lunedì, aprile 27, 2009

CASTRUM DOLORIS, XXII

Ovvero: "Non vidi alcun Tempio in essa" (Apocalisse)


Domenica 26 Aprile 2006 si è celebrata la dedicazione al culto cattolico, della nuova chiesa di Foligno commissionata dalla Conferenza Episcopale Italiana, all'architetto di fama mondiale Massimiliano Fucksas, quale artistico -ed emblematico!- contributo della Chiesa pellegrinante in Italia alla ricostruzione della cittadina umbra ferita dal terremoto dell'ottobre 1997.
La "chiesa" di San Giacomo altro non è che un mastodontico, grigio, inquetante e soffocante cubo alto quasi ventisei metri, interamente composto da calcestruzzo armato a vista, un vero "eco mostro": l'"Eco-Mostro di Foligno" di cui i gerarchi del cattolicesimo italiano manifestano un entusiasmo ancora più inquietante; presente all'inauguarazione l'Eccellentissimo Giuseppe Betori arcivescovo di Firenze che quand'era Segretario generale della italica Conferenza Episcopale volle quel "progetto pilota" per la realizzazione di tre innovative e paradigmatiche "nuove chiese" (una al nord, una al sud e una al centro) tra cui appunto: il "cubo di Fucksas".

Una esegesi cristiana dell'opprimente edificio di culto è stata proposta ai folignati nell'omelia dedicatoria dal loro vescovo Gualtiero Sigismondi :
"In quanto costruzione visibile, la chiesa-edificio è segno della Chiesa pellegrina sulla terra e immagine della Chiesa beata nel cielo". Quello che più colpisce di questa nuova casa di preghiera è il fatto che, nelle sue linee architettoniche, manifesta simbolicamente il mistero della Chiesa: "casa del Dio vivente", fondata sulla roccia della fede di Pietro (cf. Mt 16,18); "colonna e sostegno della verità" (cf. 1Tm 3,15), edificata sul fondamento degli apostoli e dei profeti in Cristo Gesù, "pietra angolare" (cf. Ef 2,20).
Si tratta di un complesso edilizio che, essendo slanciato e proiettato verso l'alto, disegna un dialogo tra cielo e terra, che consente di intuire che la Chiesa pellegrina sulla terra si configura come vera e propria cripta della basilica della nuova Gerusalemme, la città santa che, come dice l'Apocalisse, "è a forma di quadrato: la sua lunghezza è uguale alla larghezza" (cf. Ap 21,16); immediatamente dopo l'Autore sacro precisa che "la lunghezza, la larghezza e l'altezza sono uguali", lasciando intendere che è a forma di cubo!"


Or dunque, seppur involontariamente, come accadde anche a Caifa, monsignor Sigismondi ha profetizzato: il cubo di Fucksas vuol trasmette quindi un messaggio decisamente apocalittico.
Efficace il passaggio in cui il presule interpreta l'ennorme ed altissimo cubo come nient'altro che una cripta! Cripta di una superiore ed invisibile "chiesa" lasciata distrattamente fluttuare nell'iperuraneo e che invece gli architetti del passato hanno sempre anelato appassionatamente di far scendere dal cielo "bella come una sposa adorna per il suo sposo" (anche questa è Apocalisse, Eccellenza!).

Il vescovo di Foligno, o per rimanere nel linguaggio apocalittico: l'Angelo della Chiesa di Foligno, pur estasiato per la biblica cubicità dell'edificio ha però volutamente sorvolato sul resto della descrizione che l'autore ispirato fa della mistica dimora di Dio con gli uomini: "Le mura sono costruite con diaspro e la città è di oro puro, simile a terso cristallo. Le fondamenta delle mura della città sono adorne di ogni specie di pietre preziose. Il primo fondamento è di diaspro, il secondo di zaffìro, il terzo di calcedònio [NON CALCESTRUZZO!], il quarto di smeraldo, il quinto di sardònice, il sesto di cornalina, il settimo di crisòlito, l'ottavo di berillo, il nono di topazio, il decimo di crisopazio, l'undecimo di giacinto, il dodicesimo di ametista. E le dodici porte sono dodici perle; ciascuna porta è formata da una sola perla. E la piazza della città è di oro puro, come cristallo trasparente "(Ap.XXI, 18-21).
E inoltre: "sopra queste porte stanno dodici angeli e nomi scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli d'Israele. Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell'Agnello"(Ap.XXI 12,14).
Dove sono gli angeli e gli apostoli, dove i "nomi" e i "basamenti" della storia della Chiesa universale e della Chiesa locale? Dove sono i Santi che hanno edificato nei secoli quel tempio spirituale che è la comunità cristiana di Foligno? Dove sono i segni della devozione secolare del popolo cristiano?
Fuksas ignora il dogma della "Comunione dei Santi" (oltre a quello dell'Incarnazione, ovviamente). Un certo risalto è stato dato alla notizia che -bontà loro!- l'aula di culto è stata adornata d'una "artistica" Via Crucis (il fatto che sia opera pregiatamente "artistica" vuol dire che il manufatto non promuoverà affatto la devozione alla salutifera Passione di Nostro Signore).

Ben si esprime il sempre encomianilmente "orrido" Langone (anche se non si firma lo stile è encomiabilmente e orridamente il suo):
"...il cubo di Fuksas è in esplicita polemica con il Vangelo, il Catechismo della Chiesa Cattolica, l’Ordinamento del Messale Romano, il magistero di Papa Benedetto XVI. Scusate se è poco.
Il suo minimalismo «fa scappare l’anima», come dice il filosofo James Hillman. La carenza di immagini si configura come un boicottaggio all’Incarnazione, il concetto cruciale di Dio che si fa uomo, di Dio presente. Qui invece Dio è assente, lontanissimo, invisibile, e infatti se stessi parlando di una moschea, e se al posto del vescovo venisse inaugurata da un imam, l’intera faccenda avrebbe più senso (l’islam non tollera che Dio venga raffigurato, al contrario del cristianesimo che lo esige). Il cubo di Foligno sembra la versione ingrossata e grigiastra della Kaaba, luogo sacro islamico, meta dei pellegrinaggi alla Mecca. Sembra e magari lo è.
Sapete come fanno le archistar? Quando le idee scarseggiano e l’ispirazione langue il progetto bocciato da un committente viene riciclato altrove. Basta cambiargli nome e qualche gonzo lo si trova sempre. Meglio se è un gonzo cieco, o almeno ipovedente, impossibilitato a notare alcuni difettucci. Ad esempio: il Crocifisso che fine ha fatto?
Un cubo è un cubo e un cubo, senza un Crocifisso, non una chiesa. E nel cubo di Foligno il Crocifisso non si vede, per l’appunto. [...] Fuksas è riuscito a erigere un tempio a se stesso e al nulla. Non per niente l’architetto romano viene confidenzialmente chiamato Fuffas. [...] Dove passa Fuksas non cresce più l’erba e purtroppo non sono più i tempi di Leone Magno che fermò Attila sulle rive del Mincio mostrandogli la Croce. Il nostro amato Papa Benedetto è un grande teologo e un grande liturgo ma per troppa mitezza non ha ancora tirato le orecchie a certi burocratini della Cei, che per farsi belli ai convegni affossano la devozione.
Volete i nomi? Eccone uno, don Giuseppe Russo, responsabile nazionale dell’edilizia di culto, grande sponsor (coi soldi nostri) del cemento di Fuksas e degli altri architetti nichilisti che disseminano le periferie italiane di cattedrali dell’apostasia, luoghi somiglianti a banche, a Ikee, a multisale, a palasport, ad aeroporti, a bowling, a qualsiasi cosa tranne che a una chiesa.
Mai un campanile, ad esempio.
Impossibile che l’aggiornatissimo don Giuseppe non abbia letto l’importante rivista di architettura in cui il cubo di Foligno ancora in gestazione veniva definito, per elogiarlo, «criptico, chiuso, astratto». Quindi non lo si può perdonare, sapeva benissimo quello che stava commissionando.
«Criptico, chiuso, astratto» non sono aggettivi compatibili con un edificio del culto cattolico, per sua natura aperto, cordiale, rivolto a tutti. Sono invece perfetti per descrivere una loggia massonica, un carcere di massima sicurezza, un impianto per la cremazione dei cadaveri."
(Il Giornale ; domenica 26 aprile 2009)

1 commento:

Duque de Gandìa ha detto...

"Non ci soffermeremo sull'impatto scenografico osceno (non ci viene altro termine) in rapporto al paesaggio naturale e urbano circostante: uno sconcio capannone industriale di nudo calcestruzzo del genere deturperebbe perfino un suburbio già degradato; figuriamoci il paesaggio umbro.
Indugeremo invece sull'aspetto interno e, visto che l'interesse di questo blog è per la liturgia, chiediamoci se un ambiente consimile possa aiutare (o tarpare) l'espressione pubblica delle fede.

Varchiamo dunque virtualmente la porta dell'insolito delubro, con quella salita di accesso lungo tutto uno dei lati del cubo che rende l'insieme tanto somigliante ad un alveare, con la facciata di inquietante inespressività come un Moloch dormiente: il che già trasmette l'idea di una massificazione, di un annullamento dell'individuo nel sistema; qualcosa che ricorda anche gli stranianti falansteri dove i socialisti utopici dell'Ottocento avrebbero voluto radunare le famiglie operaie, così presagendo il futuro di molti tristissimi palazzoni-dormitorio del secolo seguente...

All'interno lo spazio appare definito dagli angoli retti formati dalle spesse pareti di cemento a vista: le vetrate, di forma irregolare, sono in alto, così accrescendo l'oppressione degli alti muri di cemento che vi recingono: la luce viene infatti, principalmente, dall'alto. La forma squadrata è replicata da una struttura, sempre di duro cemento che, nell'intenzione dell'Architetto, dovrebbe definire delle sorte di navate, ma che di fatto sembra una specie di gigantesca cappa aspirante proprio sopra l'altare.

Orbene: a rischio di scioccare qualcuno, diremo che l'interno ci piace.
Ci ricorda molto un capolavoro assoluto, a nostro giudizio, ossia il Museo ebraico di Berlino, di Libeskind: là le alte pareti senza finestre, gli angoli spigolosi, la luce cadente da feritoie dall'alto, rendono in modo estremamente efficace ed emoziante il senso di angoscia, di straniamento, di dolore del popolo ebraico nelle grandi prove del XX secolo.

Il punto, però, è appunto questo: angoscia, straniamento e dolore, che in un memoriale sull'Olocausto sono assai a proposito, sono impressioni adatte anche ad una chiesa cattolica?

http://blog.messainlatino.it/2009/04/un-luogo-di-culto-per-unita-pastorale.html