito di stoffa damascata, che viene sostituito in base al colore liturgico.
Ma il fatto stesso che la “poltrona rossa” abbia fatto la sua apparizione a Natale, quando cioè il colore liturgico è il bianco, non può che lasciare più che perplessi chiunque sappia di come monsignor Guido si sia opposto a quelle stelle di Natale -proprio perché rosse!- che invece all’epoca di monsignor Piero infestavano il baldacchino di San Pietro da Natale all’Epifania
Nella solennità dei santi apostoli Pietro e Paolo, poi, quando il colore liturgico è il rosso il monsignor maestro faceva pontificare il papa sulla poltrona bianca.
Bastino solo questi due macroscopici exempla per cassare ogni seppur fragile ipotesi che la poltrona rossa sia stata esumata per una motivazione specchiatamene liturgica.
Dire che la poltrona rossa è maggior degna del pontefice perché ha un aspetto “più nobile” non ha senso: il papa non è un nobile. L’unica nobiltà che il Concilio ha raccomandato è quella della semplicità.

Dobbiamo amaramente dedurne che anche le volte in cui il colore liturgico e il colore delle tappezzerie sono combaciati le motivazioni occulte di ciò non le si dovranno cercare nelle rubriche liturgiche ma in particolari esigenze scenografiche.
Tanto è vero che la volta in cui monsignor Guido Marini nella Basilica Ostiense ha avuto a che fare con l’antico trono liturgico dei pontefici, ovvero la cattedra foderata di seta, non ha mancato di utilizzarla decorosamente prescindendo però da qualsiasi valutazione in relazione al colore liturgico.
Or bene: è indubitabile che la cattedra foderata di seta bianca, fatta appositamente per essere posta sul grande trono neoclassico della Basilica di San Paolo, non è stata né voluta né pensata dal maestro delle cerimonie pontificie ma che l'ha semplicemente trovata in qualche sagrestia della medesima basilica.
Epperò: se monsignor Marini fosse veramente il “restauratore” della “tradizione tridentina” -come i suoi accaniti estimatori ed ancor più i suoi accaniti detrattori sostengono a spada tratta- sapendo che il Romano Pontefice alla vigilia della solennità dei santi Apostoli Pietro e Paolo avrebbe dovuto presiedere nella Basilica Ostiense il rito d’apertura del giubileo paolino, un sì tanto declamato cultore delle liturgie tridentine avrebbe dovuto fare il diavolo a quattro per ottenere una copia esatta della cattedra bianca però nella variante versione foderata di seta purpurea!
Se stiamo infatti trattando del medesimo Guido Marini che in previsione dell’apertura dell’anno paolino ha fatto confezionare per Benedetto XVI un “manto” color porpora ricamato in ora copia fedele di un paramento del rinascimentale Leone X de Medici il contemporaneo disinteresse per il colore liturgico del seggio (anzi dell’antico “trono”) papale appare di un’eloquenza disarmante: la bianca cattedra serica meritava, quindi, di essere ostentata in una celebrazione pontificia non perché fosse cattedra o perché fosse bianca (nè perchè fosse serica) ma poiché appariva incontestabilmente “antica” (e quindi "elegante" tout court).







L’unico canone dell’utilizzo di un seggio liturgico dovrebbe essere l’aderenza alle norme liturgiche e poiché il maggior o minor stile arcaicizzante non risulta essere tra i requisiti essenziali, e nemmeno la compatibilità al colore liturgico risulta essere più un criterio decisivo, allora ne consegue che se il criterio che guida monsignor Marini nella scelta delle sedie papali non è un criterio liturgico allora dovrà essere necessariamente un criterio “non liturgico”; a guidarlo, quindi, una sua personale sensibilità “secolare”, ovvero una personalissima "mondana" concezione del buon gusto estetico: un gusto in ultima analisi “profano”.
E dico “profano” senza voler colorire o (scolorire) negativamente il dato di fatto inconfutabile che nel ’68 l’ecclesiastico di gusto alto borghese ritenesse opportuno stingere le tappezzerie e stilizzare i panneggi mentre quarant’anni dopo l’ecclesiastico “uomo di gusto” ritiene che il massimo dell’eleganza stia nella moda “vintage”: ovvero nell’armonioso abbinamento tra antico e moderno.


5)ECCLESIA DEI AFFLICTA:

Nella Festa del Battesimo del Signore domenica 13 gennaio 2008, dovendo Benedetto XVI pontificare nella Cappella Sistina, monsignor Guido Marini ha realizzato il vero capolavoro liturgico del suo primo anno di sevizio alla Cattedra di Pietro localizzando la sede papale esattamente nel medesimo posto in cui l’avrebbe collocata il maestro delle celebrazioni liturgiche di Sisto IV. A lato dell’altare, esattamente di fronte alla Sibilla Libica, Benedetto XVI si è assiso su una vera ed autentica cattedra episcopale, capolavoro di artigianato lombardo già appartenuta a Pio XI.

Per quella cerimonia battesimale monsignor Marini ricevette dai mass media il crisma di “tradizionalista” per aver “osato” far celebrare al papa la messa all’antico altare -cioè all’unico altare- della Cappella Sistina. La colpa imputata dai novatori a monsignor maestro fu quella di aver curato la regia di una celebrazione di “stile” preconciliare nonostante che Benedetto XVI abbia invece celebrato volgarmente attenendosi in tutto e per tutto al “rito” postconciliare. Evidentemente a quarant’anni dalla riforma liturgica di Paolo VI bisognerebbe prendere atto che ormai nella Chiesa cattolica lo scontro tra conservatori e progressisti, da diatriba addirittura teologica e dogmatica che opponeva i paladini del vecchio rito della messa ai sostenitori nuovo rito, si è trasformata in una superficiale quanto imbarazzante polemica intorno al “bello stile”.

Poiché la cattedra lignea lodevolmente rimessa in onore da Guido Marini rifulge nella sua nuda maestosità , ci si sarebbe aspettato che monsignor maestro la trasferisse immantinente nel tempio petriano -ponendola o sotto il pilastro della Veronica o di fronte alla statua di San Pietro- destinandola quale stabile sede (splendente per nobile semplicità) sulla quale il sommo liturgo Benedetto avrebbe presieduto le celebrazioni vaticane. Invece la cattedra lignea veniva trasferita nella “Loggia delle benedizioni” per divenire stabile scranno su cui il pontefice si pone per presiedere alle udienze che si svolgono appunto nel lungo salone che sovrasta il portico della basilica vaticana.
“Marini Secondo” rinverdiva così la post- conciliare costumanza vaticana per cui ad un pontefice che in un contesto liturgico siede su di una poltrona (anche se non più bianca), invece in un contesto non liturgico siede su di una vera e propria cattedra liturgica. L’utilizzo del trono di Pio IX per la messa papale dell’Epifania del 6 gennaio 2009 segna il climax di una tale quarantennale libertà nella sperimentazione liturgica post-conciliare: soltanto che al gusto modernizzante dei pontefici e dei loro cerimonieri d’un tempo si è sostituito il gusto arcaicizzante, e del pontefice, e del suo maestro di cerimonie.


Gli infatuati quanto ingenui fautori di una restaurazione tradizionale del culto divino difficilmente si rendono conto di tutta la spregiudicatezza rivoluzionaria con cui il mite Guido Marini ha infranto ogni antica tradizione liturgica in materia quando ha fatto diventare una sede liturgica quel trono che Pio IX volle per definire infallibilmente il primato pontificio.
Un vero lefebvriano -cioè: un cattolico che ritiene essere l’unica e sola autentica liturgia romana quella precedente alla riforma postconciliare e ritiene il più sacro dei suoi doveri verso Dio quello di difendere le rubriche dei rituali e dei cerimoniali della messa tridentina da ogni riforma e riformulazione (e per cui pure le semplificazioni delle rubriche approvate da Papa Giovanni XXIII puzzano di “modernismo”)- ritengo che alla vista di Benedetto XVI pontificante sul trono extra liturgico non avrebbe affatto gioito per il riapparire delle suppellettili dell’antico fasto pontificio ma è assai più logico che si stracciasse le vesti indignato per tanta subdola mistificazione.
Repetita iuvant: Benedetto XVI ha potuto pontificare dal trono di Pio IX perché celebrava secondo il rito (e quindi secondo le scarse norme liturgiche) del messale di Paolo VI. Se Papa Ratzinger il 6 gennaio ’09 avesse celebrato secondo il rito di san Pio V le severe e puntigliose norme del rituali tridentino avrebbero proibito categoricamente l’utilizzo del trono di Pio IX.
Le innovazioni “reazionarie” di monsignor Marini non sono perciò dettate nella volontà di applicare alla messa post conciliare le rubriche della messa tridentina quanto piuttosto da una decisa interpretazione arcaicizzante dei medesimi “principi e norme” della liturgia postconciliare che consentivano parimenti a monsignor Piero Marini di organizzare intorno all’altare papale di San Pietro danze tribali di aborigeni in perizoma.
La missione che Benedetto XVI ha affidato al proprio maestro delle celebrazioni è quella di antichizzare la messa moderna, farla apparire come un rito venerabile e non un canovaccio da cui partire per svuppare continui adattamenti alle esigenze pastorali.


A differenza della riforma di Pio V che aveva esteso il rito della diocesi di Roma all’universo mondo, la riforma liturgica seguita al Vaticano II è stata invece “un prodotto di erudizione specialistica” con lo scopo di essere rito universale per fedeli cattolici appartenenti a popoli di culture, mentalità e sensibilità diversissime ragion per cui si concedeva alle “Chiese locali” la facoltà di discernere gli adattamenti delle norme liturgiche generali. Quella stessa discrezionalità delle norme liturgiche che consentono al papa, come a qualunque altro vescovo, la libertà di scegliere di indossare o di non indossare la dalmatica sotto la casula, come la liberalità nella scelta della pianeta al posto della casula; di celebrare con sette candelabri sull’altare ma anche con sei; di celebrare con la croce al centro dell’altare ma anche con la croce a lato dell’altare. Norme che consentono a monsignor Guido Marini di ritenere opportuno che nella cappella Sistina il papa celebri all’altare fisso volgendo le spalle al popolo, allo stesso modo in cui le medesime norme consentivano a monsignor Piero Marini di ritenere opportuno far celebrare il papa sull’altare mobile volgendo le spalle al Giudizio Universale.

Scriveva il cardinal Ratzinger: “quel processo iniziale di uniformazione si è tramutato nel suo contrario: nella crescente ed ampia dissoluzione del rito, che dovrebbe essere sostituito dalla «creatività» delle singole comunità”.
Epperò non bisogna affatto credere che Benedetto XVI e “Marini Secondo” per evitare “la dissoluzione del rito” abbiano usato scarsa creatività: ciò che è stato aborrito è piuttosto l’arbitrarietà. L’utilizzo del trono “della consegna delle chiavi” per la messa papale dell’Epifania 2009 in base alle norme liturgiche postconciliari non può affatto configurarsi come un indebito arbitrio: può essere infatti ritenuto arbitrario l'uso del trono solo in base ai canoni propri della messa tridentina.
Le larghe maglie della rubricistica post conciliare hanno consentito a Palo VI di ripudiare il trono proprio perché esso non era una cattedra, e quindi il papa era libero di pontificare da una qualsiasi poltrona; la medesima larghezza di discrezionalità che consentono a Benedetto XVI di pontificare dal trono come da qualsivoglia poltrona perché né il trono né la poltrona hanno le caratteristiche propria della cattedra episcopale.

Nel restaurato trono “della consegna delle chiavi” monsignor Marini ha trovato una risposta alle sua necessità di inventarsi l’antichità delle moderne celebrazioni del pontefice. Il trono di Pio IX coniuga tutta la fastosità del sepolto cerimoniale pontificio con l’essere di piccole dimensioni e maneggevole al pari delle poltrone di Paolo VI: utilizzato, perciò, come una poltrona di Paolo VI.
E non si capisce perché della maestosa cornice della basilica in San Pietro il papa dovrebbe privarsi di quei tronetti dalle esuberanti decorazioni (pudicamente ribattezzate cattedre) di cui invece non si priva quando pontifica lontano dal Vaticano.
Nella gran parte delle celebrazioni papali in giro per le diocesi d’Italia e per l’universo mondo, sia a Giovani Paolo II che poi a Benedetto XVI, i prelati locali hanno messo a disposizione del pontefice regnante ciò che di più sontuoso era riuscito a produrre l’ebanistica locale ovvero le grandi poltrone baroccheggianti che un tempo erano i tronetti dei vescovi degli arcivescovi e dei cardinali. Chi vuole avere contezza delle suddette affermazioni è sufficiente che volga il proprio sguardo al “trono papale”, messo a disposizione dal vescovo-prelato del Santuario di Pompei, nell’ultima visita pastorale effettuata da Benedetto XVI nel trascorso 2008.


Ed anche se le vigenti disposizioni della Santa Sede sottolineano che “la sede del presidente” non deve avere l’aspetto di un trono, presso tante chiese con una lunga storia alle spalle tanti sacerdoti per “presiedere” usano sedersi su grandi poltrone damascate ed indorate che altro non sono che quei tronetti un tempo utilizzati per far accomodare l’alto prelato quando durante la visita pastorale si intratteneva nella casa parrocchiale. Invece nelle chiese “moderne” dalle architetture dissacranti il “prete di periferia che va avanti nonostante il Vaticano” ha ricavato la propria sede liturgica da megalitici monoliti di granito: vere e proprie -e quanto mai eccessive- moderne "cattedre" la possanza delle quali intimorirebbe anche i più venerabili antichi Dottori della Chiesa.

3 commenti:

Paride de Grassi ha detto...

Vorrei notare come non è esatto che il trono liturgico del Papa fosse identico a quello dei Vescovi, essendo di lama d'oro e non di semplice seta (privilegio comune ai Cardinali, i quali però non avevano ricami sul dossale del baldacchino).

Ugualmente il Papa usava la coltrina viola del trono nelle funzioni penitenziali, cui assisteva (non celebrava) così come la stola, mentre il mantum restava rosso.
Per amore di precisione...

Paride de Grassi ha detto...

per la fonte, si legga il Moroni naturalmente...

Duque de Gandìa ha detto...

Ovvero: graziosa recensione a cotanto inutile blog tardo-barocco cui si è degnato accondiscendere il tridentino Pietro Siffi a "comment" del "rintrono papale" citato dal blog "Rinascimento Sacro":

http://www.rinascimentosacro.com/2009/02/rdr-il-rinnovamento-benedettiano-al.html

"A legger la prosa pedante del giovane estensore si direbbe ch'egli quasi si bei d'ascoltarsi, di scriversi addosso. Incontinenza verbale, si potrebbe pensare. Ma dietro questa speciosa profluvie di arcaismi - alternati ad idiotismi invero fuori luogo e ad un'insana mania svirgolettatrice che tradisce l'età dell'autore - pur rimanendo le condivisibili perplessità per l'uso recente del trono papale, non si scorge se non uno sterile quanto controproducente attacco al Maestro delle Celebrazioni, il quale di tutto può aver bisogno oggi, fuorché degli infidi sberleffi dei presuntuosi. Non bastano le critiche dei novatori: ad affastellare fascine per il rogo si prestano anche petulanti dottorini che del barocco dimostrano d'aver colto solo l'aspetto più decadente e démodé, facendo sfoggio di una cultura modestissima, e insieme di una mancanza di prudenza senza pari.

E' sufficiente leggere il blog del Duque de Gandìa per capire quanto poco romano ne sia l'animo, la formazione, il milieu."