Ovvero: "L'opus gay"
«Ruth Kelly, grintoso ministro di 38 anni e ottima madre di cinque figli, fino a poco tempo fa era l'astro nascente del governo di Tony Blair. Oggi rischia l'eclissi politica. Motivo: la sua appartenenza all'Opus Dei. E a metterla nel mirino è stata la potentissima lobby gay.
Una rapida ascesa ministeriale per Kelly. Dopo alcuni incarichi di prestigio, un dicastero difficilissimo, quello dell'Educazione, dov'era stata obbligata a traghettare una riforma scolastica voluta dal premier riformista, ma rifiutata con sdegno dagli insegnanti.
Nel recente rimpasto di governo è stata però retrocessa a un ministero pasticciato, con deleghe sottratte al vicepremier John Prescott, criticato anche per la sua vita sessuale, secondo un'inveterata abitudine britannica. E qui sono cominciati i problemi.
Al dicastero, che decide dovendo tenere conto di comunità e governi locali, è affidata la competenza per l'«equality», un concetto un po' vago ma strategico per il pianeta neolaburista che si potrebbe tradurre con parità civile.
Ad aspettare il ministro Kelly al varco, con i coltelli affilati, gli omosessuali. Incuranti della sua bravura di amministratrice, della sua fine mente politica, del suo impegno familiare, hanno puntato su una sola cosa: la sua dichiarata appartenenza all'Opus Dei...
Dal 1997 in poi, Kelly non si è presentata in aula in occasione di 12 votazioni parlamentari su temi legati all'emancipazione dei gay. E nel 2002 ha votato un emendamento sulla nuova legge sulle adozioni, al fine di vietare questa possibilità alle coppie dello stesso sesso.
Apriti cielo! Alla vigilia dell'uscita del Codice da Vinci al cinema, sembrava profilarsi l'inedito scenario delle prime dimissioni di un ministro causate da un film. Denigrata nella pellicola hollywoodiana senza appello, l'affiliazione all'Opus Dei diventa una specie di colpa.
«È chiaro che il premier non prende più sul serio i diritti dei gay. Blair non darebbe mai una poltrona sulla parità etnica a qualcuno con un curriculum tiepido sull'antirazzismo» è la sentenza di Peter Tatchell, il militante più radicale della causa omosessuale...
Il capo d'accusa che si profila sembra quello di «concorso esterno in associazione cattolica».
Un nuovo caso Buttiglione, quindi, che sfiora la discriminazione di chi prende sul serio i dettami della propria fede nella sfera privata. Anche se il ministro Kelly svolge il suo ruolo politico «secondo il tradizionale principio politico della responsabilità collettiva governativa», vale a dire disciplina fedele alla linea del premier.
(...)la caccia alla «strega» Kelly è la prova che, di nuovo, essere cattolici nella terra di Enrico VIII non porta nulla di buono. Dai tempi della Riforma, nel 1530, i cattolici britannici sono stati spesso una minoranza perseguitata. Per alcuni secoli era loro vietato celebrare la messa secondo il rito romano, pena la morte, mentre i sacerdoti irriducibili erano costretti a vivere di nascosto. Solo nel 1829 fu promulgato il Catholic emancipation act (e questo 20 anni dopo l'abolizione della schiavitù nell'Impero britannico) che restituiva loro i diritti di culto.
Oggi quelli praticanti sono 1 milione scarso. Persistono divieti formali (il sovrano non può baciare l'anello pontificio) e veti non scritti: finora nessun «papista» è approdato a Downing Street, mentre il primo presidente della Camera dei comuni è stato eletto solo da poco. E ora, nell'epoca del trionfalismo gay, le difficoltà per i cattolici, almeno dalla vita pubblica, sembrano riprese.»
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