venerdì, aprile 22, 2005



Adesso vi racconto come ho contribuito all’elezione di Papa Ratzinger.

Mosso da un: “non si sa mai che alla quarta votazione eleggano il papa”; il 19 aprile 2005 poco prima delle ore 17:30 mi reco in piazza San Pietro; non è molto piena.
Come ogni giorno da un lato del colonnato, lunghe code di turisti per entrare in basilica e che mi sembrano poco interessati a quel camino costantemente inquadrato dai maxischermi.
Molti gruppuscoli passeggiano per l’ampia piazza, indicano il tetto della Sistina; qualcuno indica la direzione del comignolo ad un neofita di cose vaticane. Quelli che hanno cognizione che quella potrebbe essere l’ora di una ipotetica fumata bianca, si appoggiano alle transenne che sezionano la prima metà della piazza tra il sagrato e l’obelisco.

Tutto intorno all’obelisco, chiusi in un recinto gli operatoti con i loro mega obiettivi che puntano imperterriti verso la sagoma triangolare della cappella Sistina. Lo stesso popolo di operatori staziona sotto il sagrato però con scarsa fiducia in una prossima fumata bianca. Puntano, infatti, i loro teleobiettivi verso quelli della prima fila: quelli che “ci credono”, quelli entusiasti, speranzosi, e un po’ folcloristici con i loro cartelli e bandiere agitate al vento. In questa zona più vicina alla basilica ci sono le sedie perciò io mi accomodo – nel reparto san Paolo – scegliendoni una buona visuale, e della Sistina e del balcone centrale.

Uno stuolo di giornalisti si intrufola per filmare ed intervistare quelli che vengono identificati come “supporter”. La domanda è banale: per quale cardinale tifate?

Un giornalista americano laicamente spaparanzato dietro di me, sentendo i cori da stadio di un gruppetto di messicani, naturalmente bandiere muniti, si ricompone e presi i ferri del mestiere, intervista una bruna signora che risponde che il papa è di tutti, non gli interessa la nazionalità, certo, aggiunge, se fosse sudamericano o ancor meglio addirittura messicano questo sarebbe una gioia immensa.
E continuano a urlare “Mexico! Mexico!” e scandire slogan.
In un battibaleno, come le formiche sullo zucchero, si concentrano, due file di sedie dietro a me, la maggioranza dei messicani presenti in piazza e come massimo segno d’amor di patria intona ad una< sola voce “Celito lindo”!

A quel punto la concentrazione di giornalisti e cameraman è di tre ad uno.
Di fronte a questo pubblico disturbo della mia quiete, questo urlare ed applaudire dissennatamente e senza motivo, e al solo pensiero di che frotte di simpatici isterici caciaroni si riverserebbero su Roma con un papa latinoamericano, mi è sorta irrazionale l’esclamazione:
Dio mio,ti prego! Meglio un papa tedesco che sudamericano!”

Non potro più dire che Dio non risponde celermente alle mie preghiere:
da miei calcoli approssimativi probabilmente in quel momento esatto, nella segretezza del conclave, l’ultimo dei cardinali deponeva nell’urna il suo voto per Ratzinger.

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