domenica, gennaio 22, 2006



Roberto Colombo.
Sacerdote, scienziato e docente dell’Università Cattolica.
Non di rado ha fatto sentire la sua voce nel dibattito attorno ai temi bioetici. Per rubare– ribaltandola – la battuta a Romano Prodi, un vero “cattolico adulto”.

“Anzitutto occorre chiarire che cosa s’intende per adulto’ e per ‘cattolico’”, dice. “L’adulto è chi si assume la responsabilità che la vita personale e sociale implica, mettendo in gioco la sua risorsa più importante: la libertà.
Non ogni maggiorenne è un adulto.
Ma la nostra libertà non è assoluta, indipendente da qualunque fattore. Un simile concetto di libertà è astratto. C’è sempre qualcosa o qualcuno da cui dipendo. La magna quaestio della vita è allora: nell’avventura personale e sociale, da chi accetto di dipendere?
C’è una sola dipendenza che rende liberi in ogni circostanza: la dipendenza da Dio. Lo ha riconosciuto con lucidità Sant’Ambrogio: ‘Guardate quanti padroni finiscono per avere quelli che non riconoscono un unico Signore!’ O, come dice il Vangelo, se non si serve Dio, si serve mammona, cioè il potere, la lussuria o il denaro”.
Ma il cattolico deve fare i conti anche con la Chiesa e la sua gerarchia, che fa sentire sempre più spesso il suo richiamo, anche in politica. Assistiamo a un ritorno di laicismo che critica pesantemente questo rapporto tra
i cittadini cattolici e la gerarchia…
La Chiesa ha una vocazione educativa, non politica.
Anche quando, nella sua storia passata, ha avuto un ruolo politico sul territorio italiano, lo ha vissuto in funzione della sua missione educativa: richiamare l’uomo alla realtà della sua dipendenza da Dio, che ci ama e ha dato la sua vita per ciascuno di noi.
Nell’ascoltare la voce del successore di Pietro e dei vescovi, il cattolico è più libero del laico, perché è difeso da quell’isolamento culturale e sociale in cui si può così facilmente venire strumentalizzati. L’uomo assolutamente libero è solo quello che dipende dall’Assoluto.
L’invadenza e la strumentalizzazione ecclesiastica può essere limitata solo da una cattolicità autentica, che educa la persona a valorizzare ogni accento di verità, ovunque essa si manifesti, perché riconosce in Cristo la verità di tutto ciò che esiste”.
Su alcuni temi, però, i cristiani non sono disposti a scendere a patti in politica: la bioetica, la famiglia, la scuola, l’immigrazione, la pace. Sono questioni non negoziabili?
“Ciò che noi abbiamo più a cuore di affermare è difendere la libertà religiosa, cioè la libertà di vivere e di aiutare la vita di ogni uomo secondo il disegno di Dio e non in funzione del potere economico, sociale o politico di qualsivoglia soggetto individuale o collettivo. Per questo la Chiesa non può rinunciare a far sentire la propria voce quando si decidono le sorti del nascere e del morire, del rapporto tra donna e uomo e tra genitori e figli, della scuola, della cura della salute, del lavoro, dell’accoglienza dei bisognosi, o della difesa della pace. Se tacesse, verrebbe meno all’unica ragione per cui esiste da duemila anni: l’educazione continua ad accogliere la ‘buona notizia’ del Vangelo e a vivere in funzione del Regno di Dio la vita personale e sociale”.
In questa prospettiva, le pare che vi siano differenze significative tra gli schieramenti politici?
“Quello che osservo anzitutto non sono delle differenze sulla questione fondamentale della vita e della libertà dell’uomo, ma un’astrattezza rispetto a essa.
In questa stagione, la politica difetta di realismo, a destra come al centro e a sinistra. Così, nella vita pubblica, si è sostituita la moralità dell’uomo (reale) con il moralismo sociale (ideologico), ovvero il conformismo dettato dal costume prevalente o dal potere dei media.
Occorre spegnere l’ideologia.
Ma per farlo serve un’educazione, cioè una apertura alla realtà che aiuti a non censurare il cuore dell’uomo.
L’educazione non è un affare privato, ma la questione sociale per eccellenza, da cui ripartire. E subito”.

(IL FOGLIO, giovedì 19 gennaio 2006)

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