giovedì, febbraio 09, 2006

Benedictus benedicat III



"Colpisce innanzitutto la prontezza con cui la diplomazia vaticana, sia pure nell’impossibilità di avere un peso politico di qualche rilievo nel quadro di una guerra già scoppiata, colse le dimensioni della tragedia che si stava abbattendo sugli armeni. Le deportazioni ebbero inizio il 24 aprile 1915, e nonostante le comunicazioni fossero precarie e difficili, Benedetto XV, che aveva molto a cuore l’Oriente cristiano – fu lui a dare vita al Pontificio Istituto orientale di Roma –, fece il suo primo intervento pubblico sulla questione il 6 dicembre, al Concistoro dei cardinali, pronunciando una frase che è quasi una definizione ante litteram del termine genocidio: «Miserrima armenorum gens ad interitum prope ducitur»
L’infelicissimo popolo armeno è condotto alla soglia dell’annientamento»).
La lettera che indirizzò al sultano
è un capolavoro di delicata abilità diplomatica, benché fosse chiaro che il sovrano era ormai un fantoccio nelle mani di altri. E non va dimenticato neppure il contributo dato da Pio XI al ricovero di tanti orfani armeni dopo la guerra, per i quali aprì la villa di Castel Gandolfo. A un prelato che gli faceva osservare che stava dando ospitalità a “figli di eretici”, il Papa rispose, battendo energicamente il pugno sul tavolo, che si trattava piuttosto di figli di martiri..."


(30 Giorni, giugno 2005)

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