venerdì, ottobre 07, 2005

"...e sul suo capo una corona di 12 stelle"



Ovvero: le isteriche figlie di Eva

(dal Foglio del 7 ottobre 2005)

Al direttore - Grossolano attacco alla religione e alla Chiesa cattolica in un rapporto, “Donne e religioni in Europa” presentato al Consiglio d’Europa due giorni fa da Rosemarie Zapfl-Helbling.
Zurighese, membro autorevole del partito popolare, la Helbling ha perorato la difesa dei diritti delle donne europee con sconcertanti affermazioni e una serie di luoghi comuni anticattolici mescolati a evidenti falsità. Il tutto molto politically correct.

Obiettivo della crociata la religione cattolica, più volte citata negli interventi in Aula dalla relatrice ed altri, responsabile di limitare i diritti delle donne o di minacciarli condannando il gentil sesso, come affermato nel rapporto, alle “violazioni più gravi dei diritti fondamentali come il crimine d’onore, i matrimoni forzati e le mutilazioni genitali femminili (!!!) che sono in aumento in alcune comunità europee”.
L’influenza religiosa, continua la filippica, è raramente inoffensiva perché “i diritti delle donne sono permanentemente e continuamente violati e minacciati” nel nome della religione che ha contribuito, attraverso stereotipi maschilisti “a conferire agli uomini un sentimento di superiorità che ha portato alla discriminazione della donna fino al ricorso alla violenza fisica”. Ma una delle colpe più grandi attribuita alle credenze religiose “al fine dell’asservimento della donna” è il “rifiuto di mettere in discussione una cultura patriarcale che considera il ruolo della sposa, della madre e della donna di casa, come modello ideale”.
Francamente stupisce che possa rivivere ancora oggi in una rappresentante in Consiglio d’Europa del partito popolare europeo come la Rosemarie Helbling, un vetero femminismo così acre e demodé ma soprattutto fa meraviglia che questo furore antireligioso che non ha mai citato la condizione della donna islamica, sia diretto contro la Chiesa che ha consacrato da secoli la figura di Maria come sintesi di ogni virtù femminile e della santità. Dopo tutte queste premesse, la vibrata esortazione della Helbling a tutti gli Stati membri del Consiglio d’Europa a lottare contro le mutilazioni genitali femminili, i matrimoni forzati, ecc. perché “la libertà di religione trova i suoi limiti nel rispetto dei diritti della persona umana”. Venga garantita, dunque, “la separazione necessaria tra Stato e Chiesa perché le donne non siano sottomesse a politiche e a leggi ispirate dalle religioni” in particolare riguardo alla famiglia, al divorzio e all’aborto.

Infine l’ultima invocazione del Rapporto è rivolta agli Stati perché nessuna giovane, ancorché minorenne, debba essere costretta a sottomettersi a delle regole religiose o le sia impedita la libertà di movimento o ancora le sia vietato l’utilizzo dei contraccettivi da parte della famiglia o della comunità in cui vive.

E’ ovvia la preoccupazione per un simile linguaggio e per tesi che non trovano nessun sostegno nella realtà europea e nei fondamenti della religione cattolica, soprattutto se vengono attribuiti genericamente alla religione riti come le mutilazioni genitali femminili o consuetudini come i matrimoni forzati che ci sono totalmente sconosciuti. Ma l’ambiguità di fondo sta nel confondere il cattolicesimo o il sentimento religioso in generale con gli abusi, i crimini o le prevaricazioni che vengono fatti con il pretesto della religione o in nome della religione stessa.
La zelante relatrice zurighese, anticattolica e membro del partito popolare europeo, dimentica che la conquista forse più grande della nostra civiltà, ossia la laicità dello Stato, ha da secoli tracciato una chiara demarcazione tra Stato e Chiesa.
Stupisce che non se ne sia accorta e vale forse la pena ricordarle che è il rispetto della legge la garanzia dei diritti di ciascuno e le istituzioni democratiche la difesa di tutti. Inutile dire che decine di emendamenti, tesi a migliorare il testo, sono stati respinti e che il politically correct ha trionfato ancora una volta contro il buon senso e la verità.

Nello stesso pomeriggio, in assemblea plenaria del Consiglio d’Europa, è stato ospitato il signor Ekmeleddin Ihsanoglu, Segretario generale dell’Organizzazione della Conferenza islamica, che ha illustrato i possibili punti di incontro tra l’Islam e le altre religioni. Vale la pena ricordare che nella Risoluzione n.12/31, approvata dalla stessa Conferenza islamica nel giugno 2004, circa il ruolo della donna nello sviluppo della società musulmana, si affermava che “si dovessero prendere misure appropriate per organizzare attività femminili a livello nazionale e internazionale nel rispetto della natura della donna e nel quadro delle restrizioni previste dalla Sharìa”. E ancora, nel comunicato finale della stessa Conferenza , al comma 62, “si riafferma il diritto degli Stati islamici a preservare la loro specificità religiosa, sociale e culturale (...). Si fa appello ad astenersi da ogni utilizzo dell’universalità dei diritti dell’uomo come pretesto per l’ingerenza negli affari interni degli Stati islamici (...). Infine, si denuncia la decisione dell’Unione europea che condanna la lapidazione (delle adultere,ndr) e le altre pene qualificate come inumane che vengono applicate in alcuni Stati islamici in virtù delle disposizioni della Sharia”. Non credo ci possano essere dubbi che i margini di dissenso con queste posizioni, così autorevolmente espresse dalla Conferenza islamica del 2004, siano molto ampi e facciano riflettere.


Fiorello Provera membro del Consiglio d’Europa

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