mercoledì, maggio 23, 2007

visioni private /16



Il 21 e 22 maggio Mediaset ha mandato in onda il film per la televesione di 100 minuti "L'uomo della carità" sulla figura e l'opera di don Luigi Di Liegro : su Canale 5 lunedì 21 maggio la prima puntata e la seconda martedì 22 maggio spostato su Rete4 a causa la scarsità degli ascolti.
C'è chi ha detto che "Don Luigi di Liegro – L'uomo della carità" la ennesima fiction a soggetto religioso avrebbe stancato il pubbico televisivo italiano, altri invece reputano troppo azzardato lo spostamento dellla fiction da una rete all'altra.
Sicuramente la figura di questo "prete romano" è poco nota fuori dall'Urbe, inoltre la sua vita ha poco del santino per essere classificata come la solita fiction religiosa.
Biasimando l'italico andazzo di ritenere colpevole del pessimo audience il regista o l'attore (o magari la felice memoria dell'anima di don Di Liegro), personalmente plaudo alla scelta del soggetto ed al regista di aver tracciato una biografia asciutta e senza patetismi. In ciò ha sicuramente aiutato l'analisi della biografia di questo "monsignore" del Vicariato di Roma sempre in prima fila nell'aiuto concreto ai poveri, senza parole d'ordine ideologiche, senza servilismi ai padroni laici ed ecclesiastici della Roma degli anni settanta ed ottanta (la contemporaneità del personaggio ha sicuramente molto aiutato i soggettisti e soprattutto la sua "vita intensa" ha evitato invenzioni imbellettanti).

Il fondatore della Caritas italiana, per un ventennio sempre presente, molto prima delle istituzioni -e spesso a dispetto delle istituzioni- lì dove il tessuto sociale e civile della capitale minacciava di incancrenirsi.
Un "sant'uomo" (ma senza le estasi e visioni dei "padri pii" televisivi) sempre in mezzo agli ultimi, ma sarebbe meglio dire uomo profondamente autentico e limpido nei propri intendimenti e perciò sempre a proprio agio fra gli altri uomini, tutti gli altri uomini. Epperò ci andrei cauto a sentenziare che"Non era un santo né lo sarebbe diventato", diamo tempo al tempo!


La buona riuscita del soggetto televisivo va imputata innanzitutto al carattere, appassionato e franco e schietto, cioè poco monsignorile, dello stesso monsignor Di Liegro che l'attore Giulio Scarpati è riuscito a cogliere magistralmente. A tal proposito ha dichiarato Luigina di Liegro, nipote del sacerdote e vicepresidente della Fondazione intitolata a don Di Liego: "Io avevo individuato da un pezzo, in Scarpati, l'interprete di don Luigi, era l'unico in grado di esprimere il carisma di mio zio, la sua forza, la sua dolcezza.
Commovente la capacità di Scarpati di incarnare le movenze, lo sguardo, financo le incrinature della voce del prete romano morto nel 1997 consumato dall'ardore -più che dall'amore- per il prossimo.
“Ho avuto molto materiale a disposizione, anche interviste e Tg dell’epoca" ha spiegato il protagonista: "Ho incontrato chi l'ha conosciuto cercando di capire chi fosse veramente e sono contento che la regia asciutta di Di Robilant abbia restituito l'essenza e la forza di un personaggio lontano da ogni forma di retorica".
Opportuna, poi, la scelta di ferminare il film con la reale della folla che gremiva i suoi funerali in San Giovanni in Laterano, la cattedrale di Roma.

L'unico appunto che c'è da fare è la lamentabile usanza di presentare le autorità ecclesiastiche sempre bardate con le vesti prelatizie, come se senza zucchetto rosso e fascia paonazzo le Loro eccellenze ed Eminenze non muoveressero un passo!
Assai simpatica la scena del conferimento dell'ufficio "Charitas" con la stanza col tetto a spioventi che pare proprio il quarto piano del palazzo Lateranense! Mi chiedo infatti se il Vicariato non abbia messo a disposizione qualche proprio ambiente per esempio quello che nel film appare come l'ufficio del Cardinal Vicario, dove "miracolosamente" nel 1973 appare appeso al muro (dietro all'attore barbuto che dovrebbe essere il cardinal Poletti) un grande quadro ad olio raffigurante un anziano papa Giovanni Paolo II! Inoltre il cardinal Ugo Poletti non portava certo la barba!

Polletti morì anche lui nel 1997, pochi mesi prima di Di Liegro.
Io me lo ricordo bene, ottantunenne, da oltre un quinquennio non più Vicario di Roma ma pensionato di lusso a Santa Maria Maggiore con la carica di Cardinale Arciprete.
Me lo ricordo nel mese di maggio '96 piccolo di statura, tutto vestito di rosso, con mozzetta e rocchetto, entrare nella ombrosa basilica liberiana, dirigersi in fondo verso la cappella Paolina e lì al centro della cappella di Papa Borghese, nel fulgore del più sontuoso barocco romano, perennemente in ginocchio davanti alla Salus Populi Romani, guidare la recita del rosario e delle litanie. Poi, serrando ytra le bianche mani il proprio nero libro di devozione, riattraversare la navata porgendo la diafana mano al bacio di qualche rara fedele: uscire nel portico dove un solerte "sanpietrino" gli apriva l'anta del portone, a lato della Posta Santa, da dove, salendo l'ampio scalone barocco, raggiungeva i suoi appartamenti.

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