giovedì, maggio 24, 2007

Breve ai Principi, II


Il Foglio di Sabato 19 maggio 2007 pubblicava le trascrizioni della prima argomentazione del filosofo Flores d'Arcais e della prima contro-argomentazione dell'"immenso" Giuliano Ferrara con cui principiò il loro dialogo addì giovedì 10 maggio 2007 all’Auditorium del Parco della Musica di Roma in occasione del "Festival della filosofia". La diatriba verteva intorno alla compatibilità di Dio con la democrazia o addirittura della di Lui necessità per essa!
A corollario, sul Foglio di giovedì 24 maggio, appare una lettera al direttore di "don Ciccio" Ventorino, "longa mano" (benedicente) di CL alle falde dell'Etna:

"...Il suo interlocutore sostiene che l’operazione proposta da Benedetto XVI, quella del tornare a vivere “come se Dio ci fosse” sarebbe una proposta assurda, che ci farebbe addirittura ripiombare nel buio dei secoli passati, segnati dalle guerre di religione; mentre basterebbe – per fondare una vera democrazia – un “nucleo di valori condivisi”, secondo quel principio liberale “una testa un voto”, che implica l’uguale dignità di ciascun individuo. Ma è proprio l’insufficienza a garantire la dignità di ciascun individuo e la democrazia stessa di questo principio – come dimostra la storia dei totalitarismi del secolo scorso, che si sono affermati proprio in forza di “valori condivisi” e quindi, si può dire, “democraticamente” – che il Papa attuale ha voluto evidenziare con la sua provocante proposta, alla quale è giunto con un cammino che viene da lontano.
Quando era ancora il professore Joseph Ratzinger in una conferenza pubblicata nel 1972, citando i “Colloqui con Hitler” di Hermann Rauschning, che nel 1933-34 era presidente del Senato della libera città di Danzica, riferisce la seguente dichiarazione che il dittatore avrebbe fatto: “Io libero l’uomo dalla costrizione di uno spirito diventato scopo a se stesso; dalle sporche ed umilianti autoafflizioni di una chimera chiamata coscienza morale, e dalle pretese di una libertà a autodeterminazione personale, di cui ben pochi sono all’altezza”. E così la commentava:
“La coscienza era per quest’uomo una chimera dalla quale l’uomo doveva essere liberato; la libertà che egli prometteva doveva essere una libertà dalla coscienza. […] La distruzione della coscienza è il vero presupposto di una soggezione
e di una signoria totalitaria. Dove vige una coscienza, esiste anche una barriera al dominio dell’uomo sull’uomo e all’arbitrio umano, qualcosa di sacro che rimane inattaccabile e che è sempre sottratto all’arbitrio, sottraendosi ad ogni dispotismo proprio o estraneo. Solo l’assolutezza della coscienza è l’opposto assoluto nei riguardi della tirannide; solo il riconoscimento della sua inviolabilità protegge l’uomo nei confronti dell’uomo e nei confronti di se stesso; solo la sua signoria garantisce la libertà” (“Chiesa, ecumenismo e politica”, Edizioni Paoline, Milano 1987, p. 159).
Ma per Ratzinger la coscienza non andava intesa come un tribunale soggettivo e arbitrario, ma come il luogo in cui echeggia la voce di Dio. Il riconoscimento dell’assolutezza della coscienza è, quindi, legato al riconoscimento dell’Assoluto.
E’ per questo che, qualche giorno prima che divenisse Papa Benedetto XVI, ha lanciato da Norcia quella sfida che ha fatto inorridire Flores D’Arcais e l’ha così motivata:
“Il tentativo, portato all’estremo, di plasmare le cose umane facendo completamente a meno di Dio ci conduce sempre di più sull’orlo dell’abisso, verso l’accantonamento totale dell’uomo. Dovremmo allora capovolgere l’assioma degli illuministi e dire: anche chi non riesce a trovare la via dell’accettazione di Dio dovrebbe comunque cercare di vivere e indirizzare la sua vita “veluti si Deus daretur”, come se Dio ci fosse. […] Così nessuno viene limitato nella sua libertà, ma tutte le nostre cose trovano un sostegno e un criterio di cui hanno urgentemente bisogno” (“L’Europa di Benedetto nella crisi delle culture”, Libreria Vaticana e Edizioni Cantagalli, Roma – Siena, Maggio 2005, pp. 62-63).
Svolgeva così le sue “Tesi per una Europa futura”, che aveva enunciato molti anni prima:
“Ricordo un’importante frase di Bultmann: ‘Uno stato non cristiano è fondamentalmente possibile, ma non uno stato ateo’, non in ogni caso come tale, come duraturo stato di diritto. Ciò implica che Dio non venga relegato incondizionatamente alla sfera privata, ma che venga riconosciuto anche pubblicamente come valore supremo. Ciò include senz’altro – e vorrei sottolinearlo con decisione – la tolleranza e lo spazio anche per le persone atee e non può avere nulla a che fare con la costrizione alla fede. […] Io sono convinto che alla lunga non esistono chances per la sopravvivenza dello stato di diritto sotto un dogma ateo in via di radicalizzazione e che qui è necessaria una riflessione sulla natura radicale: come questione di sopravvivenza.
Allo stesso modo oso affermare che la democrazia funziona unicamente se funziona la coscienza e che questa coscienza ammutolisce se non si orienta secondo la validità dei fondamentali valori etici del cristianesimo, i quali sono realizzabili anche senza esplicita professione di cristianesimo, anzi anche nel contesto di una religione non cristiana” (“Chiesa, ecumenismo e politica, cit., p. 219).
Del resto anche Karl Löwith, da lei citato nel suo intervento, aveva già mostrato come, addirittura secondo Feuerbach, “al di fuori della religione cristiana, lo stato profano diventa necessariamente la ‘totalità di ogni realtà’, l’‘essere generale’ e la ‘provvidenza dell’uomo’. Lo stato è ‘l’uomo in grande’, lo stato in confronto a sé è ‘l’uomo assoluto’; esso diventa a un tempo una realtà e una confutazione pratica della fede” (Karl Löwith, “Da Hegel a Nietzsche”, Einaudi, Torino 1969, p. 141).

Ecco perché condivido pienamente le conclusioni alle quali lei perviene, cioè che “la democrazia è opera di Dio […] cioè della presenza di un concetto di Dio nella storia”; mentre il totalitarismo, “culmine di un processo moderno ammalato e degradato, è invece l’anticristo, l’anticristianesimo”.
don Francesco Ventorino"

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