Ovvero: Quel gran pezzo dell'Ubaldo...
Omelia imbarazzante? No, giornalismo devastante
Il testo di mons. Betori non c'entra con le critiche
Articolo di Umberto Folena sull'Avvenire di venerdì 18 maggio 2007 in cui si freme e ci si angustia per le volontarie (e volenterose) distorsioni del significato dell'omelia pronunziata il 16 maggio dal Segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana in occasione della solennissima eugubina festività di Sant'Ubaldo.
«Come creare il mostro e darlo allegramente in pasto all'opinione pubblica. Quanto è capitato ieri al segretario della Cei, monsignor Giuseppe Betori, è degno di una lezione di giornalismo su come non si fa giornalismo eppure si fa, tanto resterai impunito.
Allora. Da una parte abbiamo l'omelia tenuta da Betori nella Cattedrale di Gubbio l'altro ieri, festa del patrono sant'Ubaldo. Dall'altra le cronache e i commenti di certi giornali, molti dei quali si sono evidentemente ispirati ai "lanci" di alcune agenzie di stampa. E la sensazione è di enorme imbarazzo. Non per Betori, ma per i giornali.
Difficile imbattersi in un simile cumulo di invenzioni, travisamenti e sintesi truffaldine.
Prendiamo il Corriere della Sera. Titolo a pagina 12: «Il relativismo etico è il nuovo Barbarossa». Occhiello: «Bisogna ispirarsi a sant'Ubaldo che difese Gubbio dall'esercito imperiale».
La Repubblica a pagina 10 conferma: «Giuseppe Betori ha riattualizzato l'assedio del Barbarossa contro la città». La Chiesa che si difende dallo Stato aggressore… Giochino goloso, peccato che Betori non nomini mai il Barbarossa, di cui il Corriere, in un eccesso di zelo, pubblica perfino ritratto e scheda. «Sant'Ubaldo - sono le vere parole di Betori - pose fine all'assedio delle città nemiche».
La guerra in questione era tra Gubbio e una decine di città umbre. Quella della Chiesa contro lo Stato, di una Chiesa minacciata e assediata, è una totale invenzione. Ubaldo, ricorda Betori, difende non la Chiesa ma la città e la sua gente.
Ma c'è di peggio e più sottile. Quali sono, attribuite a Betori, le nuove minacce portate alla convivenza civile da «nichilismo e relativismo»?
I giornali ne citano cinque: l'eutanasia, l'aborto, l'embrione ridotto a materiale per sperimentazioni, la negazione della dualità sessuale e lo scardinamento della famiglia. Un abile taglia e cuci. L'elenco di Betori era infatti ben più lungo. Ecco che cosa i giornali hanno censurato: nichilismo e relativismo provocano «l'emarginazi one e la condanna dei più deboli e svantaggiati; coltivano sentimenti di arroganza e di violenza che fomentano le guerre e il terrorismo; delimitano gli spazi del riconoscimento dell'altro chiudendo all'accoglienza di chi è diverso per etnia, cultura e religione; negano possibilità di crescita per tutti mantenendo situazioni e strutture di ingiustizia sociale». Sembrano i temi storicamente più cari alla sinistra. Un colpo di forbice e via.
Chiara Saraceno, sulla Stampa (pagina 41, titolo: «Monsignore, si dia una calmata»), è ancora più raffinata. Scambia le cause con gli effetti facendo fare a Betori la figura dell'ottuso fissato con il sesso, gli embrioni e l'eutanasia: «Sono loro - scrive la Saraceno - responsabili dei mali del mondo, non i dittatori politici ed economici (eccetera)».
L'ultimo terzo dell'omelia è dedicato alle soluzioni: al «volto di Dio che è amore» (Deus caritas est, Benedetto XVI), alla «visione alta della carità», alla «meta della santità»: silenzio totale, è ovvio, altrimenti viene contraddetta la caricatura di un Betori tutto politico e ingerente.
A quel punto si telefona ai politici notoriamente disponibili, gli si legge una riga di titolo d'agenzia e gli sciagurati commentano, a cominciare (e finire) dal verde Silvestri: Betori è come il mullah Omar. Sappiamo che ormai il danno è fatto. Che è vano pretendere dagli interessati di correggersi chiedendo scusa a Betori e ai lettori. Che l'Ordine dei giornalisti ha ben altro a cui pensare.
Superfluo appellarsi alla deontologia professionale, al buon senso e alle buone maniere. La Saraceno parla di un'omelia «intimamente violenta oltre che intellettualmente rozza».
Perché prima di massacrare così un vescovo, un prete, una persona, non ha avuto l'accortezza, la curiosità, la prudenza di informarsi e leggere per intero l'omelia? Chi è intellettualmente rozzo? Chi deve esercitare "autocontrollo"?
Ecco perché siamo imbarazzati. Peggio: disgustati.»
3 commenti:
A seguire "l'omelia" del sindaco di gubbio che o non ha anche lui frainteso o è in mala fede..ma TANTO TANTO TANTO in mala fede:
SINDACO GORACCI SULL’OMELIA DI MONSIGNOR BETORI
Il sindaco Orfeo Goracci interviene con una nota a commento dell’omelia di monsignor Betori in occasione della Festa del Patrono: « Gubbio ha vissuto due giornate intense e belle: il 15 maggio la Festa dei Ceri, che ha avuto anche una rilevantissima visibilità mediatica, ed il 16 la festa del Santo Patrono della Città S. Ubaldo. Per i Ceri sono stati graditissimi ospiti diversi autorevoli membri della CEU (Conferenza episcopale umbra) ed il 16 siamo assurti alle cronache nazionali per l’omelia fatta dal segretario della Cei Monsignor Betori. Gubbio è città solidale, ospitale, tollerante, comunità sicuramente cattolica ed è una realtà dove la connotazione politica è comunque la più a sinistra e comunista d’Italia. L’intervento del segretario della CEI ha preso spunto dal richiamo al ruolo e alle iniziative che il Vescovo Ubaldo Baldassini (poi nominato Santo Ubaldo) assunse nel 12° secolo in difesa della città di Gubbio, allora assediata e a rischio di essere distrutta da Federico Barbarossa. Utilizzare questo richiamo storico, ben noto a noi eugubini, per continuare in una campagna di preoccupante chiusura antistorica e di una allarmante visione integralista, ci sembra una forzatura inopportuna. Nel rispetto delle idee degli altri, non si può non sottolineare che una visione così “chiusa” , che i vertici della chiesa stanno da tempo accelerando, rischia di portare indietro il Paese tutto a forme di “oscurantismo” che sono figlie di altri tempi che credevano passati e che sempre di più portano l’Italia fuori dal comune sentire ed agire dell’Europa. Diritti individuali e progresso scientifico non possono essere messi in discussione da chiusure integraliste di tipo religioso. Le forme integraliste e populiste, pur rispettando totalmente il pensiero e l’agire di milioni e milioni di persone che concepiscono e vivono la famiglia nello spirito del Family Day, vengono poi cavalcate e strumentalizzate sul piano dell’opportunità politica da figure come quella dell’ex premier Silvio Berlusconi che con la famiglia pensata, voluta, desiderata, vissuta dai tanti a Roma e in Italia del Family Day non ha proprio niente a che spartire. Pur non volendomi addentrare in ruoli e compiti che non mi appartengono e competono, voglio ricordare che anche nello Statuto del Comune di Gubbio, approvato con delibera di Consiglio Comunale già nel 1991 , si fa riferimento a S. Ubaldo come Santo di riconciliazione: “Il Comune di Gubbio ispira la propria azione agli ideali di pace, di solidarietà e di cooperazione fra i popoli, anche nel segno della vicenda umana e civile del Vescovo Ubaldo, Patrono di Gubbio, Santo di riconciliazione”. Ciò non mi sembra proprio nello spirito e nel messaggio che Monsignor Betori ha lanciato da Gubbio, dove sono prevalse chiusura, integralismo e scarsa tolleranza. »
“Mi sorprende molto il giudizio categorico espresso sui contenuti dell’omelia e l’affermazione che dal messaggio di mons. Betori ‘sono prevalse chiusura, integralismo e scarsa tolleranza’”.
A parlare è il vescovo di Gubbio, mons. Mario Ceccobelli, che interviene a proposito delle polemiche che hanno seguito l’omelia pronunciata a Gubbio da mons. Giuseppe Betori, segretario generale della Cei, in occasione del solenne pontificale per la festa di sant’Ubaldo, il 16 maggio.
In particolare, il presule intende fare alcune precisazioni in merito alla posizione espressa, il 17 maggio, dal sindaco di Gubbio, Orfeo Goracci. Malgrado i rapporti con il sindaco siano improntati “al rispetto, alla collaborazione e oserei dire all’amicizia”, “la nota che il sindaco Goracci ha pubblicato su ‘Il Cittadino’ di giovedì 17 maggio”, sull’omelia di mons. Betori ha spinto il vescovo a una risposta.
“Intanto – osserva mons. Ceccobelli - c’è da dire che l’omelia conteneva argomenti molteplici e di vasto respiro, mentre il sindaco Goracci si è soffermato soltanto in un passaggio, certo significativo e di grande attualità. Ma l’analisi della realtà attuale partiva da una riflessione sulle cause negative che oggi minacciano la nostra società e venivano indicate due correnti di pensiero che generano comportamenti pericolosi”.
Per mons. Ceccobelli “si può discutere” se questi gravi disagi “scaturiscano dal nichilismo e dal relativismo o da altre sorgenti, ma in ogni caso hanno una loro origine e se non si parte da questa non si possono curare i mali della società”. “Purtroppo – aggiunge il vescovo – la cultura moderna tenta di curare i sintomi della malattia, ma se non risale alla sua radice a poco serviranno le medicine. Mons. Betori ha cercato di indicare la fonte del male, ma si è voluto cogliere nel suo intervento quello che non c’era”.
“I problemi della nostra città, come del nostro Paese, hanno bisogno di analisi serie e ragionate – conclude mons. Ceccobelli - e non di condanne affrettate e ideologicamente connotate. Dobbiamo avere il coraggio del dialogo e del confronto per cercare insieme soluzioni idonee e condivise per venire in aiuto ad una società sempre più alla deriva per mancanza di guide che cerchino veramente il bene comune”.
MONS.BETORI: BROMURI (NOTA SIR), “È OPPORTUNO RICORDARE A MOLTI DISTRATTI E SMEMORATI”
Mons. Giuseppe Betori, citando la testimonianza di S.Ubaldo patrono di Gubbio nell’omelia tenuta il 16 maggio nella cattedrale della città, ha voluto tra l’altro ricordare che in tempi antichi “i vescovi rappresentavano l’unica autorità, non solo spirituale, accreditata presso il popolo come defensor civitatis. Anche nell’ultima guerra mondiale ci sono stati vescovi, come Beniamino Ubaldi di Gubbio che cercò di opporsi, offrendo se stesso, alla rappresaglia che fece strage di quaranta vittime innocenti o del vescovo di Assisi Placido Nicolini che si pose a difesa degli ebrei ricercati dai tedeschi nascondendoli nei conventi della città”.
Lo scrive mons. Elio Bromuri, direttore del settimanale regionale umbro “La Voce” in una nota che Sir (www.agensir.it) pubblica oggi a riguardo delle insinuazioni e degli attacchi contro il Segretario generale della Cei per le parole pronunciate nella cattedrale di Gubbio in difesa della vita e della famiglia. Con questi riferimenti storici, precisa Bromuri “quello che si vuol dire è semplice: i vescovi amano il popolo e predicano, operano, si battono per il suo bene spirituale e materiale, oggi come ieri”.
“È opportuno ricordare a molti distratti e smemorati – scrive Bromuri - il martirio di Oscar Romero, arcivescovo di San Salvador, abbattuto nel 1980 dagli squadroni della morte governativi perché difendeva il popolo dai soprusi di una spietata dittatura. Come altri aveva nel cuore e nella mente le parole del profeta: ‘Per amore del mio popolo non tacerò’”.
Mons. Betori, conclude il direttore del settimanale regionale umbro, si è domandato: che cosa attenta in modo particolare al bene del popolo, di questo popolo che è a Gubbio, in Umbria, in Italia, in Europa? E si è dato una risposta: il pericolo è l’abbandono dei valori e delle regole che rendono sano, giusto e felice un popolo. Per aver detto questo gli sono piovute addosso invettive feroci del tutto fuori luogo oltre che fuori misura. Si deve dire pacatamente ai coniatori di epiteti che, piaccia o non piaccia, i vescovi ritengono di dover fare tale azione educativa come una battaglia di cultura e di civiltà, svolgendo insieme la missione di pastori della Chiesa e la funzione di difensori della città, Defensores civitatis. La storia dirà”.
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