mercoledì, ottobre 17, 2007

Sacra Conversazione /12

Sive:“Sic respondes Pontifici?” (Jo. XVIII, 22)


136 autorità islamiche nell'anniversario della "Lectio Ratisbonensis" ed in concomitanza con la fine del Ramadan hanno inviato una lettera aperta a tutti i capi della cristianità dal Papa di Roma in giù evidenziando la fattibilità di un incontro fraterno e rispettoso tra cristiani e maomettani che si incardini sui due evangelici "Comandamenti dell'Amore": amare Dio sopra ogni cosa ed amare il prossimo come se stessi.

Il padre gesuita egiziano Samir Khalil Samir (massimo studioso cattolico di islam)intervistando al riguardo -dal "clerical chic" Foglio di martedì 16 ottobre 2007- ha elecato i motivi di per cui rallegrarsi per le dichiarazioni dei leaders maomettani poichè essi: "citano il Corano ma anche il Vangelo e l’Antico Testamento. E’ un riconoscere, non dichiarato ma implicito, del Nuovo Testamento come documento di rivelazione. Tutto è impiantato sull’amore per Dio e il prossimo.
La terminologia usata è cristiana, non musulmana, come un voler fare passi autentici verso il dialogo fra le fedi. Tutto il discorso è spirituale e permette un dialogo tra gli uomini più sereno dei testi precedenti.
La conclusione cita il versetto 5,48 del Corano, ‘se Dio avesse voluto avrebbe fatto di voi una sola comunità’, sanziona la diversità anche a livello religioso”
.

Epperò Padre Samir non può non sottolineare che:
“Restano fuori i problemi conflittuali, la violenza nell’islam, a causa di un residuo di quel tipico miscuglio fra politica e religione.
I saggi parlano di cristiani che non devono aggredire l’islam. Intendono gli Stati Uniti e le nazioni occidentali. Dobbiamo distinguere sempre fra stati e persone.
Hanno scelto brani positivi del Corano e della Bibbia. E’ bello ma ambiguo, un altro gruppo di studiosi potrebbe scegliere versetti che vanno in senso opposto”.

L'esperto non può fare a meno di sottolineare che il testo per quanto apprezzabile espressione di una volontà generale di personalità islamiche non rappresenta però un documento ufficiale della religione islamica:
“Il testo non ha autorità giuridica, ma morale perché rappresentativo di vari paesi e di tendenze sunnite, sciite e sufi. Ha un valore etico ma non dogmatico. Da questo documento i gruppi radicali terroristi non saranno mai toccati. Ma può aiutare gente di buona volontà ad avere una visione più aperta e più pacifica. Si tratterà di diffonderlo nel mondo islamico e non di farne solo un testo per l’esportazione verso il mondo occidentale. Del testo non hanno fatto versioni persiane, urdu e turche, le lingue dell’islam. E’ pensato per l’occidente supposto essere cristiano”.
E evidente che: "Chi ha scritto il testo non è militante, sono musulmani che sanno di dover trovare un accordo preservando le affermazioni islamiche positive.
I musulmani in Europa non scendono però per strada contro il terrorismo, dicono sempre ‘questo non è il vero islam’, non agiscono. L’effetto della lettera è dunque buono ma ridotto e lento”.



Nel medesimo Foglio Carlo Panella così esprimeva, in modo assai meno devoto, le proprie perplessità:
"E’ un falso ideologico, il dialogo passa dall’abrogazione dei versetti contro ebrei e cristiani"
"L’appello dei 138 musulmani ai cristiani non può non imbarazzare chi lo riceve. Al di là delle evidenti buone intenzioni, costituisce infatti un esempio scoraggiante di falso ideologico (per non usare un termine offensivo).
Innanzitutto, si apre con una inammissibile, discriminatoria esclusione degli ebrei quali destinatari dell’appello.
Un vulnus clamoroso, evidente, irritante.
Nella tradizione coranica i “popoli del Libro” o “popoli della scrittura” sono tre: prima gli ebrei, poi i cristiani, infine i musulmani.
E’ un unicum inscindibile nello schema coranico, come è inscindibile lo schema della Rivelazione, che considera appunto il profeta Maometto il sigillo dei profeti dell’ebraismo e del cristianesimo. Ma c’è una ragione, irriferibile, poco degna, molto opportunistica, per cui l’appello non si rivolge anche agli ebrei, come avrebbe dovuto: l’antigiudaismo che sfocia nell’antisemitismo che caratterizza tutto l’islam contemporaneo e che è anche all’origine del rifiuto araboislamico di Israele (e non viceversa).
Pure, in tutto il lungo documento, molteplici sono i riferimenti e le citazioni della Bibbia, a riprova, secondo gli estensori, dell’unicità di due momenti centrali: adorazione del Dio unico e amore per il prossimo.
Ma questi dotti musulmani non si appellano con parole di pace agli ebrei, non intendono rivolgere neanche la parola, oggi, agli ebrei, pretendono – e questa affermazione ha dello sbalorditivo, tanto è intrisa di egemonismo – che “il futuro del mondo dipenda dalla pace tra cristiani e musulmani”.
Una pace che non spiegano da chi sia infranta, da cui escludono la pace teologica e quindi storica tra musulmani e ebrei.

Si rivolgono dunque solo ai cristiani e lo fanno, peraltro, con una manipolazione sfrontata del testo coranico.
Si rimane attoniti, se solo si sia letto il Corano, dalla disinvoltura con cui gli estensori estrapolano versetti, omettendo di citare i precedenti e i successivi. Un vizio questo tipico della cultura islamica contemporanea, tanto avulsa dal dibattito teologico, dall’esegesi dei testi, quanto prigioniera di un universo citazionistico sterile, per di più ampiamente manipolato, oltre i limiti del rispetto dell’intelligenza dell’interlocutore (Tariq Ramadan non è il solo maestro della dissimulazione più sfrontata).

Valga per tutti l’esempio clamoroso di manipolazione del testo operato con la citazione dei soli versetti 113, 114 e 115, della terza sura, a riprova della affermazione centrale di questo documento, riportata con rilievo da tutti i media in questi giorni: “Come musulmani noi diciamo ai Cristiani che non siamo contro di loro e che l’islam non è contro di loro, a meno che non intraprendano la guerra contro i musulmani a causa della loro religione, li opprimano e li privino delle loro case”. I tre versetti citati lasciano intendere effettivamente una rivelazione coranica impregnata di ecumenismo: “Non sono tutti uguali. Tra la gente della Scrittura c’è una comunità che recita i segni di Allah durante la notte e si prosterna (...) Credono in Allah e nell’Ultimo Giorno, raccomandano le buone consuetudini e proibiscono ciò che è riprovevole e gareggiano in opere di bene. Questi sono i devoti (...) Tutto il bene che fanno non sarà loro disconosciuto, poiché Allah riconosce perfettamente i devoti”.

Ma il punto è che essi sono preceduti da tre versetti e seguiti da altri tre, in un tutto unico e inscindibile, che incitano all’avvilimento della gente della Scrittura “grazie a una corda d’Allah o a una corda d’uomo”, a prescindere assolutamente dal fatto che cristiani ed ebrei portino o meno guerra ai musulmani. Versetti chiarissimi: [...] O voi che credete, non sceglietevi confidenti al di fuori dei vostri, farebbero di tutto per farvi perdere. Desidererebbero la vostra rovina; l’odio esce dalle loro bocche, ma quel che i loro petti celano è ancora peggio. Ecco che vi manifestiamo i segni, se potete comprenderli (sura III, 116-118)”.

Il significato profondamente settario del messaggio non è equivocabile tanto che viene compendiato da Maometto, nel versetto 29 della nona sura: “Combattete coloro che non credono in Allah e nell’Ultimo Giorno, che non vietano quello che Allah e il Suo Messaggero hanno vietato, e quelli, tra la gente della Scrittura, che non scelgono la religione della verità, finché non versino umilmente il tributo, e siano soggiogati”.
Questo versetto è storicamente fondamentale, come sa chiunque abbia un minimo di conoscenza dell’islam. E’ infatti alla base del jihad (il “piccolo jihad” naturalmente) che storicamente i musulmani hanno sempre condotto, assieme al Profeta e poi per secoli dopo la sua morte, contro ebrei e cristiani.

Si potrebbe continuare a lungo nel rilevare le intollerabili omissioni che gli estensori dell’appello hanno operato nel loro testo.
La manipolazione è semplice, quanto evidente: si sottolineano i punti teologici di unitarietà, la comune ascendenza abramitica (inesistente, perché il Corano nega
espressamente che egli fosse “ ebreo o cristiano”), per non affrontare, per non mettere in discussione i dogmi islamici che rendono impossibile nei fatti il dialogo perché nelle società musulmane buona parte degli stessi firmatari conculca la libertà religiosa delle altre fedi.

Come è possibile scrivere un appello del genere senza minimamente prendere posizione sulla libertà di pensiero e di religione nell’islam, oggi?
Come è possibile che questo appello sia firmato da teologi di università saudite che impediscono con la violenza non solo di fondare chiese, ma che addirittura incarcerano i cristiani che esercitano la loro fede nel regno, o da ayatollah iraniani che non si sono mai espressi contro la persecuzione sanguinaria a cui sono sottoposti i Bahi nel loro paese?
Come è possibile che un documento come questo non prenda atto delle ribadite fatwe di tutti i più eminenti ulema dell’autorevolissima (e “moderata”) università coranica di al Azhar? Lì è stabilito che il musulmano il quale “dia pubblico scandalo” della sua conversione al cristianesimo deve essere condannato a morte dalla giustizia secolare.
E infine, sul piano teologico, come è possibile che gli estensori giochino con le parole e fingano che vi sia condivisione cristiana della definizione islamica di Dio “che non ha associati”?

Al di là della complessa definizione della Trinità, che può non essere contraria a questa definizione, tutti sanno che il culto dei Santi e della stessa Maria, nel cristianesimo vìola appieno questa rigida disposizione islamica. Nel cristianesimo Dio, Allah, ha appunto degli “associati”, degni di devozione e di culto e questo definisce appunto il shirk, il più grave e intollerabile peccato per l’islam. Proprio questa “associazione” è stata la base della ripulsa del cristianesimo come idolatra da parte di Ibn Taymiya, ed è la ragione della virulenza anticristiana di cui è intriso il wahabismo-salafismo non solo di al Qaida, ma anche dell’intollerante regno saudita.

Se gli estensori di questo appello hanno estrapolato solo le citazioni ecumeniche del Corano e hanno volutamente tralasciato quelle palesemente e incontestabilmente settarie, perché ritengono queste inefficaci, avrebbero una strada e una strada sola da percorrere dentro il mondo musulmano.
[...]
Questo fece invece uno straordinario teologo musulmano, che rispose con entusiasmo al dialogo interreligioso proposto dal Concilio Vaticano II, e che propose di esaltare il messaggio islamico delle sure “meccane”, le prime, quelle impregnate con evidenza dalla Rivelazione.
Di conseguenza, le sure medinensi (quasi tutte quelle settarie da noi qui citate sono medinensi), così evidentemente influenzate dall’esperienza storica e politica del Profeta, così ispirate dalle logiche della guerra e della spada, così umane (incluso lo sgozzamento dei 650 ebrei Banu Quraizah, inclusa la punizione degli ebrei trasformati in “porci e scimmie” da Allah), dovevano essere considerate per quel che erano e non veicolo di Rivelazione. Uno schema teologico eccellente, l’unico che apre ad una possibilità di dialogo interreligioso e che permette all’islam di percorrere quella strada dell’interpretazione e dell’esegesi che ha permesso all’ebraismo di superare le dure e oggi intollerabili prescrizioni del Levitico.
[...]
Quel teologo, Muhammed Taha, che molti considerano un vero e proprio Martin Lutero dell’islam contemporaneo, è stato impiccato a Khartum il 19 gennaio del 1985, quale apostata.
Sarebbe interessante sottoporre ai firmatari di quest’appello il quesito sulla correttezza o meno di quella condanna a morte."




Ancor più amaramente ironica -sul Foglio di mercoledì 17 ottobre- la disamina che della lettera sei 138 fà "l'orrido" Camillo Langone: "vedo che qualcuno ha preso sul serio la missiva. Quindi tocca parlarne.

Comincio dalla fine cioè dalle firme. Il fatto che siano 138 è la prova della debolezza del documento. E’ il tentativo di surrogare l’autorità col numero. Molti firmatari sono professori universitari, categoria sovrabbondante abituata a firmare appelli in ogni parte del globo su qualsivoglia argomento. Per fare massa vengono reclutati perfino degli “assistant professor” [...] Ma in fondo alla Lettera Aperta non ci sono soltanto accademici ininfluenti, ci sono anche guide religiose che almeno a livello locale dovrebbero guidare per davvero.

Il sultano di Sokoto, ad esempio, ovvero il capo spirituale dei musulmani nigeriani. Spirituale in senso maomettano, ovvio, visto che Saadu Abubakar ha fatto una bella carriera militare ed è diventato colonnello non certo grazie agli appelli pacifisti. Nei giorni scorsi, proprio mentre firmava la lettera in cui si inneggia all’amore fra i popoli accomunati dalla fede in Dio, nella sua Nigeria del nord nove cristiani sono stati uccisi (alcuni orrendamente mutilati), un sacerdote cattolico è stato ferito, chiese, scuole e negozi cristiani sono stati assaltati. La situazione è così tragica che le autorità civili stanno trasferendo (o deportando?) i cristiani in zone più sicure.
Quindi avevo ragione io: la lettera firmata dal sultano non era indirizzata al Papa bensì a quei connazionali che si ostinano a leggere non solo i versetti coranici amorosi (enfatizzati nel documento) ma anche e soprattutto i versetti bellicosi (accuratamente ignorati dallo stesso).

Un altro personaggio che ha problemi nella gestione dell’indirizzario è il rettore dell’università Al Azhar del Cairo. Sto parlando dello sceicco Al Tayeb.
Ci sarà pure un bidello, nel principale centro di insegnamento religioso dell’islam sunnita. Bastava che Al Tayeb gli dicesse di andare a chiamare la professoressa Soad Saleh, colei che, dovendo dare un parere giuridico sulla conversione di un musulmano egiziano al cristianesimo, ha risposto in punta di sharia: “Chi rinuncia all’islam è un apostata e merita di essere ucciso”.
Insomma, prima di spedire lettere in giro vedete di mettervi d’accordo fra di voi.
Potrei smontare le firme se non proprio una per una, nazione per nazione.
Ai firmatari sauditi vorrei mostrare l’inutilità di spiegare il Vangelo al Papa: sarebbe molto più utile sottoporre il Nuovo Testamento a re Abdullah, magari la pianterebbe di far lapidare le adultere."


Ma nonostante tutte le giuste critiche possibili, i cristiani però debbono ricordarsi di quel Gesù che ha comandato di amare il prossimo (come ora i leader mussulmani "amano" ricordare: "spiegare il Vangelo al Papa" dice "l'orrido" Langone!) e perciò debbono accogliere benevolmente le dichiarazioni di buone intenzioni (pur rammentando che la strada dell'Inferno ne è lastricata).
Gesù insegnò che bisogna rispondere mitemente a coloro che cercano di intavolare un "dialogo religioso" : "Se ho parlato male, mostrami dov'è l'errore, ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?".

Fu lo stesso Signore Gesù Cristo a dire: "Chi non è contro di noi è per noi". Pertanto appare sommamente opportuna la frase di San Eusebio di Vercelli con cui il sedici volte Benedetto (proprio il 17 ottobre 2007) ha concluso la catechesi del mercoledì :
"Mi rivolgo a tutti voi, miei fratelli e sante sorelle, figli e figlie, fedeli dei due sessi e di ogni età, perché vogliate... portare il nostro saluto anche a quelli che sono fuori dalla Chiesa, e che si degnano di nutrire per noi sentimenti d’amore" .

5 commenti:

L'agliuto ha detto...

Voglio dire che la frase di monsignor Ravasi può esser interpretata nel senso che la sola evoluzione ammissibile è quella dei risultati (pratici, tecnici, materiali) della scienza. E che conforta questa interpretazione l'aver il medesimo monsignore «chiarito, un po’ irritato, che non tutti colgano al volo le sue sottili elaborazioni».

Duque de Gandìa ha detto...

Da un articolo di Giulio Meotti sul Foglio di sabato 20 ottobre 2007:
"Caro Allam, ecco perché prendiamo sul serio la lettera dei 138"

MEGLIO IL LORO REALISMO, CHE NON CI FA CERTO DIMENTICARE GLI ORRORI DEL JIHAD, DELLA RETORICA UMANITARIA
"...La lettera dei 138 è meglio della nostra retorica umanitaria che non prevede guerra, tragedia e l’inevitabile. E’ meglio della filastrocca “siamo tutti americani, ebrei e madrileni”.
E’ meglio perché riconosce, nominandolo, lo scontro di civiltà. L’islam radicale o fondamentalista o politico, come si voglia chiamarlo, il jihad intriso di profezia si è candidato alla guida della umma nell’attacco all’occidente, qualunque cosa questa parola significhi. Noi la traduciamo con il nostro modo di vivere diverso e libero, laico e confessionale, cristiano-ebraico, persino pagano.

Ha ragione il Daily Telegraph, la lettera getta luce in uno stagno di tenebre. Non possiamo aspettare, come si usava prima dell’11 settembre e purtroppo si usa ancora.
E’ un lusso non concesso. Dobbiamo credere,credere, come ha detto il presidente americano Bush, che “i tagliatori di teste non sono il vero volto dell’islam”. Una parte di quel mondo ha scatenato una sollevazione che ci ha travolto, facendo della propria miseria e nostalgia, dell’infinita bellezza della sua religione un grido di battaglia contro il Grande e il Piccolo Satana, americani ed ebrei.

Dentro e fuori l’islam è in corso una guerra tra chi ama la morte più della vita e chi difende la vita rischiando la morte. La lettera va a favore dei secondi. E’ stata spedita non in tempo di pace, ma sotto la costante nuvola di bombe e suicidi assassini. Per questo è ancora più importante e da non rifiutare, anche se non rispetta i parametri di Human Rights Watch. Non è perfetta, sarà firmata da predicatori non trasparenti, come tu rilevi. Ma è scritta da sunniti e sciiti, gente che a Baghdad si ferma per strada e se nella carta di identità vede che ti chiami “Alì”, ti spara in fronte davanti ai figli. Non fermerà la mano degli assassini, continueranno a seminare lacrime. Ma ha ragione il filosofo Roger Scruton, uno che aiutava i dissidenti a fuggire oltre cortina: andrebbe affissa nelle porte di moschee e madrasse, come risposta a chi dà la caccia ai Rashid Mimouni, l’autore del romanzo “La maledizione”, che figurava nelle liste di morte affisse in altre moschee assieme all’autore di “Ripudio”, il capolavoro dell’algerino Rashid Boudjedra.

La gravitas dei 138, la cura con cui misurano le parole e scelgono i versetti, è un dono ai loro fedeli snervati dal dolore. Ci hanno infine concesso ciò che gli idioti e i multiculturalisti vogliono negarci: lo status di umma."

Duque de Gandìa ha detto...

Carlo Panella sul Foglio di mertedì 23 ottobre 2007:

"...i 138 ulema musulmani, non solo non condannano il Jihad di Hamas in Iraq e in Israele, ma addirittura lo legittimano, inclusi i kamikaze. Pure, nella logica del pensiero islamico contemporaneo, che è tutta fatta di casistica di normativa, il testo è chiarissimo: “Come musulmani, noi diciamo ai cristiani che non siamo contro di loro e che l’islam non è contro di loro – a meno che loro non intraprendano la guerra contro i musulmani a causa della loro religione, li opprimano e li privino delle loro case, in conformità con il versetto del Sacro Corano”.
Non è possibile non vedere – ma Meotti non vede – che questa relativizzazione, questo “a meno che”, questo rifiuto di impegnarsi con un secco “diciamo ai cristiani che non siamo contro di loro”, punto, ha un rilievo sostanziale. Siccome molti musulmani – compreso il 99 per cento degli ulema firmatari – ritengono che in Iraq, in Afghanistan, in Israele e Palestina i cristiani – e gli ebrei – hanno proprio intrapreso una “guerra contro i musulmani a causa della loro religione li hanno oppressi e privati delle loro case”, il Jihad contro di loro è lecito (posizione espressa sin dal 1920 dal Gran muftì di Gerusalemme e oggi ribadita da Hamas, da Ahmed al Kubaisi e da tutta la Fratellanza musulmana).
Quando Magdi Allam richiama alla condizione preliminare a qualsiasi dialogo – la difesa assoluta del valore della vita, senza “a meno che” – pone una questione centrale e ineludibile. Eluderla, tollerare come ininfluenti gli “a meno che” impedisce al dialogo, su tutti i piani, di dispiegarsi su un terreno comune. Quello citato è appunto uno dei tanti esempi di “dissimulazione”..."

Duque de Gandìa ha detto...

Il Rabbino Capo di Roma Riccardo di Segni sul Foglio di mercoledì 24 ottobre 2007:
“Parlo dell’esclusione della realtà ebraica vivente e attuale da questo documento dei 138 saggi musulmani.
Gli ebrei quando sono citati sono sempre tra parentesi. Come una sorta di entità astratta e archeologica. Le citazioni all’ebraismo sono riferite all’Antico Testamento, come se ci fosse una volontà specifica di escludere l’attualità ebraica da questo discorso.

L’altro dubbio riguarda la grande dichiarazione d’amore che anima tutto il testo, mi viene da riflessioni più generali sul senso del modo di fare dialogo oggi.

Ho l’impressione che ci sia la tendenza e il rischio, nel modo con cui alcune religioni si presentano di fronte all’opinione pubblica, di presentare le cose come se si dovessere vendere una merce con la pubblicità. Quando si fa pubblicità in televisione o sui giornali, c’è dietro una sorta di indagine di mercato dalla quale si cerca di capire cosa interessa e cosa colpisce, vediamo messaggi come la serenità, la leggerezza e l’allegria.
Il rischio è che le religioni si presentino come uno spot pubblicitario. Per questo osservo con distacco le dichiarazioni di centralità del tema dell’amore nella lettera dei 138. L’amore è presente in ogni religione, ma è un aspetto dei tanti. C’è questa tendenza a cancellare qualsiasi problema che resta mettendolo sullo sfondo, allontanato verso il margine, e questi rappresentanti dell’islam hanno come approfittato di questo trend mettendoci dentro il loro contributo.
Vendono amore per Dio e per tutte le creature.
Questo grande coro di amore universale che sembra tanto bello in apparenza, a me ispira un’istintiva diffidenza. La realtà è differente. Andrei cauto dunque nelle celebrazioni trionfalistiche, denunciando le contraddizioni che queste affermazioni possono nascondere”.

Duque de Gandìa ha detto...

Per don Baget Bozzo "la lettera dei 138 è un fatto senza precedenti"
Il Foglio di giovedì 25 ottobre 2007:
...Il tema cristiano, significativamente cattolico, del dialogo (lo introdusse Paolo VI) è entrato nell’orizzonte dei teologi musulmani.
Sembra che essi comprendano che, in un mondo unito, il modello dei rapporti dell’islam con le chiese cristiane non può essere quello dei califfati arabi e dell’impero turco. E, ovviamente, nemmeno quello del colonialismo.
Nel secolo scorso è nato un islam politico che vuole creare uno stato musulmano, che non è né della teologia, né della sunna, né della shia. L’idea di un califfo che non abbia relazioni di discendenza da Maometto, come ha tentato bin Laden, è estranea ai sunniti, che vedono il tempo di Maometto come un tempo perenne a cui tutto l’islam partecipa: non esiste nell’islam la prospettiva di una storia dell’islam avente significato teologico. Per questo nei sunniti prima o poi inevitabilmente emergerà, proprio dalla sunna, il rigetto del terrorismo di al Qaeda rivolto contro l’occidente.
Nemmeno gli sciiti, che credono che il dodicesimo iman sia presente nel tempo ma celato in esso, possono veramente accettare l’idea khomeinista di uno stato islamico come quello costruito nella Repubblica iraniana.
L’islam ha in sé la capacità di rifiutare le innovazioni perché rifiuta il tempo storico proprio di una religione storica come è il cristianesimo.
E’ dunque possibile che le reazioni all’islamismo politico del Novecento vengano proprio dalle tradizioni sunnita e sciita. Ciò non significa che miglioreranno le condizioni dei cristiani nei paesi islamici, la conversione alla fede cristiana sarà sempre un’apostasia, tra islam e cristianesimo vi è una assoluta discontinuità. Ma ora è chiaro che la discontinuità non è tale da impedire le relazioni formali tra le due religioni.
Gianni Baget Bozzo