giovedì, aprile 16, 2009

CASTRUM DOLORIS, XX


"4 Luglio 1828. - Abbiamo passato la giornata nella celebre basilica di San Paolo fuori le mura.
Si crede che l'abbia fatta costruire Costantino su una parte del cimitero dove, dopo il martirio, era stato sepolto San Paolo. Nel 386 gli imperatori Valentiniano II e Teodosio ne ordinarono la ricostruzione su una base molto più vasta. Fu compiuta da Onorio; parecchi papi l'hanno restaurata e ornata.

Fra le basiliche le cui navate sono divise da colonne nessuna forse appariva più maestosamente cristiana prima del fatale incendio del 15 luglio 1823. Ora non c'è nulla di più bello, di più pittoresco, di più triste dello spaventoso disordine prodotto dal fuoco; il calore delle fiamme, alimentate dalle enormi travi di legno che sostenevano il tetto, fece spaccare tutta la loro lunghezza la maggior parte delle colonne.

Durante i vent'anni che hanno preceduto l'incendio, ho visto San Paolo come le ricchezze di tutti i re della terra potrebbero rifarlo. L'epoca dei bilanci e della libertà non può più essere quella delle belle arti; una strada ferrata, un ospizio di mendicità valgono cento volte meglio di San Paolo. In realtà queste cose tanto utili non ci danno la sensazione del bello, e ne concludo che la libertà è nemica delle belle arti. Il cittadino di New York non ha il tempo di sentire la bellezza, ma spesso ne ha la pretesa. E ogni pretesa non provoca collera e infelicità? Vedete uno sforzo penoso al posto della sensazione del bello, ciò che non impedisce alla libertà di valere molto più di tutte le basiliche del mondo. Ma non voglio adulare nessuno.

Un tempo, entrando in San Paolo, ci si trovava come in mezzo ad una selva di colonne magnifiche; se ne contavano centotrentadue antiche: Dio sa quanti templi pagani furono profanati per costruire questa chiesa! (...)
Quattro file di venti colonne ciascuna dividevano la chiesa in cinque navate. Fra le quaranta colonne della navata centrale, ventiquattro, d'ordine corinzio, e d'un sol blocco di marmo violetto, furono tolte al mausoleo di Adriano (oggi Castel San'Angelo).
Quanto sarebbe stato meglio per il nostro piacere di oggi che quelle colonne fossero rimaste nel mausoleo di Adriano, che sarebbe oggi la più bella rovina del mondo!
Ma non bisogna accusare di stupidità l'opinione pubblica del 390; allora non si cercavano le stesse sensazioni che cerchiamo noi; abbellire una chiesa era la cosa più importante in uomini pieni di fervore per una religione così a lungo aborrita dai potenti della terra. Da parecchi secoli il senso della sicurezza, era scomparso nelle comunità cristiane, e ogni giorno si era pensato sempre meno alle cose soltanto piacevoli.

Ciò che soprattutto ricordava i primi secoli della Chiesa, e conferiva a un tempo a San Paolo un aspetto eminentemente cristiano, cioè severo e misurato, era l'assenza di soffitto; il visitatore vedeva sopra la sua testa le grosse travature del tetto né nascoste né mascherate. Si era ben lontani dai soffitti dorati di Santa Maria Maggiore e di San Pietro.
Il pavimento era formato da frammenti irregolari presi da qualche antico monumento di marmo. Appena si entrava in chiesa, l'occhio era colpito dal grande mosaico, con figure gigantesche, che si scorgeva dietro l'altare, oltre la selva di colonne; serviva come didascalia per tutto quello che stava intorno, e rivelava all'anima il sentimento che la turbava. Le proporzioni colossali dei ventiquattro vegliardi dell'Apocalisse, e degli apostoli san Pietro e san Paolo che sono al fianco di Gesù Cristo, equivalevano a queste parole: terrore e inferno eterno. Il mosaico è del 440.

Nella basilica si entra per tre grandi porte. Pantaleone Castelli, console romano, fece a Costantinopoli, nel 1070, la grande porta bronzea fusa in parte nell'incendio del 1823.
La chiesa conserva parecchie tracce dei primi tempi del cristianesimo; l'altar maggiore è posto, come quello di San Pietro, a grande distanza dal muro della tribuna (o fondo della chiesa). Il Coro, dove i preti si sedevano presso l'altare, è nascosto agli occhi dei fedeli da un muro con cinque aperture, la principale di fronte all'altar maggiore e le altre alle estremità delle quattro navate laterali. Le navate sono formate dalle quattro file di colonne e dai muri laterali della basilica. Si ritrova a San Paolo il vestibolo esterno, dove si fermavano i fedeli a cui lo stato della loro coscienza interdiceva d'entrare in chiesa.

Qualcosa di misterioso s'è legato nell'animo dei Romani all'incendio di San Paolo, e le persone che amano fantasticare ne parlano con quel cupo piacere così raro in Italia e così frequente in Germania.
Nella grande navata, sul muro sopra alle colonne, c'era la lunga serie dei ritratti di tutti i papi, e il popolo romano vedeva con ansia che non c'era più posto per il ritratto del successore di Pio VII. Di qui le voci sulla soppressione della Santa Sede.
Il venerabile pontefice, che per i suoi sudditi era quasi un martire, era alla fine dei suoi giorni quando scoppio l'incendio di San Paolo, nella notte tra il 15 e il 16 luglio 1823. In quella stessa notte il papa, quasi morente, fu agitato da un sogno che gli rappresentava incessantemente una grande sciagura abbattersi sulla Chiesa. Si svegliò di soprassalto parecchie volte, e domandò se non ci fosse nulla di nuovo. L'indomani, per non aggravare il suo stato, gli tennero nascosta la notizia dell'incendio, ed egli morì poco tempo dopo senza averlo mai saputo.

Alcuni scrittori antichi sostengono che per le travature del tetto di San Paolo furono inviati dei cedri del Libano.
Il 15 luglio 1823 dei poveri operai che lavoravano alla copertura di piombo delle travi, vi misero fuoco con il fornello che serviva al loro lavoro. Quelle enormi assi disseccate durante tanti secoli dal sole ardente fecero scoppiare in lungo e in largo le colonne tra le quali caddero in fiamme, formando un rogo divoratore. Così cessò di esisistere la basilica più antica non solo di Roma ma di tutta la cristianità: era durata quindici secoli [...].


Leone XII ha intrapreso la ricostruzione di San Paolo.
Qualche frase piena di enfasi, nella gazzetta ufficiale del Cracas, ci informa di tanto in tanto che si è fatta venire per San Paolo una colonna di marmo dalle cave del lago Maggiore, vicino alle isole Borromee, in Lombardia. Queste colonne sono trasportate sul famoso canale Milanese perfezionato da Leonardo da Vinci. Arrivate a Venezia, fanno il giro dell'Italia, e poi giungono sul Tevere fino a qualche centinaio di passi da San Paolo.
Dopo un secolo o due di sforzi inutili, si rinuncerà al progetto di ricostruire questa chiesa che del resto è completamente inutile.

Delle ottanta colonne che dividevano la chiesa in cinque navate, le quaranta a destra e a sinistra della navata centrale erano considerate le più preziose, e ventiquattro erano di un sol blocco di marmo violetto. Da un anno è di moda sostenere che queste ventiquattro colonne provenissero dalla basilica Emilia del Foro: si citano un passo di Plinio il Vecchio e alcuni versi di Stazio. Ciò che è sicuro è che queste colonne erano corinzie, scanalate per due terzi, e misuravano trentasei piedi di altezza e undici di circonferenza. Le altre colonne erano di marmo di Paro. Le due immense colonne di marmo salino che sostenevano il grande arco della tribuna misuravano quindici piedi di circonferenza e quarantadue di altezza. Il fuoco le ha spaccate dall'alto in basso, e quegli enormi frammenti lasciano un ricordo durevole e triste.
Perché non dirlo? A San Paolo eravamo veramente cristiani.
[...]
Visitai la basilica di San Paolo il giorno dopo l'incendio. Ne ebbi un'impressione di severa bellezza, con una nota di tristezza come solo la musica di Mozart può darne idea. Tutto ancora narrava l’orrore e il disordine di quella terribile sciagura; la chiesa era ancora ingombra di travi fumanti e nere, semibruciate; i fusti delle colonne, spaccati per tutta la loro lunghezza, minacciavano di cadere alla minima scossa. I romani, costernati, erano andati in massa a vedere la chiesa incendiata.
Era uno dei più grandiosi spettacoli che io abbia mai visto, da valere da solo il viaggio a Roma nel 1823."

(Stendhal; Passeggiate Romane)

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