Il Foglio venerdì 16 settembre 2005:
«Al direttore - Al dibattito in corso sui Pacs vorrei aggiungere qualche considerazione. Premesso che non penso che lo scopo di questi patti sia quello di promuovere “fusioni di persone” (es. studenti che vivono insieme condividendo la casa), le due grandi categorie a cui si rivolgono sono le coppie eterosessuali che non desiderano contrarre matrimonio (o non possono temporaneamente) e le coppie gay.
I diritti a cui si fa riferimento da più parti e dai quali sono escluse entrambe le categorie sono diritti di natura economica e patrimoniale, quali la pensione di reversibilità. La quasi totalità di tali diritti premia la famiglia rispetto al singolo in quanto “nucleo organizzato” di persone con lo scopo, non secondario, di garantire la continuità della società (riproduzione ed educazione dei figli).
In tal senso la pensione di reversibilità è nata con la funzione di tutelare la moglie e i figli in una famiglia monoreddito, ove la donna non lavorava fuori dalle mura domestiche in quanto interamente impegnata all’interno della casa. Così pure i benefici fiscali, le priorità nell’accesso alle case popolari e tanti altri diritti simili rappresentano costi per la società che vengono sostenuti proprio in virtù della funzione sociale attribuita alla famiglia.
Possiamo tranquillamente chiederci se la famiglia di oggi debba godere ancora di queste condizioni di privilegio, ma perché mai i Pacs dovrebbero godere di facilitazioni rispetto ai singoli cittadini?
Non è forse vero che non potranno adottare figli (in quanto evidentemente non considerati sufficientemente stabili o adatti per farlo)?
Perché una coppia di fatto con un bambino proprio non si sposa?
Non è forse vero che se in una coppia omosessuale uno dei due non lavora, non ha un proprio reddito e vive a carico dell’altro è “solo” perché è disoccupato?
E allora non bisognerebbe parlare di sussidio di disoccupazione più che di pensione di reversibilità?
E di nuovo perché di un sussidio di tal genere non potrebbero godere anche i single?
Penso che nell’affrontare temi tanto delicati sia giusto riflettere sull’origine e sulla natura di alcuni diritti. Solo così si può effettivamente distinguere la discriminazione dalla diversità. Un saluto
Edoardo Riccio, via internet»
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