martedì, novembre 28, 2006

eleison himàs!


PREGHIERA

San Paolo di Tarso (cosiddetta Tarzis),
san Nicola di Bari (vescovo di Mira cosiddetta Demre),
san Basilio Magno (vescovo di Cesarea cosiddetta Kayseri),
san Giovanni Crisostomo (Patriarca di Costantinopoli cosiddetta Istanbul),
san Gregorio di Nazianzo (cosiddetta Guzelyurt),
sant’Apollinare di Ravenna (da Antiochia cosiddetta Antakya),
santa Barbara (da Nicomedia cosiddetta Izmit),
santa Giuliana di Nicomedia (idem),
san Biagio martire a Sebaste (cosiddetta Sivas),
san Calogero da Calcedonia (cosiddetta Kadikoy),
santi Cosma e Damiano (martiri ad Antiochia),
sant’Eufemia (martire a Calcedonia),
san Gregorio di Nissa (cosiddetta Nysa),
sant’Ignazio di Antiochia,
san Policarpo vescovo e martire a Smirne (cosiddetta Izmir),
ci eravamo dimenticati ma adesso siamo tornati.

(Camillo Langone ; Il Foglio, martedì 28 novembre 2006)

3 commenti:

Duque de Gandìa ha detto...

“Ecumenico”, quel titolo di Bartolomeo I che non piace ad Ankara

dal Foglio di mercoledì 29 novembre:
“Ma quando Papa Benedetto XVI tornerà a Roma, voi ortodossi volete fondare uno stato autonomo a Istanbul, sul modello del Vaticano?”.

La domanda è stata rivolta ieri mattina dai giornalisti turchi all’arcivescovo Demetrios, leader dei cristiani orientali d’America, che insieme ai colleghi prelati del patriarcato ecumenico di Costantinopoli ha organizzato una conferenza stampa all’hotel Hilton, in pieno centro di Istanbul.

La domanda sarebbe assurda, se non fosse, regolarmente, riproposta da giornali turchi di ogni schieramento. Anzi, sfiorerebbe il ridicolo: perché immaginarsi il sessantaseienne Bartolomeo I, capo spirituale dei 300 milioni di ortodossi sparsi per il mondo, proclamare uno stato nello stato in Turchia, è del tutto irrealistica.
Una specie di minigolpe nella nazione ipermilitarizzata, e già accusata dall’Unione europea di scarso rispetto per i diritti umani e religiosi? Con al posto delle guardie svizzere i cinquemila sparuti cristiani orientali rimasti a pregare in tutta l’Anatolia, di cui una minima parte nella chiesa del Fanar, dove Bartolomeo celebra messale domeniche davanti a una ventina di fedeli suoi coetanei?

Ma tale assurdità cela, in realtà, una paura che affonda nella notte dei tempi: quella per il titolo “ecumenico” (dal greco Oikumene, universale) di cui si fregia Bartolomeo I. Titolo con il quale si rivolgerà a lui Benedetto XVI: “Patriarca ecumenico” legittimandolo di fronte alle autorità turche (e facendole un po’ irritare). Un titolo che risale al sesto secolo della nostra era, attribuito al vescovo di Costantinopoli-Nuova Roma quando la vecchia Roma era preda di incursioni barbariche mentre Costantinopoli, capitale dell’Impero romano d’oriente fino alla conquista ottomana del 1453, era la più bella città del mondo, “occhio dell’universo”, “regina del creato”.
Qui l’imperatore Costantino I, dal 330 dopo Cristo, aveva spostato il suo palazzo abbandonando le rive del Tevere al loro destino. “Non sappiamo se ci troviamo in terra o in paradiso” commentavano estasiati i pellegrini che da tutta la cristianità venivano ad ammirare la nuova capitale a cavallo del Bosforo.
E accanto all’imperatore, il massimo sacerdotedettava legge.

Altri tempi. Ora al Patriarca ecumenico rimane solo la guida spirituale su tutte le chiese ortodosse autocefale, indipendenti dal punto di vista economico e amministrativo: le più antiche sono quelle di Alessandria d’Egitto, Antiochia, Gerusalemme.
Poi seguono il gregge russo, quello rumeno, serbo, bulgaro, greco, fino ad arrivare alla Georgia, alla Polonia, all’Albania, alla Slovacchia e alla Cechia, alla Finlandia e all’Estonia.

Tutti i cristiani orientali delle varie diaspore, in Europa, America, dipendono invece direttamente da lui, dall’attuale Patriarca Bartolomeo I, di qui la presenza dell’arcivescovo d’America Demetrios ieri all’hotel Hilton. Ma soprattutto ora, per il governo di Ankara, il Patriarca ecumenico – che è comunque un primus inter pares anche per tutti i capi delle chiese autocefale – è semplicemente un prelato ortodosso turco.
Poco più di un parroco di un quartiere di Istanbul.

Non solo: se il Vaticano può permettersi il lusso di nominare un Papa polacco o tedesco, invece che italiano, qui a Istanbul le cose non vanno così. Il Patriarca di Costantinopoli deve per legge essere cittadino turco, come appunto Bartolomeo che è nato nell’isola di Imvro nel mar di Marmara.
E in teoria le autorità di Ankara possono rifiutare il risultato della “fumata
bianca” che issa un Patriarca sul trono del Fanar. E tanto per sminuire ancora di più il suo prestigio, hanno persino chiuso dal 1971 la Scuola teologica dell’isoletta di Halki, nel mar di Marmara, dove i preti ortodossi venivano a specializzarsi con un regolare corso di studi. Insomma, da sempre ma soprattutto nel fermento nazionalista e islamista che aleggia in Turchia di questi tempi, quell’“ecumenico” dà fastidio.

Dimenticandosi che, se Bartolomeo riuscisse mai a fondare un Vaticano sui Dardanelli, i primi a insorgere sarebbero i massimi prelati cristiani orientali, che lo vogliono mantenere primus inter pares. Primo fra tutti, a storcere il naso sarebbe Alessio II Patriarca di Russia, il pastore del maggior numero di ortodossi al mondo. Proprio lui che di invitare a Mosca Benedetto XVI non sembra, per ora, avere intenzione. Forse per sottolineare il proprio potere e carisma davanti al mondo, anche davanti a Bartolomeo.

Duque de Gandìa ha detto...

Interessante articolo del Foglio di mercoledì 29 novembre 2006 sui cristiani di etnia turca:

“Hristiyan”, è la parola turca per cristiano.
L’emergenza stessa dei popoli turchi nella storia risale alla loro conversione all’islam, il termine “turco” è stato a lungo sinonimo di “musulmano”, e sono minoranze etniche le comunità turco-cristiane tornate alla ribalta con la visita del Papa: dai greci ortodossi agli armeni, ai giacobiti arabofoni del sud-est. Eppure, cristiani di lingua turca esistono, sono esistiti ed esisteranno.

Nel presente, il discorso riguarda soprattutto quattro etnie dell’area della ex Unione Sovietica: i gagauz, i ciuvasci, gli yakuti e i dolgan. In generale, si tratta di avanguardie che uscirono dalla patria originale dei popoli turchi in Asia centrale prima che vi arrivassero i missionari musulmani, e in generale nella storia hanno avuto poco a che fare con quei loro lontani cugini finiti in Anatolia. Ma c’è l’eccezione dei gagauz: un popolo di 230 mila persone, di cui circa 150 mila in Moldova, dove hanno una propria regione autonoma. C’è però pure una numerosa diaspora che conta anche su circa 15 mila persone in Turchia:
Paese tradizionalmente molto ammirato dai gagauz come patria culturale ideale, un po’ secondo il complesso che quei romeni cui sono storicamente mescolati hanno con Francia e Italia. E come appunto i romeni sono fieri della loro latinità pur mantenendo la loro fede ortodossa, così i gagauz vanno in Turchia e studiano il turco letterario pur restando cristiani.

Per di più i gagauz in Turchia frequentano le chiese del patriarcato ortodosso di Costantinopoli, e in quelle di Istanbul sono ormai anzi maggioritari rispetto agli ultimi grecofoni.

Ma ve ne è qualcuno che è invece finito col patriarcato turco ortodosso: una denominazione che usa il turco al posto del greco nella liturgia, che non è riconosciuta dalle altre chiese ortodosse, e le cui radici sono in un’altra comunità di cristiani turcofoni, questi del passato.

I karamanlides, o karamanlilar, se al posto della dizione greca vogliamo usare quella turca: discendenti di quella popolazione cristiana di Cappadocia, già famosa per le sue chiese scavate nella roccia, che dopo la disfatta bizantina alla battaglia di Manzikert del 1071 si ritrovarono sotto il dominio turco e adottarono dunque la lingua dei conquistatori, pur scrivendola con l’alfabeto greco econservando pure la propria fede cristiana ortodossa. Dopo la caduta dell’Impero ottomano, la nuova repubblica kemalista cercò di creare una contrapposizione tra cristiani “stranieri” greci e cristiani “indigeni” karamanlides: i primi da espellere in Grecia, assieme al Patriarca di Costantinopoli; i secondi da costituire in chiesa nazionale, che avrebbe usato il turco al posto del greco.

Fu appunto un pope ortodosso della Cappadocia di nome Pavli Eftim Erenerol a prestarsi alla bisogna proclamandosi “Papa” del nuovo patriarcato indipendente turco ortodosso col nome di Eftim I, alla testa di un Sinodo di dodici vescovi che pretendeva di rappresentare i 400 mila cristiani turcofoni. O presunti tali, visto che lo stesso Eftim era in realtà greco, e aveva turchizzato il suo nome dall’originario Pavlos Karahisarithis.
Col Trattato di Losanna del 1923, però, il governo turco acconsentì a lasciare a Costantinopoli il patriarcato ecumenico.
Invece, si arrivò a uno scambio massiccio di popolazione non su base linguistica ma religiosa: tra i 900 mila espulsi dalla Grecia in Turchia vi furono infatti anche i musulmani di lingua greca dell’Epiro e di Creta, e tra gli espulsi dalla Turchia in Grecia andarono i karamanlides, presto assimilati alla lingua ellenica.

Il cognome indica chiaramente che era dei loro, per origine, il presidente e premier Konstantin Karamanlis, ma anche l’attuale primo ministro turco Erdogan discenderebbe da karamanlides convertiti.

Eftim I fu risparmiato dallo scambio, assieme a 65 persone di sua scelta. Il patriarcato turco ortodosso esiste ancora con tre chiese e circa 500 fedeli: parte discendenti da quei 65, parte emigrati gagauz. A Eftim I sono succeduti i figli Eftim II e Eftim III, ma dopo la morte di quest’ultimo nel 2002 la sede è vacante..."

Duque de Gandìa ha detto...

Non sarei così drastico, dice il proverbio: Finchè c'è scisma c'è speranza!:)